ARDEA DE' TADDEI
“Amleto: <<Il vostro affetto, dite; ed il mio a voi.
Lo spettro di mio padre in armi? Brutto affare!
Qui sotto c’è una trappola… Fosse già buio!
Oh, anima mia, cerca di restar calma.
Le azioni dei malvagi non possono sfuggire
agli occhi degli uomini. Con tutto il suo sforzo
la terra non riesce a nasconderle.>>”
(Shakespeare, Amleto, I, II)
Il terreno del bosco era fangoso e vischioso, reso così a causa dell’umidità.
Ardea sentiva l’intenso odore dell’erba bagnata attorno a se.
Sollevò la visiera del suo elmo ed alzò gli occhi azzurri, ora resi quasi vermigli per il sangue, verso il suo avversario.
Govarola era steso a terra, in una pozza di sangue.
Ardea tentò di sorridere ma una forte fitta glielo impedì.
Si portò allora una mano sul fianco e, toccandosi la tunica, vide il suo guanto di ferro sporco di sangue.
Cercò allora con gli occhi il suo fianco.
Ebbe solo la forza di chinare il collo e vedere un fiume di sangue sgorgare dalla sua tunica lacerata.
In quel momento sentì le sue ultime forze abbandonarlo.
Si levò improvvisamente un forte e fresco vento che cominciò a soffiare su tutta la campagna.
Attraversava rapido quella distesa verde, correndo fra le spighe di grano e le poderose querce, che al suo passaggio piegavano, come inchinandosi, le loro cime al cielo.
Ardea era in groppa al suo cavallo.
Riconobbe subito quell’aria e quella terra.
L’odore dei prati in fiore ed i colori che guarnivano quel pastorale scenario.
Era finalmente ritornato alle Cinque Vie.
Il cielo era di un intenso blu e le nuvole che lo attraversavano era candide e lucenti.
Rivide in un attimo le sue corse ed i suoi giochi da ragazzo.
I suoi allenamenti e le lunghe cavalcate con suo padre.
Accarezzò allora il suo Arante.
“Siamo tornati a casa, amico mio.” Disse sorridendo.
Avanzò allora lungo quella piccola stradina e cominciò a scorgere in lontananza la sagoma del castello ducale.
Un intenso brivido percorse tutto il suo corpo.
Una gioia viva e straripante si impossessò di lui.
Il cuore cominciò a battergli forte e gli occhi gli divennero lucidi.
“Dopo tante sofferenze” pensò “sono di nuovo a casa.”
Ad un tratto si sentì chiamare.
Si voltò e vide una figura in lontananza.
Era immobile e lo fissava senza dire nulla.
Ad un tratto gli fece un cenno.
Ardea allora cominciò ad avvicinarsi a quella misteriosa figura.
E più si avvicinava, più riconosceva in quella figura i tratti di una ragazza.
La ragazza allora, appena fu raggiunta dal cavaliere, si tolse il velo che copriva il suo volto.
Ardea restò turbato e sorpreso, riconoscendo quella figura.
Questa gli sorrise.
Era la ragazza che Ardea vide alla locanda di Caivania.
La stessa ragazza a cui aveva donato il suo cuore.
“Perché proseguite in quella direzione, cavaliere?” Chiese quella bellissima ragazza.
“Lì c’è il castello di mio padre.” Rispose Ardea.
“Lì non c’è nessuno.” Disse la ragazza, fissandolo con i suoi meravigliosi occhi chiari. “Di qua invece vi stanno aspettando.”
“Chi mi sta aspettando?” Chiese stupito Ardea.
La ragazza non rispose nulla.
Abbassò gli occhi inumiditi dal pianto e si coprì di nuovo il volto con il suo velo.
In quello stesso momento, in fondo alla strada, apparve qualcuno.
Era un grosso cavaliere su un cavallo nero.
“Quello è il cavaliere che mi sta aspettando alla cappella di San Michele!” Disse Ardea.
“E’ tornato il duca!” Gridò un contadino che attraversava la campagna. “Presto, andiamo a rendergli omaggio!”
Ardea si voltò di scatto e vide suo padre.
Era a pochi passi da lui e gli dava le spalle.
“Padre!” Gridò Ardea. “Padre, sono io!”
E in quel momento si alzò di scatto da letto, chiamando ancora suo padre.
Era sudato ed agitato.
Le mani gli tremavano e sentiva il cuore battergli forte.
Comprese allora che era stato tutto un sogno.
Solamente un sogno.
Si guardò intorno. Era in una capanna di legno.
A pochi passi da lui c’era un camino acceso ed accanto al fuoco stava un uomo di grossa stazza che gli dava le spalle.
(Continua...)