Camelot, la patria della cavalleria

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Hastatus77 04-04-2008 13.42.24

Cavalleria
 
STORIA

Antichità, Grecia antica, Impero romano
La combinazione di uomo, arco, freccia e cavallo è una delle armi più efficaci utilizzata fin dall'antichità. Tra i popoli che ne fecero uso vi sono gli Hyksos e gli Scoloti; i più noti sono gli Unni, i Mongoli, i nativi nordamericani e le truppe a cavallo ottomane.
La cavalleria, composta di uomini d'arme in grado di combattere a cavallo, necessitava di uomini molto addestrati a questo tipo di combattimento e di animali da monta selezionati ed impiegati esclusivamente nel combattimento. Dapprima il guerriero a cavallo più capace infatti fu sempre il nomade, che portava con sé i propri averi, esercitava l'allevamento degli animali e predava i popoli sedentari.
Nell'antica Grecia e nell'Impero persiano invece si preferiva l'uso del carro da guerra.
Nell'antica Grecia tutti i cavalieri tranne l'èlite degli "hetaroi" erano detti "hippikon": erano principalmente opliti, in grado di cavalcare e quindi avere maggiore velocità.
Ma col passare degli anni si preferì eliminare parti della classica armatura oplitica troppo pesante dando all'hippikon maggiore libertà di movimento.
I Romani fino alle guerre puniche utilizzarono quasi esclusivamente la fanteria.
Il primo comandante a sfruttare al massimo le potenzialità della cavalleria fu Annibale, che poteva contare sui cavalieri numidi, i più abili di quell'epoca: nella battaglia di Canne (216 a.C.), considerata uno dei capolavori della tattica militare di tutti i tempi, il Cartaginese attirò la fanteria romana al centro del campo e la accerchiò con una manovra a tenaglia dei propri cavalieri, annientandola completamente. Annibale venne poi sconfitto nella battaglia di Zama (202 a.C.) da Scipione l'Africano, che aveva imparato la sua lezione tattica e soprattutto aveva stretto alleanza coi numidi portandoli dalla propria parte.
La cavalleria romana comunque, era generalmente impiegata nell'esplorazione, mentre la parte restante era tenuta in riserva durante l'azione dei fanti, in attesa che il combattimento da loro condotto determinasse nella lotta una fase favorevole, della quale gli agili cavalieri approfittavano, determinando col proprio intervento la rotta dell'esercito nemico e la conseguente vittoria finale. La legione romana, nel suo periodo classico, ebbe fanti leggeri, i veliti, che, trasportati sulle groppe dei cavalli, erano destinati come veri ausiliari della Cavalleria, per cooperare con essa nell'azione, determinando la situazione idonea a conseguire in seguito, con l'urto, la vittoria decisiva sul nemico già scosso.
Nel tardo impero invece, con la pressione dei barbari alle frontiere e la necessità di presidiare efficacemente un confine lungo migliaia di chilometri, la cavalleria acquistò sempre maggiore importanza grazie alla rapidità di spostamento che permetteva. A questo si deve aggiungere che, con la mutazione nella composizione dell'esercito romano, formato in misura sempre maggiore da barbari assimilati, la secolare tradizione di efficienza e organizzazione delle legioni si andò via via perdendo.

Medioevo
All'inizio dell'VIII secolo venne introdotto in Europa l'uso della staffa che, insieme alla resta che fermava la lancia contro l'armatura, rese possibile al cavaliere caricare il nemico al galoppo e colpirlo con tutta la propria forza, senza per questo essere sbalzato dalla sella.
L'utilizzo della cavalleria pesante, che sfruttava questa nuova tecnica per costituire una forza d'urto inarrestabile, fu promosso da Carlo Magno e dai suoi successori, che addirittura strutturarono tutta la società franca in modo da permettere il reclutamento e il mantenimento di una efficace forza di cavalleria.
Infatti, per il costo delle bestie, degli equipaggiamenti e per la necessità di avere tempo libero per addestrarsi, il cavaliere poteva essere soltanto un appartenente alle classi dominanti. La struttura feudale della società corrispondeva direttamente alla gerarchia militare, di modo che i cavalieri potevano rispondere molto rapidamente alla chiamata alle armi trovandosi a formare un esercito già inquadrato; le terre e le proprietà concesse in feudo fornivano le rendite necessarie al mantenimento del cavaliere e del suo equipaggiamento.
Di contro nel periodo medioevale le fanterie erano spesso neglette, disprezzate e composte da pedoni poco addestrati.
Soltanto dal XIII secolo in avanti si affermarono reparti di fanteria più addestrati come gli svizzeri, i lanzichenecchi o i tercios spagnoli, capaci di tattiche idonee ad ostacolare i cavalieri. L'arma più efficace per combattere contro la cavalleria erano le picche, lunghe lance con le quali i cavalieri venivano disarcionati oppure uccisi i cavalli. Ciò diede origine alle prime armature per i cavalli.
Quando le prime armi da fuoco comparvero sui campi di battaglia (Crécy, 1346) e la Cavalleria si trovò a combattere contro una fanteria ben armata ed equipaggiata, fu costretta a mutare i suoi procedimenti d'azione. Il cavaliere caricò di ferro se stesso ed il cavallo e divenne catafratto perdendo la sua principale caratteristica: la mobilità. Tale periodo segna la decandenza della Cavalleria, che continuò fino a quando condottieri (tra i primi Maurizio di Nassau) compresero il grave errore di abbinare in un unico combattente cavaliere ed archibugiere e la necessità di dare in ausilio alla Cavalleria elementi di fuoco, atti a prepararne l'azione ed a coprirne il ripiegamento in caso di insuccesso.

