Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 06-12-2011 04.51.06

Il Romanzo della Margherita
 
Tutto cominciò una notte non troppo diversa da questa, quando un viaggiatore trovò ospitalità in un castello.
Fu invitato a sedersi accanto al fuoco e ad ascoltare un bardo che narrava di un cavaliere e delle meraviglie della sua margherita.
Un narrare a cavallo tra il passato e il presente, tra i ricordi e i sogni.
Sogni che stanotte hanno come unico uditorio la Luna ed il suo pallido alone...


Quei lunghi pomeriggi autunnali in cui si usciva da scuola…
L’aria finalmente più fredda, la luce tenue e un po’ malinconica del Sole sulla stanca e statica periferia della città, le prime luci delle auto per le strade.
E poi un campetto di calcetto, le vetrine con i modellini dei robot che si vedevano in città e noi liberi finalmente dai compiti assegnatici in classe.
“Ehi, guardate!” Indicò all’improvviso uno dei ragazzini del gruppo. “Ci sono le giostre oggi in città!”
E tutti noi allora a correre verso quel Paese dei Balocchi.
“C’è anche il tiro a segno!” Feci io al gruppetto. “E guardate tra i premi… ci sono anche dei modellini di robot!”
“C’è anche una bambola uguale alla mia!” Esclamò all’improvviso Maria, stringendo a sé la sua inseparabile bambola.
Sul bancone del tiro a segno in palio c’erano infatti dei magnifici giocattoli: dai robot che si vedono nei cartoni alla tv, ai peluches, alla bambola come quella di Maria.
Cominciammo allora a sparare, sperando di colpire e vincere qualcuno di quei magnifici premi.
“Non l’ho neanche sfiorato…” mormorò uno dei ragazzini che aveva, come gli altri, mancato il bersaglio.
“Provo io…” dissi io “… da grande diventerò un pilota spaziale e avrò un robot tutto mio… ma nel frattempo mi porterò a casa uno di questi!”
“Vai, Guis!” In coro i ragazzini.
Il colpo partì e colpì sulla testa il modellino, che vibrò per qualche istante, senza però cadere nella cesta sottostante.
“Accidenti che sfortuna!” Esclamò deluso uno del gruppo.
“Sei una schiappa.” Disse all’improvviso un ragazzino arrivato dalla strada. “Guarda e impara.”
Sparò allora al modellino e questo cadde nella cesta dei premi.
“Hai visto?” Fissandomi con l’aria di chi è sicuro di sé, per poi, preso il robot vinto, andare via.
“Chi è quello?” Chiesi ai miei compagni.
“Si chiama Luke…” rispose uno di loro “… lasciamolo perdere… è una testa calda e non ha nemmeno un amico.”
Girammo un po’ per le giostre, poi ognuno tornò a casa propria.
Io però ripensavo a quel modellino di robot che avevo mancato.
Il giorno dopo ci ritrovammo tutti, come sempre, a scuola.
Maria era però triste: la sua bambola si era rotta.
I genitori avevano girato vari negozi, ma sembrava introvabile.
Il giorno seguente non venne a scuola perché il papà, vista la sua tristezza, l’aveva portata fuori città, nella loro casa in collina.
Io, quel pomeriggio, invece vagavo solo e pensieroso per la periferia della città, fino a quando mi ritrovai nel campetto dove i ragazzini venivano a giocare a calcetto.
Vi era un pallone e cominciai a palleggiare.
“Lascialo, è mio!” Era Luke. “Non voglio che tu ci giochi!”
Lo fissai per qualche istante, per poi allontanarmi.
Un attimo dopo alcuni ragazzi circondarono Luke.
“Sei scemo e non hai nemmeno un amico!” Prendendolo in giro uno di loro.
“Andate al diavolo!” Fece Luke.
“Diamogli una lezione!” Propose uno di quelli.
“E tu chi sei?” Mi domandò improvvisamente uno di loro.
“Un amico di Luke.” Risposi io, attirato dalle loro voci.
E vistici in due, quei ragazzini decisero di desistere con le loro provocazioni.
Andati via loro, presi l’uscita dal campetto anche io.
“Aspetta…” mi chiamò Luke.
Mi voltai.
“Perché l’hai fatto?” Mi chiese.
“Perché le loro voci mi irritavano…” risposi “… e poi detesto vedere cinque prepotenti che fanno i gradassi contro uno… beh, ora ti saluto…”
“Aspetta…” avvicinandosi lui “… ti va di fare qualche tiro col pallone?”
Sorrisi e passammo il pomeriggio a giocare in quel campetto.
Alla fine, stanchi, ci stendemmo a fissare la città.
“Alle gambe devi mirare…” disse all’improvviso Luke.
Lo fissai incuriosito.
“Per colpire il modellino…” guardandomi lui “… devi colpirlo alle gambe, non alla testa o al busto. Solo così lo farai cadere.”
Sorrisi.
“Ora devo andare…” alzandosi lui, per poi sparire nel crepuscolo.
Il giorno dopo, usciti da scuola, tutti noi tornammo alle giostre, di nuovo al banco dei modellini.
Mancava solo Maria.
Lanciai una moneta sul bancone all’uomo del bersaglio e presi un fucile.
“Vai, Guis!”
Mirai al modellino di robot più bello.
Era quello che vedevo ogni giorno alla tv, quello che desideravo più di ogni altra cosa.
Un attimo dopo, però, cambiai direzione e mirai alla bambola.
Non so perché.
Era identica a quella di Maria.
“Alle gambe devi mirare…” rammentai le parole di Luke.
Mirai alle gambe della bambola e sparai.
Quella vibrò e poi cominciò a roteare su se stessa, fino a barcollare e cadere nella cesta.
“L’ho colpita!” Urlai io.
“Ma… Guis… perché la bambola?” Mormorò uno dei miei amici.
“Già… non è che ti piace Maria?”
Li fissai.
“Io da grande diventerò un pilota spaziale” risposi “ed avrò un robot vero, tutto mio! Non mi servono questi giocattoli!”
Presi la bambola e corsi via.
Giunsi davanti alla casa di Maria e vi restai per un po’.
“Guis, sei tu!” Correndo fuori lei.
“Ciao…” feci io “… passavo di qui e… a proposito… come stai?”
“Meglio… anche se non ho più la mia bambola…” fissandomi “… nei negozi ormai non si trova più…”
“Capisco…” mormorai “… era come questa forse?” Mostrandole la bambola.
“Si!” Sorridendo lei. “Guis, dove l’hai trovata?” E la prese per poi stringerla forte a sé.
Ma poi, fissandomi nuovamente:
“Ma questa… è quella del tiro al bersaglio? Oh, Guis… e il tuo modellino? Ci tenevi tanto…”
“Da grande ne avrò uno vero…”
Mi sorrise.
“Aspetta un momento…” e corse in casa.
Uscì poi con qualcosa in mano.
“L’ho colta per te…” mostrandomi un fiore “… l’ho presa davanti alla mia casa in collina… ora però devo rientrare per la cena… a domani… e grazie…” e mi lasciò un bacio.
Io presi la strada verso casa tenendo in mano quel fiore.
Fissavo il cielo della sera e le sue stelle.
Le stesse stelle che volevo raggiungere col mio robot.
Ed in quel momento ero davvero vicino a quelle stelle.
Insieme a quel fiore che, naturalmente, era la mia meravigliosa margherita.
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elisabeth 06-12-2011 10.52.25

