Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 16-06-2014 23.59.17

Il Fiore Azzurro (Il viaggio della Santa Caterina)
 
Prologo


Il bosco.
Ancestrale, lussureggiante, impenetrabile. Racchiuso da quel mare di rigogliose colline, ormai vestite di tutti i colori del crepuscolo, da un vivo purpureo ad un azzurro cupo, sembrava calarsi in un sonno incantato fatto di sogni, misteri e silenzio.
E proprio quel silenzio veniva violato, quasi profanato, dall'incedere lento e solenne di un austero corteo.
Dieci cavalieri dalle cappe rosse e le tuniche gigliate avanzavano con quattro paggi, di giovane età, subito dietro di loro.
In sella, con uno dei cavalieri, il bambino guardava in silenzio tutto ciò che mutava intorno a sè.
L'imbrunire che, lento ma inesorabile, avanzava in quel luogo mutandone i colori nei loro opposti, ammutolendone i suoni, confondendone le forme.
I suoi occhi erano arrossati ed il viso ancora sporco per le lacrime.
In mano stringeva la sua piccola spada di legno, dalla quale non si divideva mai, ma che al cospetto delle pesanti corazze di quei nobili cavalieri appariva ridotta ad un innocuo fuscello.
Gli era stato detto di non proferire parola, nè di alzare il suo sguardo su di loro ed il bambino aveva obbedito.
Non gli restò altro, allora, che fissare ogni cosa di quel bosco e racchiuderla nella sua mente, affidando poi il racconto di tutto ciò alla sua immaginazione.
Ma tutti quei suoi pensieri si destarono all'improvviso quando davanti a quella processione, perchè in realtà più che un corteo di cavalieri appariva come una marcia funebre, si mostrò qualcosa.
Un gigante, pensò il bambino.
Un gigante addormentato tra le colline sul suo trono di silicio.
Dalle spalle così monumentali da apparire simili a torrioni, il mantello tanto ampio da sembrare alte mura merlate, ognuno dei piedi infossato al suolo come se fosse un barbacane, con due occhi cupi e profondi come la notte ed una bocca spalancata pronta ad accogliere tutti i lamenti giunti dall'Oltretomba.
Ed il bambino, con i suoi occhi azzurri ancora arrossati ed inumiditi, restò a fissare quella gigantesca creatura per un momento che sembrò interminabile.
Lo guardò così a lungo che il crepuscolo parve mutarlo in pietra.
Allora le sue mostruose membra al contatto con le ultime luci del giorno si pietrificarono all'istante ed alte e spesse murature ricoprirono di colpo quel titanico essere.
E finalmente il bambino si rese conto.
Ora il gigante gli appariva nella sua reale forma.
Era un castello.
Le sue alte torri quadrangolari parevano sorgere dalla Terra come guardiane di un antico sortilegio, le poderose mura merlate si stagliavano mute contro le ultime ed incerte luci del giorno morente, mentre un opprimente silenzio sembrava ammansirlo.
Poco distante da esso scorreva, quasi incantato, il grande fiume.
Il corteo prese così a salire quel basso colle, fino a raggiungere la porta di quel grande castello.
Allora solo uno dei dieci cavalieri lasciò i suoi compagni e sempre col bambino seduto davanti a sè si avvicinò al portone del maniero, ormai ostruito dai crolli e dai detriti delle numerose crepe che si aprivano nelle murature.
Smontò da cavallo e poi fece scendere a terra anche il bambino.
“Non avercela con noi...” disse al fanciullo “... siamo costretti a farlo.”
Lo prese così per mano ed insieme raggiunsero un largo spuntone roccioso, sul quale poggiava parte della cinta muraria.
Il cavaliere gettò poi uno sguardo in una profonda breccia che si apriva tra le pietre ed il muro a scarpa, quasi per rendersi conto della sua ampiezza.
Legò allora una lunga corda alla vita del bambino e subito dopo cominciò a calarlo in quella stretta voragine.
Quando il piccolo raggiunse il fondo del canale sotto la breccia, il cavaliere estrasse la spada e tagliò di netto la corda.
Lanciò un ultimo sguardo in quel baratro, fino ad incontrare con i suoi occhi quelli azzurri ed impauriti del bambino.
Un attimo dopo voltò il capo verso i suoi compagni, li raggiunse ed insieme lasciarono quel luogo, risalendo poi la strada che fiancheggiava il fiume.
Il bambino ebbe la tentazione, forte e disperata, di chiamarli, ma non riuscì nemmeno a gridare, tanto era spaventato.
E più le ultime luci del giorno si ritiravano da quelle segrete abbandonate, più le tenebre avanzavano, prendendo possesso delle pietre e degli sterpi che selvatici erano cresciuti in quei sotterranei dimenticati.
Il piccolo allora si fece coraggio, strinse forte la sua spada di legno e cominciò a guardarsi intorno.
In principio si rifiutò di gridare, ma poi, vinta la paura di destare qualche spirito addormentato, cominciò a chiamare.
Ma nessuno rispose alla sua voce.
Ebbe poi quasi l'impressione che qualcosa intorno a lui si muovesse.
Come se le ombre fossero sul punto di animarsi e raggiungerlo.
Allora, scosso da ciò, prese a camminare in direzione degli ultimi bagliori di luce provenienti da una delle numerose crepe della muratura che, come naturali lucernari, parevano voler disegnare le residue traccie della strada da seguire.
Ed il piccolo seguì quella strada fino a quando ebbe il conforto delle ultime e tenui luci.
Ma poi, svanite quelle, si ritrovò avvolto da silenziose ed oppressive tenebre.
Fu allora sul punto di cedere alla disperazione, quando un'altra piccola e lontana luce si accese all'improvviso.
Prima fioca, tremante ed incerta, poi più limpida, viva ed intensa.
Il bambino così, stringendo la sua spada di legno, cominciò a camminare piano verso quel chiarore.
Fino a quando fu abbastanza vicino da riconoscere una sagoma.
Prima mutevole, poi più nitida.
E vide una figura contornata dal quel luminoso alone.
Una donna di innaturale bellezza, alta, dai lunghi capelli biondi, la pelle chiarissima e gli occhi azzurri come il cielo più intenso.
“Siete...” mormorò il bambino ancor più impaurito di prima “... siete la Vergine Maria?”
La donna sorrise senza rispondere nulla.
E quel sorriso in un attimo dissolse le paure del bambino.
“Non sono la Vergine Maria” disse poi la donna con una voce simile al suono di un'arpa “ma sono qui per te.”
“Perchè?” Stupito il piccolo da quella donna che sembrava simile ad una visione.
“Perchè tu sei qui da solo.” Dolcemente lei. “Vuoi venire nel mio palazzo?”
“E' questo castello?” Domandò il piccolo.
No...” con candore lei “... ma non è lontano da qui. Si trova nel fiume.” Guardò poi la spada di legno che il bambino stringeva in mano. “Ti piacciono i cavalieri, vero?”
“Si...” sorridendo il piccolo.
“Allora, se verrai con me, ti farò diventare un cavaliere...” porgendo la mano al bambino.
“Si...” prendendo la mano della donna lui “... chi siete, signora?”
“Tu, se vuoi, puoi chiamarmi Milady dell'Elsa...” rispose lei.
Ed insieme lasciarono quel luogo fatto di ombre.
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IL FIORE AZZURRO


