Cittadino di Camelot
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03. Bristol
Gale aveva solo vaghi ricordi di Bristol. Quando frequentava le elementari, il suo migliore amico John O'Shelley gli mandava una cartolina da Bristol tutte le estati.
In ogni cartolina si vedevano distese di edifici bianchi e rosei, grigi e spettacolari. Ed era sempre presente il Briston Bridge o almeno il castello accanto ad esso.
Gale però non aveva mai avuto la possibilità di vedere Bristol di persona.
Era proprio come nelle cartoline, si rese presto conto. Le persone correvano avanti ed indietro, il traffico correva subito dietro di loro e gli edifici erano grandi, enormi, affascinanti.
Gale Harrison non era un uomo da grandi città. Non che Newport fosse piccola ma aveva sempre evitato il centro della cittadina, accontentandosi delle comode periferie o dei paesi limitrofi. E la stessa cosa per Portsmouth.
L'indirizzo che Gale stava seguendo, invece, era proprio in una delle zone più centrali di Bristol. Un luogo che sicuramente non doveva essere economico, meditò Gale, raggiungendo un alto palazzo color rosso mattone. Aveva dovuto chiedere indicazioni a tre persone prima di riuscire ad arrivarci.
Sospirando, meditò su cosa fare.
Le automobili passavano veloci dietro di lui e la gente camminava sul marciapiede ma Gale si sentì come se tutti gli occhi del mondo fossero sulla sua schiena, in quel momento, mentre lui se ne stava fermo, immobile, ad osservare una porta chiusa ed una lista di campanelli.
Che cosa avrebbe dovuto dire? Che cosa chiedere?
Quando un'anziana signora arrivò all'edificio, portando con sé un'enorme borsa della spesa, Gale, istintivamente, la raggiunse offrendosi di aiutarla. La donna lo squadrò, sospettosa, ma la necessità la costrinse ad accettare l'aiuto offerto.
La donna giunse alla porta e, occhieggiando le proprie borse in mano allo sconosciuto, tirò fuori le piccole chiavi di bronzo dalla borsetta ed aprì la porta di vetro e ferro.
Con un sospiro sorpreso si accorse che la donna lo stava invitando a seguirla fino all'ascensore.
"Grazie, ragazzo," esclamò la signora quando le porte dell'ascensore si chiusero.
Era dentro.
Arrossì leggermente. Chiunque avrebbe pensato che lui aveva ingannato quella povera anziana donna per poter entrare nel palazzo ma le sue intenzioni erano state innocenti fin dall'inizio. Sentendo il rossore pian piano svanire dalle sue guance, Gale si ricordò che nessuno lo stava guardando o giudicando. E che qualsiasi mezzo andava bene per il suo attuale scopo.
Salì le scale, sentendosi un intruso. Un intruso determinato, in ogni caso.
Pregò perché nessuno sbucasse improvvisamente da una delle porte (e proprio nel momento in cui leggeva i nomi sui vari campanelli).
Fu al terzo piano, dopo miriadi di nomi sconosciuti e molta pazienza, che il cuore di Gale perse un battito.
Karoline Lambeert
Non aveva la più pallida idea di chi fosse Karoline ma di certo Lambeert era il cognome di Moray.
Bene, Gale, sei arrivato qui ed è il momento di andare avanti. Non sarebbe fuggito.
Quando era Galahad era sempre stato molto bravo a corazzarsi di purezza e superiorità tanto che la maggior parte delle persone non osava nemmeno avvicinarsi. Solo Mordred si era tenacemente aggrappato a lui, per dispetto più che per altro, e Galahad era fuggito.
Suonò il campanello.
Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a cosa dire che la porta si aprì, casualmente quasi, e il volto di Moray apparve nuovamente davanti a lui.
"No, davvero non è-" stava dicendo il padrone di casa, al telefono. Si bloccò quando vide Gale.
"Ciao, Moray," lo salutò Gale e per un attimo si sentì tremendamente in colpa.
