| Cittadino di Camelot 
				
				
				
				
				
			 
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			03. Figli di regine
 C'era chi pensava a Camelot ed immaginava la cittadina della gioia, un luogo  mitico, luminoso.
 Anche Mordred l'aveva creduta così, nonostante tutto ciò che lo aspettava là, ma  il ragazzo scoprì ben presto che il primo rito di passaggio per diventare  cavaliere era la delusione.
 Camelot non era luminosa. Pioveva a Camelot come in tutto il resto della  Britannia.
 Gli uomini di Camelot erano come quelli delle Orcadi. Bisbiglianti, diffidenti.
 L'unica differenza era il gelo. Alle Orcadi ognuno se ne rimaneva chiuso nel  proprio bozzolo glaciale ed osservava il resto del mondo con sospetto.
 A Camelot invece le persone stavano assieme, come un vecchi branchi lupi. E  questi gruppi si guardavano l'uno con l'altro con un'invidia ed un astio che Mordred  aveva solo visto negli occhi della propria madre.
 Al giovane principe non ci volle molto per capire come andavano le cose.
 C'erano i cavalieri delle terre straniere, tra cui l'amico di Gawain, Palamede,  che poiché non cristiani venivano spesso motteggiati dagli altri, ma sempre con  una punta di dolcezza.
 Vi era la fazione di Gawain, la fazione degli entusiasti, con i suoi fratelli e  qualche altro cavaliere errante come l'enorme Mador ed il sempre ubriaco  Sagramore.
 E come a contrasto di questa, Bors aveva un proprio manipolo di cavalieri. I  santi.
 Più Agravaine e Gaheris bevevano e ridevano, più Bors e Aglovale si rifugiavano  nella preghiera.
 Ed infine vi era quello che Mordred aveva imparato a conoscere come i cavalieri  di Artù. Bedivere, Kai, Griflet, Dinadan, e c'era chi diceva anche Lancillotto,  erano quei pochi cavalieri che parevano avere la fiducia illimitata del loro  sovrano.
 Mordred li odiava e li invidiava con una passione ed una forza che non avrebbe  mai pensato di poter avere, ma che accoglieva con gioia. Era uno dei pochi  sentimenti che poteva esprimere.
 La mostrava con orgoglio ogni volta che Bors passava davanti a lui, ogni volta  che le bocche dei cavalieri si muovevano diffidenti alla vista dell'ultimo  figlio di Morgause.
 Le voci avevano già iniziato a girare.
 "-glio di Artù? L'aspetto fisico potrebbe e-"
 "E' stupido, vi dico. Non capisce quello che gli state di-"
 Gawain, come un enorme falco, tentava di tenerlo occupato ed impedirgli di  capitare sulla strada di Bors che era sempre pronto a farsi il segno della croce  ogni volta che se lo trovava davanti.
 "Ci stiamo preparando per il torneo," ripeté Gawain, forse per la centesima  volta, "il re mi ha affidato il compito di controllare l'armeria."
 "Ha dato a te il compito. Non capisco perché dobbiamo aiutarti," rispose  Agravaine, incrociando le braccia sul petto. Gaheris aggiunse qualcosa che  Mordred non riuscì a cogliere.
 "Gareth?" replicò Gawain, dubbioso. "No, non so ancora quando tornerà."
 Gareth, che si era nascosto nelle cucine facendosi chiamare Beaumanis, aveva  finalmente trovato la propria avventura ad una sola settimana dall'arrivo di  Mordred.
 Una damigella era giunta a corte, con aria così fiera e terribile da aver  spaventato i cavalieri più giovani. I più anziani, i nobili della tavola  rotonda, invece si erano rifiutati di aiutarla.
 Era stata una scelta razionale. Il torneo era vicino ed era un evento che  avrebbe portato loro una gloria immensa. La dama invece rifiutava di dire il  proprio nome e nessuno sapeva se fosse una nobile o solo un'educata paesana.
 Beaumanis era stato l'unico a proporsi e la fanciulla, a malincuore, aveva  accettato l'aiuto di un semplice garzone da cucina.
 Agravaine si voltò verso Mordred e gli sorrise furbescamente. "E' un vero  peccato che sia partito. Sono certo di aver visto dei fumi mostruosi ed una  testaccia nera uscire dalla zuppa della cucina questa mattina. E lui non è qui a  proteggerci!"
 "Gareth si è comportato con onore," lo rimproverò Gawain, con cipiglio  severo.
 Ed era vero.
 Anche il re aveva guardato Gareth con una malcelata ammirazione. Quando il  fratellastro si era alzato per seguire la damigella, Mordred aveva quasi  desiderato di poter essere al suo posto.
 Alzarsi, aiutare una dama e ricevere l'ammirazione di Artù. Aveva passato notti  ad immaginare come sarebbe stato.
 Il re lo avrebbe accolto a braccia aperte, al suo ritorno, anche se ci sarebbe  stato un po' di imbarazzo. All'inizio Mordred lo avrebbe ignorato, ma infine  avrebbe accettato il suo affetto ed in cambio Artù gli avrebbe spiegato che il  tentativo di affogarlo era stato un terribile incidente.
 Ragno gli morse con forza la mano e Mordred sobbalzò.
 "Hai sentito quello che ti ho detto?" gli stava chiedendo Gawain.
 "Cosa?" (Vivi in un mondo difficile, non devi mai distrarti, tornarono le parole  di Morgause, nella sua testa).
 "Ti ho chiesto se potevi occuparti di aiutare Gaheris con il fabbro."
 Il principe annuì.
 Erano mansioni da scudiero, ma a Mordred non dispiaceva. Sapeva di essere in una  sorta di nebbia confusa, né scudiero né cavaliere.
 I suoi fratelli avevano già abbastanza scudieri e gli altri cavalieri sembravano  troppo confusi per persino provare a parlare con lui, incerti su come  comportarsi con un uomo che appariva come un stupido ed aveva l'aspetto di re  Artù.
 Gawain gli aveva assicurato che Artù aveva intenzione di farlo cavaliere dopo il  torneo e che Mordred non doveva preoccuparsi di nulla.
 