L'asso di Picche


Capitolo I: La città del Sole

“Guai, però, a chi sente la nostalgia del mondo esterno e abbandona la valle: ecco che il tempo in agguato sull'impaziente fuggitivo, il quale, aggredito dall'età, invecchia rapidamente e muore.”

(James Hilton, Orizzonte Perduto)


A circa settantacinque leghe dal punto in cui i due fiumi, il Volotronus a sinistra ed il Calars a destra, raggiungono la minima distanza fra loro sorge, in una fertile e rigogliosa pianura baciata dal Sole e ingentilita dalla Tramontana, con la sua caratteristica forma di croce la tranquilla cittadina di Amoros.
Eretta in questo punto da alcuni profughi dell'antica Tylesia, scampati al devastante terremoto che distrusse la città ed impestò la zona con vapori sulfurei, Amoros vide così espandersi quella piccola comunità che grazie alla concessione ottenuta dal Gastaldo poté sfruttare a pieno quel felice punto strategico racchiuso dai due grandi fiumi, fino a divenire feudo di una nobile famiglia Longobarda.
E quella mattina, come tutte le altre, la cittadina vedeva animarsi le sue strade e le sue piazzette dal vivace via vai dei suoi abitanti, dei viaggiatori in sosta durante il loro cammino verso Sud o verso Nord, dei mercanti di passaggio con le loro merci e dal brioso richiamo che ciascun artigiano e negoziante adoperava per attirare clienti nella propria bottega.
Ma ciò che caratterizzava quella mattinata rispetto a tutte le altre era l'insolita quantità di cartelli affissi qua e là per le stradine del centro abitato.
Percorrendo le viuzze cittadine era così possibile scorgere avvisi di ogni tipo, indirizzati ai più svariati bisogni umani.
Allora, verso la periferia, si poteva leggere, presso uno dei ponticelli che scavalcavano i vari canali che correvano verso uno dei due fiumi, una richiesta di sfide rivolta a chiunque volesse misurare il proprio valore:

“Si raccolgono richieste di sfida in qualsiasi arte e disciplina all'arma bianca, con in palio un'autentica spada arimanna a una mano e mezza.
Scito dei Guaraldi, ex miliziano e maestro della spada lunga.”

