La sala, illuminata a giorno da candele e torce, echeggiava delle parole, delle risate e dei proclami di quegli uomini.
Tutti si rivolgevano a Cimarow come se avesse già vinto la guerra contro Capomazda.
“Ormai è pronto, mio signore…” disse sir Ironhop, uno dei baroni “… il poderoso ariete che ho fatto costruire per la prossima e decisiva battaglia.”
“Si, rammento quando me ne parlaste.” Lo fissò Cimarow.
“Per metterlo in azione occorrono ben cinquanta schiavi! E ne abbiamo presi dei migliori! Sono tutti slavi provenienti dai luoghi più selvaggi e miserabili d’Europa! La Porta dei Leoni tremerà soltanto a vedere il nostro ariete! Non occorrerà altro per vincere!” E rise compiaciuto.
“Non siate troppo sicuro di quella potenza tecnologica…” intervenne Gouff “… per forte e letale che sia, è infondo nulla al confronto di un cavaliere…”
“Il nostro sir Gouf ha una visione romantica della guerra e della cavalleria…” disse Nyclos “… voi la condividete, milady?” Chiese poi a Melisendra.
“Che sciocchezza!” Esclamò divertito Ironhop. “La guerra si decide in base al numero ed alla forza degli schieramenti! Al confronto un semplice uomo bardato di ferro che brandisce una spada è niente! I tempi cambiano, amico mio… e noi dobbiamo seguirli!”
“Solitamente non mi occupo di ciò che dicono i miei simili…” mormorò Gouf alzandosi e cominciando a camminare attorno alla ricca e nobile tavola “… ma trovo insopportabile questa vostra mancanza di rispetto verso la cavalleria…”
E quando fu alle spalle di Ironhop estrasse rapido la spada, mettendogliela di piatto al collo, quasi a togliergli il respiro.
“Si, potete anche sfondare la Porta dei Leoni e ridurre in pezzi quelle secolari statue guardiane…” continuò “… ma poi vi ritroverete i migliori cavalieri del ducato da affrontare… ed allora il vostro ariete ed i vostri schiavi non serviranno a niente… si dovrà combattere nelle strade, odio contro odio, ferro contro ferro… e lì il numero non conterrà niente… solo i migliori cavalieri potranno decidere le sorti di quella battaglia…”
“Umf… anf…” ansimava Ironhop.
“Va bene, lasciatelo ora, sir Gouf…” disse Cimarow “… lasciatelo.”
“Come desiderate, mio signore…” e mollò la presa “… ora vogliate scusarmi…” e, salutato il suo signore, uscì dalla sala.
“Que… quell’uomo… è pazzo…” mormorò a fatica Ironhop, mentre pezzi di cibo e sangue fuoriuscivano dalla sua bocca.
Gouf raggiunse una delle torri e restò a fissare la sterminata brughiera che circondava e racchiudeva quel tormentato e sacrilego mondo.