"Ti devo lasciare. No, scusami, ti devo davvero lasciare ora. Ci sentiamo dopo," riattaccò Moray. "Che cosa ci fai qui, Gale? Ma, soprattutto, ho un telefono in mano dimmi se stai per diventare uno stalker perché in quel caso mi risparmio lacrime ed angoscia e chiamo direttamente la polizia."
"Non lo stai dicendo davvero. Posso entrare?"
Senza volerlo gli occhi di Gale squadrarono attentamente il giovane di fronte a lui in cerca di qualsiasi sintomo di malattia potesse essere dipinto sul suo volto.
Moray lo lasciò entrare nell'appartamento e chiuse la porta dietro di loro, sbattendola senza delicatezza. Lanciò il telefono sul divano che si trovava proprio al centro della stanza.
L'appartamento non era molto grande. Aveva un salotto unito alla cucina, con un piccolo tavolo da pranzo a dividerli. Le finestre erano completamente spalancate e tutta la luce entrava da lì. La tv, accesa, chiacchierava del tempo e della pioggia.
Moray gli fece cenno di sedersi su una delle sedie accanto al bancone bianco della cucina e Gale eseguì, continuando (e non poteva farne a meno) a guardare il padrone di casa.
"So di essere probabilmente il più bell'uomo che viva in questo quartiere ma potresti anche essere meno palese."
"Scusa," esclamò Gale, arrossendo e distogliendo lo sguardo. "E' un bel posto. Chi è Karoline?"
"Mia moglie."
Gli occhi azzurri del vecchio Galahad si spalancarono, tornando a fissarsi sul volto di Moray, con una velocità invidiabile da chiunque. Moray non sembrava avere più di venticinque o ventisei anni. "Davvero?"
"No, è mia madre. Aveva preso l'appartamento per lei ma poi mi ci sono trasferito io. Mi sono sempre dimenticato di cambiare quella targhetta," rispose Moray, con un sorriso soddisfatto.
"Oh, capisco." riuscì solamente a dire Gale, chiedendosi perché Moray non si comportasse come un normale padrone di casa. Chiunque a quel punto gli avrebbe offerto qualcosa da bere ed avrebbe agevolato l'apertura di una conversazione con dei commenti inutili sul tempo o sul traffico.
"Come hai fatto a trovarmi?"
"Sono stato da Bors."
"E lui come ha fatto a trovarmi?"
"Ha solo detto che fece delle ricerche quando gli dicesti il tuo nome e cognome."
Moray si sedette ad una sedia di distanza da Gale. "E che cosa ti ha detto Bors?"
"Nulla di che. Mi ha raccontato di Camelot e mi ha detto dove trovare te e Percival."
"E perché non sei da Percival?"
"Perché volevo venire prima qui," rispose Gale, con fare petulante, non menzionando che Percival ormai non poteva più riceverlo visto che era morto.
"Imbarazzante silenzio," fischiò Moray, guardandosi attorno, "era molto più semplice una volta. Io venivo da te, tentavo di distruggere il tuo stupido sorriso da santo del paradiso e tu mi cacciavi. Molto più divertente. Proverei a farlo ancora ma non è più soddisfacente se sei tu a venire qui."
"Volevo solo-"
"Sì, lo so, riparlare dei tempi passati. Bors è un chiacchierone, lui adora parlare dei tempi passati."
Gale sospirò sentendosi di nuovo come una volta. Un Galahad irritato dall'inutile chiacchiericcio di Mordred, sempre pronto a scattare e girare attorno a qualsiasi domanda seria, evitandola con maestria.
"Moray, ora ascoltami. Se sono qui è perché voglio parlare con te. Ti scrissi una lettera prima di morire. Ricordo poco di quegli ultimi tempi ma una cosa la so; trovai il Graal e gli chiesi di portarmi nuovamente da te. Perché sei stato l'unica persona a non trattarmi come se fossi stato di cristallo o se fossi uscito da un monastero."
"Tu eri uscito da un monastero," sottolineò Moray, indispettito.
"Non è quello il punto. Bors, Gareth, Kay, tutti mi guardavano come se da un momento all'altro avessi potuto giudicare i loro peccati e se l'avessi fatto non mi avrebbero fermato. E so che è stata anche colpa mia e del modo in cui mi comportavo."
