Camelot, la patria della cavalleria

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Lancelot 29-10-2011 10.27.35

Pensieri in Rima
 
Spero perdonerete la mia vanità se utilizzo le possibilità offertemi da questa comunità per avere uno spazio dedicato alla raccolta dei miei componimenti di ieri e di oggi, di modo che essi non si disperdano nel marasma delle pagine di antologie troppo vaste, ma possa sempre essermi chiaro alla mente cosa ho già sottoposto alla vostra critica e cosa no :smile:
Ci tengo a precisare che tutte queste poesie sono mie e mie soltanto, è possibile che io le abbia cantate anche in altre piazze di questo vasto mondo, ma se vi capiterà che altri le spacci per proprie, vi invito a informarmene affinché ne possa rispondere a me con l'onore che in duello gli toglierò.

La battaglia

Sul campo si scrutan l’avverse schiere,
pronte a onorar le proprie bandiere;
si dispongono in ordine le truppe,
l’odio la pace del ciel ruppe.

Fratelli, amici eran prima, ora stranieri,
minacciosi s’aggiustan gli schinieri;
sopra ogni elmo s’erge un cimiero,
emblema di spirito battagliero.

Su armature e limpidi scudi riluce
la rabbia che ogni trattativa scuce;
si crede che la guerra sia capace
d’ottener ciò che non poté la pace.

Sguardo deciso, lancia in resta,
la battaglia si fa davvero presta.
Battendo le picche contro gli scudi
l’una schiera suscita suoni crudi.

Non da meno l’opposto schieramento,
paura non prova neanche un momento;
colpendo a ritmo col piede la terra
feroce intona un canto di guerra.

Dalle alture circostanti i generali
fulminei lanciano i propri segnali,
ecco l’immensa legione si muove
tal moltitudo mai s’è vista altrove.

Inumane cozzano le spietate spade,
riecheggian le urla per le contrade.
Gemiti, spasmi, eroismo, ardore,
qui si scontra dei cieli il fior fiore.

Nessuno esita, nessuno fugge,
guerresco demone in ognuno rugge;
nessuno perder vuole il proprio onore
della pugna alle stelle giunge il clamore.

Lì puoi vedere il più misero dei fanti
strapparsi lancia dal petto e andar avanti;
lì puoi vedere un capitano circondato
che come leon si batte e non s’arrende al fato.

Han sbagliato, è stata inutil sfida
condurre questa lotta fratricida.
Ma non posso tacer che a un dio somigli,
ognun di questi prodi alati figli.

Eroi che sanno che cos’è il dovere,
anche se contro il proprio volere.
Pianto amaro giunge a ogni bocca,
tutti san ch’è guerra sciocca.

Ma nessuno vuol tirarsi indietro,
dianzi al nemico farsi arretro,
ad altri spetta prender decisione
se sia giusto o no per lor non è questione.

Lode a voi militi d’onore,
della gloria saggiate il sapore.
Per voi si dipana il mio poema,
questa è la vostra epopea suprema.


Il bosco

Impagabile servigio mi rende
né sperar potrei miglior conforto.
Rinfranca il cuore, ristora le membra,
per la mente in deriva dolce porto,
culla la coscienza che chiede requie
l’odoroso ventre di questo bosco.
Nodose fronde d’un verde fiorente
si piegano umili ai colpi del vento.
Chinarsi servili o essere divelte,
di là di questa non vi sono scelte.
Così mi narra il loro fruscio lieve.
Quanta pena mi fanno questi arbusti;
tanto meschini, simili a me.
Passato adorator d’un dio impotente,
vagabondo questuante felicità,
fui schiavo d’una fiamma presto spenta.
Non più per me è l’ora degli inchini,
così m’insegna questo bosco antico.
Hai ragione mio silenzioso amico,
franger si deve l’illusorio velo.
Fatta non sei per me, aurea prigione.
Infranta la gabbia della ragione,
in nuova libertà si levi il sogno.


La Ballata di Orfeo

Un triste canto piange la lira
lacrime dalle pizzicate corde,
la memoria al passato rimira
mentre Orfeo il labbro si morde.

Suono che dice ciò che il cuore sente,
suono che più non può dirsi felice.
Solo conosce un dolore struggente,
da che tolta gli è stata Euridice.

Talvolta incauto il cuor suo vola
alla dolcezza della morta sposa;
Sulla promessa che mai sarà sola
a tratti il ricordo fresco si posa.

“Tieniti caro questo giuramento:
mai seccherà del nostro amore il seme,
giuro che mai passerà un momento
che non veda me e te stare insieme”.

