Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 09-01-2017 02.09.20

Le avventure di Tafferouille
 
Prologo



Anno del Signore 1697, ad Agnonone il malcontento popolare spinge una frangia di intellettuali borghesi, accesi dai trattati illuministici di un misterioso Dottor Numeriano, a mettersi a capo delle masse di contadini ed operai per strappare sempre maggiori concessioni al re ed alla nobiltà.
Ma la loro ambizione ben presto porterà a pretese inaccettabili, impugnate e respinte dell'aristocrazia.
Sempre più violente manifestazioni di dissenso portano ben presto il paese nel caos, tanto da spingere il re a riunire gli Stati generali, ossia un organo governativo di origine feudale del quale facevano parte i rappresentanti dei tre ceti sociali, cioè il Clero (Primo Stato), l'Aristocrazia (Secondo Stato) e la popolazione della città e della campagna (Terzo Stato).
Ogni richiesta però di quest'ultima viene respinta sistematicamente (ai primi due Stati bastava votare compatti per rendere nullo ogni peso politico del Terzo), così da spingere i rappresentanti del Terzo Stato a proclamarsi unico e solo legittimo organo di governo del paese.
E' la rivoluzione, che dopo scontri brutali porterà il popolo, animato e controllato dai borghesi, a prendere tutto il potere e proclamare la nascita di una repubblica democratica.
I borghesi che muovono i fili del popolo sono chiamati Cicalini, dal Palazzo della Cicala dove i giovinastri e gli studenti andavano a gozzovigliare ed a fare baldoria.
E la prima volontà della nuova repubblica liberale e di diritto, che faceva suoi i motti sull'uguaglianza e sulla libertà, è quella di mandare a morte tutti chierici ed i nobili del paese.
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LE AVVENTURE DI TAFFEROUILLE

Capitolo I: Tiranni ed olocrazia


"La democrazia, se degenera, diviene non più governi di molti e maggioranza, ma istinto di tutti e bestiale eccesso."

(Polibio)




