Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 24-07-2013 03.59.52

Gioia, il fiore e occhi d'argento
 
Nella cultura Capomazdese oltre al piacere di raccontare, di narrare grandi gesta ed imprese, ogni storia, sia essa scritta o anche solo orale, possiede un significato, un insegnamento.
Questa favola mi fu raccontata dalla moglie del mio precettore.
E alla fine, quando le chiesi del suo significato, ella rispose: “Lo capirai da te, mio signore, quando divenuto adulto sarai anche felice... o forse, essendo tale, non avrai bisogno di saperlo quel suo significato, poiché il tuo cuore lo conoscerà da sè...”
Ed io ora qui vi narrerò questa favola come fu raccontata a me da piccolo...


Una donna aveva tre figlie, Bella, Gaia e Gioia, e a ciascuna insegnò il suo mestiere, quello della lavandaia.
Così, ogni giorno, le tre ragazze si recavano al fiume per lavare i panni sporchi.
Erano ragazze molto belle, le più ammirate del paese.
E proprio qui al fiume, un giorno, incontrarono tre fratelli fiorai.
I tre giovani, nel vederle, si accesero d'amore ciascuno per una delle ragazze e decisero allora di chiederle come mogli alla lavandaia.
La donna accettò e le tre ragazze furono molto felici di questo.
Trascorsero così alcuni mesi e nonostante le difficoltà dettate dalla povertà, lavandaie e fiorai non navigano certo nell'oro, l'amore dei tre fratelli per le tre sorelle sembrava in grado di superare le difficoltà della vita.
Questo fino a quando una sera i sei innamorati parteciparono alla festa del Santo Patrono del paese.
Qui, tre signorotti, nel vedere le tre lavandaie, se ne invaghirono e cominciarono a corteggiarle.
L'unica però che respinse con cortesia quelle galanterie fu Gioia.
Le altre due sorelle invece, attratte dalle ricchezze dei signorotti, cominciarono subito a fare gli occhi dolci a quei nobiluomini.
Davanti a tutto ciò, i due fiorai mandarono a monte le nozze e lasciarono le due sorelle troppo civette.
Queste però, giustificarono il loro comportamento agli occhi della madre.
“Essere felici” dissero “senza avere la possibilità di godersi la vita è inutile. E noi preferiamo vivere una vita tranquilla e agiata, anche senza slanci, purchè in ricchezza, che un'esistenza felice ma colma di stenti. Anzi, se arrivasse a prenderci come serve il demonio stesso, rivestendoci però d'oro, andremmo con lui di certo!”
Le madre, a quelle loro parole, le ammonì severamente, ma le due sembravano convinte di quanto detto.
Trascorsero poi solo pochi mesi e una grande guerra scoppiò nel reame.
I due signorotti furono uccisi in battaglia e il fioraio innamorato di Gioia finì prigioniero.
Così le quattro donne, ancora più sole e povere, dovettero far fronte a stenti ancora più grandi.
Fino a quando un giorno alla loro porta bussò un uomo.
Era abbigliato come un gran signore, dal portamento fiero e i modi cortesi.
“Ho saputo” disse alla lavandaia “che avete tre figlie. Io vivo in un gran palazzo e mi occorre una donna di servizio. Se la vostra figlia maggiore, Bella, verrà con me io le darò un Taddeo d'oro al giorno.”
L'offerta era ottima, ma la donna era rimasta inquietata da un particolare.
Quell'uomo aveva gli occhi d'argento.
Tuttavia, Bella accettò e la madre, un po' a malincuore, la lasciò andare con quell'uomo misterioso.
E dopo un lungo cammino, i due giunsero ad un immenso palazzo ai piedi di una montagna.
Una volta dentro, l'uomo dagli occhi d'argento mostrò tutte le torri a Bella, dandole le chiavi di ognuna.
“Questa però” dandole l'ultima chiave “apre una torre, la più alta del palazzo, in cui per nessun motivo dovrai accedere mai. Intesi?”
La ragazza annuì e cominciò il suo lavoro nel palazzo.
Giunta la notte, quando le si addormentò, l'uomo entrò nella sua stanza e adagiò tra i suoi capelli una rosa.
Al mattino Bella, svegliandosi con quella rosa fra i capelli, restò sorpresa e piacevolmente contenta.
La sistemò meglio fra le ciocche e cominciò il suo lavoro.
Verso le tre del pomeriggio l'uomo però la informò di una sua uscita per delle faccende: doveva portare un grosso baule in un paese vicino.
Ma appena l'uomo lasciò il palazzo, Bella, vinta dalla curiosità, prese la chiave e corse verso la torre segreta.
Percorse le scale fino in cima e allora le apparve una scena terrificante.
Dalla cima si poteva vedere, ai piedi del dongione, un fossato ricolmo di pece ardente, con decine di ragazze, vestite di stracci, dai volti scarni, i capelli sporchi, piaghe e lividi dappertutto, mentre vermi e ratti ne consumavano pian piano le membra.
E il calore delle fiamme che saliva in cima a quella torre fece appassire subito la rosa fra i capelli di Bella.
