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Vecchio 31-07-2017, 16.49.25   #779
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Capitolo III: Fantasmi ad Afragolopolis

"Un fantasma è l'ombra di un ricordo, il peso di una colpa e il tormento di un rimpianto."

(Puskin)


La signora Laura, governante del ragionier Matt, che nel dopolavoro si occupava dei souvenir religiosi della chiesa di San Michele, come ogni sera, quando lui si recava nel suo studio per regolare i conti di giornata, preparava uno dei suoi panini con crescione, sottaceti e prosciutto cotto così famosi in tutto il vicinato che poi portava al suo datore di lavoro con un bicchiere di gazzosa al cedro ed uno yogurt agli agrumi.
Lui come ogni sera l'avrebbe accolta con il suo solito cenno del capo, uno sguardo fugace, un sorriso bonario appena accennato e qualche domanda di cortesia sui suoi figli ora all'università.
Lei avrebbe posato il vassoio sulla scrivania, rispondendo con un contenuto entusiasmo riguardo ai suoi figli che le davano grandi soddisfazioni, per poi augurargli una buona serata ed andare via.
Quella sera forse lui le avrebbe mostrato i nuovi Santini dell'Arcangelo arrivati in giornata, chiedendole un suo parere e così congedandola.
Il primo accenno d'ansia in lei sopraggiunge nel vedere la porta dello studio chiusa.
Il ragioniere non la chiudeva mai, neanche quando doveva fare qualche lunga telefonata per lamentarsi di un ordine non arrivato, o giunto con ritardo.
La signora Laura bussò alla porta, prima in modo leggero, con le dita, poi con le nocche della mano con fare più deciso.
Sentì una vaga angoscia.
"Ragioniere..." disse titubante "... ragioniere?"
Nel silenzio che seguì la sua voce sentì solo il rumore di acqua che diventava gocce.
Plink... plink... plink... plink...
La paura cominciò a divampare in lei.
Nella sua mente vide quelle gocce.
Si ingrassavano, si appesantivano, si addensavano, diventavano gravide e infine cadevano.
Mille altri pensieri presto forma nella sua mente.
Rivide suo nonno che ebbe un infarto, o suo nipote morto anni prima e trovato senza vita con una siringa in un braccio.
Quasi meccanicamente la sua mano toccò la maniglia placcata della porta, per poi stringerla.
La porta però non si mosse.
Era stata chiusa dall'interno.
La donna cominciò a pensare.
Mai il ragioniere aveva chiuso la porta del suo studio.
Mai l'aveva chiusa a chiave.
Mai non avrebbe risposto alla sua voce.
Poteva averlo fatto stasera?
Chiudersi dentro prevedendo un infarto?
No, era tutto assurdo.
La sua mente correva folle in quei momenti.
Si vide con in mano una cornetta telefonica a balbettare parole senza senso al centralino del pronto soccorso, o a correre in strada sconvolta e spaventata a bussare alle porte dei vicini.
Magari sarebbe stata la signora Violetta a dare poi l'allarme e a chiamare la polizia.
Erano pensieri confusi, tragici, assurdi.
Si impose di restare calma, di riflettere.
Le chiavi di riserva, realizzò.
Corse allora in cucina, nella scatola di latta in stile "old Afragolignone", dove c'erano i doppioni di tutte le chiavi di casa.
Veloce fece scorrere le varie etichette con scritto sopra i nomi delle diverse stanze.
Trovò studio e corse di sopra.
Tornò di nuovo davanti alla porta e provò ancora ad aprirla con la maniglia.
Non voleva usare la chiave.
Sapeva che usarla significava qualcosa di irreversibile, definitivo.
Provò ma la porta restò chiusa.
Allora si decise ed usò la chiave.
La sua mano sudava e tremava e ci mise più di un istante ad infilare la chiave nella serratura.
Apri la porta ed entrò, restando a fissare la scrivania con tutti i suoi fogli sopra.
"Ragioniere..." mormorò.
Stava immobile, poi tutto in lei mutò.
Stringeva con le mani la gonna chiara, i suoi occhi divennero sporgenti, le pupille dilatate.
La bocca si distese in un profondo ghigno di terrore, voleva gridare ma non ci riuscì.
Il ragioniere era seduto al suo posto, col capo riverso sui fogli davanti a lui, gli occhi spalancati e vuoti, la bocca aperta in un'espressione di orrore folle ed incomprensibile.
Accanto a lui c'era un tagliacarte insanguinato, con il quale si era tagliato entrambi gli avambracci, dalle vene dei polsi fino agli incavi delle braccia.
Le gocce di sangue che ad intervalli regolari cadevano a terra erano di un rosso vivo e denso.
La mano destra del ragioniere era su un foglio insanguinato, sul quale si vedeva una traccia di sangue serpeggiante.
Era stato il ragioniere a lasciarla sul foglio col suo dito insanguinato.
Un ultimo frammento di vita, forse di paura, che il ragioniere aveva voluto lasciare al mondo.
La traccia sembrava formare delle lettere incerte:

"Uaar..."

Davanti a tutto ciò, infine, la signora Laura trovò la forza di gridare.

Gli uomini della scientifica coprirono il cadavere del ragioniere e cominciarono a raccogliere altri indizi nella stanza.
“Uaar...” mormorò Ross “... che diavolo vorrà dire mai?”
“Magari non aveva senso...” Monique “... forse ha tentato di scrivere qualcosa senza però riuscirci...”
Zulian invece si aggirava per la stanza.
Notò allora qualcosa.
La copertina di un libro.
E lesse il nome del suo autore: Monter.
“Ci siamo tutti?” Voltandosi verso Ross e Monique.
“Manca solo Pier, capo.” Rispose la ragazza. “Ha chiesto un giorno di permesso.”
“Revocato.” Sentenziò Zulian. “Fallo venire. Subito.”

Intanto nell'auto di Pier, nel bel mezzo della campagna Afragolignonese, i due amanti erano nudi, l'una sull'altro.
“Il tuo cuore... ed il tuo corpo...” lui accarezzandole il bel seno “... molto invitante...” con la voce calda ed eccitata, sfiorandole il capezzolo tutto turgido “... ho già qualche fantasia, sai?” Con uno sguardo penetrante.
Ad un tratto squillò il suo cellulare.
Un attimo dopo suonò anche quello di Nyoko.
Era suo marito.
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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