Gaynor così salì a bordo della nave diretta a Calais, in Francia.
Il mare non era per niente calmo e questo rendeva ancora più malinconico e triste il cuore della bella rivoluzionaria.
La solitudine.
Era sola Gaynor.
Lo era ormai da tempo.
Orfana di quei giorni felici trascorsi all’Accademia del Parnaso.
De Jeon, Oxio, Missan e gli altri compagni di quei tempi gioiosi sembravano ora solo ombre ed echi di un passato lontano.
Allora si sentivano in grado di conquistare il mondo intero.
Conquistarlo e cambiarlo, renderlo un posto migliore.
Questo era il loro scopo, il loro sogno.
E lei sentiva che non sarebbe più tornato quel passato.
Nulla è peggio che ricordare la gioia nella tristezza.
Ed il mare sembrava avere il suo stesso umore.
“Brutto momento questo per mettersi in mare, madame.” Disse all’improvviso il mozzo avvicinandosi a lei. “Non solo il mare è ingrossato dal vento… reso inquieto dal suo lamento… no, non vi è solo il lamento del vento… vi è anche quello dei suoi fantasmi…” sgranò allora gli occhi “… ogni volta che lasciamo questo porto… celata nella foschia o confusa nel pallore d’argento che la Luna lascia sulle acque… quella nave ci segue… l’abbiamo vista quasi tutti… per qualcuno è Caronte, il nocchiero infernale, per altri è una nave fantasma il cui equipaggio ignora di essere morto e cerca disperatamente di tornare a casa… madame, questo vento già altre volte ci ha accompagnato ed ogni volta quella nave maledetta…”
“Vuoi stare zitto!” Gridò ad un tratto il capitano, interrompendo il visionario racconto del suo mozzo. “Torna a prua e cerca di renderti utile, piuttosto!”
Il mozzo si allontanò.
“Non badateci, madame…” fece il capitano a Gaynor “… da che mondo è mondo i marinai convivono con la superstizione… andate nella vostra cabina… qui c’è troppo vento. Vi avvertirò io quando avvisteremo Calais.”