Spaventata e disgustata, la giovane uscì dalla torre e cercò di scappare dal palazzo, ma nel cortile vide rientrare l'uomo dagli occhi d'argento.
Lei allora tentò di apparire calma, ma lui si accorse subito del fiore appassito fra i suoi capelli.
“Ah, è così!” Tuonò. “Così mi obbedisci?”
La riportò nel palazzo e in cima a quella torre, per poi precipitarla di sotto nel fossato, insieme alle altre sventurate.
Il giorno seguente, l'uomo dagli occhi d'argento ritornò dalla lavandaia.
“Perdonatemi, ma il lavoro nel mio palazzo è tanto e vostra figlia da sola non riesce a completarlo tutto. Vorrei prendere a servizio anche l'altra.”
Così pure Gaia andò con lui.
E al castello l'uomo mostrò anche a lei tutte le torri, ammonendola però dal visitare l'ultima.
Di notte poi, come aveva fatto con l'altra sorella, entrò di nascosto nella stanza di Gaia e le posò un gelsomino nei capelli.
Il mattino seguente avvertì la ragazza di alcune faccende che lo attendevano in paese.
Prese di nuovo il grosso baule e alle tre del pomeriggio uscì.
Appena l'uomo ebbe lasciato il palazzo, vinta dalla curiosità, Gaia corse su quella torre.
E lo spettacolo la sconvolse.
Riconobbe anche sua sorella tra quelle disgraziate e per la paura scappò via.
Ma incontrò l'uomo sulle scale e lui si accorse che anche in questo caso il fiore fra i capelli della ragazza era appassito.
E per la rabbia gettò dalla torre anche lei.
E di nuovo, il giorno seguente, quell'uomo si presentò dalla lavandaia, chiedendo i servigi della terza figlia, giustificando il tutto con il troppo lavoro nel suo palazzo.
Così anche Gioia seguì l'uomo dagli occhi d'argento nella sua dimora.
Giunti, mostrò poi alla ragazza le chiavi delle torri del castello, compresa quella dell'inaccessibile e misterioso torrione segreto.
E anche a lei, entrando di nascosto nel cuore della notte nella sua stanza, mise un fiore, un'orchidea, fra i capelli.
Il giorno seguente, sempre alle tre, l'uomo si recò in paese ancora col suo baule, ma prima di scendere e cominciare il suo lavoro, Gioia, guardandosi allo specchio, aveva visto l'orchidea fra i suoi capelli.
Ella amava i fiori perchè le rammentavano il marito prigioniero e in suo ricordo pose l'orchidea in un bicchiere d'acqua affinchè non appassisse.
Ma poi, trovandosi da sola nel palazzo, decise di soddisfare la sua curiosità.
Prese la chiave e corse in cima alla torre segreta.
Anche a lei, allora, apparve quel terribile spettacolo e fra le donne riconobbe le sue sorelle.
La disperazione e la paura furono sul punto di prenderla, quando poi riuscì a controllarsi.
Scese dalla torre e corse nella sua stanza.
In quel momento udì il ritorno dell'uomo.
Prese allora l'orchidea e la ripose fra i capelli, per poi scendere e salutare l'uomo.
Questi, nel vedere il fiore intatto fra i capelli di lei, restò sorpreso e compiaciuto.
Allora volle premiare la sua fedeltà ed obbedienza, facendo preparare una sontuosa cena in suo onore.
La ragazza finse così per tutta la sera, celando nel cuore quell'orribile segreto.
Giunse la notte e chiese di potersi ritirare, fingendo di aver bevuto troppo e di avere per questo dei capogiri.
Si chiuse nella sua stanza e fece finta di addormentarsi.
Ma nel cuore della notte, quando tutto il palazzo dormiva, uscì dalla sua camera e raggiunse quella in cui l'uomo teneva il baule con cui usciva ogni giorno.
Lo aprì e vi trovò dentro decine di candele usate.
Tante quante erano le ragazze nel fossato di fuoco ai piedi della torre misteriosa.
Le tolse tutte, le nascose e si rinchiuse lei stessa nel baule.
Al mattino, non vedendola scendere, l'uomo dagli occhi d'argento pensò che dormisse ancora a causa del vino bevuto a cena e la lasciò riposare.
Alle tre, prese allora il baule ed uscì.
Giunse poi sulle sponde di un fiume e scaricò il contenuto nelle acque, senza accorgersi di aver gettato la ragazza in acqua e non le candele.
La ragazza allora nuotò fino all'altra sponda sott'acqua e raggiuntala scappò via fino a casa.
E mentre correva sentiva grida festanti attorno a lei.
La guerra era finalmente finita ed il paese era in festa.
Tornò a casa e riabbracciò sua madre, raccontandole l'accaduto.
E poche ore dopo anche suo marito ritornò, finalmente liberato dalla prigionia.
I due poterono così coronare il loro sogno d'amore, divenendo marito e moglie.
La loro bottega di fiori cominciò a fruttare molto, perchè la gente dopo la guerra non voleva più sentire parlare di armi, ma solo d'amore, dando così ai due una vita agiata.
Eressero poi una grande Croce di legno nel loro giardino e da quel giorno non sentirono più parlare dell'uomo dagli occhi d'argento.
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Altea 24-07-2013 15.15.15