Una tenera storia fatta di Amicizia e primi rossori.....una bella storia da raccontare....e voi sapete che ho un pubblico nutrito che ascoletra' questa magnifica storia che ha molto da insegnare.......Mi ricordo di un giovane Cavaliere che solea strappare i petali a un mare di margherite invocando il mio nome.........poi un girno seppe che era il mio fiore preferito.....e mi riempi' la casa di margherite...bianche e gialle........ma questo successe tanto...tanto...tempo fa'.......

Talia 06-12-2011 11.51.30

Oh, milord...
l'hai iniziato, infine!
Il celebre Roman de la Marguerite di cui tanto abbiamo favoleggiato...
Felicità! :smile_wub:

Altea 06-12-2011 14.58.55

è stato bellissimo leggere questo racconto..già i primi rossori come dice lady Elisabeth e oggi la mia pargola maggiore è venuta a casa con un piccolo dono che un suo compagnetto ha comprato appositamente per lei, leggendo questo racconto ho captato tutta la bellezza di quel "innamoramento innocente".

Taliesin 06-12-2011 15.05.43

Questa è una specie di magia....
la magia di Camelot, la Moderna, che si scaglia contro i riflessi di un mondo tecnologico e bizzarro: l'emozione di Milady Altea di fronte al vostro racconto nè è una conferma Cavaliere dell'intelletto, grazie....

