Il fuoco generava inquiete ombre che danzavano sulle nude pareti della caverna.
Ad un tratto delle voci cominciarono a squarciare il silenzio della notte.
Sayla si affacciò, cercando di comprendere cosa stava accadendo fuori dalla grotta.
Si accorse allora che diverse persone, tutte abbigliate come monaci, stavano varcando le porte della Pieve.
Recitavano una litania ed accendevano grossi ceri davanti alle statue della chiesa.
Sull’altare stava seduto un giovane uomo che li osservava in silenzio.
Ad un tratto tre di quei monaci gli si avvicinarono.
“Dobbiamo punire la donna, milord.” Disse uno di loro.
“Cosa ha fatto?” Chiese l’uomo sull’altare.
“Ha peccato contro il Cielo e contro di voi, milord.”
“Portatela a me.”
Allora i monaci condussero la donna davanti all’Arciduca.
“Gyaia, perché hai fatto questo?” Chiese questi.
La ragazza lo fissava in silenzio, con le mani ed i vestiti sporchi di sangue.
“Milord...” intervenne uno dei monaci “… questa donna si è strappata l’utero, causando così la morte del bambino. Deve pagare con la morte!”
“Perché, Gyaia?” Chiese l’Arciduca.
“Perché sarebbe nato senza amore…” rispose lei fissandolo con uno sguardo vuoto e perso.
Allora un altro monaco salì sull’altare e cominciò a dire:
“Abbiamo ancora tempo per processarla. Esso non verrà ancora… è infatti diretto a Capomazda, per prendersi l’ultimo signore di quelle terre…”
Aprì allora un grosso codice e cominciò a leggere:
“Non chiedete o fate domande alcune al maligno,
poiché lo saprà, celandovi ogni cosa con un ghigno.
In ogni parola verità e menzogne abilmente mischierà,
nascondendo delle cose e mostrandone altre vi confonderà.”
(Angosce di Santa Lucia, X, 73)
Un grido, disperato ed angosciante sembrò allora diffondersi in lontananza, svegliando da quel misterioso sogno la giovane Sayla.
Albeggiava e la brughiera sembrava risvegliarsi anch’essa dai tormenti della notte appena trascorsa.