Le si rivolse con queste parole
ed ella era di colpo arrossita;
trascorse ora son due stagioni sole
da quando gli dei a lui l’han rapita.

Mentre fuggiva la colse la morte,
ché la inseguiva una brama bestiale;
non le riuscì d’evitar la sua sorte,
e infranse il gaio vincolo nuziale.

Stesa sull’erba Euridice pensava
teneramente al volto dello sposo,
ed assai lieta d’essere schiava
d’un sentimento tanto gioioso.

Così la vide il dio agreste Aristeo,
nuda, bellissima in mezzo alle foglie;
e nell’assenza del marito Orfeo,
credette soddisfar le proprie voglie.

Quando del dio la ninfa s’accorse,
nella fuga si gettò impaurita;
cadde in terra e un serpente la morse,
in un colpo prendendole la vita.

Giunto Aristeo e vedendola morta,
al cuor sentì montargli la pietà;
mentre Euridice varcava la porta
del triste eterno regno d’aldilà.

Ignaro la sera tornò a casa Orfeo,
sperando riabbracciar l’amata moglie;
ma presto scoprì che un destino reo
di lei lasciava solo fredde spoglie.

Grida straziate, pianto triste e mesto,
nella lira sfoga il proprio dolore;
urla la rabbia di chi troppo presto
perduto ha sogni, vita e amore.

A quelle note si commosse il cielo,
lacrimò pioggia e tuonò parole;
s’oscurò chiudendosi in nero velo
per rendergli omaggio un pietoso sole.

I fiumi, i boschi, come ogni animale,
dolenti espressero il proprio cordoglio.
Tutti sapevano che non ha eguale
la pena d’un cuore d’amore spoglio.

Ricorda Orfeo ma non s’arrende al fato,
riavere vuole la giovane moglie.
Per riprender ciò ch’Amor gli ha dato
decide di varcar l’infere soglie.

Mai sopito amor impavido spinge
il bel cantor fin dentro all’Averno;
di non aver paura solo finge,
ché tutto lì è un crudo inverno.

Mentre le fosche contrade attraversa,
innumere anime guardano a lui.
Son coloro che ogni gioia han persa,
che gementi attendon giorni bui.

Ma di loro ormai Orfeo non si cura,
contro pietà egli erge lo scudo
di chi per altro tien premura.
Amor così lo rende agli altri crudo.

Quando infine al trono d’Ade arriva,
non al dio ma alla moglie si volge:
“O regina dell’anime defunte, diva,
morto non son eppur per queste bolge

vaga il mio cuore in cerca di speranza.
Rendi Euridice che morta qui giace
al marito che starne non può senza.
Musica vi do in cambio, se vi piace.”

Soave melodia soffusa accompagna
quella straziata ultima preghiera;
un rivo di lacrime puro bagna
il viso del dio dalla nera criniera.

In un attimo Averno muta in Eliso,
più non soffrono i dannati, ora beati.
Nelle tenebre schiarisce un Paradiso,
e più non rimpiangono d’esser nati.

Toccandosi la dea i capei biondi,
al fosco marito volge il discorso:
“Amor così diviso fra due mondi…
ricordi? Non molto tempo è scorso

da che noi avemmo una stessa guerra.
Era possibile al re dell’Inferno
amar Persefone della Terra?
No…pur ci giurammo amore eterno”.

“Triste storia richiama il mio ricordo,
questi due ci son simili, amore mio.
Non rimarrò al loro appello sordo,
pietoso sa essere il mortifero dio.

Và, cantore, e ti segua Euridice.
Ma voglio che le mie parole ascolti:
mai più con lei potrai esser felice,
se prima dell’uscio a guardarla ti volti”.

Pronto già per il lieto ritorno
sorridendo Orfeo le parole ascolta;
ma beffardo destin prima del giorno
infelice il farà ancora una volta.

Passo dopo passo il cuor gli freme,
il dio della morte non l’ha preso in giro.
Dalla salita affaticata geme
dietro lui la moglie, n’ode il respiro.

Voltarsi allor vorrebbe il poveretto,
ché per la moglie gli scoppia il cuore.
S’avvera così quel ch’il dio gli ha detto,
tradito è Orfeo dal troppo amore.

Timida accenna Euridice un sorriso,
ma subito Orfeo inorridito arretra:
fino alle soglie del tenero viso
il corpo di lei si tramuta in pietra.

“Il troppo amore ha tradito entrambi,
nemmeno tenderti le braccia posso.
Se solo saprò che il mio amor ricambi,
non così tristo sarà questo fosso.”

