ARDEA DE' TADDEI
"Amleto: Ahimé, povero spirito.
Spettro: Non compassionarmi, ma sta ben attento a ciò che ti svelerò.
Amleto: Parla. E' mio obbligo ascoltarti."
(William Shakespeare, Amleto, I, V)
I due percorsero la via a ritroso e si ritrovarono di nuovo fuori alla capanna di Memmone.
Quel cammino di ritorno, nonostante i due avessero affrontato la stessa via dell’andata, apparve diverso ad Ardea.
Il sentiero pareva aver un’inclinazione diversa e gli alberi gli erano apparsi difformi da quelli visti mentre andavano verso il ruscello.
Insomma Ardea avrebbe giurato che la via fatta del ritorno dal ruscello fosse diversa da quella sostenuta per arrivarci.
“Abbiamo preso un cammino diverso?” Chiese Ardea ad Memmone. “Nel giungere al ruscello abbiamo attraversato un’altra parte del bosco.”
Memmone lo fissò per qualche istante e poi rispose:
“La realtà spesso ci appare diversa da quella che è. Non fatevi ingannare, abbiamo percorso lo stesso cammino, sia all’andata che al ritorno.”
“Ma come è possibile?” Si domandò stupito Ardea voltandosi indietro sulla via appena percorsa.
“La realtà è sempre la stessa...” disse Memmone “...siamo noi che la osserviamo con occhi diversi.”
“Come è possibile?” Domandò ancora Ardea. “Eppure avrei giurato...”
“Non giurate, amico mio!” Lo interruppe Memmone. “Non fatelo mai! Ogni giuramento richiede un pegno. E qualcuno potrebbe un giorno domandarvi tale pegno.”
“Eppure sono sicuro che nel tornare qui abbiamo attraversato un punto diverso del bosco.”
“Vi confondete.” Rispose Memmone. “Al ritorno avevate uno stato d’animo diverso. Ecco perché la via vi è apparsa differente.”
Ardea lo fissò confuso.
“Ora entriamo, così che possiate prepararvi per ripartire.” Concluse Memmone.
Rientrati nella capanna, Memmone offrì al suo ospite un delizioso amaro fatto di particolarissime erbe.
Era di un colore molto strano, mai visto prima da Ardea.
Poi, finitolo di gustare, il cavaliere cominciò a preparare le sue cose.
Indossò la sua corazza e per ultima legò al cinturone la fedele Parusia.
Memmone, durante i preparativi del cavaliere, restò tutto il tempo accanto al camino acceso.
Poi, quando Ardea fu pronto, gli mostrò qualcosa di particolare.
“Guardate bene queste frecce.” Disse mostrandogli una faretra colma di lucidissimi ed aguzzi dardi cromati. “Sono in grado di colpire bersagli impensabili anche per il più abile arciere. Purché, ovviamente, chi le scagli sia all’altezza della loro efficacia.”
“Da dove provengono queste fecce?” Chiese Ardea.
“Le ho preparate io stesso per voi.” Rispose Memmone, mentre le mostrava al suo ospite. “Le ho forgiate fondendo le armi del cavaliere che voi stesso avete sconfitto in singolar tenzone.”
“Govarola?” Domando incredulo Ardea. “Queste frecce sono nate dunque dalle armi di quel violento cavaliere?”
Memmone annuì, mentre quei fieri dardi emanavano argentei riflessi al contatto con la luce del fuoco.
“Le armi di Govarola” aggiunse Ardea “sono maledette dal sangue di tutti coloro che egli uccise!”
“Sciocchezze!” Esclamò Memmone. “Le armi non hanno né volontà, né giustizia. E’ la mano di chi le impugna a sottostare al giudizio del Sommo Giudice.”
Ardea lo fissò turbato.
“Rifiutereste forse” continuò Memmone “la lancia di Lucifero che egli adoperò quando era ancora il duce delle Milizie Celesti? Sarebbe sciocco da parte vostra! Siete un cavaliere, non un filosofo.”
Ardea lo fissava senza rispondere nulla.
“Le armi non hanno colpa.” Continuò il vecchio uomo. “Esse servono solo a chi le utilizza. Prendete queste frecce e conservatele con cura.” Concluse Memmone, porgendo ad Ardea la faretra.
“Credete che potrebbero essermi utili queste frecce?” Chiese Ardea.
“Fu una freccia” rispose con un sorriso Memmone “ad abbattere Achille, il più forte guerriero mai nato.”
Ardea non chiese altro e prese con sé quelle armi.
“Come farò a tornare a Casorre?” Chiese a Memmone. “Probabilmente il mio scudiero è là a domandarsi se io sia vivo o morto.”
“Seguite il sentiero e non abbandonatelo mai.” Rispose Memmone. “Alla fine troverete la porta di Casorre.”
Poi accompagnò il suo ospite ad una piccola stalla che si trovava sul retro della capanna, dove si trovava il fiero Arante.
Ardea lo accarezzò per qualche istante.
Poi vi montò su e prese la direzione del sentiero.
Ma fatti pochi passi si voltò indietro verso il suo salvatore.
“Ci incontreremo ancora?” Chiese.
“E chi può dirlo!” Esclamò Memmone.
“Già...” disse Ardea “...siamo alla mercè del caso.”
“Io non credo al caso...” rispose Memmone “...ma alla volontà di Dio ed al Libero Arbitro che Egli dona agli uomini.”
“Addio e grazie di tutto.” Disse Ardea. “Non vi dimenticherò.”
“Né io” rispose Memmone “dimenticherò voi, cavaliere.”
In quel preciso istante, dopo aver detto quelle parole, Ardea ebbe la sensazione di cogliere una strana ed intensa luce negli occhi di quel misterioso uomo.
Ma fu solo per un breve ed infinitesimale istante.
Allora, Ardea si incamminò sul sentiero, per essere inghiottito poco dopo dal folto e verde bosco.
(Continua)