Il guardiano annuì a quelle parole di Melisendra e tornò alla sua ronda.
“Conducila tu nella stanza del padrone.” Disse poi al nano, prima di andare via.
“Puoi descrivermela?” Chiese il vecchio cieco a Guisgard.
“Ci tieni davvero così tanto?”
“Oh, si, ti prego…” accennando un sorriso il vecchio “… ormai le cose più belle che mi sono rimaste sono solo i miei ricordi… ed è innaturale vivere solo di ricordi per un uomo… forse quella donna è l’ultima che sentirò parlare prima di morire… ti prego, descrivimela…”
Guisgard fissò per un attimo Melisendra che stava dall’altra parte delle sbarre, per poi chinare il capo.
“Non saprei dire” cominciò il cavaliere “a quale tipo di bellezza appartenga… i tratti e i colori possono benissimo far pensare ad una bellezza di tipo greco… intensi e mutevoli giochi di ombre e luci si disegnano sul suo viso… come un impetrabile velo che sembra voler celare ciò che vi è dietro… allora non resta che cercare nei suoi occhi…”
“Come sono i suoi occhi?” Domandò il vecchio.
“Chiari… di un intenso e profondo verde, che sembra scintillare come la giada più preziosa… soprattutto ora che il buio avvolge ogni cosa in questo luogo…”
“E cosa vedi nei suoi occhi?”
“Il mare…” sussurrò Guisgard “… un mare inquieto, burrascoso, agitato, sconosciuto, minaccioso a chi accenna a volerlo sfidare… ma che in lontananza disegna un orizzonte sterminato… dove forse si trova qualche isola il cui nome e la cui esistenza sono ignoti a tutti…”
“E come sono i capelli?”
“Come pendagli intrecciati, di un rosso scuro, quasi corvino, che scendono ad avvolgere quel volto e quegli occhi… a volerli racchiudere, come uno scrigno…” aggiunse senza mai alzare il capo, come se quel volto fosse ben chiaro nella sua mente.
“Sei un poeta, amico mio…” sorridendo il vecchio.
“Che sciocchezza…” mormorò Guisgard “… non può esistere poesia in un luogo di morte come questo…”