Alle parole dell’amata moglie,
scoppia il cantore in un pianto cupo.
Di gettar decide le proprie spoglie
nel profondo abisso d’un fero dirupo.

Lì il suo corpo divorano le Furie,
e in pezzi gli riducono le membra.
Accanisce su Orfeo le sue ingiurie
un destino che odiar l’amore sembra.


Attraente Incompatibilità

Eri a tuo agio dentro il tuo mare,
non ti curavi di chi andava a fondo.
Troppo difficile per me nuotare,
non era il mio ambiente,
non era il mio mondo.

La timidezza divien manifesta
davanti a donna sconosciuta,
ad una bestia solo fuggir resta
s’egli la morte fiuta.

Allora eravamo così lontani,
come son terra e stelle,
nulla trovavano le mie mani,
tranne il buio.

Chi dunque ho conosciuto finora?
L’amore mio chi era?
Quel che eri prima rivedrò ancora,
o tutto è svanito quella sera?

L’anima mia è pianta delicata,
avvezza al soffuso, all’ombra.
Sii per me balsamo, gentile pomata,
bacia le ferite delle mie membra.

Tu sei il bianco, e tu sei il nero,
ardente passione e pudica purezza,
pace dei sensi e fitto mistero,
mesci il sereno con l’ebbrezza.

Fragili gli arbusti della mia mente,
regger potranno a vento e pioggia?
Lo vedo, si leva mesto a ponente,
il vessillo di resa tristo biancheggia.

Devo al vero chinar la testa:
farti saprei solo da paggio,
mal si concilia estiva tempesta
con un quieto autunnal meriggio.


15 marzo

Astro fugace
di felicità sconosciuta
con forza s’imprime il tuo abbaglio
nell’estasi dei miei occhi.
Ne catturo la bellezza
e la faccio mia,
e nello specchio del tuo volto
può ora riflettersi
questo minuto universo,
ammantato del fulgore delle stelle.
Un’intensa armonia
plasmano per me le tue mani,
finalmente posso toccarle.
Quiete intonano un canto,
soave concerto di sguardi,
e musica più dolce non vi è
che questo nostro silenzio.
Riecheggiano nella mia mente
i battiti del tuo cuore,
posso sentirli,
più delicati
di mille parole.
Li insegue il mio pensiero,
vola da te.
Cerca i contorni del tuo viso,
per sfiorarne il candore
con cento baci di buonanotte.


di Marco Cecini

Lancelot 29-10-2011 10.31.11

Amore oltre la Morte

Lambisce la fiamma della mia passione
come un fuoco privato della legna;
ma ancora può scaldarmi una scintilla
se dentro vi scopro il tuo sorriso.
Davanti alla tomba in cui morte ripose
di te, mia dea, le spoglie oneste e sante,
mi giunge a noia essere ancora in vita,
se vivere devo in questo freddo inverno.
Le onde del nostro amore crudele,
s’infrangono sopra una cruda stele.
Riavere non posso ora serena
pensando a dove tu ora riposi.
Ingrate pietre, per pietà della mia pena,
mostrate ancora una volta
a me, ch’ancor non sazio d’Amor sete,
colei che in seno a voi chiudete.
Insopportabile e troppo freddo gelo,
questa è la vita se le si toglie il velo.
Se riaverti potrò soltanto in sogno,
voglio allora dormire e non destarmi mai.
Con te divider vorrei la fossa;
stringendomi al petto le amate ossa
ti terrei per moglie e compagna,
riscaldare potrei con le mie dita
il prezioso, marmoreo, freddo corpo,
e riabbracciarti ancora e ancora.
Solo ora mi appare triste la solitudine.
Tu eri l’aria pura che respiravo,
tu eri il mio nettare e la mia ambrosia,
ora mi vedi a soffocare affamato.
Guardando i tuoi azzurri occhi perfetti,
a me parean sbiaditi mare e cielo.
Della promessa sposa il bianco velo
in eterno porterai nel mio cuore;
solo per te, fra tutte, l’anima mia muore.


di Marco Cecini

Morris 29-10-2011 14.37.48

Visitare un amico od un nemico è sinonimo di lealtà e spontanea cortesia!

http://youtechnews.altervista.org/yo...FOTO_68192.jpg

Auguri per il vostro nuovo spazio: solo meraviglie vi leggo... complimenti, Sir Amico Lancelot!