Vi era nella regione di Agnonone un consolidato servizio di trasporto, carrozze che ogni settimana facevano la spola da entrambe le coste con tre fermate e per la somma di venti Scudi, l'equivalente di una Cumea Afragolignonese, vi avrebbero fatto coprire i cento e passa chilometri di viaggio in ventitré ore circa.
Così, attraverso le silenziose pianure dell'Arancionne, ancor più grigie e cupe nelle fredde giornate invernali, con quel percorso si arrivava alla capitale Ateienne, cuore pulsante politico ed economico del paese.
Qui non lontano dall'ampia distesa del fiume Vuldurne, il Sole aveva di nuovo fatto capolino dalle nuvole ed emanava la sua pallida luce invernale sulle acque gialle e sulle imbarcazioni dalle alte alberature.
Lungo i moli c'era un fermento simile a quello che si poteva a vedere su un qualunque porto di mare.
Marinai stranieri con il loro bizzarro abbigliamento e la parlata cruda ed aspra, pescivendole robuste con i cesti di aringhe sul capo e sottane voluminose sopra le gambe che reclamizzavano la merce con strilli acuti ed inarticolati, acquaioli con cappelli di lana e gli ampi pantaloni arrotolati fin su alle ginocchia, contadini con le loro giubbe di pelle di capra e le scarpe di legno rumorose sulle pietre dell'acciottolato, manovali dei cantieri navali, aggiustatori di soffietti, cacciatori di topi ed altri ambulanti.
E fra questa massa plebea si muovevano continuamente artigiani sobriamente vestiti, mercanti con le giacche bordate di pelliccia, calessini con a bordo qualche distinto gentiluomo di campagna o gentildonne che sfilavano nelle loro portantine, magari seguite da un servitore che le caracollava dietro ed anche ufficiali a cavallo dai modi sprezzanti.
Sull'accesso alla via maestra che portava alle porte della città stavano dei soldati a guardia di un posto di blocco, fermando tutti coloro che apparissero loro sospetti o che avessero in qualche modo attirato per un certo particolare strano o curioso la loro attenzione.
Davanti al drappello di militari passavano così in rassegna gente, animali e merci.
Un uomo alto e robusto, dal portamento pacato ma fiero e la voce mesta ma ben impostata arrivò davanti al caporale che presiedeva il blocco, mostrando i suoi documenti.
“E così” disse leggendo il bieco soldato “siete un contadino del Nord...”
“Si, signore.” Annuì a capo chino l'altro.
Il militare alzò allora gli occhi su di lui, per poi fare un cenno ai suoi uomini.
Con un gesto improvviso levò il cappello al contadino, facendo scivolare via anche la parrucca che doveva celarne le fattezze.
Tutti i soldati scoppiarono così a ridere forte.
“Eri proprio convinto di farmela, vero?” Il caporale all'uomo che ormai si era rivelato essere un nobile in fuga. “Con questa tua buffa mascherata?” Divertito. “Beh, la parrucca la terrò io, visto che domani non avrai più modo di usarla.” Ridendo con i suoi uomini.
“E sta bene...” il nobile tenuto fermo dai soldati “... sarà un onore per me fare la conoscenza di madama ghigliottina, l'unica cosa per bene rimasta ad Agnonone...” con un ultimo fremito di orgoglio “... per questo io grido... morte alla repubblica e sempre viva la Chiesa ed il re!”
“Portatelo via!” Ordinò con disprezzo il caporale ai suoi. “Idioti...” sorridendo “... è il quinto nobile che scopro in sette giorni. Ormai li riconosco a naso.” Sputando a terra. “E spero presto di beccare anche qualche chierico.” Con un ghigno.
Nel flusso umano che fluiva e rifluiva in quel luogo erano visibili i rappresentanti di tutte le classi sociali che andavano a costituire gli abitanti di quella industriosa periferia.
Su una stretta radura, più simile in realtà ad un rustico ed irregolare spiazzo agrario, stava una sorta di casa su ruote con tanto di piccolo comignolo, dal quale il fumo saliva in lente volute.
Tre pesanti cavalli fiamminghi stavano placidamente brucando l'erba nei pressi della bizzarra vettura.
Tutto ciò, insieme ad alcune figure in movimento, tutte impastoiate, rappresentava la celebre, per quelle zone, Compagnia Teatrale di Monsieur Ozillonne, diretta proprio in città per una serie di spettacoli da mettere in scena.
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+++

Clio 09-01-2017 02.26.38

Forse dovrei fermarmi, riposare.
Ma non posso, la capitale ormai non è lontana, anzi, le sue porte sono sempre più vicine.
Tutto questo sta diventando un'ossessione.
Quella spada pesante è ormai leggera nelle mie mani, i movimenti impacciati sono diventati fluidi, rapidi e veloci.
Sono mesi ormai che non faccio altro.
Mesi che colgo ogni opportunità per allenarmi.
Nulla ha più senso, se non la vendetta.
Nulla ha più valore se non questa spada.
La sua spada.
La mia spada.
Damasgrada.

