Camelot, la patria della cavalleria

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Altea 30-05-2012 22.22.39

L'Abbazia di Valvisciolo
 
Ritornando a chiese che celano misteri vi parlo di ciò che ho letto...su questa Abbazia nelle mie varie ricerche.


"Il territorio di Sermoneta, splendido borgo medievale alle pendici dei Monti Lepini, dominato dal Castello dei Caetani e circondato da boschi e uliveti, custodisce forse le tracce maggiori nel Lazio non soltanto della presenza dei templari, ma anche della loro complessa dottrina misteriosofica. Ne sarebbero espressione i numerosi simboli riscontrabili nei suoi più importanti edifici sacri, quasi sempre caratterizzati da un’evidente impronta cistercense: ordine, questo, notoriamente legato ai misteriosi monaci-cavalieri.
In particolare, è davvero curioso notare quanto qui sia l’elevata quantità di esemplari di “Triplice Cinta”, rilevabili (ed in forme abbastanza varie) nell’Abbazia di Valvisciolo (ove, come vedremo di seguito, è presente addirittura anche un “Sator”), nella Cattedrale di Santa Maria Assunta, nella chiesa di San Michele Arcangelo e in molti angoli dello stesso centro storico. Simbolo dalle origini remote e di derivazione celtica, sul cui significato si è sempre discusso ed ancora si discute, pare che i templari se ne servissero per “contrassegnare” i luoghi ai quali conferivano un’eccezionale valenza sacra e tellurica, selezionati secondo occulte conoscenze sulle energie della Natura.
Ad ogni modo, il corpus iconografico custodito da Sermoneta e dai suoi dintorni è assolutamente eccezionale: accanto alle triplici cinte, al Sator, e alle numerosissime “croci patenti”, esso comprende altri simboli rari e significativi come il “Centro Sacro”, la “Stella a Cinque Punte”, il “Nodo di Salomone” e la “Tau”. Tutto ciò proverebbe la funzione di Sermoneta quale vera e propria “roccaforte templare”, e costituirebbe, allo stesso tempo, un’ulteriore conferma del profondo vincolo (sociale e spirituale insieme) che doveva stringere l’Ordine del Tempio all’area lepina.

L'Abbazia di Valvisciolo

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Posta su un poggiolo ai piedi del Monte Corvino e dedicata al protomartire Santo Stefano, l’Abbazia di Valvisciolo è tra i monumenti italiani che conservano le tracce più evidenti e misteriose del passaggio dei templari.

Secondo la tradizione, il complesso, caratterizzato dall’austero stile gotico-cistercense, fu fondato nel VIII secolo dai monaci greci basiliani di San Nilo, attivi già a Grottaferrata. Nella seconda metà del XII secolo assunse il nome di “Valvisciolo” in seguito all’abbandono, da parte di alcuni monaci cistercensi, dell’omonimo monastero presso Carpineto Romano, di cui oggi rimangono poche rovine.
I cistercensi, che tuttora abitano l’abbazia, operarono al tempo sostanziali modifiche alla sua struttura originaria, conferendogli l’aspetto attuale, con l’interno della chiesa senza transetto e a tre navate, divise da larghi archi a sesto acuto e volte a crociera.

E’ certo, tuttavia, che anche i templari vi s’insediarono per un certo periodo, forse a cavallo tra XIII e XIV secolo, come è provato sia dalla croce templare scolpita sulla sinistra nell’oculo centrale del bel rosone (peraltro quasi sicuramente postumo alla costruzione cistercense), sia da altre numerose e suggestive tracce.

L’architrave spezzato
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Uno degli spunti più singolari, per l’appassionato della storia templare, è senza dubbio dato, a Valvisciolo, dal portale della chiesa. Esso, infatti, presenta una crepa sulla sinistra dell’architrave, in accordo con una celebre credenza diffusasi nel XIV secolo successivamente all’atroce persecuzione dell’ordine condotta dal re di Francia Filippo il Bello, desideroso di accaparrarsi i suoi immensi tesori. Secondo questa leggenda, allorquando, il 18 marzo del 1314, venne messo al rogo l’ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, gli architravi di tutte le chiese templari si spezzarono. Una testimonianza senz’altro affascinante, pur fiabesca, che va a sommarsi a quella, ben più concreta, della croce nel rosone. Da notare, a proposito, che altre croci templari sono rilevabili sul primo gradone del pavimento della chiesa e nel soffitto del chiostro.

Il chiostro e le triplici cinte
Il chiostro di Valvisciolo è uno dei più belli ed eleganti nell’ambito dell’architettura cistercense nel Lazio. Completamente in pietra ed ornato da fiori e piante rampicanti, offre immediatamente, appena vi si entra, una piena immersione nell’atmosfera medievale. Sui muretti di sostegno delle colonnine binate sono presenti, similmente al chiostro dell’Abbazia di Fossanova, vari simboli, tra cui almeno due “triplici cinte”.