"Ed io ero l'unico a vedere come realmente eri? E' questo che vuoi dire? Eri un ragazzino, uno che non sapeva nulla e che era cresciuto credendo di avere la sapienza infusa divinamente."
Gale si morsicò un labbro, a disagio. Ma si era aspettato simili accuse perché aveva riflettuto molto sulla sua vita passata, sulla sua vecchia infanzia.
"Lo so. E tu riuscivi ogni volta a farmi venire dubbi, dubbi su qualsiasi cosa. Su di me, su di te, sul Graal. Volevo dirti che- mi sei mancato molto, mi è mancata la tua amicizia, se così si può dire."
"Stavo solo tentando di distruggere tutto ciò che eri," rise Moray, con aria sconvolta.
Gale annuì. Sì, forse questo era ciò che aveva pensato anche lui e che aveva pensato lo stesso Mordred.
"Bene, ci sei riuscito allora. Sono cresciuto."
"Non sei cresciuto, sei solo nato un'altra volta."
"Bors mi ha detto anche che sei andato da lui a cercare risposte. A chiedergli perché tu fossi qui."
Moray sorrise divertito e si sporse verso di lui, guardando un punto imprecisato del bancone bianco della propria cucina. "E lui cosa ti ha detto?"
"Ha detto delle sciocchezze, ecco cosa mi ha detto. Ha parlato di punizione divina."
"E tu non lo credi? Non è una ricompensa questa tua nuova possibilità di crescere?"
Ed in quel momento Gale si lasciò sfuggire la domanda alla quale più aveva evitato di pensare ma che immancabilmente rimbalzava nella sua mente, girando e rigirando come un pesce in una boccia. "Hai il cancro?"
"Era per questo che mi guardavi in quel modo?" ribatté Moray, senza spostare lo sguardo dal bancone.
"Mi dispiace, non volevo chiedertelo così."
"Non sono affari tuoi. Bors ti ha spiegato il perché, no? Ho distrutto tutto, sono impazzito, ho ucciso mio padre, ho probabilmente ucciso Gawaine molta altra gente ed ora sono qui."
"Sono affari miei perché è colpa mia se sei qui."
Finalmente Moray spostò lo sguardo ed incontrò gli occhi da Gale, azzurri, così larghi come quelli di Galahad, e pieni di sensi di colpa.
Pian piano Gale gli spiegò tutto. Gli parlò dell'inizio della sua cerca del Graal, di come si fosse sentito solo. Gli narrò la morte di Dindrane ed i suoi sogni su di lei, di tutte le volte che la vedeva morire ancora. Gli raccontò del Graal, dell'essere orribile che gli aveva sicuramente rubato qualcosa e della sua richiesta.
Il Graal gli aveva chiesto che cosa volesse e l'unica cosa che Galahad era riuscito a rispondere era che voleva Mordred. Voleva rivederlo ancora. Voleva poter tornare indietro e dirgli che aveva sbagliato e che Galahad era ancora lì con lui e non perso in un'avventura solitaria. Voleva ricordare i momenti in cui Mordred lo aveva messo in dubbio e messo in imbarazzo. Ed i baci. Perché una parte di lui li sognava ancora ed anche Gale li sognava.
"E' colpa mia se sei qui," terminò Gale con le guance in fiamme per la vergogna della confessione e la fatica nel parlare così sinceramente.
Moray lo stava ancora fissando, in silenzio. Improvvisamente si alzò e spostò la sedia vuota che lo divideva da Gale. Gli prese le mani ed approfittò del fatto che l'altro fosse troppo sconvolto per poter protestare.
"Senti," lo incitò, appoggiandogli le mani sui propri fianchi attraverso la maglietta. Gale sentì. Sentì costole che sporgevano ed ossa spigolose.
"Guarda che cosa hai fatto," continuò Moray portandogli le mani sul volto a tastare la pelle troppo calda e le occhiaie.
"Mi dispiace," sussurrò Gale, con voce rotta, capendo dove l'altro volesse arrivare. Ma non si oppose quando Moray lo costrinse a toccargli i capelli staccando facilmente una corta ciocca scura.
