ARDEA DE' TADDEI
XXXI
“Marcello
Orazio dice ch’è una nostra ubbìa
e non vuol lasciarsi prendere dall’orrida
apparenza che abbiamo scorto già due volte.
L’ho pregato perciò di starsene con noi stanotte,
in modo che se l’apparizione tornasse egli possa
parlarle e credere infine ai nostri occhi.”
(Amleto, I, 1)
L’oscurità avvolgeva, densa e spessa, l’alta torre.
Le nuvole, dominate dal forte vento, si gonfiavano e si rincorrevano in un infinto vortice.
La torre sembrava quasi voler arrivare in cielo, tanto era alta.
Ma quel cielo, tormentato dalle inquiete nuvole e dal poderoso vento, pareva voler respingere sulla terra la maestosa costruzione.
E su quella torre Ardea era solo, a fissare l’orizzonte sterminato e buio.
Intorno a lui vi era solo un profondo silenzio, attraversato dall’impetuoso e tumultuoso soffio del vento.
Ad un tratto udì delle grida.
Provenivano camminamento di ronda. Si voltò per capire cosa stesse accadendo, ma fu raggiunto da due guardie che recavano torce ed armi con loro.
“Milord” disse una di quelle “dovete rientrare, non è prudente stare qui in quest’ora.”
“Che ora è mai questa?” Chiese Ardea.
“L’ora in cui gli spiriti vagano per tormentare i vivi!” Rispose l’altra guardia.
“Devo finire il mio giro d’ispezione!”
“Ma, signore, non capite! Non è prudente restare qui!”
“Non seccatemi!” Rispose irritato Ardea. “Ritornate ai vostri posti, è un ordine!”
Le guardie, senza esitare, obbedirono a quel comando.
Restato solo però, Ardea s’accorse che il vento era diventato di colpo più freddo.
Sentì quindi il bisogno di stringersi il mantello sulle spalle, per cercare tepore da quell’improvviso gelo.
Alla fine, vinto dal freddo, decise di rientrare.
Ma un rumore di passi attirò la sua attenzione. Si voltò di scatto ma non vide nessuno.
Una profonda inquietudine si impossessò di lui.
Il sibilo del vento si fece simile ad un sinistro lamento.
Udì in quel momento il canto del gufo che proveniva dall’oscurità che avvolgeva l’alta torre.
Cercò di riconoscerlo tra il buio della notte, ma non vide niente.
Ma ad un tratto, alzando gli occhi verso la sua destra, notò una figura alta e delicata, dai tratti spettrali e circondata da un pallido alone.
“Chi è là?” Gridò Ardea,
La figura non rispose.
“Chi è che si nasconde nell’oscurità?” Gridò ancora Ardea. “Annunciati o assaggerai la mia spada!”
La figura continuò a restare in silenzio e iniziò ad avvicinarsi ad Ardea.
“Fermati!” Intimò il ragazzo. “Un altro passo e ti infilzerò!”
Ma la figura, silenziosa, muta continuava ad avvicinarsi.
Il vento cessò all’improvviso e con esso il suo lamento.
Ardea estrasse rapido la spada.
“Fermati, chiunque tu sia!” Gridò a quella misteriosa immagine.
In quel momento un lontano ma straziante gemito si udì diffondersi nell’aria.
Ardea avvertì un sordo dolore nel suo cuore.
E improvvisamente, dalla porta che dava alle scale della torre, si sentirono dei passi.
Passi pesanti, stanchi, che però echeggiavano tanto forte da far vibrare la porta dietro la quale provenivano.
Ardea voleva aprire quella porta e scoprire chi stesse arrivando, ma temeva di dare le spalle alla spettrale figura bianca.
I passi si facevano sempre più vicini e forti, tanto da far scricchiolare la porta di legno.
Ardea si voltò verso la misteriosa figura simile ad un spettro, ma non c’era più.
Allora corse verso il bordo della torre dove si trovava fino ad un momento prima e guardò in basso.
E nel giardino sottostante vide la tomba di pietra sotto quale riposava suo padre.
In quel momento un tonfo tentò di sfondare la porta di legno alle sue spalle.
Un secondo colpo, ancor più vigoroso, riuscì a spaccare le cerniere che la fissavano alla parete di pietra.
E da quella porta di nuovo si udì quel delirante gemito udito poco prima.
Dalla soglia buia allora prese forma una ciclopica e nera figura, ricoperta da una spessa corazza.
Ardea riconobbe il misterioso cavaliere comparso a corte e con il quale, tra un anno, l’attendeva un mortale duello.
Immobile ed incredulo, il ragazzo non ebbe il tempo di capire che il cavaliere lo stava assalendo e solo all’ultimo, con uno scatto, riuscì ad evitare il fendente della sua spada.
Ma quel passo all’indietro gli fu fatale. Perse l’equilibrio e dal bordo cadde nel vuoto.
Si alzò di scatto e gridò.
Il sudore gli copriva il viso e sentiva il cuore battergli come impazzito.
“Era…era solo un sogno…” Disse fra se, mentre i primi raggi dell’alba iniziavano a dissolvere il buio della sua stanza.
(Continua...)