“No!” Disse Icarius a quelle parole di Talia. “Io non ti lascerò! Non voglio! No, non lo farò mai!” Si voltò poi verso la misteriosa Layla. “Non mi interessa andarmene senza di lei! Non tornerò a Capomazda senza mia moglie!”
“Se quel fiore è la vostra amata…” mormorò Layla con un enigmatico sorriso “… allora non tornerete nel vostro palazzo da solo… quel fiore è la vostra Talia… se ella è davvero vostra, mio signore…” e la sua risata echeggiò nella vecchia Pieve, come un doloroso lamento di cose perdute, o forse mai davvero possedute.
“Che razza di malefico incanto è mai questo?” Gridò Icarius, che istintivamente fissò per un attimo l’altare, quasi a cercare un sostegno contro quella dolorosa ingiustizia.
“Domenica sarà Pentecoste…” disse Layla “… dopo questa Sacra Celebrazione mi porterete quel fiore ed in cambio riavrete, forse, vostra moglie... se Dio vorrà…”
“No!” Urlò Icarius. “No… uccidetemi allora! Fatelo ora, in questo Santo Luogo! Uccidetemi! Perché se non lo farete, io porterò via Talia con me ora!”
Ebbe però solo il tempo di fare un passo in avanti.
I due cavalieri lo braccarono, tenendolo fermo con forza.
“Lasciatemi, maledetti!” Dimenandosi Icarius. “Lasciatemi! Voglio raggiungere Talia e portarla via! Talia! Talia! Talia!”
Layla fissò i due cavalieri e fece loro un cenno.
Uno allora bloccò Icarius in una morsa, mentre l’altro lo colpì alla nuca, facendolo cadere a terra privo di sensi.
Nella Pieve si diffuse poi un forte odore d’incenso ed anche la giovane Sayla perse conoscenza.
Il Cielo ad Oriente era già intriso del rosato alone dell’albeggiare.
I primi uccelli avevano già salutato il nuovo giorno ed anche la desolata brughiera, quasi pietosa e compassionevole, sembrava voler abbandonarsi, per un attimo, all’incanto di quel mattino.
Un leggero e timido raggio di Sole cominciò allora a danzare sul volto di Icarius, fino a quando illuminò l’azzurro dei suoi occhi risvegliatisi come tutta la natura circostante.
Scosse lievemente il capo, per poi massaggiarsi la fronte.
Si guardò intorno e si accorse dei meravigliosi occhi di Santa Lucia che lo fissavano sorridendogli.
La statua, di marmo bianchissimo e puro, era meravigliosamente illuminata dal Sole che filtrava nella Pieve.
Icarius si alzò da terra ritrovandosi nella Pieve vuota.
Accanto a lui vi era solo la giovane Sayla addormentata, mentre di Talia, di Layla e dei suoi cavalieri non vi era più traccia.
L’ultimo dei Taddei fissò le sue mani e poi il suo abito.
Amore, senza più Ragione, la sua compagna.
E nella sua cintura vi era adagiata, come unica ed ultima illusione dell’incanto del borgo vecchio, la rosa del suo costume: Mia Amata.
In quel momento Icarius ricordò ogni cosa accaduta in quella Pieve.
Come nel più brutto dei risvegli, quando i sogni svaniscono, si rese conto di non avere più Talia insieme a lui.
Ed un profondo, angosciante ed insopportabile dolore avvolse il suo cuore.
Lanciò allora un lacerante e straziante urlo che echeggiò nella deserta e silenziosa Pieve.
Un urlo nel quale malediva se stesso ed il suo dolore.
Un urlo che era la sofferenza di un’anima.
Un’anima senza più la Gioia.
E quell’urlo destò anche la giovane Sayla dal suo sonno.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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