Un assolato pomeriggio sulle scale dell'Accademia, quattro amici che tra sorrisi e cuori infiammati discutevano utopicamente di uguaglianza e libertà.
"Non possiamo continuare così all'infinito, non si può sottostare alle regole dettate dal clero e dalla nobiltà. Chi sono loro per poter comandare noi, chi ha dato loro il diritto di considerarci inferiori? Forse il loro Dio? Ah, ma del loro Dio io me ne infischio altamente, e voi, compagni miei?" Così dicendo, De Jeon fece un'occhiolino agli altri tre.
"Io non userei propriamente l'espressione 'me ne infischio', è troppo da proletari, ma il senso è sicuramente quello..." rispose Missan ammiccando a sua volta.
"Ci vorrebbe una rivoluzione, non c'è che dire... rovesciare il potere dell'aristocrazia e soprattuto del clero, far loro scontare a colpi di spada tutti i crimini commessi nei secoli, tutti i soprusi e gli abusi che la storia ci ha tramandato, e allora si che potremmo parlare di giustizia. Bisognerebbe creare una Repubblica, dove sia il popolo a comandare, dove si possa scegliere autonomamente cosa fare e chi venerare... Ci pensate? Riappropriarci dei nostri diritti in nome dell'uguaglianza, non sentire più la mano pesante dei potenti gravare sulle nostre teste, non dover più subìre gli sguardi arroganti dei gran signori al cospetto delle nostre umili vesti... Già, una rivoluzione è proprio ciò che servirebbe." A parlare era stato Oxio, il più anziano dei quattro, un personaggio che incuteva rispetto al primo sguardo.
"E sentiamo, chi dovrebbe farla questa rivoluzione? Tu? Noi? Ci armiamo di una spada nella destra e di un libro nella sinistra e scendiamo in campo? O magari ci svegliamo una mattina e indiciamo una pubblica assemblea in piazza?" Gaynor si alzò e, compiendo una giravolta su se stessa, continuò rivolta ai suoi amici "Mi raccomando, se un giorno doveste decidere veramente di rovesciare il sistema, lasciate parlare me alla folla, i miei occhi verdi e il mio smagliante sorriso potrebbero essere d'aiuto..." Ridendo, cominciò a scendere le scale dirigendosi verso la piazza. "Sbrigatevi voialtri, che il pomeriggio passa in fretta e abbiamo tante cose ancora da discutere. Tra l'altro, c'è un passo di filosofia che non ho ben capito e che qualcuno di voi dovrebbe avere la cortesia di spiegarmi. In premio, a casa mia vi aspetta una buonissima torta di mele."
"Non m'inganno di certo nell'affermare che per la torta di mele di tua madre siamo disposti ad aiutarti tutti e tre! Dico bene, fratelli?" disse Missan.
"Dici benissimo, anzi, abbiamo già perso troppo tempo..." rispose De Jeon ridendo. "Andiamo dunque!"
La malinconia destata da quel ricordo, e ce n'erano a migliaia di simili, trafisse Gaynor come una pugnalata. Cos'era rimasto di quei sogni? Cos'era rimasto di quell'amicizia fraterna? Nulla, soltanto una scia di sangue lunga chilometri e dei dittatori che ormai la consideravano niente più che una loro affiliata, obbligata a sottostare ai loro ordini. E me la chiamano libertà, questa? Uguaglianza? Poveri illusi, e povera me che ho capito troppo tardi...
Le parole del marinaio riscossero Gaynor dai suoi pensieri, ma il suo discorso ebbe soltanto il potere di farla incupire ancora di più. Decise di seguire il consiglio del capitano e rifugiarsi nella sua cabina perchè in effetti il mare era molto mosso ed il vento terribile ma, una volta dentro, un profondo senso di disagio la spinse ad uscire di nuovo in cerca di compagnia. Il sentir parlare di fantasmi l'aveva resa inquieta, per cui indossò un pesante mantello con cappuccio ed uscì di nuovo sul ponte.
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"Amore non è amore se muta quando scopre un mutamento o tende a svanire quando l'altro s'allontana [...] Se questo è errore e mi sarà provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato."
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