Discussione: Il Ritratto del Bacio
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Vecchio 22-07-2010, 14.38.28   #20
Guisgard
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IL RITRATTO DEL BACIO

VII


L’artista restò come tramortito dalle parole della madre superiora.
In un attimo rivide ogni momento ed ogni giorno di quei 3 mesi trascorsi insieme a quella ragazza.
Ella, poteva giurare l’artista, era viva e reale, proprio come i pennelli, i colori e le tele della sua bottega.
Il Sole spesso si posava sul suo volto, illuminandone gli occhi e generando tonalità irrealizzabili per qualsiasi artista vivente.
Il vento, quando il crepuscolo si accingeva a prendere il posto del meriggio, soffiava frequentemente tra i suoi delicati capelli, gonfiandoli ed agitandoli come se animati di vita propria.
E poi la sua voce, cosi melodiosa, soave, delicata, non poteva essere stata un’illusione.
Non poteva, pensava l’artista, essere stato tutto un sogno, un riflesso della sua fantasia.
E non era certo un spettro quell’angelo che gli aveva ridato l’ispirazione perduta.
Eppure, a quei suoi eterei ricordi, si opponeva la fredda e ruvida pietra che si ergeva nel cortile del convento.
Era li, davanti a lui, con impresso un nome e due date.
Ma egli non volle leggere quel nome.
Non voleva che fosse un riflesso dell’aldilà a rivelarglielo.
“Come vedete…” disse la madre superiora “… lei è sepolta qui. Morì poco dopo il mio arrivo in questo convento. La conobbi solo per pochi giorni. Era già gravemente malata. Era troppo delicata per resistere alla tubercolosi…”
Fissò poi il pittore ed aggiunse:
“Io non so chi o cosa voi abbiate visto. Ignoro anche in che condizioni voi abbiate dipinto il vostro ritratto. Ciò che so è che la ragazza di quel ritratto era lei…”
Null’altro chiese o disse il pittore alla reverenda donna.
Dopo quel giorno, si chiuse nella sua bottega ed annullò ogni commissione che aveva accettato in precedenza.
Trascorse così, in assoluta solitudine, intere giornate.
Ben presto i suoi allievi, uno dopo altro, lasciarono la bottega.
Nulla più vi era in quel luogo, divenuto sterile all’arte come il suo padrone lo era diventato per la vita.
Giaceva apatico sul letto per tutte le ore del giorno e della notte, restando a fissare il suo incompleto ritratto, in balia di ricordi, sensazioni, emozioni e stati d’animo.
Immagini, voci, profumi, tutto lo assaliva e lo tormentava.
Un mare agitato ed impetuoso vi era in lui.
Un mare che voleva travolgerlo ed inghiottirlo, come accade al naufrago in balia delle onde.
E quando vinto dalla stanchezza cedeva, per poche ore a notte, al sonno, allora ella ritornava nei suoi sogni.
E di nuovo era con lei, fuori le mura del convento, a ritrarla su quella tela.
Ma al risveglio, di nuovo le sua angosce lo assalivano.
Tutto questo fino a quando cominciò a credere di essere pazzo.
Non poteva esserci altra risposta a tutta quest’assurda storia.
Era pazzo ed aveva immaginato tutto.
L’opera commissionatagli dal duca era troppo per lui, probabilmente.
Troppo per chiunque, forse.
Altri prima di lui avevano rifiutato, ma lui invece, sfidando tutto e tutti, aveva accettato.
Aveva accettato di ritrarre il sogno di un altro uomo.
Aveva quindi voluto per se un potere arbitrario ed innaturale.
Ed ora ne pagava le conseguenze.
A furia di cercare, di invocare quell’ispirazione aveva finito col perdere il senno.
Si, cosi erano andate le cose.
Ormai ne era convinto.
Ora davvero non aveva più nulla.
E probabilmente non sarebbe stato più in grado di dipingere altro.
Ed una notte si svegliò di soprassalto.
Era stato di nuovo tormentato e flagellato dai suoi incubi.
Era spossato e stravolto.
Cercò allora, nel buio della stanza, quel ritratto.
E quando l’ebbe riconosciuto nella penombra cominciò a fissarlo.
Restò così forse per ore.
Poi, come vinto da qualche sconosciuto demone, afferrò il suo pugnale e si apprestò a lacerare quella tela.
“Ti sei preso il mio senno e la mia vita” disse fuori di sé “ma non continuerai a tormentarmi oltre!”
Ma quando fu sul punto di colpire il ritratto, una voce alle sue spalle lo chiamò.
L’artista si voltò e trovò stesa su letto quella ragazza,
Era bianca come un cadavere ed il suo sguardo era come spento.
Lo fissava in lacrime e quando fu sul punto di parlargli cominciò a tossire sangue, macchiando tutto il suo abito.
L’artista allora osservò il suo pugnale ed anch’esso era sporco di sangue.
Sul punto di impazzire davvero, l’uomo corse in strada, urlando come un ossesso.
Urlò tanto da svegliare tutti.
E come sotto l’effetto di un indicibile delirio, accese una torcia, deciso ad appiccare il fuoco alla sua bottega.
In quel momento fu braccato e bloccato da altri che erano accorsi, richiamati dalle sue grida.
Il pittore si dibatté con tutte le sue forze per liberarsi dalla loro morsa, ma alla fine, vinto dalla sua stessa disperazione, cadde a terra senza conoscenza.


(Continua...)
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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