Età moderna e contemporanea
Il 24 febbraio 1525 il Re di Francia Francesco I sacrificò inutilmente a Pavia la Cavalleria, dirigendola direttamente contro la fanteria nemica, non fiaccata da altre azioni, che con le proprie armi da fuoco le arrecò perdite gravissime.
Questo episodio, segnò il definitivo declino della già indebolita cavalleria pesante.
Trentadue anni dopo, il 10 agosto 1557, Emanuele Filiberto, fedele agli insegnamenti dei grandi condottieri dell'antichità, non impiegò la Cavalleria all'inizio della battaglia contro la compatta falange avversaria ma, vero comandante e coordinatore dei mezzi, ricorse prima all'artiglieria e, una volta scompaginato con il suo tiro l'esercito del Montmorency, affidò alla Cavalleria imperiale il compito di determinare col proprio intervento il successo nella battaglia.
La cavalleria, pur ridotta a un ruolo subordinato rispetto alla fanteria, sopravvisse comunque fino a tutto il XIX secolo,spesso col compito di aggirare e colpire ai fianchi o di lato con veloci movimenti a tenaglia la fanteria nemica.
Gustavo Adolfo rese agile e manovriera la propria Cavalleria e, per ridare all'arma una potenza di fuoco che pur agendo con essa in stretta cooperazione non doveva appesantirla, istituì reparti di moschettieri che, frammisti ai cavalieri, dovevano prepararne l'azione e coprire eventualmente il ripiegamento ed il riordinamento degli squadroni in caso di insuccesso con il loro fuoco.
Con Federico II la Cavalleria assurse nuovamente alla funzione decisiva che è ad essa ancora assegnata nelle battaglie del XVII secolo. La brillante azione dei 50 squadroni del Driesen a Leuthen costituì forse l'impiego più tipico di una massa di Cavalleria genialmente diretta e lanciata al momento opportuno.
Napoleone ebbe illimitata fiducia nell'impiego della Cavalleria, che utilizzò sempre come potente strumento di manovra, atto allo sfruttamento del successo. Non la logorò mai in azioni premature contro un nemico che non fosse già provato e che facesse buon uso delle proprie armi. Persino nell'esplorazione, dalla quale attendeva le urgenti notizie necessarie allo svolgimento della manovra concepita, dirigeva la Cavalleria ove presumeva che non fosse il nemico conservandola così in piena efficienza. La massa di Cavalleria era sapientemente risparmiata ed il suo prezioso contributo alla vittoria finale consisteva particolarmente in un inseguimento condotto con la massima celerità ed ardimento e diretto alla completa disorganizzazione dell'esercito nemico già vinto.
Quando le armi da fuoco divennero a retrocarica, i fanti acquisirono la capacità di colpire più lontano e di ripetere le azioni di fuoco più velocemente, frustrando sempre di più i tentativi di attacco della cavalleria "alla carica". Durante la guerra di Crimea, ad esempio, avvennero due episodi nei pressi di Balaclava che mostrarono i limiti ormai raggiunti dalle cariche di cavalleria: la tenuta della propria posizione da parte dei fanti del 93° Highlander attaccati dalla cavalleria cosacca e la decimazione dei cavalleggeri inglesi quando la Brigata di Cavalleria Leggera attaccò le postazioni russe difese da fanti ed artiglieria (episodio passato alla storia come la Carica dei Seicento).
La Cavalleria ebbe ancora brillanti successi nella guerra di Secessione d'America (1861-65) dove però combattè come fanteria montata, e non quale vera Cavalleria. Si distinse tuttavia nell'esplicazione di grandi raid, specie nell'occupazione avanzata di importanti linee di resistenza, e nel sorprendere a tergo ed ai fianchi le colonne nemiche.
Durante la guerra franco-germanica del 1870-71, diede ancora, sprazzi di vivida luce in campo tattico (Worth-Vionville-Mars-la-tour-Sedan) sia da parte francese che da quella tedesca, subendo tuttavia enormi perdite, sproporzionate ai risultati, a causa del perfezionamento delle armi da fuoco. Emerse invece nella stessa guerra in modo veramente brillante per opera dell'esercito germanico, nel servizio di avanscoperta nel campo strategico, guidando, si può dire, le grandi armate tedesche nella vittoriosa avanzata contro l'esercito francese.
Nel XX secolo il tracollo definitivo: il ruolo della cavalleria nella Prima guerra mondiale fu pressoché nullo. L'avvento delle truppe motorizzate e dei carri armati cancellò anche le residue possibilità di impiego che essa poteva ancora avere. Nella Seconda guerra mondiale vi furono gli ultimi episodi: nel 1939 la cavalleria polacca si oppose con un patetico quanto eroico tentativo ai carri armati tedeschi, venendo facilmente sbaragliata, mentre nel 1941 il reggimento Savoia Cavalleria partecipò alla spedizione italiana in Russia, dove riuscì, sfruttando il fattore sorpresa, a caricare con successo il nemico in uno scontro nella zona del fiume Don (vedi carica di Isbusenzkij). Secondo alcuni storici, questa fu in assoluto l'ultima azione di una cavalleria regolare nella storia militare.
Tranne eccezioni le grandi unità di cavalleria cessarono di esistere dopo la Seconda guerra mondiale.
Sebbene l'uso cavallo fosse diventato obsoleto, il concetto di una forza rapida capace di espletare i compiti tradizionalmente affidati alla cavalleria montata fece ritorno nel pensiero militare durante la Guerra fredda. In generale furono sviluppati due nuovi tipi di cavalleria: la "cavalleria dell'aria", o aeromobile, imbarcata su elicotteri, e la "cavalleria corazzata", dotata di veicoli corazzati leggeri o pesanti.