"Perdonami, Mordred," singhiozzò Gale e si maledì perché non doveva andare così. Non doveva piangere eppure le lacrime continuavano a scendere e lui si sentiva così in colpa per tutto ciò che aveva fatto. Si sentiva un egoista per aver cacciato Mordred ed averlo costretto nuovamente a vivere senza nemmeno chiedergli consiglio.
Moray gli lasciò andare le mani e lo osservò mentre si piegava su se stesso, scosso dai singhiozzo.
"Mi dispiace," continuava a ripetere Gale, sentendo lacrime e saliva che si mescolavano fra di loro.
Fu sorpreso quando si accorse che Moray gli stava di nuovo parlando.
"Basta, basta, scusami, sono solo stanco," stava ripetendo il padrone di casa, inginocchiato davanti a lui per poterlo vedere meglio in volto. "Non piangere. Non è colpa tua."
Gale si passò una manica sugli occhi, tirando rumorosamente su con il naso e tentando di calmare i singhiozzi involontari abbastanza da poter udire ciò che Moray stava dicendo.
Moray lo fece alzare e lo portò a sedere sul divano. Gli portò dei fazzoletti di carta e si sedette accanto a lui, osservandolo con apprensione.
"E' colpa mia," ripeté Gale, tentando di ottenere una voce chiara e nuovamente virile. Si sentiva un ragazzino.
"Sono qui e questa è colpa tua. Ho avuto una vita abbastanza decente fino ad ora," tentò di sorridere Moray, "quello che sta succedendo ora non è colpa tua. Quello è capitato è basta."
"Non è una punizione di Dio, Moray," asserì Gale con forza, prendendo l'altro per le spalle.
"Ok, va bene."
Gale non seppe se Moray avesse annuito per farlo star zitto o perché davvero ci credeva ma al momento non gli importava.
Tenendo una spalla, Gale portò la mano libera nuovamente al volto di Moray, tastando la sua temperatura.
"Sei stanco?"
"Non abbastanza da non essere in grado di buttarti fuori a calci se ricominci a piangere."
"Perfetto."
Vedendo che Gale non faceva alcun segno di volersi muoversi, Moray spostò indietro il capo, interrompendo il contatto con la sua mano.
"Ti avevo detto di non andare a cercare quella stupida stoviglia. Mi ricordo di averti dato dell'imbecille, l'ho fatto?"
"Devo averlo rimosso," mormorò Gale. "Che tipo di cancro hai?"
"Che cosa sai sul cancro?"
"Nulla."
"Allora non ha senso che te lo dica."
"Mi informerò."
Moray inarcò un sopracciglio e si lasciò sfuggire una breve risata. "Questa è la cosa più romantica che mi abbiano detto da anni," esclamò avvicinandosi velocemente al volto di Gale.
Il biondo sobbalzò, spostandosi leggermente indietro.
"Un tempo avevi paura che ti contagiassi con chissà quale peccato mortale, cos'era incesto?, ora hai paura che ti passi il cancro?"
"Mi hai solo sorpreso," ammise Gale, arrossendo nuovamente. Senza dar tempo a Moray di rispondere, si inclinò verso di lui e lo baciò rapidamente sulle labbra. Il suo primo bacio ad un uomo in tutta questa vita. E la prima volta che lui baciava un uomo in tutte le sue vite.
"Non morirai vero?" chiese poi quando si fu allontanato dalla bocca del padrone di casa.
"Non lo so," rise Moray, "spererei di no."
"Metterò le cose a posto. Te lo prometto."
Moray non chiese come Gale sarebbe riuscito a mantenere una simile promessa. Lo osservò divertito ed esasperato quando Gale gli disse che doveva andare in un posto ma gli assicurò subito dopo che sarebbe tornato.
Dovette cedere e lasciargli il suo numero di casa ed ascoltare le promesse di Gale su come tutto sarebbe tornato a posto.
Ci volle un'altra mezz'ora perché Moray potesse riuscire a sbarazzarsi di lui e riavere per sé il suo appartamento. Ci volle un'ora intera perché lo stupido sorriso che si era impadronito della sua bocca scomparisse per lasciare spazio al sonno.