"Io non ti lascio.." gli occhi spaventati e increduli.
"Va, Clio.." prendendomi le mani, lui "I soldati stanno arrivando.." mentre i rumori al piano di sotto erano sempre più possenti.
"Combatterò con te.." annuendo fieramente.
Lui sorrise e mi accarezzò i capelli senza dire niente.
"Se dovessero vederti con me, per te sarebbe la fine..." con uno sguardo infinitamente triste "Non gli permetterò di farti del male..".
"Ti uccideranno!" terrorizzata.
Lui mi strinse a sè.
"Morirò in pace, se so che tu sei salva.." dolcemente.
"No, non me ne andrò!" replicai.
"Testarda che non sei altro.." lasciandosi andare in un sorriso a cui risposi "Probabilmente come lei..".
Lo guardai sorpresa.
"Lei chi?" chiesi.
Allora si tolse la cinta con la spada, e la allacciò attorno alla mia vita.
"Ma.." protestai incredula "La tua spada..".
"Prendila.." con gli occhi nei miei "Non ho mai visto nessuno imparare a combattere così velocemente... sei nata per questo.." sospirando "Questa spada apparteneva a una donna avvolta nella leggenda..".
Mi illuminai.
"Quella del libro?" sorridendo tra le lacrime.
Il libro che lui mi aveva regalato, che mi faceva sognare più di ogni altro.
"Sì, lei.." annuì "La verità è che anche se la mia famiglia l'ha acquistata tempo fa, non è mai stata nostra... è tua, l'ho capito dalla prima volta che l'hai impugnata..".
"Ma io.." protestai, ma lui mi prese le mani.
"Ti prego, prendila.. portala con te..." con uno sguardo intenso in cui erano racchiuse tutte le paure di quel momento "Forse era questo il mio destino.." sorridendo "..portala con te, e non sarò morto invano!".
Non potei far altro che annuire, tra le lacrime.
"Io non ti lascio..." un'ultima, disperata, volta.
I rumori erano sempre più forti, sempre più pressanti.
Vidi i suoi occhi velarsi di lacrime, mentre i miei ormai ne erano invasi.
Allora mi baciò, con disperazione e trasporto.
Ormai erano dietro la porta.
Restammo abbracciati, fronte contro fronte, per un lungo istante.
"Vivi anche per me, Clio..." sussurrò, alzando gli occhi sui miei "Va ti prego..".
Alzai lo sguardo velato di lacrime, annuendo.
Corsi verso la scala di servizio, per poi voltarmi un'ultima volta a guardarlo.
Mi stava guardando con uno sguardo struggente.
Allora corsi verso di lui, un'ultima disperata volta, e lui mi prese tra le braccia, affondando il viso nei miei capelli.
"Ti avrei davvero reso la mia signora.." sussurrò, baciandomi tra i capelli.
"Lo so.." tra le lacrime.
In quel momento la porta cedette, e solo una corsa disperata mi impedì di essere vista dai soldati.


La mia signora, aveva detto...
Eppure mi aveva reso molto più di quello.
O forse tutto, tranne quello.
A stento riconoscevo il mio viso allo specchio, dov'era la ragazza spensierata che lui aveva conosciuto?
Quella che sognava solo di girare il mondo, di vivere avventure sempre nuove ogni giorno?
Certo, nessuno se n'era accorto.
Ero un'attrice, dopotutto.
Ero abituata ad indossare una maschera.
Ed era quello che facevo ogni giorno con gli altri membri della compagnia.
Indossavo una maschera.
La maschera di me stessa.
Nessuno sapeva che avevo imparato a combattere.
Nessuno sapeva perchè mi allontanavo veramente dal carrozzone nei lunghi pomeriggi di pausa.
Avevo detto loro di avere un innamorato trasferitosi in città, che non vedeva l'a di vedermi.
Loro sapevano di Jean, certo, ma gli avevo fatto credere di aver già dimenticato tutto.
"Un'occasione sprecata.." così l'avevo definito, ridendo "Potevo diventare contessa, ci pensate?".
Tutto lì, un bel ragazzo, la prospettiva di ascesa sociale, una storia struggente da raccontare.
Eppure ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo la sua testa ruzzolare giù dal palco.
"Ti vendicherò..." avevo sussurrato tra la folla urlante, stringendo Damasgrada.
Qualcosa di me era morto con lui quel giorno.
Forse l'innocenza di una ragazza spensierata.
Chi ero ora?
Non ero più solo la bella.
Quel ruolo che recitavo da sempre, con mille e mille storie.
Ero la fanciulla da salvare, la dama da conquistare, la servetta che si rivelava una principessa, la cortigiana da riscattare, la bella da far innamorare.
Avevo sempre amato quel ruolo, e forse nei miei sogni più segreti c'era la speranza che un giorno, l'Amore incontrollato e immortale dei nostri spettacoli arrivasse anche per me.
Ora però tutto era diverso.
Ora guardandomi allo specchio vedevo molto più di questo.
Vedevo un volto e un'espressione che non conoscevo.
Forse era quella, la vera me dietro la maschera.
Era ora di rientrare, mi sistemai, presi il cestino e mi diressi verso il carrozzone dove gli altri mi stavano aspettando.
Raggiunsi così il carrozzone, che sostava fuori città.
Il viaggio era stato lungo, e quella sosta ci voleva proprio.
Restai per un momento ad osservare il carrozzone, poi eccellerai il passo.
"Eccomi.." mi annunciai agli altri che erano già davanti al carrozzone della Compagnia Teatrale di Monsieur Ozillonne "Guardate un po' cosa ho trovato?" mostrando loro delle fragoline di bosco.