(NOTA: Mi sembra di avere letto, in un articolo, che i primi cavalieri dell'aria furono i componenti del famoso 7° cavalleggeri statunitense, quello del Ten. Col. Custer, che vendette i propri cavalli per sostituirli con gli elicotteri)

Fonte: Web

Hastatus77 04-04-2008 13.43.59

TIPI DI CAVALLERIA

Cavalleria leggera
La cavalleria leggera utilizzava cavalli piccoli, veloci e agili; i cavalieri portavano un'armatura molto leggera oppure ne erano privi. Gli archi erano corti con gittata lunga, non avevano però la stessa potenza degli archi lunghi o delle balestre.
Il vantaggio degli archi risiedeva nella possibilità di colpire a distanza. Gli avversari sprovvisti di cavalli e quindi più lenti spesso non avevano scampo. In questo modo i Parti sconfissero le legioni di Crasso nella battaglia di Carre (53 a.C.).
Il punto debole degli arcieri a cavallo era la necessità di ampi spazi e l'attrezzatura scarna. In spazi ristretti, se costretti al combattimento ravvicinato soccombevano facilmente.Inoltre erano vulnerabili agli arcieri appiedati nemici.

Cavalleria pesante
I primi cavalieri con lancia erano i Cataphracti e Clibanarii dei Sarmati, Parti, Sassanidi e più tardi Romani e Bizantini. Nel Medioevo il paese che puntò molto su quest'arma fu la Francia.

Fonte: Web

Morris 04-04-2008 14.12.06

Siete scrupoloso, Sir Hastatus.....lo leggerò accuratamente!!!! Grazie x i Vostri Servigi!

llamrei 04-04-2008 14.20.32

Io dovrò affrontare tale argomento prossimamente ma sarà incentrato comunque sul periodo medievale.
Se sarà consono a quanto qui riportato volentieri vi renderò partecipi dei miei approffondimenti

Morris 04-04-2008 14.48.42

Sarò ben lieto, Milady.

MonsieurHussard 06-04-2008 21.44.43

Carica di Insbuscenskij
 
A proposito di storia contemporanea della Cavalleria.. riporto un passo descrivente la carica di Isbuscenskij del Sten Massimo Gotta.. allora impiegato sul fronte Russo servendo il glorioso stendardo di Savoia Cavalleria... da leggere...


