Era lì, era ancora lì.
Allora scattai, rapida, determinata e implacabile.
Quell'essere disgustoso certo non l'avrebbe avuta vinta con me.
In un attimo, diventai invisibile, e mi riversai su di lei.
Sentivo in me una forza e una rabbia che non conoscevo.
Come se tutto il mio corpo si fosse ribellato a quell'interruzione senza senso.
E tutta la frustrazione, l'eccitazione bloccata, il potente disgusto per quell'essere immondo si riversano nei miei muscoli.
Combattere era quello che sapevo fare meglio, dopotutto.
La colpii, prima con il martello che avevo caricato per lei, poi con un altro, e un altro ancora.
In quel momento non vedevo né capivo niente.
La colpii, con tutta la forza che avevo, ancora e ancora.
Nascosta dalla mia invisibilità, non avevo pietà, né accennavo a fermarmi.
Aveva pensato di infastidire la donna sbagliata.
Le strappai di dosso il medaglione che non era nemmeno lontanamente degna di portare, e continuai continuai a colpirla, senza fermarmi mai.
Mai mi ero sentita animata da una rabbia così potente, folle, intensa come la passione che mi aveva sottratto.
Quando i pugni non mi bastavano più, quando ormai l'avevo colpita mille e mille volte ancora, mi allungai appena, e presi Damasgrada per finirla, calandola su di lei, con uno sguardo che non avevo da secoli ormai.
Perché un essere del genere certo non poteva permettersi di respirare.
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