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Lady Gwen 09-01-2017 02.26.41

Il tempo.
Un concetto totalmente relativo, per me.
Un groviglio di minuti e secondi affastellati casualmente in una mera alternanza di giorno e notte, giorno e notte, da un mese, un anno, o forse due.
Ma, dopotutto, non era importante.
Ero ancora qui, sana e salva, cosa potevo avere di più?
Soprattutto, ero con lui.
O almeno, lui mi teneva con sè.
Il ricordo di quella notte era sfocato, confuso, lontano, come se appartenesse a qualcun'altro, e probabilmente era così.
Probabilmente, davvero quella Gwen non esisteva più, probabilmente ero un'altra ed ero sua, una sua preda, un suo bottino.
Non ricordavo il momento in cui avevo iniziato ad accettare tutto ciò, era come scattata una molla improvvisa.
Forse, scaturita dal fatto che avesse scelto me, quella notte, dal fatto che, nonostante fossi chiusa nelle mie stanze tranne sei giorni al mese, lui venisse spesso da me, per sapere come stavo, a guardarmi mangiare, a parlarmi e a volte sapeva essere piacevole, e non solo per merito dei suoi occhi neri.
Ero immersa nei miei pensieri mentre osservavo l'albero di melograno che si vedeva dalla finestra della mia camera.
Era stato la prima cosa che avevo notato, sembrava quasi un dipinto, racchiuso com'era nella cornice in legno della finestra, con quei frutti maturi, scarlatti e lucidi simili a ornamenti di festa.
Era appena venuta Anya, la governante, a chiamarmi per dirmi che potevo uscire; mi chiamava sempre dopo colazione.
Attendevo quei sei giorni di libertà con terribile ansia e impazienza.
Così lasciai la mia stanza, feci un veloce passaggio in biblioteca e poi mi sistemai sotto il melograno.
Sopra di me, i frutti scendevano giù come pendagli splendenti al Sole, simili a una pioggia rossa che mi avvolgeva.
Quello che mi accingevo a leggere, era il mio libro preferito.
Raccontava il mito di Ade e Persefone.
Appena lo avevo letto la prima volta, avevo notato un'incredibile somiglianza fra me e Persefone, la nostra vita, il nostro destino.
L'uomo che avevamo accanto.
Mi piaceva perdermi nell'attesa di Persefone di quei sei mesi in cui avrebbe riabbracciato la madre sulla terra, lasciando il regno dei morti.
Mi rivedevo molto in lei, in questa giovane forte e mi piaceva credere che, dopotutto, anche lei avesse finito con amarlo a sua volta.
Aprii così il libro ed iniziai a leggere.