Guisgard 19-12-2011 04.22.43

Tra i petali di una margherita si possono leggere tante cose…
C’è chi vi cerca la felicità, chi la sapienza, che la temperanza, chi la ricchezza…
Vi è poi chi, tra quei bianchi petali, cerca un nome…
Un nome sussurrato dal vento che rischiara l’aria, dalla Luna che illumina la strada, dal silenzio che domina la notte in balia dei sogni…
Ma quel nome talvolta lo si può sussurrare in una storia, scritta sulle note di sospiri lontani, capaci di annullare il tempo e lo spazio…

Un cavaliere, anche se senza volerlo, recò offesa ad una dama.
Addolorato, egli cercò in tutti i modi di ottenere il suo perdono.
La dama, tuttavia, tanta bella e virtuosa quanto orgogliosa, non sembrava intenzionata a concedere il suo perdono a quel prode cavaliere.
Lui tentò di parlarle durante una giostra, nel bel mezzo di una fiera, fino anche all’uscita della Santa Messa, ma lei sembrava ormai decisa a non rivolgergli più la parola.
Una sera, fredda e sognante come questa, il cavaliere era nel suo palazzo, accanto al fuoco e, come sempre faceva, pensava a quella nobile dama.
Ad un tratto il suo giullare cominciò a recitare:

“Accadde che la regina Ginevra fosse in collera con Lancillotto, rifiutandosi di parlare con lui e d’incontrarlo.
Questo addolorò il Primo Cavaliere.
In quei giorni re Artù aveva proclamato un torneo e tutti i migliori cavalieri decisero di parteciparvi.
La regina Ginevra volle allora mettere alla prova il Primo Cavaliere e capire se lui avesse fatto di tutto per ottenere il suo perdono.
E il primo giorno di gara, proprio mentre Lancillotto si accingeva a scendere in campo, lo raggiunse un’ancella della regina con un biglietto, che recava la scritta <<Al peggio>>.
Cominciò il torneo e contro ogni pronostico Lancillotto gareggiò malissimo, rischiando più volte l’onta dell’eliminazione.
Il secondo giorno del torneo, tutti i partecipanti scesero nuovamente in campo.
Anche stavolta l’ancella della regina raggiunse Lancillotto con un biglietto, che stavolta recava la scritta <<Al meglio>>.
Lancillotto scese così in campo, stavolta però dando superba prova del suo immenso valore, trionfando su tutti gli altri cavalieri e vincendo la giostra.
La regina Ginevra, allora, comprese che Lancillotto le era come sempre devoto e quella notte lasciò la porta dei suoi alloggi aperta, dove attese il suo dolce amante…”

Il cavaliere sorrise al giullare, che aveva tentato di tirarlo su di morale e lo invitò alla sua tavola.
Il giorno dopo, come spesso accadeva, il cavaliere partì in cerca di Avventura.
Giunse così in un bosco dove diversi scudi lacerati erano inchiodati agli alberi.
Accanto a quella parata di lamiere orrendamente squarciate, stavano quattro scudieri.
“A chi appartengono questi scudi?” Domandò il cavaliere.
“A chi appartenevano, è più esatto dire, milord!” Ridendo uno di quegli scudieri.
“Tutti morti?”
“Si, ma in modo disonorevole, milord!” E risero tutti e quattro.
“Il motivo della contesa?” Chiese il cavaliere.
“Vedete, milord…” spiegò lo scudiero “… i nostri padroni, che sono anche fratelli, hanno rapito una dama per tenerla segregata nel loro maniero. E chiunque tenta di liberarla… beh, fa la misera fine che questi scudi ben raccontano…”
“Vedremo per quanto i vostri padroni terranno quella dama loro prigioniera!” E detto questo, il cavaliere suonò il suo corno per annunciarsi ai quattro fratelli.
Avanzò allora verso il maniero e si ritrovò davanti i quattro.
“Cosa cercate, cavaliere?”
“Riportare la dama dove è attesa.” Rispose il cavaliere.
“Giammai!” Esclamò uno dei quattro. “E’nelle nostre mani!”
“A mani vuote vi ritroverete!” Rispose il cavaliere. “Ora però mostratemi quella dama, prima di combattere…”
I quattro indicarono una finestra del maniero dalla quale si sporgeva la dama.
Il cavaliere annuì e cominciò la contesa.
In breve vinse tutti e quattro i fratelli e impose loro, come pegno, di condurre la dama ovunque avesse voluto.
Raggiunse poi la finestra dalla quale la dama aveva visto la contesa.
“Milady, siete libera.” Disse il cavaliere. “Nessuno vi terrà più prigioniera. Dove siete diretta?”
“A Camelot, alla nobile corte di re Artù.” Sorridendo la dama. “Mi accompagnerete voi, milord?”
“Quei quattro cavalieri stolti lo faranno, milady.”
“Cavaliere, chi siete?” Domandò lei.
“Perdonate la scortesia, milady…” chinando il capo il cavaliere “… ma il mio nome non può essere rivelato a causa di un’onta che lo macchia…”
“In voi non può esserci onta…”
“Vi benedica Dio per questo, milady.” Con un lieve inchino lui. “Ma ho fatto voto di non rivelare mai il mio nome fino a quando non sarà pronunciato da una dama verso cui ho mancato, come segno del suo perdono.”
La dama, allora, per gratitudine, gli lanciò un fiore.
Il cavaliere raccolse quel fiore e galoppò via.
“Chi sarà mai quel campione di cavalleria, milady?” Chiese l’ancella alla dama.
“Solo un cavaliere al mondo può simili imprese, amica mia…” sorridendo la dama “… quel cavaliere altri non era che sir Guisgard di Camelot e quel fiore sarà la sua margherita…”
http://www.illusionsgallery.com/Lancelot-l.gif

