"Il loro odio per il nostro sangue e il disprezzo per ciò che abbiamo costruito si mescola col desiderio di impossessarsene. Il fanatismo di quegli uomini è tanto pericoloso quanto brutale è la maniera in cui si manifesta... non dimenticate quante teste sono già cadute sotto la lama del boia... nè le donne e neppure i bambini sono esenti da ciò che hanno il coraggio di chiamare giustizia."
Le mie parole erano amare e pesanti come piombo in fondo al mio cuore.
Faticavo a riconoscermi in quella gravità. Se mi fossi vista allo specchio avrei stentato a credere di aver pronunciato quelle affermazioni.
La piccola Melisendra, quella fanciulla leziosa e felice, quella piccola lady che prendeva il cavallo del padre e lo spronava a perdifiato nelle campagne... le frivole chiacchiere col le altre dame, i sospiri dei corteggiatori... mi ero persa da qualche parte nel passato. Nel presente non esistevo più.
"Perdonate l'asprezza delle mie parole..." Presi il calice di vino e assaporai il liquido ambrato. Le mie dita sfiorarono con noncuranza il gioiello di mia madre. Mi sentii subito meglio.
Sapevo di apparire fragile. Ero sempre apparsa come una fragile e delicata creatura. Ma mio padre mi diceva ogni volta che non dovevo dimenticare mai che il sangue che mi scorreva nelle vene faceva di me una guerriera. All'epoca io ridevo di quelle parole.
"Sei una guerriera, Melisendra, anche se ancora non lo sai... hai uno spirito forgiato nel fuoco, sotto quel visetto angelico." E poi mi ammoniva: "E ricorda che la spada di una gentildonna è la raffinatezza e la cortesia dei suoi modi. Che Dio salvi il tuo futuro sposo quando imparerai a usare le tue armi!"
Posai il calice.
"Come intendete sconfiggere la noia che tanto temete, Sir Guisgard?" decisi di passare a pensieri più lieti.
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Ama, ragazza, ama follemente... e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente.
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