Un giorno, Ade decise di salire sulla Terra e di non tornare nel proprio regno fino a quando non avesse trovato moglie.
Durante il suo girovagare nel Regno dei Vivi, giunse nella Trinacria orientale. Entrò in un boschetto e sentì delle risate squillanti; scrutò verso il torrente, che scorreva nella valletta sottostante e scorse un gruppo di bellissime fanciulle che giocavano in acqua.
Ade si rese invisibile grazie a un elmo incantato realizzato per lui dai*Ciclopi*e scese per la ripida china della collinetta.
Allora si fermò ad osservare quelle splendide ragazze, una in modo particolare: aveva grazia e bellezza e pensò che fosse senz’altro la figlia di una dea.
Proprio in quell’istante, le fanciulle cessarono di giocare.
Si tuffarono tutte insieme e guizzarono via veloci; poco dopo, erano già scomparse.
Ade comprese che si trattava di ninfe che vivevano nei fiumi e lungo le coste di quell’angolo di Trinacria.
Una di loro però era rimasta: era*Persefone, proprio quella che aveva attirato la sua attenzione.
Ade decise di non lasciarsi sfuggire l’occasione che gli si era presentata ed escogitò un piano. Fece spuntare un meraviglioso fiore e rimase in attesa.
Persefone, avvolta nel suo telo di lino bianco, mentre si chinava per allacciarsi i sandali, scorse tra l’erba un fiore che non aveva mai visto. Tese la mano per coglierlo e, quando tirò lo stelo, sotto di lei si aprì una voragine, che la inghiottì.
Dopo una caduta che sembrava senza fine, Persefone si sentì afferrare da braccia possenti. Aprì gli occhi e vide vicinissimo al suo volto il volto di Ade, dai lineamenti duri, dal pallore della morte, coperto da una folta barba ispida, irsuta e nera come il carbone; neri erano anche i suoi capelli scarmigliati e neri erano anche i suoi occhi incavati e persi nel nulla. La ninfa comprese che non aveva via di scampo.
Intanto*Demetra, madre di Persefone, dea della terra coltivata, protettrice delle messi e in particolare del grano, tornava alla sua reggia e non trovandovi sua figlia andò a cercarla nel meraviglioso giardino.
Non vi trovò nessuno e allora andò a cercarla presso il torrente; osservò le rive, scrutò nei cespugli, si addentrò nel bosco, ma non trovò traccia della figlia.
Girovagò per giorni e giorni; chiese a chiunque incontrasse, ma nessuno parlava per timore di incorrere nelle ire del dio dell’Oltretomba.
Alla fine si rivolse a*Elios, il Sole, che, vedendo tutto ciò che avviene, le rivelò l’accaduto. Lo sdegno di Demetra fu grande: non volle più salire sull’Olimpo*accanto agli altri*dèi, non volle più ascoltare le preghiere degli uomini e maledisse la terra rendendola improduttiva e sterile.
Zeus, allora, preoccupato per le sorti del genere umano inviò*Ermes, il suo messaggero, da Ade.
In un primo tempo, Ade non volle saperne di rimandare Persefone sulla Terra, ma alla fine la volontà di Zeus vinse ogni resistenza: Persefone sarebbe stata per sei mesi nel Regno delle Ombre, generando un lungo e freddo inverno, e per gli altri sei sulla Terra, presso la madre Demetra, portando il raccolto e la primavera.


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Finita di leggere l'introduzione, sfiorai il ciondolo a forma di melograno in oro e granati che portavo al collo.
Me lo aveva dato appena arrivata qui, dicendomi di non toglierlo, poiché era la prova che io ero sua, una sua conquista.
Non catene, o corde.
Un ciondolo.
In tutto quel tempo avrebbe potuto fare di me tutto ciò che voleva, trattarmi nella peggiore delle maniere, ma non lo aveva fatto e non potevo non essergli grata.
Magari, prima o poi, anche lui avrebbe finito col sentire quell'affetto che io provavo per lui.
Arrossii appena a quel pensiero e cercai di allontanarlo, scuotendo appena la testa e rimettendomi a leggere, giocherellando con la fine catenina del ciondolo.
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Nyoko 09-01-2017 02.39.44