elisabeth 19-12-2011 10.41.01

Il Cavaliere e la Dama storie infinite che hanno accolto i racconti di ognuno di noi.......un Cavaliere che ferisce senza volerlo il cuore di una Dama......succede spesso......ma il perdono e' il dono piu' bello...e Sir Guisgard ha essotericamente dato una figura al perdono, la sua Margherita....
Un bel racconto.......

Lady Gaynor 19-12-2011 11.08.07

Bello questo racconto... in realtà belli tutti, ma quando leggo dei miei amatissimi Lancillotto e Ginevra c'è sempre qualcosa in più che rende tutto magico... nei miei pensieri nessuno ha mai amato quanto e come loro e mi piace pensare che questa storia eterna possa ripetersi nel tempo in tanti racconti da leggere ed ascoltare, o in tanti momenti e gesta da vivere...

Altea 19-12-2011 15.04.25

come sempre sir Guisgard i vostri racconti riescono a rapire l'anima. Un cavaliere che sarebbe in grado di fare qualsiasi cosa per il perdono della propria dama o di una dama è un gesto veramente nobile.

Guisgard 06-02-2012 01.13.05

La vita mi piace immaginarla in tanti modi.
Come un romanzo, come un cartone animato.
Stanotte, con un ricordo che mi scivola fra le dita che battono sulla tastiera, la vedo come un vecchio film in bianco e nero.
Alla mia margherita il compito di colorarlo col colore dei miei sogni…

