Scendevano sempre più giù, fra rocce friabili, aria rarefatta e polvere che ti entrava fino a bruciarti la gola.
La galleria si restringeva sempre più, fino a rendere il senso di claustrofobia insopportabile.
C'era un che di cupo e maledetto lì sotto.
Qualcosa come addormentato dal Tempo ma ancora vivo, reale, palpabile.
Qualcosa pronto a destarsi dalle sabbie dei secoli per colpire chi giungeva a profanare quel mondo ormai fatto di spiriti antichi e leggende perdute.
Ad un tratto la galleria divenne strettissima.
“Aspettate qui...” disse Reddas a Gwen e ad Elv “... e se le rocce cominciano a franare avvertitemi... gridate o quel che volete...” scendendo più giù.
“Non mi piace questa storia...” Elv che fissava le pietre che scricchiolavano.
“Neanche a me, figliolo...” fece Reddas “... ma credo mi piacerà dopo...” scendendo ancora “... ehi, Luis?” Cominciando a chiamare, con la sua voce che iniziò ad echeggiare tra le pietre.
Un eco sinistro che parve mutare in infinite voci di paura, angoscia, tormento e dolore.
Infinite voci di spiriti destati dal loro arrivo.
“Sono qui...” all'improvviso una voce diversa, che spezzò quell'eco cupo.
Una voce umana, viva.
Reddas allora seguì quella voce.