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Vecchio 23-10-2021, 00.24.15   #126
Destresya
Cittadino di Camelot
 
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Destresya è sulla buona strada
Avevo sempre saputo che qualcosa non andava in me.
Lo vedevo nel modo in cui mi guardavano i miei genitori affidatari, e in particolari l’insopportabile vecchia, Zia Irina, che ogni volta che si presentava alla casa famiglia non faceva altro che insultarmi.
Non che me ne fosse mai fregato niente, sia chiaro.
Ma c’era qualcosa, qualcosa che non quadrava in quelle loro parole.
Perché con i miei fratelli non si comportavano così?
Intendiamoci, non è che non li insultassero, ma usavano degli insulti diversi, degli appellativi meno coloriti, o perlomeno meno evocativi.
La verità è che ho sempre voluto saperne di più, sentivo che dentro di me c’era qualcosa, qualcosa di segreto, di nascosto e bramavo più di ogni altra cosa far luce su quel mistero.
Ecco perché passavo tutto il mio tempo libero in biblioteca.
Oltre al fatto che mi permetteva di imparare un sacco di cose su tutto e che nessuno poteva rimproverarmi perché (a quanto ne sapevano loro) ero lì per fare i compiti di scuola e studiare.
Puoi mai rimproverare una ragazzina che non fa altro che studiare?
(Sì, lo facevano lo stesso, ma dovevano contenersi perché infondo sapevano anche loro di essere dalla parte del torto.
La Libera Biblioteca Civica di Uaaropolis era il mio regno. Mi aggiravo tra gli scaffali come una regina tra le stanze del suo palazzo, accarezzando i volumi, ognuno dei quali poteva essere mio, uno a uno, senza limitazione alcuna. Lì non valeva l’autorità di Mother Tatalh, non valevano le sue regole, ma solo le mie. E in quelle pagine polverose, dove mi immergevo per pomeriggi interi, trovavo cose che non mi sarei mai immaginata, cose che nessuno mi raccontava a scuola, cose che erano ormai sepolte dalla coltre del tempo.
Avevo anche fatto amicizia con la bibliotecaria, una simpaticissima signora che mi aveva preso in simpatia, anche se non ho mai capito bene perché. Mi guardava in un modo strano anche lei, anche se completamente opposto rispetto ai miei “genitori”, un modo dolce e protettivo.
Forse fu proprio per questo che mi permise di andare a curiosare nella sezione proibita, un giorno in cui non c’era nessuno, e poi un altro, e un altro ancora.
Era un pomeriggio di marzo, uno di quelli in cui la primavera comincia a fare capolino dolcemente dai vetri, invitandoti a lasciare i libri e andare a passeggiare in giardino.
Ancora ricordo quando quella traccia era arrivata nelle mie mani, quando avevo letto quel nome, quella parola sussurrata, che aveva contorni sinistri e oscuri, che veniva però pronunciato con timore.
Ancora sorrido se ripenso a quante cose siano cambiate da allora.

Il treno avanzava lento mentre il panorama mutava rapidamente intorno a me.
Mi sembrava di essermi assopita un secondo eppure qui era tutto diverso, la grande città aveva lasciato il posto a sterminate foreste, a casupole sperdute l’uno dall’altra e tutto attorno a me aleggiava un’aria spettrale.
Sì, non che i Carpazi avessero mai avuto la nomea di luogo esotico, soleggiato e di villeggiatura, eppure era qui che conduceva tutto, qui aveva origine ogni cosa.
E io dovevo sapere, dovevo scoprire la verità sulle mie origini.
La voce metallica annuncia la mia fermata mentre sono ancora assorta nei miei pensieri, così devo raccogliere tutto in fretta e furia e scendere di corsa.
Sono intenta a non inciampare e solo per questo non lo vedo subito, ma è una frazione di secondo, perché poi alzo gli occhi.
Eccolo lì, imponente, sinistro, qualcuno dice persino maledetto, infestato da demoni e da fantasmi.
Il Castello della Cruna del Lago.
Si ergeva sopra la collina, da cui dominava tutta la valle. Per sette secoli era stata la dimora dei signori della valle, i Thritbeth una famiglia la cui nobiltà affondava le radici addirittura ai tempi agli albori del tempo, e che si diceva avesse una predilezione per le arti magiche.
Erano mesi ormai che non facevo altro che documentarmi su di loro, libri, testimonianze proibite.
Già, proibite. Perché quando Uaarania aveva preso il potere aveva voluto cancellare ogni singola traccia di nobiltà, compresi naturalmente i signori della Cruna del Lago.


La voce del taxista mi scosse da quei ricordi e mi riportò bruscamente al presente.
Un presente in cui le cose erano molto diverse da allora.
Io ero diversa, e quasi mi faceva pena quella piccola ragazzina spaventata ma tanto determinata che era andata a cercare risposte in quel castello lontano.
Lo sapevo, oh eccome se lo sapevo.
Ora quel castello mi apparteneva, così come mi apparteneva ogni cosa che volessi.
E io appartenevo a Lui.
Per quello ero qui, a New Chase City, e mi dirigevo a passo spedito verso il Museo di Storia Religiosa.
Com’ero diversa da quella ragazzina senza passato e senza futuro che aveva varcato le porte del castello.
Una vetrina rifletté la mia immagine e mi strappò un sorriso.
Se mi fossi guardata allora non mi sarei riconosciuta.
Lui era lì, accanto a me, dentro di me, sempre.
Quel potere sconfinato non mi lasciava mai, e mi guidava sempre.
“Andiamo a riprenderci anche questo pezzettino di noi!” sussurrai alla mia immagine riflessa.
Era vicino, lo sentivo, lo percepivo, e anche questo piccolo tassello del puzzle sarebbe diventato mio.
D’altronde, ero diventata la massima esperta dei Thritbeth mica per niente, i miei lunghi studi in storia, storia dell’arte e le numerose specializzazioni servivano unicamente a quello scopo.
La vendetta.
Arrivai davanti al museo senza quasi accorgermene, alzando poi lo sguardo per osservarne la facciata.
Sentivo la reliquia chiamarmi, bruciarmi dentro.
Lo sentivo dentro di me impaziente di riaverla.
Così varcai la soglia, ed entrai nel museo.
“Sono la dottoressa Destresya Reign, mi stanno aspettando!” sentenziai, rivolta a un addetto della portineria, mentre riponevo gli occhiali da sole nella borsetta.

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Lei si innamorò, sopra ad un cespuglio di rose, e poi rispose... Sì!
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