I vecchi magazzini erano perfetti.
Di fronte al grande capannone, dove mio padre aveva l’esposizione in cui mettere in mostra i vari articoli da fa vedere ai clienti.
Con le sue scale di ferro con il pianerottolo in alto, le ampie e lunghe vetrate, poi i pannelli scorrevoli e le luci sui piani rialzati simili a tante stanze laterali, poteva prestarsi a qualsiasi cosa.
Da galeone dei pirati a fortino dei legionari, da maniero fortificato ad astronave per viaggi interstellari.
E molto altro ancora.
Ma quel giorno avevo promesso loro una città fumante e nebbiosa, come quella dei grandi noir degli anni’30 e degli anni’40.
E per quella promessa erano giunti da me subito dopo la scuola.
“Io sarò un gangster!” Disse uno di loro.
“Io il commissario di polizia!”
“Io un miliardario!”
“Io un killer a pagamento!”
“E io?” Domandò Elea.
“Tu chi vorresti essere?” Chiese uno di loro alla bambina.
“Una principessa…”
E tutti a ridere.
“Non ci sono principesse in una città malfamata e piena di misteri!” Spiegò uno di quei bambini.
“Allora è un gioco solo per i maschi?” Avvicinandosi Laska, la sorella maggiore di Elea.
“Già!” Risposero in coro i miei compagni.
Lei mi fissò.
“Ho promesso questo a loro” mormorai “e non posso deluderli. Magari domani giocheremo nella giungla malese o nelle foreste inglesi bardati di corazze.”
“Non esiste un gioco che possa escludere le femminucce.” Sentenziò lei. “E tu dovresti saperlo.”
“Allora partecipate…” sorridendo io “… la città è grande e tutta da scoprire…”
Lei mi fissò indispettita e poi annuì.
Andate via le due bambine, cominciammo a giocare.
Io ero un investigatore privato, in cerca di clienti e di avventure.
Oziavo alla scrivania che il ragioniere di mio padre usava per parlare con i clienti, tenendo in bocca un ramoscello di liquirizia per simulare una sigaretta.
E ad un tratto entrò lei.
Laska mi era sempre piaciuta.
Molti preferivano Elea, sua sorella.
Era carina, dolce e molto vivace.
Ma Laska era diversa.
Era intelligente, perspicace, ma non solo.
Aveva qualcosa di particolare, di speciale.
Quando mi fissava, sembrava quasi capace di leggermi dentro.
Come se fosse in grado di sognare e vivere come nessun altro il mio mondo.
Entrò con un capello preso dall’armadio di sua madre e con una borsa rubata forse a sua zia, che aveva una ricchissima collezione.
Aveva un chupa chups in bocca.
Si avvicinò alla scrivania e fece finta di accenderlo come se fosse una sigaretta.
Io sorrisi.
Ero felice che fosse venuta a giocare con noi.
“Vedo che ami giocare col fuoco, angelo…” feci io in puro stile Humphrey Bogart.
“Dipende…” fingendo di soffiare via il fumo lei “… dipende da chi poi arriverà a spegnerlo…”
“C’è da far restare bruciata tutta la città…”
“Mi avevano detto che eri il migliore…” sedendosi lei e accavallando le gambe.
“Per spegnere gli incedi, angelo?”
“O per accenderli…” fissandomi lei “… sei sposato?”
“Ho fatto molte sciocchezze in vita mia…” sedendomi sulla scrivania davanti a lei “… ma mai di così grosse…”
“E sbagli, sai… può essere piacevole… a volte…”
“Immagino…” fingendo di fumare io “… cosa posso fare per te? Tuo marito è geloso? O lo è il tuo amante?”
Lei sorrise in modo impercettibile.
“Mio marito è troppo sciocco” giocando col chupa chups lei “… ed il mio amante troppo pieno di sé…”
“Ma non mi dire…” caricando la pistola giocattolo che avevo sulla scrivania “… vuoi che li faccia fuori entrambi?”
“Poi resterei sola, non trovi?”
“Angelo, sei troppo pessimista…”
“Non vedo fiori qui…” disse lei “… non sei tipo da fiori?”
“Sono un duro, piccola…”
“Ci starebbero bene dei fiori qui…” fissandomi lei “… io adoro i fiori…”
Io sorrisi, accarezzandomi l’orecchio, come solitamente faceva Bogart nei suoi film.
“La tua parcella?” Domandò lei.
“Solitamente lavoro gratis per certi clienti…”
“Certi clienti?”
“Clienti particolari…” facendole l’occhiolino “… parlami del tuo amante, angelo…”
“Crede che io non sia in gamba…” fingendo di nuovo di soffiare via il fumo “… parte pòer avventure lontane e mi trascura…”
Io sorrisi nuovamente.
“Sono qui perché qualcuno ha rubato un oggetto di valore appartenuto alla mia famiglia da generazioni…”
“Lo troverò.”
“Lo troveremo!” Fissandomi lei. “Ci sono anche io… oppure pensi anche tu, come il mio amante, che io non sia in gamba?”
Così cominciammo a vagare per quella città immaginaria, tra i fumi della strada e l’odore pesante di bische clandestine.
Tra sparatorie all’ultimo sangue e agguati in vicoli bui, ingannando la malavita e gli sbirri troppo curiosi.
La salvai.
La salvai più volte.
La salvai dai contrabbandieri, dai gangster e dai sicari.
La salvai infinite volte.
Fino a quando recuperammo l’oggetto rubato.
E alla fine, tra il fumo della stazione, aspettando l’ultimo treno, mi donò qualcosa.
“Che cos’è?” Chiesi io.
“La tua parcella…” rispose lei “… non vuoi soldi ed io ti pagherò con questo… manca un fiore nel tuo ufficio…” sussurrò “… e questo ci starebbe bene…”
“Dove l’hai preso?” Domandai io. “In città non crescono fiori.”
“Ma nelle aiuole del tuo cortile si…” sorridendo lei “… nella tua città non c’è un parco?”
Io annuii e presi quel fiore.
“Domani attorno a questo fiore” disse mentre andava via “ruoterà il tuo prossimo gioco…”
“Tu ci sarai?”
Lei si voltò e mi sorrise, per poi accarezzarsi le labbra con un dito e soffiando verso di me un bacio.
Poi andò via, lasciandomi in quell’immaginaria stazione della mia città con quel fiore tra le mani.
Un fiore attorno al quale avrei dovuto immaginare un’altra storia.
Una storia con un eroe e col suo fiore.
L’eroe, naturalmente sono io, Guisgard e quel fiore è la mia magica margherita.
http://www.threadforthought.net/wp-c...-Big-Sleep.jpg


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