Verso l'antico camminamento che fiancheggiava la strada principale diretta al centro di Amoros, poteva invece leggersi un altro cartello:

“Si avverte la popolazione e i forestieri giunti in città che proseguire verso Nord potrà apparire disagevole per via dell'impraticabilità di alcune strade, causata della guerra appena conclusasi tra la città di Imperion e quella di Nagos.”

Un avviso alquanto originale appariva poi davanti ad una onorevole locanda in cui soggiornavano alcuni stranieri appena arrivati ad Amoros:

“Messer Oxuid cerca una nuova assistente per i suoi studi e lavori. E' richiesto talento e mente aperta. La paga è buona, il vitto garantito e la fama assicurata.”

Ma forse il cartello che più attirava la curiosità della gente era quello affisso nel cuore di Amoros, proprio davanti alla chiesa del Santo Patrono, l'Arcangelo Michele.
Su di esso si potevano leggere parole strane e alquanto misteriose:

“Uomini e donne di Amoros, è giunta notizia che un pericoloso individuo incolpato di terribili crimini è riuscito ad abbandonare la prigione della città di Imperios, nella quale era stato segregato, per prendere poi la strada verso Sud. Al momento non si ha una sua descrizione fisica, né si conosce la presenza con lui di eventuali complici o seguaci. Diffidate dunque di qualsiasi straniero sospetto ed al minimo dubbio riferire immediatamente al parroco o alle autorità cittadine.”
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Clio 17-06-2014 11.55.49

