Sospirai a quelle parole di Icarius.
Quello che temevo, niente armi e dei robot inferociti e indistruttibili che sfondavano la porta.
Il massimo, insomma.
La nostra unica speranza era quella stanza, e sembrava crollare ogni secondo di più.
Non avrebbe retto a lungo, e lo sapevamo, lo sapevamo bene.
Eravamo spacciati, i robot sarebbero entrati e avrebbero potuto fare qualunque cosa di noi.
L’unica cosa che mi dava speranza era ricordare il fatto che loro avessero chiesto il nostro aiuto per quanto riguardava la felicità degli uomini, sembravano davvero interessati a quell’argomento, e convinti che noi avremmo potuto aiutarli.
Ma come?
Forse quello ci avrebbe salvato dall’essere scappati?
Dovevamo trovare un piano, una spiegazione che ci evitasse di finire spiaccicati contro un muro.
Alla fine entrarono, e io sobbalzai per lo spavento.
L’unica cosa positiva fu la scomparsa immediata di Ymmah, che tornò ad essere un oggetto inanimato e non il contenitore di un fantasma che alimentava costantemente la mia gelosia.
Ma poi Icarius mi strinse a sé e io dimenticai ogni cosa, sciogliendomi in quell’abbraccio così premuroso, inaspettato, forte.
Restai lì, tra le sue braccia, incapace di muovermi, con il cuore che batteva sempre più forte nel sentire il suo, nel petto, ora così vicino al mio.
In quel momento non mi importava più nulla, non sentivo più nulla, non capivo più nulla.
Sentivo solo la sua vicinanza, il contatto con il suo corpo stretto al mio, il suo respiro, il suo sguardo così vicino.
Alzai gli occhi su di lui, come in un sogno.
Forse era il momento meno adatto, o forse non ne esisteva uno migliore, eppure il mio sguardo in quel momento traboccava di emozioni forti e uniche che lui solo è stato in grado di darmi.
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