Discussione: La Gioia dei Taddei
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Vecchio 29-06-2011, 20.01.41   #1619
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
A quelle parole del passante, Icarius guardò Sayla e gli altri suoi compagni di viaggio, per poi spronare Matys ed incamminarsi verso l’altura sulla quale sorgeva il palazzo.
Luna si avvicinò per un attimo a Sayla e le sussurrò qualcosa, ben attenta che nessuno ascoltasse.
“Il Cavaliere del Gufo è protetto da forze troppo grandi anche per noi…” disse “… fino a quando avrà quella sua corazza i nostri poteri saranno nulli contro di lui… ricordalo…”
Il Sole aveva già compiuto buona parte del suo corso, ma i suoi raggi di Giugno cadevano ancora copiosi sugli arbusti e sulle rocce bianchissime e levigate che adornavano quel bucolico scenario.
Al passaggio dei nostri e dei loro cavalli nutriti sciami di mosche, farfalle e libellule si alzavano dai cespugli per fuggire via.
Sotto la luce del giorno ancora vivo quegli insetti risplendevano come gemme, mentre celati nelle fronde degli alberi circostanti uccelli di varie specie accompagnavano il sibilo leggero di una brezza gentile con il loro canto gioioso.
Prossimi alla cima di quell’altura, i nostri poterono abbracciare con uno spettacolare colpo d’occhio il bosco e l’intera brughiera che ricopriva i confini più remoti e misteriosi di quel mondo.
Quel luogo era selvaggio e vivo.
La natura dominava serena e nell’attraversarlo Icarius avvertì un’indefinita sensazione nel cuore che non seppe spiegare nemmeno a se stesso.
Alzò allora gli occhi al Cielo.
Un Cielo terso ed azzurrissimo, appena lambito da monumentali nuvole sospese tra la terra ed i sogni di chi poteva scrutale.
Quelle nuvole lasciavano cadere la loro ombra sui monti lontani che, stagliandosi lungo l’orizzonte dimenticato, sembravano far quasi da guardiani a quello scenario dai tratti lussureggianti e dalla classicheggiante visione.
I cavalli imboccarono uno stretto passaggio tra i rovi, simile ad un sentiero solo a tratti salvatosi dall’oblio del tempo, raggiungendo così uno spuntone roccioso simile ad un parapetto.
Qui si ritrovarono in una sorta di pineta, riparata dal Sole e avvolta in un’atmosfera dunque tiepida ed odorosa, che sembrò suscitare serenità e calma nei cuori dei nostri eroi.
Ma raggirato quello spuntone roccioso, di solido e splendente granito sotto quel cielo azzurrognolo e luminosissimo, si ritrovarono in una piccola selva intrisa di angoscia per l’irreale spettacolo che racchiudeva.
Ovunque vi erano resti di cavalieri a marcire nelle loro corazze arrugginite alla mercè del ronzio di mosche e calabroni, come del vorace appetito dei ratti.
Un fetido orribile e disgustoso appestava l’aria e lamenti, pianti ed imprecazioni sembravo l’unica melodia nota a quel disperato asilo.
Erano i lamenti, i pianti e le imprecazioni delle donne che si trovavano vicino a quei corpi orrendamente putrefatti.
Erano madri, figlie, mogli.
Si strappavano le vesti e si graffiavano il viso e le braccia, maledicendo se stesse ed il loro sangue.
Davanti a quella scena una cupa disperazione, sorda ma implacabile, scese nei cuori di Icarius e dei suoi compagni.
L’eroe ardeide si voltò a fissare i suoi amici, quasi a chiederne il sostegno, la forza o forse solo la compassione ed il perdono per averli trascinati in un luogo che sembrava essere la più oscura anticipazione degli inferi che un uomo avesse mai visto.
Lho fece cenno col capo di proseguire, incamminandosi come a voler far strada a tutti loro.
Ed usciti da quella selva dai contorni da incubo, videro finalmente il palazzo davanti a loro.
Tutto era diverso, opposto a ciò che era apparso loro nella selva.
La natura aveva riacquistato i suoi colori ed i suoi suoni ed anche il vento aveva ricominciato a soffiare, lento e pietoso, tra gli alberi ed i bagliori delle rocce rese incandescenti dal Sole di Giugno.
Il palazzo, notevole per dimensioni e lusso, era racchiuso da belle e solide mura, alte e forti come bastioni.
Un magnifico ingresso si apriva fra quelle mura, con due alte e robuste colonne, di gusto greco, a racchiuderlo.
Sulle colonne crescevano profumati e colorati fiori di ogni tipo, che avvolgevano il lucente marmo delle colonne fino ai sontuosi capitelli.
Ad un tratto il cancello di quell’ingresso si aprì ed un gentile e giovanissimo valletto apparve ad Icarius ed i suoi compagni.
“Siate il benvenuto, mio signore.” Inchinandosi davanti ad Icarius. “Iddio possa benedire e risparmiare voi ed i vostri nobili compagni. Vi attendevamo da tempo… benvenuti alla Dimora degli Innamorati.”
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