Uno scalpitio rompeva il silenzio della boscaglia, il sole era tramontato ormai, e le ombre della sera si allungavano sempre di più.
E’ tardi.
Cavalcavo veloce, badando di non essere seguita, ancora pochi minuti e sarei stata a casa.
Sospirai, già.. casa.
Raggiunsi una casupola nel bosco, e smontai da cavallo.
Lo affidai ad uno stalliere che mi aspettava, ed entrai.
Trovai ad attendermi Roland, il mio braccio destro, l’unico che conoscesse il mio segreto.
Lo salutai con un sorriso.
“Al fiume tutto a posto..” lo aggiornai “Ho lasciato lì Gart e Hortis a finire il lavoro, dovrebbero essere qui entro mezzanotte.. Piuttosto occupati di quella faccenda del ladro scappato da Imperion, ho saputo che hanno messo un avviso ad Amoros… Ci mancano solo guai con chi non c'entra niente, dovremo essere prudenti, maledizione... E' vero che le storie su di noi sono arrivate fino a lì ma.. non voglio guai inutili.. io vedo cosa riesco a scoprire stasera.. Voglio che sia tutto pronto per la partenza..” sbuffai “Devo andare.. abbi cura dei Lupi fino al mio ritorno.. A domani amico mio..”.
Era il momento peggiore della giornata, tornare ad essere me stessa.
Sapevo ciò che mi aspettava.
Raggiunsi la caverna poco distante, e attraversai il piccolo camminamento, finché non raggiunsi la porta.
Azionai il meccanismo di cui in pochissimi conoscevano il funzionamento e passai dall’altra parte.
Mano a mano che procedevo, la pietra lasciava il posto al marmo, agli affreschi rupestri che celebravano antiche vittorie e miti lontani.
Quel camminamento era stato scavato secoli prima, per procurarsi rifornimenti in caso di assedio, dalla morte di mio padre, ero l’unica a conoscerlo.
Una piccola stanzetta, quasi una breve rientranza, precedeva la porta successiva, bloccata anch’essa da un meccanismo sconosciuto.
Ero arrivata.
Aprii il baule e iniziai a spogliarmi.
Mantello, giubba, calzoni, spada, cappello, camicia e calzoni.
E, naturalmente, la maschera.
Il tutto, in quello spazioso baule, sembrava un enorme ammasso nero come la notte.
Indossai la veste da camera che avevo lasciato lì ad attendermi.
Un breve respiro davanti alla porta, poi azionai il meccanismo ed entrai a palazzo.
Il camminamento segreto raggiungeva varie parti del castello, come una rete nascosta, io ero arrivata direttamente nelle stanze riservate alle donne.
Lui non poteva scendere fin lì. Nessun uomo poteva.
Il bagno era già pronto, salutai le ancelle con un cenno.
Mi immersi nell’acqua profumata, lasciando che l’acqua e le essenze lavassero via ogni residuo nella giornata appena passata.
I tagli bruciavano, e scoprii due nuovi lividi sulle gambe.
Beh, non li avrebbe visti nessuno.
Lui credeva che avessi passato l’intera giornata in preghiera, non potevo certo portarmi dietro l’odore del bosco, del sangue, del fango, del ferro.
Lui non doveva sapere.
Non era abbastanza sveglio per sospettare di me.
Recitavo bene la mia parte.
Che danni può fare una tenera fanciulla?
Povero sciocco.
Le ancelle mi aiutarono ad indossare uno splendido abito scuro, come si conveniva al mio lutto.
Sembravo ancora più pallida, e i capelli raccolti non davano l’abituale luce dorata al mio viso.
Meglio, lui non se la meritava.
Qualcuno venne a chiamarmi, la cena stava per essere servita.
Lasciai le mie stanze, dirigendomi verso l’ampia sala da pranzo, la cui terrazza dominava la valle.
Eccolo lì, a parlare con i suoi scagnozzi, il mio odiatissimo promesso sposo.
Ah, che maleducata, non mi sono ancora presentata.
Il mio nome è Clio de’ Marsin, unica figlia del defunto Lord Gorton, signore di Lortena, fiorente città commerciale, centro indiscusso di questa vallata racchiusa dai monti.
E quello laggiù, vestito di un fastidiosissimo verde, è Lord Froster, l’uomo che mi ha portato via tutto ciò che amavo.
Hanno attraversato i monti con un esercito, hanno corrotto un servitore che ha ucciso mio padre a tradimento.
Le nostre difese non hanno retto.
Ora, spadroneggiano nella mia terra, e nella mia casa come ne fossero i padroni.
Hanno massacrato i nostri soldati, stuprato le nostre donne, oltraggiato i nostri luoghi sacri e fatto spregio delle nostre tradizioni.
A volte rimpiango che non mi abbiano ucciso.
Ma che senso ha uccidere un’ereditiera?
Il verme ha fatto ben di peggio: ha preteso la mia mano così da scongiurare qualunque rivendicazione futura.
Vuole far credere che il passaggio qui a Lortena sia stato pacifico, che tutti lo amano, e che ha il diritto di governare.
Povero illuso.
Non ho avuto scelta, minacciava di radere al suolo la città.
Quando il periodo di lutto finirà, tra meno di un mese, potremo sposarci.
Ma la guerra non è finita.
Un gruppo di ribelli non ha mai accettato il dominio straniero, con ideali e costumi così diversi dai nostri, e continua a combattere anche in clandestinità.
Sono nobili fuggiaschi, fedeli dei Marsin, soldati scampati alla morte, ma anche gente qualunque, che aiuta come può, la gente semplice e forte delle montagne.
Si fanno chiamare Lupi di Montagna, come i predatori tanto diffusi nella nostra antica terra.
Il loro leader è conosciuto come “il Lupo Nero” per via della maschera che porta.
Nessuno conosce la sua identità, nelle taverne e per le strade di Lortena si possono sentire canzoni su di lui, leggende per lo più.
Qualcuno dice che la notte si trasforma in un vero lupo, e vive con un branco sulle montagne, altri che riesca ad arrivare non visto nei posti più impensati grazie ad una magia lontana, altri ancora che sente in anticipo se qualcuno è in pericolo.
Di tutto questo beneficiano i lupi delle nostre montagne, a cui nessuno osa dare la caccia, temendo di uccidere il Lupo Nero.
“Salute a voi, mio signore…” mi inchinai, elegantemente, sorridendo “Avete passato una buona giornata?”.
Sapevo perfettamente che non era così.
Al fiume Olosa, una guarnigione dei suoi soldati era stato attaccato dai Lupi, decimandoli e rubando loro armi e viveri. I ribelli, a differenza dei nuovi padroni, conoscevano bene tutti i segreti di quei luoghi inospitali.
Lo sapevo perché ero lì.
Perché sono io, il Lupo Nero.
"Le mie ancelle non fanno che parlare di Amoros, qualcuna dice che c'è un miliziano che ha lanciato una sfida con in palio una spada arimanna, sostenendo che voi di certo la vincerete..” sorrisi “Un’altra è terrorizzata perché pare che sia scappato un criminale da Imperion.. Insomma, questa cittadina sembra proprio, come dire, piena di vita! Non vedo l'ora di vederla.." sorrisi "Quando avete intenzione di partire, mio signore? Siete riuscito a trovare un modo per riuscire ad attraversare il territorio di Imperion? Ho sentito dire che le strade non sono agevoli benché la guerra sia finita...".
Erano settimane che parlava di quel viaggio ad Amoros, a lungo rimandato a causa della guerra.
Aveva degli affari da sbrigare in quella città.
Dimenticavo, si farà anche chiamare Lord, ma in realtà il nuovo padrone di Lortena era solo un arricchito.
Ovviamente, mi avrebbe portato con lui.
Non era così incosciente da lasciarmi sola a Lortena.
E poi, ero il suo trofeo, sposandomi avrebbe ottenuto il titolo comitale.
Avevo già parlato con i Lupi, il viaggio era un'opportunità, sia per me che per loro.
Se tutto andava per il verso giusto, potevamo liberarci degli invasori.
Bisognava agire in fretta, il matrimonio era sempre più vicino.
Froster avrebbe lasciato qui degli uomini, ovviamente, ma non era la stessa cosa.
Senza contare che una parte di lupi sarebbe venuta con me, travestiti da paggi, cuochi, stallieri, maniscalchi, Roland avrebbe impersonato la mia guida spirituale.
Quel viaggio poteva essere l’occasione che stavamo aspettando per risolvere quella faccenda una volta per tutte.