Anche questa una storia un pò gotica ma affascinante...un pò mi è sembrata la storia di Barbablu che leggevo da piccola.

elisabeth 24-07-2013 16.38.40

Le bellissime storie che dovrebbero ancora insegnarci qualcosa.........:smile_clap:

Clio 24-07-2013 16.55.20

Devo dire che le storie che ci donate sono sempre più belle, appassionanti, ma soprattutto profonde.
Pur essendo ambientate in luoghi senza tempo, parlano alle nostre vite, aiutandoci a capire e riflettere.
Ma forse è proprio questa la funzione di queste storie..

Siete stato circondato da persone molto sagge, Milord.

Vi ringrazio di aver voluto condividere con noi questo racconto... :smile:

Taliesin 24-07-2013 17.51.55

Cavaliere dell'Intelletto...
Nell'incertezza di questi tempi bizzari dominati dalle foschie e dale nebbie di circostanza, le vostre storie, immerse nell'assolata indifferenza di un'Agorà stanca e troppo civilizzata, sono come nettare di mele cotogne, che si adagiano sul palato delle anime sensibili e ti lasciano una strana voglia di tenerezza....

Taliesin, il Bardo

Talia 25-07-2013 15.37.38

Ho letto questa storia qualche giorno fa, ma poi... poi non scrissi niente. Forse perché, leggerla, mi aveva lasciata con una curiosa sensazione in fondo al cuore... o forse solo perché non mi sembrava di avere niente di così saggio, o profondo da dire... forse perché temevo che le mie parole sarebbero potute risultare frivole, o persino sciocche, dopo la vostra magica storia, mio signore...
Oggi l'ho riletta... e qualcosa di ancora nuovo mi ha attraversato il cuore e l'anima...
Grazie, mio signore... anche se voi sostenete che ci sono casi nei quali non andrebbe detto...


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