Mi svegliai di soprassalto ai primi colpi di mitragliatrice. Cercai di volgere lo sguardo verso la zona
da cui provenivano e vidi la notte punteggiata dalle fiammelle azzurre. "Ci siamo", pensai. Ero in
piedi ancora prima che il cervello cominciasse a funzionare e d'un balzo montai a cavallo.
Erano quattro giorni che non toglievamo le selle ai cavalli. Dormivamo quando e come era
possibile, distesi nella steppa, le briglie dei cavalli legate ai polsi. La situazione del fronte era
quanto mai confusa. Sapevamo soltanto che i russi avevano rotto il nostro schieramento sul Don e
che cercavano di sfruttare i loro successi iniziali con l'intendimento di aprire un varco alle spalle
delle truppe tedesche impegnate a Stalingrado. Il nostro compito era soprattutto di accorrere a turare
le falle più preoccupanti, di dare al nemico la sensazione di non potersi sentire sicuro in nessun
posto.
La sera del 23 agosto avevamo avuto l'ordine di tentare di raggiungere la sponda del Don ma il
sopraggiungere della notte aveva dissuaso il Colonnello Bettoni ad avventurarsi in una operazione
estremamente rischiosa a causa della fitta oscurità. Ci fermammo a quota 213,5 e ci sistemammo in
quadrato in attesa dell'alba. La notte era fredda, il cielo senza luna era costellato di stelle, il silenzio
profondo. Aleggiava intorno a noi una impressione di incubo; i cavalli immobili senza un nitrito.
Alle 3,30 il Colonnello fece uscire la pattuglia comandata dal Sergente Comolli del I° Squadrone
con compiti esplorativi: dopo poche centinaia di metri essa si scontrò con elementi nemici sistemati
a difesa. Immediatamente tutto lo schieramento nemico divampò tenendo sotto tiro il Reggimento
che aveva appena iniziato le operazioni per riprendere il movimento. Vi furono attimi di incertezza
ma poi le mitragliatrici del 4° Squadrone e i pezzi delle Batterie a Cavallo presero a rispondere
sparando a zero.
Si udì un ordine "2° Squadrone a cavallo!". In un attimo lo Squadrone "passò in riga" a plotoni
affiancati per tre, i mitraglieri con i basti sottomano e le armi alla sella, in formazione chiusa come
in piazza d'armi. Si fece una larga volta a mano sinistra, si prese il galoppo e finalmente vedemmo
dinnanzi a noi, bassissime, quelle fiammelle azzurre che ci centravano in pieno.
Il cuore mi diede una scossa nel petto e mi strinsi a Palù, sicuro di avere la sua protezione: sentii il
cavallo vibrare, tendersi in avanti conscio che qualcosa di meraviglioso stava per compiersi: la
vecchia cavalleria tornava ad essere una catapulta che piomba sul nemico, una forza sovrumana,
inarrestabile.
Sentivo il respiro affannoso dei cavalieri che a testa bassa urgevano alle mie spalle, ero sopraffatto
dall'impeto furioso dei cavalli che si scaraventavano sul nemico: si, anche i cavalli, di solito così
sensibili, così ombrosi, così facili a impressionarsi per un nonnulla, avanzavano ora con un galoppo
terribile, gli occhi dilatati nell'esaltazione della carica puntati sulle fiammelle azzurre delle
mitragliatrici. Fu nel momento preciso in cui la carica si scatenava che un cavaliere apparve al
fianco del Comandante dello Squadrone. Era il Maggiore Manusardi, che qualche mese prima aveva
lasciato il comando del 2° perché promosso di grado ed, in quel momento, era a disposizione del
Comando.
"De Leone, sono un tuo gregario - gridò - Voglio caricare con il mio vecchio Squadrone". Il
Capitano fece un cenno di assenso, mentre le fiammelle azzurre erano diventate paurosamente
vicine e i colpi fischiavano da ogni parte sopra le nostre teste, tagliando l'aria come staffilate, ed i
cavalieri avevano preso ad urlare il nostro grido di incitamento e di vittoria; "Savoia! Savoia!".
Vidi De Leone cadere col cavallo Ziguni che era stato trapassato da un colpo di fucilone controcarro
e vidi Manusardi assumere il comando dello Squadrone, brandendo come arma il frustino levato in
alto in atto di sfida. Eravamo ormai sui russi che ci balzavano incontro, chi cercando di colpirci, chi
correndo alla cieca nell'illusione di sottrarsi all'urto dei cavalli, chi sollevando le braccia in segno di