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Altea 17-06-2014 15.01.29

La nave solcava sicura il mare e da lontano si avvistava la costa, eravamo quasi arrivati.."Ahmed, Amina..è quella la città indicataci da quell' uomo di fiducia dei miei genitori?". Essi annuirono e guardammo la costa avvicinarsi sempre più con sollievo..ora avevo solo loro e Korshid e guardai le casse con gli averi, le monete, le vesti e soprattutto la cassa intarsiata che le sacerdotesse del Tempio ci avevano dato per portare in salvo ciò che da secoli custodiva la mia città.."Setareh" ovvero "Stella" nella mia lingua.

"Eccomi...Principessa di Setareh, città roccaforte e piccolo regno arabo e città sacra. L'Amore mi tradì e con me tradì i miei genitori e il mio popolo. Il promesso sposo nonchè l'uomo che amavo mi ingannò col suo Amore per impossessarsi col suo esercito della mia Terra e Città e forse portandomi via pure i miei cari.
Mio padre e mia madre, re e regina di Setareh, mi intimarono di fuggire e mettermi in salvo per poter tornare un giorno a regnare laggiù e partii col loro fidato Consigliere, Ahmed, la mia benevola governante Amina e la saggia sacerdotessa Korshid (="Sole") la quale più volte mi portava al tempietto e mi istruiva.
E forse in quello scrigno segreto vi stava qualcosa di prezioso che appunto l' uomo da me amato voleva appriopriarsi e di cui ignoravo il contenuto.
Mi fu dato il più antico pugnale, fatto di oro e pietre preziose e pure con un diamante, benedetto dai nostri Dei nel Tempio e fui bagnata prima di partire alla Fonte Benedetta consacrandomi..cosa mi riserverà il destino?"

La nave attraccò e osservai freddamente Amina e Korshid "Spero abbiate eseguito gli ordini, il palazzo deve rispecchiare in tutto il posto da cui proveniamo, avere solo le nostre guardie e che sia lontano da tutti e da sguardi indiscreti..nessuno deve sapere di me e di noi..si sono cambiata, purtroppo" sospirai e scendemmo dalla nave e partimmo verso il palazzo appositamente donatoci da Lord Sehmor.
Arrivati al centro della città di Amoros vi era confusione e ovunque vi erano dei cartelli, fortunatamente conoscevo bene le lingue e lessi quelle scritte strane e mi rivolsi ad Ahmed "Speriamo il Palazzo non sia a Sud..e a Nord la strada è disagevole..avete letto?" ma il mio sguardo si soffermò su un cartello che parlava di una spada e sorrisi ad Ahmed con aria di sfida.."Mio padre vi scelse come valoroso guerriero, avete vinto numerose battaglie..andate a informarvi su quella spada, deve essere particolare..se cosi fosse, io non posso gareggiare, darei nell' occhio..lo farete voi per me e per averla".
Mi guardai attorno..tutto era strano e diverso..la gente, il paesaggio..Altea, niente tentennamenti.

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Tessa 17-06-2014 16.19.22

Tessa non ricordava più quale fosse l'ultima volta in cui si era fermata tanto a lungo in posto da poterlo chiamare "casa".
Non aveva una casa, non aveva una famiglia e neppure degli amici.
E le andava bene così.
Tessa odiava la gente che, con il suo costante e futile chiacchierio, la distoglieva dal suo obiettivo.

"Chi veramente vuole ottenere qualcosa, non si perde in chiacchiere, ma va e lo ottiene!" pensò, spronando il cavallo al galoppo.
Si era fermata brevemente ad Amoros, per rifocillarsi, e adesso stava proseguendo verso nord.

