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Vecchio 26-12-2010, 22.04.29   #839
Morrigan
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Morrigan ha un'aura spettacolareMorrigan ha un'aura spettacolare
Il feudo dei duchi di Cassis era stato ricco e potente per generazioni. Poi, di colpo, un’ombra si era distesa su quella famiglia, segnando di lutti e di sventure quel casato tanto fortunato.

Gli eredi del vecchio duca, inebriati dal prosperare dalla loro potenza, erano cresciuti in superbia al punto da sfidare perfino il potere del re. Con sdegno avevano concesso a lui i propri servigi, e con arroganza ne avevano provocate le ire, consci del potere che derivava loro dal denaro e dalla protezione delle armi degli uomini a loro fedeli. Ma coloro che troppo in alto si pongono rispetto ai loro simili, sono spesso destinati ad una fine altrettanto rapida e rovinosa. I dissidi interni tra gli eredi portarono il casato alla rovina, indebolendo le forze dall’interno, divorandone le carni come in una malattia silenziosa. Così il nobile feudo prestò il fianco alle vendette e alle invidie dei nemici, e i duchi de Cassis, che un tempo erano stati chiamati “Invincibili”, si trovarono a difendere con le armi in pugno le proprie vite, accerchiati e vinti da quegli uomini che un tempo avevano soggiogato con la loro forza.

Armenio de Cassis, ultimo dei duchi del casato a resistere alle arroganze dei vicini marchesi di Saint Roche, fu infine vinto e sconfitto, e pur di non vedere perdute le terre dei suoi padri, preferì puntare la propria spada contro petto e chiudere gli occhi di fronte alla rovina. Lasciava così in balia del marchese Ivan de Saint Roche, che gli era cugino da parte della moglie e per questo in prima linea nella pretesa del ducato, i due figli ancora adolescenti, Morven e Zulora.

Approfittando della parentela, il marchese si era proclamato tutore dei due fanciulli, e con questa carica ne aveva usurpato i possedimenti. Il marchese Ivan non aveva a quel punto che da attendere che Morven raggiungesse la maggiore età. A quel punto il suo potere sul feudo dei Cassis sarebbe stato così grande che avrebbe obbligato il ragazzo alla rinuncia dei suoi bene e ad un atto di vassallaggio nei suoi confronti.


O questo, o la morte.
E il matrimonio forzato con la giovane Zulora era il suggello perfetto di questo scellerato accordo.


Quella notte, il giovane Morven si rigirava inquieto nel suo letto. Avrebbe voluto alzarsi, uscire dalle sue stanze, passeggiare lungo i bastioni del castello. Ma non l’avrebbe fatto. Sapeva che cento occhi erano pronti a spiare i suoi passi, a cogliere i suoi sussurri nell’ombra della notte. Non poteva più fidarsi di nessuno all’interno del palazzo. Era un padrone prigioniero, un re senza corona, un fantoccio nelle mani del suo tutore.

Così si addormentò, vinto dal troppo pensare. E quella notte, Morven sognò…

Era al buio ed era solo, in una stanza coperta dall’oscurità, di cui intuiva le strette mura di pietra senza tuttavia né vederle, né toccarle.
Nel silenzio, chiuse gli occhi e respirò. Essere solo non lo impauriva. Al contrario, lo riempiva di una calma soprannaturale. Respirò profondamente, e piano al suo orecchio giunse una voce dolce e musicale, la voce di un uomo che cantava lontano…

“Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema…”

Il cuore di Morven sussultò all’udire quei versi, e il ragazzino sorrise. Conosceva quelle parole, le udiva ogni anno in una notte speciale, la notte di Natale.

E mentre la voce proseguiva nel suo canto, un bagliore si accese nel fondo della stanza. Morven fu subito catturato da quella luce. Un fuoco brillava dentro una piccola fornace. Davanti al fuoco il cupo bagliore di un’incudine, e su quel metallo brunito risplendeva a tratti il chiaro scuro di una lama di acciaio. Morven si avvicinò a quella luce, incuriosito. Un’arma di squisita fattura giaceva sull’incudine, irradiando intorno a sé bagliori di fiamma. Il ragazzo rimase a guardarla, estasiato, quando la voce riprese di colpo, adesso misteriosamente vicina al suo orecchio, come se il cantore fosse apparso al suo fianco.

"Cingi, prode, la spada al tuo fianco... nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte!”

Meccanicamente, ammaliato da quelle parole, Morven, incurante della fiamma e del calore che sembrava emanare da quel metallo, stese la mano e afferrò l’elsa di quella spada. Il bagliore crebbe al suo tocco, ma la spada era fredda e Morven non si ferì. Osservò la lama con la bocca aperta e gli occhi sgranati dallo stupore, poi, nonostante la grandezza dell’arma, che sembrava immensa tra le sue mani di ragazzo, la cinse al suo fianco.