Il buio.
Un ombra immensa che chiude le porte della luce e delle forme. Al buio, una bella bambola di porcellana, può essere perfettamente scambiata per chissà quale entità malvagia. Il sole per me si è spento, non ha che una vaga ombra nella mia memoria. Il cielo che lo ospitava è diventato come quando è notte, ma senza stelle o nuvole. Chissà se è giorno o notte? La cecità che mi è stata imposta la definirei una gabbia, una prigione senza lucchetto, dalla quale comunque non puoi fuggire. Una tomba nera ancora da chiudere, il senso di vuoto totale, quando tendi una mano verso il nulla, teso nell'attesa di sfiorare qualcosa: un oggetto, un muro, una persona, accarezzarne il volto e riconoscerne i tratti. Il buio s'è fatto presto vivo in me, oscurando il mio mondo. Vivo così da quel giorno, quel terribile giorno in cui persi gambe e occhi, e da allora sono bloccata qui, fra il letto ed una carrozzella. Una sedia con le ruote, poco elegante per la mia nobile famiglia. Ricordo quegli attimi felici quando ero ancora libera da questa gabbia nera e potevo danzare, la mia grande passione, sui prati del giardino di casa mia. Mi manca poter correre fra i fiori di mille colori posti alla riva del grande lago blu di fronte casa mia. Era bello poter leggere un libro sulla riva del lago o anche solo ammirarlo durante il tramonto. All'alba, vestita di abiti umili e comodi, mi piaceva raggiungere le rive di quel magico lago e immergermi piano. Aveva sempre la stessa temperatura, non sapendo nuotare mi fermavo lì, a pochi passi dalla riva con l'acqua tiepida che mi carezzava il busto. Se mi avessero visto i miei genitori mi avrebbero senz'altro sgridata. Ma io amavo quelle sensazioni. Sensazioni che non potrò mai più sentire, solo ricordare, finché la memoria avrà cura di rimanere. Ora sono in questo letto, che so ha un morbido lenzuolo di seta bianca, abbracciato da un caldo lenzuolo rosa e grigio. Il letto a baldacchino non cambierà mai, a meno che non lo spostino durante una delle mie passeggiate. Mio padre mi aveva riempito di badanti, una per il bagno, una per le passeggiate, una per lo svago, una per compagnia, una per il cibo, una per ogni cosa insomma. Ma non ne potevo più. Desideravo solo poter uscire da quel incubo. Incubo che sapevo sarebbe durato per sempre. Già, per sempre.
I sogni hanno ancora il loro colore, l'unica finestra che ho al mondo. Chissà se non è tutto un sogno invece... Chissà se sto sognando e al mio risveglio, tutto il mondo abbia ripreso la sua giusta corrente. Mio padre, un uomo molto facoltoso, proprietario di una prestigiosa fabbrica, si prende cura di me, anche se mi reputo la sua ennesima disgrazia, dopo la morte di mia madre. Mi metto a sedere con le mie forze, non potrò usare le gambe, ma le mie braccia possono servire ancora a qualcosa. Cerco allora sul comò vicino al letto per trarne una collana http://uploads.tapatalk-cdn.com/2017...f30ac0f5f2.jpg l'unico ricordo rimasto di mia madre. Mi piace tenere quel ciondolo fra le mani, sentire la pietra morbida e fredda fra le dita e il laccio di cuoio a tenerla ferma. Non dimenticherò mai due giorni della mia vita: il giorno in cui mia madre mi donó quella collana, e il giorno in cui ebbi quell'incidente... Quel terribile incidente che mi costò caro...
Mi voltai verso la porta, sapevo a memoria com'era la mia stanza e sapevo, che se era giorno, a breve sarebbero entrate le badanti... Pronte a farmi iniziare un nuovo giorno in questa vita ormai senza senso.http://uploads.tapatalk-cdn.com/2017...bbdf2c9545.jpg