Una volta, a molte miglia da lì, anche lei era stata una persona felice.
Una volta, a molte miglia da lì, anche lei aveva avuto un cuore.
Poi tutto era finito e, il vuoto lasciato dalla sofferenza, si era colmato di rabbia e di sete di vendetta. Così Tessa aveva giurato a se stessa che avrebbe speso la sua vita alla ricerca di colei che, con l'inganno, le aveva rubato quello che aveva di più caro.

"Al diavolo!" esclamò la donna, arrestando improvvisamente il cavallo.
La strada, davanti a lei, era piena di macerie che le impedivano di proseguire il cammino.
"Dannatissima guerra! Scommetto che i cartelli, giù in città, avvertivano di questo, se solo mi fossi presa la briga di leggerli!"

Il buio stava calando e Tessa si strinse nel mantello, per difendersi dal freddo e dall'umidità.
"Xanthos" disse al cavallo, un frisone nero che era con lei da ormai dieci anni "a quanto pare, questa città non vuole ancora lasciarci partire..."

In quel momento, la cosa più sensata da fare, le sembrò quella di tornare ad Amoros, cercarsi una locanda confortevole ed attendere il mattino, per prendere qualsiasi altra decisione.

Guisgard 17-06-2014 17.40.23

Lord Froster, al momento in cui Clio si presentò a lui, appariva indispettito e seccato per gli ultimi avvenimenti accaduti alla sua guarnigione.
Ma nel vedere la sua bella futura moglie mostrò subito un deciso sorriso e congedò in malo modo il suo luogotenente.
“Mia cara...” disse avvicinandosi alla ragazza “... siete capace di scacciare ogni mia inquietudine come il Sole fa con le ultime nubi dopo una tempesta.” Le sorrise e le baciò la mano. “E devo dire di aver piacere che le notizie giunte da Amoros vi allietino in tal modo. Una sfida all'arma bianca? Oh, che cosa curiosa!” Esclamò. “Di certo se decidessi di parteciparvi lo farei non per la fama, ma solo per avere dalla mia parte il vostro tifo.” Rise appena. “Quanto alla città di Imperios, in verità molte cose sono accadute laggiù dopo la guerra. Anzi, la guerra stessa è stata vinta grazie a quei cambiamenti. Ma ve ne parlerò presto, non temete.” Guardandola. “E poi è giusto che una giovane e bella ragazza come voi si dedichi a pensieri leggeri. Vi dirò, lo trovo appagante.” Annuendo divertito. “Anche perchè, devo confessarvi, mi ha turbato non poco essere stato costretto ad allontanare dal castello quella vostra ancella, rea di aver trasgredito al mio veto di parlare dei fatti che avviliscono questi luoghi.” Sorseggiando del vino. “Si, perchè da oggi non ci sarà più da temere nel pronunciare il nome di quel dannato criminale.” Sorrise. “Le imprese, chiamiamole così, del Lupo Nero presto volgeranno al termine.” Rise. “Già, attendevo voi per parlarvene, sapete? Perchè anche se voi, per non dolermi, non ne parlate mai, in cuor mio so bene che la presenza in questi luoghi di quel furfante e della masnada che lo fiancheggia vi turba non poco. Ma, come detto, presto tutta questa storia sarà solo un vago ricordo e magari qualcuno, fra qualche anno, ci ricamerà sopra una bella leggenda.” Ridendo di nuovo.
In quel momento uno dei servitori si presentò nella sala.
“Milord...”
“Cosa vuoi?” Voltandosi verso di lui Froster.
“L'uomo che attendevate da Imperios è giunto ad Amoros.” Rispose il servitore. “E' appena arrivato un dispaccio a renderlo noto.”
“Davvero?” Stupito Froster. “Messer Oxuid è già ad Amors? Oh, bella, avrà cavalcato senza fermarsi mai allora! Eccellente!”
Il servo mostrò un lieve inchino ed uscì.
“Mia cara, oggi è davvero un giorno fortunato per noi e per Lortena!” Tornando il nobile a fissare Clio. “E mai come in questo momento non vedo l'ora di giungere ad Amoros!”

