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Vecchio 13-09-2009, 22.05.52   #5
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
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04. Le notti di Plymouth
Il faro di Plymouth è acceso tutte le notti. E' alto, rosso e bianco e il suo richiamo è come il verso di un'antica creatura sperduta, che chiama a sé, disperata, i propri compagni.
Ma nessuna strana creatura giunge alla riva, per consolare il solitario faro.
Albert si sedeva spesso sulla riva ovest, poco distante dal faro, ad aspettare assieme a lui un qualcosa.
Aspettava l'arrivo di qualcuno che lo conoscesse e, al tempo stesso, temeva quell'evento più di qualsiasi altra cosa.
In un altro tempo era stato un dannato. Un maledetto, incantato da una stregoneria, o forse solo da parole troppo suadenti, a divenire il burattino di dame gelide e senza cuore.
In un'altra vita era stato Bercilak de Hautdesert, detto il Cavaliere Verde. Uno dei cavalieri più potenti, l'uomo che sfidava la corte di Artù e non aveva paura di nulla.
Albert, che la madre aveva sempre chiamato Bert, aveva perso quel coraggio. Aveva paura della sua vita, dei sogni pieni di sangue e sentimenti che non riusciva più a provare.
Aveva paura che, un giorno, camminando per le strade di Plymouth, potesse incontrare Gawain e risvegliare in lui qualcosa di terribile, una gelosia e un'ammirazione che non era abbastanza forte per sostenere. Temeva di incontrare il sovrano che aveva tanto ostacolato, Artù, o un altro dei suoi fidi cavalieri.
Li temeva perché in questa vita, Bert non era pronto a combattere contro di loro. Non era pronto a nulla.
Eppure li aspettava, si sedeva sotto il fare e aspettava che qualcosa venisse ad accarezzarlo e a ricordargli che non era solo.
Lo faceva tutte le notti, quando era bambino. Fin da piccolo aveva vissuto la sua vita sognando quella passata.
Ora capitava più di rado.
Una volta o due, aspettava insieme al faro. E poi si alzava e tornava a casa.
Prendeva la sua bicicletta e pedalava per le lunghe strade, incrociando qualche ragazzo ubriaco o qualche signora impettita.
Svoltava al Museo Elisabettiano e si inoltrava nel centro.
Cercava le chiavi nelle tasche e si specchiava nell'ampio portone vetrato, mettendo in ordine i propri capelli tinti di blu che si era fatto per una scommessa persa.
Saliva due rampe di scale, perché temeva gli ascensori più di qualsiasi altra cosa, e tornava a casa, alla sua vita di oggi che sempre più distruggeva la nostalgia del tempo passato.
Sorrideva e apriva la porta.

Anche quella sera, Bert aprì la porta.
"Ti stavo aspettando. Pensavo che volessi vedere quel film sulla BBC one," lo salutò Eva, seduta sul divano verde.
"Non è un film, è un telefilm e non è così importante."
Bert la raggiunse, rubandole un biscotto dal vassoio che la donna teneva sulle ginocchia.
Eva era una donna di quel tempo. Non aveva rimpianti di secoli precedenti né ricordi che la tormentavano. Lavorava da poca al museo Elisabettiano e la cosa la riempiva di infantile entusiasmo.
"Lo stanno ancora facendo, se vuoi."
L'accento di Eva era un accento moderno, londinese, perché era vissuta con la madre a Londra per qualche anno, prima di trasferirsi a Plymouth.
Per Bert era come il richiamo di un faro, qualcosa che lo strappava da mondi che non poteva più raggiungere e che gli ricordava del mondo in cui viveva e poteva ancora vivere.
Per un attimo, Bert si sentì di nuovo coraggioso, si chinò verso Eva e le baciò le labbra sottili.
"Bhè, grazie, Albert," sorrise la donna, leggermente confusa, accarezzando la tempia del fidanzato delicatamente, come una persona che calma un animale incerto.
"Va tutto bene?"
"Certo. Stavo pensando alle bollette della luce."
Eva singhiozzò, non sapendo se ridere o disperarsi.
Bert sorrise di nuovo e si sedette per terra, con la testa accanto al ventre di Eva..
Per lei una leggenda rimaneva una leggenda e Bert ringraziava ogni giorno per questa benedizione.
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[English Arthurian fandom]

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