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Altea 09-01-2017 15.31.57

Entrai nella fredda stanza e mi spogliai, rimasi a guardarmi allo specchio, nel bustino la collana..ovvero ciò che ero, mi si strinse il cuore pensando ai miei genitori. Guardai sopra la poltrona il vestito che la suora mi aveva premurosamente fatto acquistare coi vestiti guadagnati..scarlatto..l' indomani dovevo recarmi al mercato e lei ci teneva facessi una degna figura, ovviamente non era sontuoso ma almeno non mostrava ciò che ero...una orfana, ma lei mi trattava diversamente dagli altri.

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Figlia di nessuno..o del mondo.
La mia vita o meglio quella dei miei veri genitori deve essere stata travagliata.
La suora mi narrò mi portarono molto piccola e mi lasciarono davanti all' orfanotrofio in una fredda notte d'inverno.
Mi trovarono lei ed il frate e vi era un biglietto dove si chiedeva di salvarmi e tenermi al sicuro per tutta la vita visto loro erano in pericolo, si diceva fossero nobili nell' orfanotrofio ma solo la suora lo sapeva come altri chierici.
Chissà perchè mi affidarono alle sue cure, ella disse non sapeva nemmeno se fossero sposati e sicuramente volevano farmi scappare da un pericolo o minaccia.
Sopra al piccolo corpicino vi era una spada preziosa con uno smeraldo verde, come i miei occhi, al centro dell' elsa e vicino vi era intarsiata una effige di una Croce, segno di devozione al Clero. Mentre al collo portavo una collana con dei fiori di agata rosa e una figura fatata al centro che regge lo stemma di un casato: una quercia e una testa di grifone.
E poi trovarono una lettera ma la suora la custodisce gelosamente..li vi stanno i misteri della mia vita che nemmeno lei ha voluto leggere.

Sono Altea, vivo presso il tanto temuto o amato orfanotrofio di San Giovanni, ormai aiuto la suora con i ragazzini più piccoli, i bambini e i nuovi venuti, aiuto nella mensa dei poveri della Chiesa qui vicino e spero di non dover fare la governante o cameriera a qualche nobile donna o uomo annoiato.
Non pensiate io sia acqua e sapone, un agnellino...ho il mio bel carattere ed infatti sogno un bell' avvenire per me.
Le mie notti sono tempestate non di stelle ma strani sogni dove vedo ombre e sento voci indefinite ma la suora dice sono frutto del mio subconscio.

Mi misi a letto e subito mi addormentai, la notte passò..come sempre..mille pensieri e incubi..ero sempre irrequieta, come se qualcosa di predestinato dovesse succedermi e non sapessi se nel bene o nel male..pure per ottenere le belle cose si doveva soffrire a volte.

"La figura camminava nella stanza e io guardavo ma non riuscivo
a focalizzarla, era celata.."Chi siete..chi siete?" rannicchiandomi.
Ma nessuna risposta, si avvicinò e mi posò una rosa..rossa..sopra le bianche lenzuola e la guardai..cosa significava..rossa come il sangue o vi era altro..".


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Mi svegliai improvvisamente madida di sudore guardando le lenzuola con gli smeraldini occhi e attorno alla stanza.