La prima cosa che Samantha McCoy fece quando Gale gli disse di essere un vecchio amico di scuola di Percy fu di abbracciarlo.
Non le capitava spesso che amici di Percy venissero a trovarla. Percy non aveva mai avuto molti amici; la gente tentava di evitarlo da quando, un pomeriggio del suo tredicesimo compleanno, iniziò ad urlare che era morto, che sua sorella era morta (quando Lucy stava perfettamente bene) e che tutto era perduto.
Tutti gli invitati alla festa erano stati mandati a casa e loro volentieri erano fuggiti da quel bambino pallidino che descriveva una sorella che veniva dissanguata.
Diedero la colpa alla televisione ma quando Percy iniziò a non essere più sicuro di chi fossero le persone attorno a lui dovettero ammettere che era qualcosa di serio.
"E' un piacere conoscere uno degli amici di Percy," sussurrò la donna, tenendo Gale strettamente abbracciato a sé.
"Mi dispiace di non essere venuto prima, l'ho saputo solo di recente."
"Non ti preoccupare, è tutto a posto," lo assicurò Samantha. Da quando il suo Percy era morto la donna non era più sicura di quanti anni passassero e del tempo che correva.
Gale sospirò di sollievo quando Samantha non gli chiese nient'altro su come si erano conosciuti ma si dilungò in una dettagliata descrizione del figlio.
"E' sempre stato un ragazzo timido, piccolo, sai?"
Gale si limitò ad annuire. Anche Percival era sempre stato notevolmente più basso di lui.
Una stilettata di dolore si fece presto sentire all'idea che non aveva fatto in tempo a conoscere questo Percy. Avrebbe potuto aiutarlo a mettere a posto i ricordi, a distinguere gli amici di questa vita da i nomi dell'altra.
"Ha fatto tutto il possibile," esclamò Gale, improvvisamente, ascoltando per la seconda volta il racconto della donna che descriveva la prima volta in cui portarono Percy da un neurologo.
Samantha annuì.
"Sto piangendo come una bambina, perdonami, Gale, ti preparo un caffé?"
"No, non si preoccupi."
"Io lo bevo, ne preparo uno anche per te. Ti piacerebbe vedere la stanza di Percy?"
Forse Samantha voleva rimanere un attimo sola con il suo dolore (e Gale la capiva) o forse voleva mostrare altro del suo Percy all'amico Gale. Il ragazzo annuì e seguì le direttive della donna fino a che non si trovò di fronte ad una porta spalancata su una stanzetta ordinata e pulita.
La luce era accesa ed il letto era fatto con una pesante coperta blu.
La finestra di fronte al letto era chiusa, con tende azzurre, ed a sinistra vi era uno scaffale pieno di libri e fumetti.
Un poster di un supereroe che Gale non aveva mai visto pendeva dalla parete sopra la scrivania.
Non sapeva che cosa si aspettava di trovare in casa di Percy. Sperava in un indizio, in risposte alle sue domande.
Guardò interessato i titoli dei libri e toccò con timore reverenziale una piccola moto di plastica. Era tutto così strano e surreale.
Sulla scrivania trovò un piccolo libro rosso e quando lo aprì arrossì nello scoprire che altro non era che il suo diario.
Probabilmente Samantha lo leggeva spesso, meditò Gale, sedendosi ed aprendolo.
"Perceval, perdonami, ma devo saperne di più."
Ed iniziò a leggere aprendo a metà.
6 Ottobre 1992
Oggi continua a piovere. Mia madre dice che è normale che piova sempre perché siamo in Inghilterra. Questa mattina però ero sicuro che ci fosse il sole e ne sono ancora sicuro, sono certo che se aprirò la finestra il rumore della pioggia scomparirà e tornerà il sole. Vedrò anche i cavalli. Lamorak dovrebbe essere appena tornato dalla caccia.
Mi chiedo dove sia finita Dindrane. Mia madre dice che mia sorella è in camera sua ma quando provo ad entrare vedo solo Lucy.
10 Ottobre 1992
Ho sognato di Camelot. So che non è vero, ora lo so, ma devo sottolinearlo bene, scriverlo qui in grande così che io possa poi tornare a queste pagine e rivedere il tutto.
