Discussione: Il sigillo di Mariel
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Vecchio 06-10-2010, 19.44.09   #29
Morrigan
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Morrigan ha un'aura spettacolareMorrigan ha un'aura spettacolare
- VI -

L’immagine di lei non lo abbandonava mai. Anche se chiudeva gli occhi, la sua figura continuava a danzare sulle sue palpebre. Ogni giorno, ogni ora, ogni istante diventava tormento. E in quel momento il dolore divenne quasi insopportabile. Milo strinse il nastro tra le dita, quindi lo avvicinò al viso, alla guancia, cercando di afferrarne una sottile scia di profumo, quello di lei. Da quando Mariel gli aveva domandato di essere il suo campione, le distanze tra loro sembravano essersi accorciate, e tuttavia mai egli l’aveva sentita così lontana dal suo desiderio. Perché ciò che Milo comprese in quel momento fu che egli non desiderava sposare la principessa… egli desiderava essere da lei amato, allo stesso modo in cui lui l’amava. E quel dono, egli lo sapeva bene, non poteva essere acquistato con un torneo! In quel momento alla mente gli ritornò l’immagine di sua madre… i sentimenti non possono essere acquistati a prezzo di moneta... già, così è… e quando si vuol credere ad un tale amore, tutto irrimediabilmente finisce male… lacrime, sangue, dannazione del cielo e maledizioni della terra!

E per una volta ancora, Milo scosse il capo e si forzò di strapparsi a quelle dolorose memorie, e poiché una tiepida sera era già scesa a coprire quelle mura, il cavaliere decise di scendere nella corte e tornare nei propri alloggi. Ma era una tenera sera di Maggio, e Milo decise di abbandonare le interne gallerie e i passaggi scuri ma lesti che collegavano i diversi torrioni e le opposte ali del castello, e scelse invece di uscire all’aperto e di attraversare i ricchi giardini che si stendevano a Est di quel maniero. Il percorso così sarebbe stato più lungo, ma accompagnato dai profumi della notte e dalla linea delicata delle corolle dei fiori notturni che si destavano al richiamo della luna.

Mentre attraversava quei vialetti ombrosi, Milo si perse così profondamente nelle sue fantasie da dimenticare i contorni della realtà che lo circondava. Le sue dita carezzavano il nastro, il giardino sprofondava nella notte, ed egli ebbe un sobbalzo quando sentì di aver urtato qualcosa. Udì un sussulto, un’esclamazione soffocata, poi il rumore di un oggetto che cadeva al suolo. Istintivamente, Milo proferì una rapida scusa e si chinò a raccogliere il piccolo libro che giaceva ai suoi piedi. Il suo sguardo risalì lungo una ricca veste di velluto blu, del colore della notte, riccamente decorata di ricami dorati. Gli abiti vestivano la flessuosa figura di una donna, dai lunghi capelli corvini, dal viso di luna e dai profondi occhi scuri. Il volto di quella singolare creatura era austero e misterioso. Non era una fanciulla, e questa forte aura di femminilità emanava chiaramente dal suo sguardo e dal suo portamento.

“Vi chiedo venia, mia signora. Il buio della notte e il mio celere andare sono le cause di questa mia villania, che spero non vi abbiano arrecato ulteriore danno”

Disse questo, con aria compita, e le porse il libro che aveva raccolto. In quel gesto, Milo fu colpito dal rapido movimento di ciglia, dall’occhiata che lei gli lanciò e dal modo in cui le sue labbra si atteggiarono nel pronunciare il suo “grazie”.