Nel momento in cui strinse la spada a sé, lo scenario cambiò di colpo. Nel sogno Morven vide se stesso cambiato, il suo corpo cresciuto, e in luogo dei suoi abiti di corte vestiva una lucida armatura a piastre. Cavalcava un ricco destriero e petali di rosa piovevano sul suo capo. Il pettorale era riccamente decorato e gli spallacci avevano una foggia particolare, come le ali di un uccello, o di un angelo.



“Avanza per la verità, la mitezza e la giustizia!"

Così proseguiva la voce misteriosa del cantore, e Morven si mosse, avanzando tra due ali di folla che si aprivano al suo passaggio, fino a giungere all’ingresso di una grande sala, davanti alla quale smontò da cavallo.


La sala era inondata di luce e di canti, la sala scintillava di ori e di pietre preziose, e attorno a lui fitte file di cavalieri che risplendevano della gloria delle loro armature lucenti. La luce del sole gli colpì il viso e quel calore lo fece sentire vivo. Davanti ai suoi occhi si ergeva, in fondo alla sala, un ricco trono, e su di esso il re sedeva con aria grave.
Morven avanzò con fierezza verso il sovrano. Al suo fianco la spada che aveva preso dall’incudine, che adesso risplendeva di un quieto bagliore di smeraldo, mentre le decorazioni dell’elsa si allargavano come ali di drago, attirando la curiosità e l’ammirazione dei presenti.
Giunto di fronte al sovrano, il giovane si inginocchiò.

“La tua destra ti mostri prodigi: le tue frecce acute colpiscono al cuore i nemici del re; sotto di te cadono i popoli”

Così il cantore accompagnò quel momento, in cui Morven chinò il capo davanti al suo re, che si era sollevato dal suo seggio per andargli incontro.

-
Tu oggi sarai armato cavaliere e con le tue armi servirai Dio e servirai me!

Morven osò levare uno sguardo triste e stupito verso il sovrano.


- Mio sire… questo è impossibile… quando avrò raggiunto l’età adulta, dovrò spogliarmi di ogni mio titolo oppure morire… nell’uno o nell’altro caso, mio re, mai potrò servire la vostra causa.

Ma il re parve ignorare le sue parole, e sollevando la spada, la posò sulle spalle del giovane.


- Segui la tua strada e vinci il tuo nemico, e compirai il tuo destino e quello del tuo casato!

Prese allora a recitare la formula di rito, mentre la voce del cantore si scolpiva nella testa del ragazzo, riempiendolo con le sue parole:


“Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali!”


Da quel giorno si disse che il giovane duca de Cassis aveva smarrito la ragione. Il ragazzo cominciò a vaneggiare che sarebbe diventato cavaliere e avrebbe servito il re. Cominciò ad essere insofferente e irrispettoso della regola e delle imposizioni del suo tutore. Iniziò a trascurare gli studi per dedicare ogni minuti del suo tempo all’allenamento della spada.

Poi una notte, a qualche mese dal raggiungimento della sua maggiore età, il duca Morven de Cassis scomparve. Di lui non si seppe più nulla nelle sue terre, nemmeno quando la giovane Zulora andò in sposa al marchese di Saint Roche. In breve si disse in giro che era morto, e sebbene da molti rimpianto, infine anch’egli fu dimenticato.




… ma io tornerò, quando avrò compiuto il mio destino! Tornerò per poter dire “Eccomi, sono qui... sono tornato per dimostrarvi come si costruisce un sogno!”

Erano quelle le visioni, e quelle erano le parole che gli risuonavano nell’orecchio, mentre Morven sembrava restare sospeso, circondato da onde di luce di cangiante smeraldo. Un’aria calda lo avvolgeva e lo abbracciava, e la voce di Samsagra si avviluppava attorno a lui, rapendolo dal tempo reale e da tutto ciò che lo circondava. Non vedeva più nessuno attorno a sé, e non udiva più nulla che non fosse quella voce che gli parlava:

"Nel ventre della terra... scendi nel ventre malato della terra... scendi e troverai ciò cerchi..."

E a quella voce Morven si abbandonò.
Chinò il capo e piegò il ginocchio. Strinse l’elsa di Samsagra e chiuse gli occhi.

"Così sarà" mormorò "... e così avverrà ciò che deve accadere… tu mi guiderai e io ti seguirò… portami nel ventre, dove nasce l’ombra… portami davanti al cuore del mio nemico… Dio, il mio Dio mi ha consacrato, e io obbedirò al suo comando… emergerò dalla terra o perirò in questa impresa!"
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?"
"Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!"
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