Mia madre dice che non sto bene, che probabilmente è un problema neurologico e che gli psicologi sono dei ciarlatani.
4 Novembre 1992
Oggi io sono partito da Camelot per la Cerca. Ammetto che quest'avventura mi emoziona molto e so bene che Dio mi ha allevato e cresciuto per questo momento. Per il momento in cui troverò il Graal, la sacra coppa.
Gale osservò le pagine successive del diario. Descrizioni di giornate a scuola unite a nomi di persone che in quell'epoca non erano mai vestite. Narrazioni di tornei di Camelot e subito dopo frasi su Lucy o su un amico di nome Tom. Film visti al cinema, canzoni ascoltate alla radio e nuove armature. Il tutto unito, confuso in modo così elegante da sembrare quasi naturale.
22 Luglio 1996
Oggi Dindrane è morta. Si è lasciata morire per salvare una donna che aveva il doppio della sua età. Ho visto il sangue lasciare il suo corpo, volontariamente fuggire da lei. Prima di morire mi ha sorriso.
"Lo faccio perché è giusto," mi ha sussurrato.
Lo stava facendo perché Dio l'aveva portata lì per uno scopo ed anch'io ho uno scopo. Devo trovare il Graal. Dio ha messo me, Galahad e Bors su questa strada e ci ha fatto affrontare il terrore e le tenebre ma io non ho ancora perso la speranza.
30 Luglio 1996
Lucy mi ha lanciato addosso il suo lettore cd e mi ha dato del pazzo. So che sono in molti a pensarlo e probabilmente hanno ragione.
Il mio psichiatra dice che è una forma di schizofrenia e che tutto ciò che vedo dall'altra parte non esiste. Non capisco più niente e spero che-
7 Settembre 1997
Sono mesi che non riesco a pensare ad altro.
Ho trovato il Graal solo qualche giorno fa eppure sono ancora vivo. O forse l'ho trovato dall'altra parte mentre qui deve ancora arrivare.
So che mi troverà anche da questa parte ed io non voglio.
20 Settembre 1997
Galahad mi ha detto che il Graal verrà a prendermi anche da questa parte. Lucy è andata via di casa, vuole sposarsi ed avere dei figli e vuole stare lontana da me.
14 Dicembre 1997
La nostra casa è bellissima. La mamma ha addobbato un enorme abete (finto, ovviamente) e tutto il corridoio è pieno di luci colorate. Oggi sono andato a comprare un regalo per lei e per Lucy ma ancora non ho trovato nulla di abbastanza economico. Pensavo ad un libro.
3 Gennaio 1998
Non riesco più a sognare Dindrane. Ho sognato il Graal questa notte. E tutte quelle scorse.
Non l'ho mai visto in modo così chiaro come ora. So di non averlo davvero visto da questa parte ma solo nell'altra parte della mia vita ma una parte di me è cosciente del fatto che tornerà. Torna sempre, me lo ha detto.
Tornerò, Percival, ti troverò ancora. Dammi quello che hai, ti prego. Aveva detto così. Non aveva la forma di un uomo o di una donna, era solamente un'ombra scura.
Mi ricordo quando lo vidi per la prima volta.
Un'ombra scura che si avvicina. I movimenti di un piccolo coniglio che ha appena fiutato una preda. Ma è una sciocchezza, vero? I conigli non sono carnivori.
4 Gennaio 1998
So che tornerà. Mia madre dice che sono solo sogni. Lucy oggi mi ha abbracciato e mi sono sentito così solo. Nessuno mi conosce davvero e io non riesco davvero a conoscere nessuno.
E lui tornerà. Prenderà tutto un'altra volta, l'ho sempre saputo perché lo sento. Il Graal è sempre con me, osservandomi, aspettando che io abbia abbastanza da donargli. Lo sento.
E' su di me, come un parassita. Ed aspetta e aspetta e aspetta.
Non voglio che vinca lui. Devo fare qualcosa ma non so cosa.
6 Gennaio 1998
Forse se io morissi prima che lui possa toccarmi sarebbe davvero la fine.
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