Una meravigliosa ed etera Luna brillava nel cielo di Capomazda.
Il suo pallido alone si rifletteva sulle antiche murature dei palazzi nobiliari, sui doccioni delle solenni chiese e sulla merlatura delle imponenti mura.
I discorsi di quei bambini avevano acceso, nel cuore di Melisendra, un vago senso di malinconia.
Una malinconia che sembrava mischiarsi alle indefinite sensazioni che portava con sé quella notte.
Di cosa si va in cerca durante la notte?
Probabilmente dei sogni.
I sogni che si celano e si confondono nel muto silenzio che avvolge lo scintillio del firmamento, o della vaga e sottile foschia che accarezza le lontane sagome dei monti dove luci remote segnalano luoghi dispersi in quell’incanto notturno.
I due bambini sembrarono svanire in una delle tante stradine laterali, impegnati com’erano a cercare il loro fantomatico cavaliere.
“Questa musica…” disse Redanya “… la senti?”
“Si, proviene dal boschetto!” Rispose Gavron. “Seguimi!”
“Buonasera, messere…” salutò il bambino fissando il robusto ramo dell’albero sul quale il novello Paride cantava alla Luna, argenteo pomo di desideri e sogni lontani.
“Ma tu non dormi mai?” Chiese il cavaliere smettendo di suonare.
“Ecco…” farfugliò Gavron “… la mia amica voleva conoscervi…”
Guisgard si voltò e fissò i due ragazzi.
Redanya lo guardò e sorrise.
“Salute, milord!” Inchinandosi.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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