Guisgard 17-06-2014 17.58.28

Ahmed annuì alle parole di Altea, per poi prendere congedo da lei poco dopo.
Il fedele consigliere, infatti, guidò prima la sua padrona, la fedele Amina e la saggia Korshid fino all'austero palazzo che era stato donato alla principessa.
Si trattava di una costruzione posta appena fuori dal centro di Amoros e un tempo appartenuta ad alcuni nobili normanni.
Utilizzato come residenza di campagna, talvolta anche come corte itinerante per ospitare il re durante i suoi spostamenti nel regno, il palazzo si presentava degno del lignaggio di Altea, con ampie stanze, un bel giardino preceduto da un cortile colonnato e stalle per accogliere cavalli.
Lasciata allora la sua padrona in compagnia delle due donne e delle poche guardie che li avevano seguiti in quel viaggio, Ahmed si recò dove Altea aveva letto il cartello riguardante quella certa sfida.
Dopo circa un'ora tornò al palazzo.
“Altezza...” disse alla principessa “... ho incontrato quel maestro di spade, quel tale Scito dei Guaraldi. Egli si guadagna così da vivere, ossia accettando sfide da parte di qualsiasi genere di avversario, dai nobili cavalieri, agli spadaccini erranti e persino da avventurieri e soldati di ventura. Afferma di essere stato un soldato e di aver servito il Gastaldo sotto l'Arciduca Taddeus l'Austero e che in seguito alla morte in battaglia di un suo compagno di aver deciso di lasciare l'esercito regolare. Ho veduto la sua spada e sull'elsa reca una dozzina di tacche, segno delle sfide portate a termine con successo. Ho chiesto poi del premio, ossia della spada messa in palio, ma che ho solo potuto vedere in una teca. Credo sia una spada del tipo a una mano e mezza, chiamata anche bastarda, in buone condizione. Messer Scito afferma di averla strappata in battaglia ad un cavaliere Capomazdese. Ma non avendo alcun documento che certifichi ciò, possiamo solo fidarci della sua parola.”

elisabeth 17-06-2014 18.13.23

Nata ad Amoros trent'anni prima........ I miei genitori imbarcarono me ancora in fascie e mio fratello più grande verso Gerusalemme.......i miei genitori erano partiti per la guerra Santa.....non avevano Blasoni ne' terre......ma il Signore per cui lavoravano.....investì mio padre del titolo di Cavaliere.....avrebbe combattuto per pulire anche la sua anima da tutti i peccati......non vissi mai come una ragazza......per evitare che mani impure toccassero la mia verginità...mio Fratello dopo mio padre mi insegnò ogni cosa dell'uso della spada del combattimento a cavallo e a terra......lui divenne un Templare..ed io il suo scudiero.....guardavo le ragazze correre per le stradine poco illuminate di Gerusalemme con i capelli lunghi....e gli occhi colorati...chiedevo a Bart, mio Fratello, perchè io non potevo essere come loro......era duro...niente risposte...rigore e lavoro....all'alba ci si alzava perchè per me la spada non avesse segreti.........perchè fossi talmente Cavaliere un giorno che avrei dimenticato di essere donna.....morì un pomeriggio sulle colline di Hattin.....gli scudieri come me non avevano spazio per soccorrere....ma per recuperare il cavallo e le poche cose che appartenevano al Cavaliere.........e così feci neanche una lacrima...ingoiai ogni cosa.....dolore e disperazione.......pasò il tempo e diventai Cavaliere...ma poi le guerre Sante ebbero una fine...come l'ebbero i Templari e decisi di tornare ad Amoros......non avevo voglia di stare a Gerusalemme.......dovevo cambiare......Quando arrivai in città........ero spaesata....cercai una locanda....e mi fermai solo a leggere alcuni cartelli....che davano alcune indicazioni importanti alla gente......risi....vincere una spada.......toccai l'elsa fredda della mia spada che fu prima di mio padre e poi di mio fratello.......non niente spade............arrivai ad una piccola locanda...ed entrai ..poca gente e un tavolino libero mi sedetti e chiamai l'oste......." Vorrei un pasto caldo e.......informazioni su Messer Oxuid....so che cerca un'aiutante......sono nuovo di qui...mi farebbe comodo un posto di lavoro e un tetto sulla testa.....".....

Guisgard 17-06-2014 18.16.40

Tessa ed il suo fedele destriero, vista la difficoltà di proseguire oltre, ritornarono verso Amoros, dove subito si presentò loro una locanda.
Sull'insegna che oscillava al vento vi era scritto “Casal di Gioia”.
Era una locanda semplice, ma abbastanza grande ed apparentemente accogliente.
Munita di uno spiazzo che precedeva l'ingresso, sulla destra vedeva un piccolo ma ben fornito orto domestico, mentre sulla sinistra, all'ombra di alcuni rinsecchiti olmi, si ergeva una bassa staccionata da cui poi si raggiungeva l'interno della locanda.
E nel vedere giungere la ragazza col suo cavallo, subito il locandiere, uscito fuori nell'orto per raccogliere verdure da usare per la cena, si fiondò verso di lei, sfoggiando il miglior sorriso possibile ed i modi più decenti o, a seconda dei punti di vista, meno villani che conoscesse.
“Oh, salute a voi, madama.” Disse avvicinandosi al cavallo di Tessa. “Ho visto spuntare il vostro cavallo dalla strada che porta fuori città, verso Nord. Eh, immagino che i disagi di cui tutti parlano vi abbiano seccata ed incomodata più del dovuto. Ma nell'avversità, diciamo così, siete stata fortunata poiché questa è la miglior locanda di Amoros. Potete credermi.” Annuendo con un sorriso ebete. “I prezzi sono bassi, il cibo ottimo, non a caso mia moglie, benchè un tantino petulante, è un'eccellente cuoca e l'ospitalità invidiabile. Se avete la compiacenza di entrare e sedervi ad uno dei tavoli mia moglie vi preparerà subito qualcosa da bere per ristorarvi dal viaggio, mentre io porterò il vostro cavallo nella stalla.”

