Il contraccolpo del salto temporale era stato più forte del previsto, questa volta. Come timeranger avevo imparato a gestire la spossatezza e i piccoli effetti collaterali dovuti alle pieghe del tempo. Infatti, dopo poco tempo la vista tornò normale e quel formicolio alle mani sparì quasi completamente.
Non era la prima volta che la Federazione mandava dei timeranger alla ricerca del Demone, perché colpirlo nel passato poteva essere l’unico modo per fermarlo nel presente. Eppure, le missioni non erano mai andate a buon fine, e di timemaster ormai ne restavano sempre di meno.
Per questo si erano rivolti a me, si rivolgevano sempre a me alla fine, quando la speranza era ormai un ricordo lontano.
Avevo combattuto i pirati del tempo, i peggiori signori della guerra che spadroneggiavano nella mia epoca, ma la linea temporale continuava a non mutare.
Non mutava mai, qualunque cosa io o i miei colleghi facessimo per fermarlo, era come se il tempo stesso volesse quella distruzione, volesse quel demone a camminare il mezzo a noi.
Era così che lo chiamavamo, il Demone, perché anche solo pronunciare il suo nome era considerato presagio di sventura.
Con la mia nave Crystal avevo attraversato i secoli per sondare anche quell’ultima pista che era stata attentamente studiata e progettata. Il tempo non andava manipolato con leggerezza, ma noi timeranger venivamo appositamente addestrati per questo, per servire la Federazione e proteggere il nostro tempo dalle minacce più pericolose.
La mia nave era dotata di armi ad alta tecnologia ma anche di un programmatore di abiti, capace di riprodurre in modo efficiente la moda di ogni epoca, così da potersi mimetizzare tra la folla e passare inosservati.
Guardai il computer di bordo, una sofisticata intelligenza artificiale che era programmata per cercare nello spazio/tempo il momento in cui attaccare il Demone. Non solo, era in grado di costruire un’identità, in tutto e per tutto, entrando nei database e redigendo certificati di nascita, pagelle scolastiche, documenti, social network persino, per i ruggenti anni duemila.
Anche se da parte mia preferivo di gran lunga le missioni in cui potevo tornare a quei periodi senza tecnologia, così selvaggi, così facili da manipolare. Poi però mi ricordavo il problema dell’igiene e subito mi tornava voglia del mio 2345.
Sospirai e mi alzai dalla poltrona di comando.
“Dagar, qual è la situazione temporale attuale?” chiesi, come di rito.
A quella domanda il computer di bordo mi avrebbe spiegato il tempo e lo spazio che aveva individuato per combattere il demone, con la strategia da adottare e la mia nuova identità, se fosse stata necessaria.
Ero pronta per una nuova avventura.