Intanto la vecchia si era avvicinata a Guisgard e ad Elisabeth.
Li fissò ed un leggero sorriso sorse sul suo vecchio e stanco viso.
Si voltò poi verso una spada caduta a terra.
Era di suo figlio, il barone.
"Soffri per lui, vecchia?" Le chiese la donna con in braccio il suo grottesco bambino.
"Ormai non era più mio figlio." Rispose la vecchia. "E tu l'hai condotto con te all'Inferno."
"Non io" disse la donna "ma lui stesso. Infatti lui aveva invocato La Misericordia di Dio."
"Cercherai altre anima tra noi, ora?" Chiese la vecchia.
La donna sorrise con voce mascolina.
"No, non stanotte e non qui a Tintagel." Rispose. "Il mio tempo è scaduto. Ho avuto ciò che mi spettava."
Si voltò e sparì nell'ultima oscurità di quella notte ormai quasi svanita, mentre un inquieto ghigno dominava sul volto del suo deforme bambino.
Ad un tratto nel castello si riversò un'infinità di persone.
Tutti gioivano e cantavano sotto le prime luci del nuovo giorno.
La notizia che il barone era morto si era sparsa in tutta Tintagel e la gente si sentiva finalmente libera dalla tirrannia.
Ci fù allora una grande festa e tutti vi parteciparono.
Elisabeth aveva con sè il piccolo Arnò, che sorrideva e gioiva in mezzo a quella musica ed a quei colori.
Tintagel tornava a vivere.