resa.
Ci trovammo in una posizione assai critica perché eravamo nel mezzo dello schieramento russo e
quindi sotto i colpi dei nostri che sparavano alla forsennata. Manusardi comprese il pericolo che
stavamo correndo e, urlando come un pazzo, riordinò le fila dello Squadrone e comandò una nuova
carica, in direzione opposta. Dal canto loro i russi, ripresisi dallo spavento ricominciarono a
bersagliarci di colpi, questa volta, alle spalle. Fu allora che sentii la voce di Pio Bruni che mi
gridava: " Smonta da cava llo! Palù sta morendo!". Questo grido mi stupì: non mi ero neppure
accorto che il mio vecchio, caro, generoso amico fosse stato ferito e tanto meno ferito a morte. Lo
guardai e vidi che sprizzava sangue da tutto il corpo: capii allora perché non riuscivo a trattenerlo:
era impazzito dal dolore: le mie mani erano tagliate dalle redini. Smontai di sella, lo tenni per le
redini ma egli si liberò dalla mano mi guardò e riprese il galoppo dirigendosi contro il nemico,
verso il Don, scomparve alla mia vista.
Saltai sul primo cavallo che mi capitò sotto mano, scosso, per riprendere il mio posto alla testa del
plotone: Torralta, che brucava l'erba senza il suo cavaliere, caduto alla prima carica, mi riportò
indietro ma giunta nei pressi del nostro schieramento cadde esanime, anch'essa colpita a morte.
La mia carica era finita. Raggiunsi a piedi le vicine nostre linee mentre vidi il 3° Squadrone agli
ordini del Capitano Marchio puntare a sua volta contro i russi ed il 4', appiedato, scattare all'assalto
all'arma bianca agli ordini di Silvano Abba.
Sulle posizioni nemiche la lotta si stava frazionando in cento episodi fino a che Savoia Cavalleria si
trovò ad essere padrone assoluto del campo, facendo un numero di prigionieri molto superiore ai
suoi stessi effettivi.
Passò del tempo. Il sole era salito alto nel cielo e l'aria si era fatta calda. Vidi allora lo Stendardo
sventolare glorioso nel cielo, vidi i nostri morti allineati in attesa di sepoltura, vidi la steppa
trasformarsi in un enorme posto di medicazione in cui il Tenente Mauro Piemonte medicava,
bendava, ricuciva italiani e russi indistintamente, vidi i nostri cavalli che ancora erano in grado di
camminare, nonostante le loro ferite, avviarsi lentamente verso la nostra base operativa. Cercai fra
loro Palù ma Palù non c'era.
Andai allora alla sua ricerca e, a piedi; ritornai sul campo di battaglia passando fra i morti, feriti e
soldati russi che mi gurdavano con assoluto disinteresse. Mi lasciai guidare dall'istinto.
Lo ritrovai a sera disteso al suolo fra i girasoli, nello stesso atteggiamento di sereno abbandono per
lui abituale quando, al termine delle marce, si sdraiava sulla paglia al mio fianco, nella stessa isba.
Vidi il suo candido mantello diventato vermiglio del suo sangue, vidi le sue ferite che lo avevano
finito, vidi i suoi occhi sbarrati ancora pieni di furore ed ebbi la sensazione di venire meno.
Mi inginocchiai vicino a lui, presi la sua bella testa fra le mie mani, rimasi a lungo, solo, con lui, in
silenzio.
Massimo Gotta


Un generale tedesco guardando tanta magnificenza esclamo: Che spettacolo, la nostra cavalleria (già equipaggiata di carri e blindo) non è più in grado di fare simili cose...

Ve l'ho allegato in modo da non dimenticare che di cavalieri veri ne abbiamo avuti anche 50 anni fa, ugualmente motivati e spinti da quel furore eroico e quel senso dell'onore di "fides et fidelitas" che li spingevano a dare la vita non tanto per la patria, per soldi o pezzi di terra.. ma quanto più per il proprio stendardo,per il nome e per la gloria.
Così come a Poloji, Jagodnji, Pozzuolo, Bricchetto e via dicendo.

Spero che il riporto sia stato di vostro gradimento.

Morris 13-04-2008 00.51.48

Certamente Monsieur!

Hastatus77 13-04-2008 14.42.44

Gran bel testo MonsieurHussard, grazie per averlo portato alla nostra attenzione.

Morris 13-04-2008 15.50.22

Cavalli, cavalieri ed imprese eroiche!


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