Sir Morris

Lancelot 29-10-2011 14.48.15

Se posso permettermi questo piccolo spazio, prode Cavaliere, è solo perché il numero dei miei componimenti è nulla paragonato alla vastità meravigliosa che si esprime attraverso la vostra creatività... Voi ci deliziate ogni giorno con qualcosa di diverso, innumerevoli sono ormai i canti che si debbono alla vostra penna, e sappiate che siete modello ed esempio per noialtri aspiranti poeti di grazia e di virtù linguistica!:smile_clap:

Hastatus77 31-10-2011 12.55.49

Citazione:

Originalmente inviato da Lancelot (Messaggio 40001)
Spero perdonerete la mia vanità se utilizzo le possibilità offertemi da questa comunità per avere uno spazio dedicato alla raccolta dei miei componimenti di ieri e di oggi, di modo che essi non si disperdano nel marasma delle pagine di antologie troppo vaste, ma possa sempre essermi chiaro alla mente cosa ho già sottoposto alla vostra critica e cosa no :smile:

Nessun problema.
Avete fatto bene. Buon lavoro.

Altea 31-10-2011 22.14.53

Ottima idea e complimenti Lancelot :smile_clap:

come già vi dissi rimasi colpita dalla poesia "attraente incompatibilità" dove già vi scrissi i miei pensieri su alcuni versi,

Mi ha colpito molto anche quella del bosco anche se trovo che lo descriviate come un luogo immobile, mentre io credo che ivi vi siano spiriti di antichi guerrieri e sospiri di dame e nonchè il bellissimo mondo magico di un piccolo sottobosco. Ecco come lo immagino io :smile:

Lancelot 01-11-2011 21.41.25

E' un'immagina molto vivida, Lady Altea, per la quale vi ringrazio, giacché ne trarrò ispirazione per un prossimo componimento.

Altea 01-11-2011 21.47.21

Citazione:

Originalmente inviato da Lancelot (Messaggio 40155)
E' un'immagina molto vivida, Lady Altea, per la quale vi ringrazio, giacché ne trarrò ispirazione per un prossimo componimento.


e io mi auguro di leggerla al più presto, ne sono molto curiosa.

Anne 02-11-2011 12.04.36

Questi versi sono meravigliosi!!!:laughing_lol1:

Lancelot 02-11-2011 14.45.37

Vi ringrazio, milady Anne, per le vostre parole... :o

Spero di non tediarvi con questa vecchia poesiola, scritta diversi anni or sono quando l'amore mi era ancora sconosciuto, eppure così vagheggiato... Purissimo, forse, proprio per questo, nella mia mente.

Amare l'amore

Perché resto in amor sempre bloccato?
Creder non posso sia questo il mio fato,
d’amore e d’amar io ho troppa voglia,
priva d’amor l’anima mia è spoglia.

Ripercorro le strade della mente,
più ricorda più il cor mio si pente,
baci, abbracci, le carezze mai date,
tante, infinite occasioni mancate.

Forse troppo presto scoprii l’amore,
credo che questo sia stato il mio errore.
Di quello che provai sento il bisogno,
questa la colpa di chi aspetta un sogno.

Continuo a credere a quella favola,
mentre fra le onde del tempo scivola
la migliore parte della mia vita,
invano afferrata dalle mie dita.

Ma è giusto snaturare me stesso?
Calpestare l’animo mio defesso
soltanto per sembrare agli altri uguale;
no, non può il cor mio far cosa tale.

Da qualche parte pure esister deve
una donna che scioglier come neve
sappia il cuore dal tempo congelato.
Coperto da malinconico strato,

troppo a lungo egli è rimasto fermo,
ora rimuover vorrebbe lo schermo
della timidezza e della speranza,
e cominciar della vita la danza.

Basta cercare ciò che non esiste,
basta pensare a quel ricordo triste,
rincorrer non voglio più il passato
ma non riesco a saltarne il fossato.

Capace son solo di dir parole,
davvero il cuore liberarsi vuole?
Forse alla vita reale e alla ragione
preferisco dei sogni la prigione…

Lì almeno non temo delusioni,
cullarmi posso nelle mie illusioni.
Creder posso che Amor sia cosa vera,
pensare che duri una vita intera.

Rinunciar non voglio a queste chimere,
non voglio scoprire che non sian vere.
Questa è per me la maggior paura,
il perché mia solitudine dura.

Credere di non averlo trovato
e d’essere in amore sfortunato,
migliore è per me che rinunciare
a due idee che nella mente ho chiare:

che l’amore esiste ed è immortale,
che dianzi a lui nessuna cosa vale;
che gli amori veri son cose rare,
le uniche forse per cui val lottare.


di Marco Cecini


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