“Non vi scusate, cavaliere. Un bel giovane come voi di certo ha ben motivo di sospirare alla luna, in sere come queste, e i suoi occhi sono di certo rivolti al ricordo di un leggiadro viso, più che al sentiero che sta attraversando”

Disse questo, e accompagnò quelle parole con una lieve risata, che fece impallidire Milo dall’imbarazzo e gli impedì di replicare alcunché.
La dama lo fissò, quindi tese la mano per riprendere il volume che il giovane le stava porgendo. In quel momento le sue dita toccarono quelle di Milo, indugiando per un istante in una lieve stretta. La donna chiuse gli occhi, e il suo volto per un attimo fu corrugato da una linea dura che le aggrottò la fronte e le contrasse la mascella. Le sue dita si ritrassero, e portarono alla mano di lui il brivido che le aveva attraversate. Milo, dal canto suo, dovette a stento trattenersi dal discostarsi da lei. In un attimo la sua mente era stata squarciata dal bagliore di un fulmine, e una miriade di immagini si erano affollate nella sua mente, troppo dense e veloci per poterle distinguere l’una dall’altra, ma abbastanza vive da lasciare in lui una sensazione di sgomento, come di fronte a qualcosa di incomprensibile e sovrannaturale. Quando tornò a fissarla, si accorse che l’espressione sul viso della donna era cambiata, e lei lo fissava allora con vivo interesse ed attenzione, come se avesse scorto in lui qualcosa di profondamente singolare.

“Qual'è il vostro nome, messere?”, domandò la donna.

Milo esitò, come pensasse che dire il falso a quella creatura fosse assolutamente inutile, quasi che lei potesse leggere dentro la sua anima che stava mentendo. Ma poi si riprese e allontanando la mano dal libro che adesso lei sosteneva,

“Milo de Bajard, al vostro servizio, mia signora”, rispose.

Lei sorrise, e in quel gesto i suoi occhi si accesero di una strana luce di stella.

“Ah, voi siete uno di quei fortunati cavalieri che è risultato vincitore tra tanti in questo torneo!”

Milo annuì, e la donna continuò, addolcendo la voce.

“Venite a chiedere di me, uno di questi giorni, e Lady Astrea vi concederà la sua benedizione per le prove che avrete da superare”

Disse questo, quindi entrambi si scambiarono un compito inchino di congedo, ed ella proseguì nella sua passeggiata, scomparendo nell’ombra del giardino. Milo rimase invece immobile, perplesso, colpito da quell’incontro. Cos’era accaduto, in realtà, in quel momento, in cui le loro dita si erano sfiorate? Cos’era stata quella luce? Milo non capiva e avrebbe voluto, ma allo stesso tempo una voce, dentro il suo cuore, gli diceva di non seguire gli occhi di quella donna, e gli gridava il nome di Mariel… Astrea… vicina alla notte, alle stelle… Astrea…


In quello stesso istante, nelle sue stanze, Mariel si faceva pettinare i lunghi capelli dalle sue ancelle. Le ragazze ridevano sommessamente e chiacchieravano tra loro e con la loro giovane signora, commentando la bellezza e l’ardimento di questo o di quel cavaliere che aveva colpito il loro sguardo.
Dalla finestra aperta sulla notte, una soave musica si levava ad invadere la stanza, una dolce ballata che intrecciava le lodi di Mariel. La ragazza ne ascoltava il fascino lontano con un sorriso di piacere sul volto, come accade ad ogni giovane che si senta lodare con musica e parole.

“Anna,” disse ad un tratto, chiamando a sé una delle compagne “è ancora lì quel cavaliere?”

La ragazza si accostò alla finestra, e senza dare a vedere, cercò di sbirciare tra i menestrelli che suonavano sotto le stanze della principessa.

“Sì, mia signora,” rispose, volgendo il capo nuovamente verso di lei “passeggia tra le rose da quando hanno iniziato la serenata, e non sembra accennare di essere stanco”

Le fanciulle si guardarono e si lanciarono un complice sorriso, quindi tutte scoppiarono in una risata maliziosa e allegra.

“Riesci a scorgerne il volto, mia cara?” chiese di nuovo la principessa, quando il loro dolce scherzo si fu calmato.

Anna sporse il viso, cercò la sagoma del cavaliere e attese che egli, nel suo lento passeggiare, volgesse lo sguardo verso la luce della luna.

“Non vorrei che la notte mi ingannasse, mia signora, ma la figura e il tratto mi sembrano quelli di quel nobile giunto qui da Ifandria… Lord Gaius è il suo nome!”
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?"
"Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!"
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