 
 Ogni cavaliere pensava al torneo, sognava il torneo. I più giovani vedevano in  quella prova di forza la possibilità di farsi notare, di divenire il nuovo  Gawain o il nuovo Lancillotto. I più anziani, anche se non lo avrebbero ammesso  facilmente, avevano nostalgia del sentimenti di forza e fratellanza che la  guerra aveva donato loro.
 L'ansia della novità aveva colto persino le dame. Fanciulle, nobildonne e  principesse vagavano per il castello con la stessa aria sognante e piena di  aspettative. La maggior parte di loro tenevano nascosto tra le mani un nastro  colorato da donare quasi segretamente al cavaliere che avrebbero sostenuto.
 Fu così che Mordred incontrò la regina per la prima volta.
 L'aveva già vista, ovviamente, da lontano e l'aveva trovata piccola e ben poco  regale. Un nulla in confronto alla regina che avrebbe potuto essere Morgause.
 "Non partecipo al torneo." Fu questa la prima cosa che disse Mordred, quasi  senza pensarci, quando una donna si fermò davanti a lui.
 "Lo so," sorrise la donna, incerta e, con orrore, Mordred notò che si trattava  della regina.
 Da vicino Ginevra appariva ancora più piccola e nervosa. Negli altri paesi le  regine erano leoni o cerbiatte, a Camelot la moglie del re era un furetto.
 "Mia regina, perdonatemi, non prestavo attenzione."
 "Volevo solamente chiedervi come vi trovate a Camelot," continuò la regina,  continuando a sorridere. C'erano delle richieste di scusa nei suoi occhi e il  ragazzo seppe che non erano rivolte a lui, ma al mondo intero.
 Conosceva quel genere di persone. Donne, o uomini, che vagavano per la terra  come fantasmi delicati e per quanto amore potessero ricevere dagli altri si  sarebbero sempre sentiti di troppo ed in dovere di scusarsi per quello.
 "Mi trovo bene, grazie mia regina, sono tutti molto cortesi con me."
 "Ne sono felice."
 Mordred chinò il capo. Per quanto quella piccola donna potesse apparire innocua  era pur sempre la regina, con alteri capelli raccolti ed il marchio  dell'attenzione di Artù su ogni vestito e gioiello.
 Mentre gli occhi del principe scrutavano il terreno e la coda di Ragno  scodinzolava pigramente, le mani della regina si posero sulle sue  tempie.
 Aveva dita delicate, fredde, così leggere che non furono loro ad alzare il volto  di Mordred, ma fu il principe a sollevarlo per la sorpresa.
 "Volevo darvi il benvenuto a Camelot. Anche da parte del re. Può sembrare un  uomo freddo, ma vuole bene a tutti i suoi sudditi."
 Mordred cercò disperatamente negli occhi di Ginevra, ma se lei sapeva non  mostrava nulla. La regina si limitò ad annuire tra sé e sé un paio di volte  prima di sorridere timidamente e lasciarlo lì, immobile, con il cuore che  batteva più forte del dovuto e l'ansia della paranoia che si affacciava nella  sua mente.
 
