Le giornate passavano, e la caccia si faceva sempre più serrata.
L'animale sembrava assalire continuamente, non conoscere tregua nè stanchezza, e la cosa non faceva che rinvigorirmi di giorno in giorno.
Il padrone mi permetteva di partecipare alle battute di caccia, ricordandomi quanto la mia sicurezza fosse importante per la sua persona e rammentandomi come il mio compito primario fosse quello di proteggere lui.
Non lo dimenticavo nemmeno per un momento, anzi.
Gli ero grata, immensamente, poichè mi permetteva di partecipare assiduamente alle cacce, tra gli sguardi un po' sgomenti dei passanti, abituati di certo alle pie donne del paese.
Ma lui si divertiva a sradicare i pregiudizi dell'ignoranza, lo diceva sempre.
E poi era lui stesso ad avermi reso quella che ero, lui mi aveva insegnato a indirizzare la mia brama di sangue verso gli animali feroci.
Non me n'ero persa una di battuta di caccia, il mio padrone a volte mi aveva accompagnata, a volte invece era rimasto alla locanda, immerso nei suoi studi.
Alla sera cenavamo sempre insieme, e io lo divertivo raccontandogli tutte le ipotesi fantasiose che facevano i contadini, si andava dalla bestia mostruosa degli inferi, al fantasma trasformato in cane di un qualche parente con cui avevano dei conti in sospeso, fino a elucubrazioni ancora più articolate.
Non che lui si lasciasse mai andare a una vera risata, ma a volte concedeva una specie di sorrisetto divertito, che era il massimo a cui potessi aspirare.
Quel giorno, gli comunicai la novità in tutta fretta, finalmente una vera novità dopo giorni di aneddoti insulsi: sarebbe arrivato un cacciatore uscianese mandato dal re.
"Sono proprio curiosa di vedere che cosa combinerà!" dissi, con un sorriso enigmatico.
Una frase che, il mio padrone lo sapeva bene, era un'aperta sfida allo sconosciuto.
Chiunque fosse, da dove venisse, non sarebbe mai stato un cacciatore migliore di me.