La chiesa e il Codex Gigas
L'inquisizione non ha mai proibito il manoscritto, il quale è sempre stato accessibile a numerosi (e noti) studiosi, perlomeno nei periodi in cui non risultava scomparso.
Specialmente la corte di Rodolfo II era frequentata da grandi intellettuali, artisti e studiosi, boemi e non, che avevano accesso al manoscritto, come Tycho Brahe. Keplero era a quei tempi il matematico e astrologo di corte, e pittori come Giuseppe Arcimboldo godevano del sostegno di Rodolfo II.
Si ipotizza che anche Goethe possa aver visto di persona il manoscritto, grazie alla sua amicizia con Jakob Philipp Hackert che si trovava a Stoccolma per lavori di pittura, su commissione del barone A. von Olthof, il quale era consigliere governativo di rango elevato.
Certamente l'autore del Faust era affascinato dalla leggenda del teofilo penitente, che avrebbe venduto la propria anima al diavolo per completare in una sola notte il manoscritto contenente l'intero sapere dell'umanità.
Il mistero delle pagine perdute
Il Codex Gigas contiene la traduzione della Bibbia in vulgata, in parte tradotta da San Lucifero di Cagliari. I libri del Vecchio Testamento non sono riportati nell'ordine a noi noto, bensì secondo una tradizione più antica, piuttosto insolita anche nel XIII secolo. Il Vecchio e il Nuovo Testamento sono separati da due opere di Flavio Giuseppe, "Guerra giudaica" e "Antichità giudaiche", che la chiesa allora considerava utile per integrare il Nuovo Testamento.
Di alcuni dei testi che compongono il Codex Gigas sono arrivati fino ai giorni d'oggi pochi manoscritti originali. Della "
Chronica Boemorum", riportata nel Codex subito dopo il Nuovo Testamento, esistono ancora 15 manoscritti, uno dei quali appunto nel Codex. Delle "
Etymologiae" di Isidoro da Siviglia ne esistono circa 950.
A questo punto, oltre al contenuto è interessante scoprire quel che invece non c'è (più) nel Codex Gigas: dal manoscritto sono state tolte 8 pagine! Chi lo abbia fatto, quando e perché sono solo alcuni dei misteri della Bibbia del Diavolo.
Non però cosa contenevano, almeno in parte: vi erano riportate le regole benedettine, ma certamente non su 8 pagine.
Un'ulteriore curiosità riguarda il tipo di scrittura scelta per il Codex Gigas: una scrittura chiamata "Minuscola carolina". Il nome ne svela l'epoca: quella carolingia. Nel periodo in cui venne redatto il manoscritto era però in disuso da oltre un secolo, e venne ripresa solo successivamente dai primi umanisti italiani.
Il presunto autore del libro, "Hermanus inclusus" di sicuro non era un principiante (come riportato più in dettaglio in una parte precedente di questa discussione), ma nemmeno uno scriba come si sarebbe trovato in uno scriptorium professionale: troppo ingenue sono le miniature, a tratti dilettantesche in confronto a quelle di miniatori professionali.
Dunque il contenuto di per sé non ha nulla di misterioso. Ad aver nutrito la leggenda del Codex Gigas è stata la sua origine, le sue dimensioni, ma soprattutto l'immagine del diavolo.
Sebbene molte e autorevoli esegesi facciano riferimento all'occultismo, sarebbe estremamente riduttivo sintetizzare così il contesto del Codex Gigas. Infatti è sufficiente volgere lo sguardo all'immagine che si trova esattamente accanto a quella del diavolo: a pag. 289 si trova raffigurata la Città Celeste!
Vi sono vari punti in comune tra le due immagini, per esempio le colonne. Questa contrapposizione tra le due immagini, una che potrebbe simboleggiare la speranza e la salvezza, accanto al diavolo, ha da sempre generato opinioni contrastanti, generalmente tendenti ad una contrapposizione tra il bene e il male.
Su un aspetto però (quasi) tutti gli studiosi si sono trovati d'accordo: qualora il diavolo avesse voluto mandare qualche messaggio all'umanità, di sicuro non lo avrebbe fatto ricopiando una Bibbia.