Guisgard 17-06-2014 18.34.41

“Si...” disse il locandiere ad Elisabeth “... messer Oxuid ha lasciato il cartello là fuori e poi ha dato anche a me l'incarico di dare informazioni. In verità non so poi molto. I suoi servitori hanno lasciato detto solo questo, ossia che il loro maestro, così lo chiamano, cercava una nuova assistente qui ad Amoros. Altro non so. Ma se siete davvero interessata allora posso condurvi io al primo piano, dove alloggia messer Oxuid.” E fece cenno ad Elisabeth di seguirlo.
Salite le scale si fermarono davanti alla stanza dove alloggiava il misterioso individuo ed il locandiere bussò.
“Cosa accade?” Aprendo la porta uno dei servitori di Oxuid.
“Madama qui è interessata al vostro annuncio...” rispose il locandiere.
Il servitore allora lanciò una rapida occhiata ad Elisabeth, squadrandola poi da capo a piedi.
“Entrate.” Disse alla donna, congedando il locandiere con un cenno del capo.
La fece poi sedere su una comoda panca.
“Messer Oxuid sarà da voi tra breve.” Spiegò il servitore.
E mentre attendeva, da una porta socchiusa Elisabeth udì qualcuno parlare.
“Hai diffuso la notizia?”
“Si, maestro.” Rispose il servitore.
“Ottimo. Del resto assistere ad una delle mie memorabili lezioni non è cosa assai frequente. Soprattutto in luoghi come questi, dove la superstizione e l'ignoranza immagino dominino sulla Ragione.”
“Si, maestro.” Annuì il servitore.
“Bene, fa passare questa mia potenziale assistente e vediamo quanto vale.”
Il servitore allora tornò da Elisabeth e la condusse nel piccolo vestibolo accanto.
Qui vi era ad attenderla un uomo dallo sguardo sicuro, l'espressione decisa e i tratti marcati come chi è abituato alla riflessione.
Aveva la testa rasata ed una leggera barba a dargli una certa area da intellettuale.
Stava seduto su una sedia, con in una mano un libro e nell'altra un bicchiere il cui contenuto emanava un deciso odore di vino liquoroso.
“Ebbe, presentatevi dunque...” disse ad Elisabeth “... raccontatemi tutto di voi e cosa vi spinge a voler lavorare con me.”

Altea 17-06-2014 18.50.05

Arrivati alla nostra dimora le servitrici iniziarono sotto la guida di Amina a mettere tutto a posto e rendere quel luogo più simile al mio Paese e al mio regno...camminavo nel giardino assieme a Korshid..vi erano fontane dagli alti guizzi, sembravano quelle del mio Palazzo a Setareh ma non reggevano il confronto.."Korshid, dovremmo creare un piccolo tempio qui, magari in una stanza di questa bellissima dimora..sarai tu a occupartene e dobbiamo stare attenti alla cassa datoci dalle sacerdotesse" mi guardai attorno "sarebbe un sacrilegio se scappate dalla Arabia ce lo rubassero proprio qui..ti rendi conto della responsabilità che abbiamo?".
Subito dopo arrivò Ahmed e mi raccontò della spada e lo guardai perplessa..."Già potrebbe essere un impostore..voi che dite, Ahmed, siete pronto a lottare per averla? Oh, l' Arciduca Taddeus..e apparteneva a un cavaliere capomazdese, si me ne parlò milord prima di partire della famiglia dei Taddei, sulla loro storia..una strana maledizione, mi diede pure un libro per informarmi...bene...allora provate, Ahmed, voglio quella spada, anche se sembra abbia solo un valore storico ma sapete amo avere ciò che mi affascina...andate a mettervi in lista, dunque ma siate prudente e vorrei qualcuno controllasse questo palazzo..vi sono cavalieri fidati?".
Io e Korshid entrammo nel palazzo e nel salotto vi trovai una sorpresa...cuscini a terra, il basso tavolino di ebano, il the verde servito e ci riunimmo a gustarlo.."Dobbiamo essere calme..ormai il passato è passato, dobbiamo pensare al futuro..anche se..non sarà facile costruirsi proprio una nuova vita e in un posto del tutto diverso dal nostro."


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