Cittadino di Camelot
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In un primo momento l'aveva perso di vista. Il vento aveva portato via il suono dell'ocarina e Morven si era ritrovato solo e senza alcuna traccia di Guisgard. Allora si era fermato, aveva preso fiato e, guardandosi intorno, aveva cercato tra quelle case e quei vicoli stretti, di trovare qualcosa che gli fosse almeno un po' familiare.
Aveva preso a camminare, senza troppo preoccuparsi della sua meta, perchè in verità non sapeva bene cosa stesse cercando. Era perso nei suoi ragionamenti, e nella revisione delle sue azioni, e così non si accorse di essere giunto alle porte della città.
Fissò il bosco che si stendeva di fronte a lui, fitto, oscuro e minaccioso... il bosco, il bosco che racchiude così tanti segreti e misteri!
Ma proprio mentre stava per voltarsi e ritornare indietro, dentro le braccia accoglienti della città semi addormentata, il vento, questa volte sospirando a suo favore, gli portò all'orecchio dei rumori distorti... rumori di urla, di ferro che impatta, di spada, di ferita, di battaglia.
Senza nemmeno pensare ai pericoli che avrebbe potuto incontrare, il giovane si lanciò ad inseguire quei suoni nel vento. Non gli occorsero che pochi metri per trovarsi di fronte ad uno spettacolo davvero inusuale. Si acquattò dietro una robusta corteccia d'albero, e da lì, complice la luce della luna, potè osservare una scena che mai avrebbe immaginato di vedere, in un simile posto e ad una tale ora.
Al centro di una radura stava Guisgard, la spada ancora stretta in mano, che stillava goccie di sangue che si mescolavano alla rugiada dell'erba tenera. Ai suoi piedi il corpo senza vita di uno strano uomo, alto e abbigliato in modo inusuale. Morven vide il cavaliere tendere una mano, e alla luce della luna vide che un'altra piccola mano, prima esistante, poi quasi con slancio, si stringeva a quella palma, offerta quasi come un sostegno. Vide una ragazzina, lacera, tremante, farsi più vicina al cavaliere. Con un lembo strappato del suo abito, si passava il braccio sul viso, come ad asciugare le lacrime. E allora vide Guisgard inginocchiarsi di fronte a lei e tendere una mano in una leggera carezza. Lo sentì pronunciare basse parole, che da quella distanza non riusciva a comprendere, ma che avevano il suono di una dolce litania, e così comprese che egli la stava consolando di qualche affanno.
E una volta ancora Morven abbassò le ciglia, pensoso. Quel gesto, ai suoi occhi, era stato come il bagliore della luce sulla lama di Guisgard che aveva scorto quel giorno nel bosco... siamo stirpe dello spirito, si ripetè... e la memoria che lo spirito ha di sè è imperitura!
Morven non osò interrompere quel momento, nè osò affiancare il cavaliere nel suo ritorno verso Cartignone, chè mai avrebbe voluto, nemmeno per errore, che ricadesse anche su di lui il merito di quell'impresa. Rimase quindi dai due poco discosto, mentre il cavalire conduceva con sè la ragazzina. Li seguì fino a quando non li vide entrare nel palazzo del principe. Quindi si risolse di tornare indietro.
Entrò nella locanda, preda dei controversi pensieri che lo agitavano quella notte.
"Birra, buon oste!", ordinò, appoggiandosi al bancone e attirando l'attenzione dell'uomo.
Questi fu lesto a mettergli un boccale davanti al viso.
Morven prese a sorseggiare la bevanda.
Non si era sbagliato, no! Non si era sbagliato! Quel cavaliere aveva in sè le doti che egli aveva tanto cercato... quel cavaliere poteva narrargli molte imprese, gli avrebbe narrato molte imprese... sì, ne era certo! Era la guida che aveva cercato, la guida perfetta per raggiungere infine il proprio obiettivo... i suoi occhi, la sua vista ed il suo spirito lo avevano visto e compreso, ed egli, a quel punto, lo avrebbe stanato!
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?"
"Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!"
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