Guisgard 09-01-2017 17.21.00

Clio col suo cestino di fragole avanzava verso il carrozzone e gli altri membri della compagnia.
Erano un gruppo bizzarro eppur attraente, tutti pervasi da un'aria di gaiezza.
Fingevano di non avere preoccupazioni e facevano battute sulle tribolazioni della loro vita nomade.
Apparivano curiosamente ed amabilmente artificiosi, istrionici anche nell'occuparsi delle mansioni più ordinarie.
Insomma sembravano appartenere ad un altro mondo, pomposo e barocco, ampolloso e scenografico.
Il loro numero, esclusa la stessa Clio, era di sei, cinque uomini ed una donna e si rivolgevano l'un l'altro usando perlopiù i nomi di scena.
Nomi che rappresentavano le rispettive particolarità, fisiche e caratteriali.
"Noi" disse Ozillonne mentre declamava una sorta di motto per pubblicizzare la sua compagnia "siamo una delle poche, autentiche ed irriducibili compagnie teatrali che si rifanno alle tradizioni della vecchia ed immortale Commedia dell'arte Afragolignonese."

Clio 09-01-2017 17.27.26

Distribuii le fragole agli altri, spensierata e gaia.
Avevo già indossato la mia maschera, e nessuno poteva sospettare in che modo avessi passato quel pomeriggio invernale.
Ormai la città era vicina, e il mio piano poteva finalmente prendere forma.
Ma dovevo essere paziente, paziente e imperscrutabile.
Nessuno avrebbe dovuto sospettare, tutti avrebbero dovuto credermi la solita Bella di sempre, senza pensiero alcuno che il sospiro per qualche innamorato.
La compagnia era ormai riunita, e immaginai che stessimo per partire.
"Quando ripartiremo?" chiesi sorridendo ad Ozillonne, sedendomi poco distante ad osservare la città in lontananza.

Guisgard 09-01-2017 17.30.29

Immersa nella lettura e sfiorando il suo ciondolo, Gwen non si era accorta che nel cortile del Palazzo, una vecchia magione aristocratica ed ora divenuta ritrovo rurale di quell'irrequieto giovane dal carattere intrattabile e ribelle, Anya più volte aveva accompagnato il vecchio fattore che portava in spalle sacchi e ceste piene e traboccanti.
Vedendoli si sarebbe potuto pensare ad una festa.
Dopotutto il giovane padrone aveva spesso amici di baldoria a cena nel palazzo e la cosa dunque non doveva sembrare a Gwen così insolita.
"Stasera" disse all'improvviso Anya arrivando alle spalle della giovane "è preferibile un tuo ritiro anticipato nella tua stanza." Fissandola.

Lady Gwen 09-01-2017 17.36.47

Vedevo distrattamente con la coda dell'occhio movimenti nel cortile, ma non me ne curai più di tanto, poiché non era insolito.
Finché non arrivò Anya.
Alzai lo sguardo dal libro.
"Come mai?" chiesi, non era capitato fin'ora che dovessi rientrare prima quando potevo uscire e la cosa un po' mi pesava.

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Guisgard 09-01-2017 17.45.01

Nel buio della sua stanza, vuota di luce e colma di silenzio, Nyoko fissava il punto in cui sapeva essere la porta.
La fissava come se attendesse l'arrivo di qualcuno da un momento all'altro.
Un attimo dopo la porta si aprì ed entrò una delle badanti.
"Buongiorno, signorina." Disse Anne, la più giovane e vispa delle badanti che il padre di Nyoko aveva voluto accanto a sua figlia.
L'unica fra loro a rivolgersi a lei col titolo, se possiamo dire così, di signorina.
Le altre la chiamavano cittadina, compagna o anche solo Nyoko.
Erano questi infatti i modi preferiti ormai dalla gente per rivolgersi ai propri simili.
I preziosi epiteti aristocratici e cortesi non erano più in voga e soprattutto non erano ben visti dalla gente dopo che la repubblica li aveva pubblicamente condannati.
Così come i modi che un tempo si usavano nel parlare ai chierici.
"È freddo oggi" aprendo le tende delle finestre Anne "ma è una giornata pulita ed asciutta. Per fortuna aggiungerei io, visto che dell'umidità dei giorni scorsi non se ne poteva più." Sorridendo. "Su, vi aiuterò a vestirvi e poi scenderemo giù per la colazione." Annuendo. "Stamani ci sono le focacce al miele."


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