 
 Il ritorno di Lancillotto a corte non fu una sorpresa.
 Tutti si aspettavano che il nobile protettore della regina tornasse dalle sue  peregrine avventure per sbaragliare gli altri in quel torneo, esattamente come  faceva ogni volta.
 Fu per questo che, una mattina in cui l'aria si faceva particolarmente fredda,  il nitrito di gioia del cavallo del messaggero venne accolto con un senso di  attesa finalmente soddisfatta.
 I popolani uscivano dalle proprie capanne e case per riversarsi sulla strada ed  incontrare il cavaliere straniero che li aveva sempre così tanto affascinati. Le dame al castello preparavano petali di fiori da lanciare sui capelli francesi  dell'uomo e persino i cavalieri lasciarono i loro compiti per riversarsi sulla  corte che dava sul cancello ed attendere l'arrivo.
 Bors, Lamorak e gli altri figli di Pellinore erano in prima fila, vestiti di  tutto punto come se dovessero accogliere un re.
 Anche Gawain scese nella corte ed uno strano sorriso speranzoso e finto  indifferente era dipinto sul suo volto.
 Per una volta Mordred fu felice di non sentire nulla delle chiacchiere e della  confusione che si diramava attorno a lui. Sapeva cosa stava accadendo: gridolini  eccitati, racconti di grandi gesta, sospiri.
 Quando un cavaliere lanciò in aria il proprio guanto, Mordred capì che  Lancillotto doveva essere vicino.
 Rovistando con lo sguardo tra la folla scorse persino la regina ad attendere il  cavaliere, affacciata dalla propria stanza del castello.
 Ci vollero altri abbandonati minuti prima che Lancillotto arrivasse. Era  accompagnato da un'altra persona, ma Mordred non aveva dubbi su chi di loro  fosse Lancillotto.
 Per prima cosa perché Lancillotto non poteva essere altri che l'uomo dalle  spalle enormi e gli occhi così fermi e cortesi da incutere il più grande  rispetto anche in un misero fuorilegge. E come seconda cosa, l'uomo che  cavalcava a qualche passo da lui era senza alcun dubbio Galahad.
 Vedendoli così vicini, con lo stesso portamento ed i sorrisi di poco dissimili,  Mordred non ebbe dubbi su chi fosse il nobile padre che aveva sedotto la figlia  di re Pellam.
 La mano di Agravaine lo riscosse dai nuovi arrivati e quando Mordred si voltò a  guardarlo il fratellastro sorrise divertito.
 "Il nobile Lancillotto porta sempre dei nuovi cuccioli alla nostra umile corte."
 "Quello è il nipote di re Pellam," rispose Mordred, sorpreso e compiaciuto di  avere, per una volta, una notizia ignota all'altro. "E figlio di Lancillotto, se  i miei occhi non mi ingannano."
 "Il figlio di Lancillotto!" rise Agravaine, osservando Galahad con nuovo  interesse.
 I due viandanti erano finalmente smontati da cavallo e sir Bors li stava  abbracciando entrambi, seguito da Lamorak e, con sorpresa di Mordred, anche da  Gawain. Il suo fratellastro maggiore non sembrava conoscere Galahad, ma scambiò  con Lancillotto qualche parola sinceramente cortese.
 Fu in quel momento, sotto il braccio amichevole di Aglovale, che Galahad sollevò  lo sguardo e notò Mordred.
 Il principe si sentì quasi in colpa per averlo osservato con tale fissità, ma  non fu disposto a retrocedere o prestare attenzione ai suoi due fratellastri per  distoglierla dall figlio di Lancillotto.
 Galahad però non parve confuso quanto lui e si voltò per dire qualcosa a Bors.
 Fu una fortuna che quest'ultimo fosse rivolto proprio verso Mordred.
 "-incontrato prima? Non dire sciocchezze. Vieni dentro a bere con noi. Non è  compagnia con la quale tuo padre vorrebbe-" il resto si perse nella folla  attorno agli arrivati.
 Le parole però non bastarono a Galahad che sorridendo come se Bors non l'avesse  appena rimproverato si districò dal suo abbraccio ed iniziò a farsi strada fra  gli altri cavalieri.
 Le mani di Agravaine afferrarono il mento di Mordred e lo voltarono bruscamente  verso di sé.
 "Come fai a conoscerlo? Sta venendo verso di noi."
 Prima di poter rispondere, il figlio di Artù scorse una nube di capelli biondi a  pochi passi da sé.
 Quando Mordred spostò gli occhi su di lui, Galahad stava ancora sorridendo,  incerto. Non parlava e pareva attendere di avere la sua completa attenzione  prima di iniziare.
 "Vi saluto, sir Mordred. Sono felice di vedere che siete giunto sano e salvo a  Camelot."
 "Fareste meglio ad ascoltare i vostri parenti, Galahad."
 Fu la cosa sbagliata da dire perché gli occhi di Galahad si illuminarono subito.  "Vi ricordate come mi chiamo."
 Con la coda dell'occhio, Mordred scorse la bocca di Agravaine che si muoveva in  fretta, ma era ormai troppo tardi per cogliere ciò che aveva detto.
 Le sopracciglia bionde, quasi invisibili, di Galahad si alzarono e si  aggrottarono. "Non capisco cosa intendete," rispose sinceramente.
 "- qui a Camelot. O forse nessuno vi ha detto che vostro prozio uccise nostro  padre?"
 Galahad esitò. "Mi dissero fu una battaglia. E che vostro fratello Gawain uccise  mio prozio Pellinore in torneo."
 Mordred si voltò velocemente per poter guardare Agravaine, ma questi era  immobile e, con un gesto falsamente umile, si stava scostando.
 Lancillotto, accanto a lui, fece segno a Galahad di seguirlo.
 "Spero di rivedervi ancora qui a corte, Mordred," sorrise Galahad,  prima di obbedire al padre.
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