La Sala Capitolare e il “Nodo Templare”
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Un ennesimo ambiente dell’abbazia in cui possiamo riscontrare simboli e segni interessanti a ricostruire la presenza templare a Valvisciolo è la Sala Capitolare. La sua struttura, che nell’estetica ricalca gli stilemi tipici dell’arte gotico-cistercense, coincide in larga parte con quella delle sale capitolari dei templari, distinguibile dalla disposizione ad Oriente del punto ove durante il Capitolo sedeva il Gran Maestro (o il dignitario più alto in carica della zona) e dalla ripartizione del pavimento secondo la gerarchia esistente tra gli appartenenti all’ordine. Anche qui ammiriamo alcuni simboli degni di nota: al centro delle volte a crociera è infatti inciso il cosiddetto “Nodo di Salomone” (o “Nodo templare”), metafora del cammino esoterico verso la conoscenza di sé e verso la Verità, mentre sul soffitto del chiostro, proprio di fronte all’entrata della sala, si può notare una “Stella Polare” ad otto punte, raffigurazione alchemica dell’origine spirituale del mondo. C’è da dire che purtroppo il “nodo templare” versa in grave pericolo ed è destinato a scomparire, poiché la sala è tuttora soggetta ad uno scellerato e ridicolo restauro che (qui come in molti altri luoghi) sta completamente ricoprendo d’intonaco la pietra viva delle pareti e delle volte.

Un esemplare di Sator unico al mondo
Tra tutti i simboli presenti nei vari locali dell’abbazia, è senza dubbio il Sator quello più rilevante. Si trova graffito in minuscole dimensioni (sui resti dell’antico intonaco) sul lato occidentale del chiostro, subito sulla destra per chi entra dal corridoio d’ingresso accanto alla chiesa. Il Sator di Valvisciolo costituisce un esemplare unico al mondo, giacché in esso al crittogramma è unita la simbologia delle linee concentriche (curve o rette), propria dei misteriosi “reticoli celtici”. Una particolarità, questa, che dunque parrebbe idealmente attestare il legame tra la Triplice Cinta e il Sator. Le lettere iniziali delle parole che formano il testo del celebre “quadrato magico”, «SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS» qui sono infatti inserite in un cerchio suddiviso da cinque anelli concentrici e da una sorta di stella a cinque punte, che a sua volta delimita un settore per ogni parola. Attorno all’iscrizione, sono inoltre visibili enigmatiche scritte in antichi caratteri onciali ed altri accenni di segni simili (un cerchio più piccolo). E’ interessante infine notare come sulla stessa parete ove è graffito il Sator siano presenti (qualche metro sulla sinistra e sempre su tracce d’intonaco) numerosi esempi di “Nodo di Salomone” e persino un Centro Sacro (o Omphalos) in una variante “complessa” ed “insolita” (al posto del quadrato si vede un rettangolo con sviluppo verticale, formato da venti piccoli quadrati semplici e con rette oblique interne tracciate in maniera piuttosto irregolare). L’Omphalos, ritenuto affine alla triplice cinta ma più raro, rappresenta la metafora dei valori di “giustizia” e di “equilibrio”, che, nell’ambito della dottrina misteriosofica templare, costituivano acquisizioni fondamentali lungo il cammino di auto-perfezionamento e di conoscenza di sé.
L’Abbazia di Valvisciolo conserva dunque un vero e proprio “campionario” di quella simbologia sacra che è comunemente ricondotta all’Ordine del Tempio. Tuttavia, la qualità spesso abbastanza approssimativa della maggior parte dei simboli rilevabili, la loro evidente non-monumentalità (e cioè il fatto che tali segni non siano elementi “progettati” nel contesto dell’Abbazia, fatta eccezione ovviamente per la “Stella Polare” e i “Nodi di Salomone” della Sala Capitolare), e anzi la sensazione che siano stati tracciati quasi di nascosto (lo testimoniano quelli incompleti), fanno pensare o ad un messaggio metaforico (oggi andato perduto), diffuso nella devozione di pellegrini in una situazione di analfabetismo generalizzato, oppure ancora, e più plausibilmente, ad una sorta di «codice segreto» (Anna Giacomini) pertinente alla volontà di alcuni visitatori di lasciare la traccia di un sapere riservato a pochi “eletti”. Qualunque sia la verità, non si può tuttavia attribuire con certezza il Sator e gli altri simboli di Valvisciolo al periodo di frequentazione templare di questi luoghi, vale a dire, approssimativamente, tra il XII e il XIII secolo: la loro paternità rimane tutt’oggi sconosciuta.

La leggenda del tesoro dei templari
Ma i misteri non finiscono qui. Una leggenda narra che nell’Abbazia di Valvisciolo sia addirittura nascosta una parte del favoloso tesoro dei templari. Si narra che nell’ottobre del 1308, in seguito ai primi arresti in Francia da parte di Filippo il Bello, molti cavalieri dell’ordine scampati alla cattura fuggirono in varie direzioni per nascondere, in qualche luogo sicuro, favolose ricchezze e documenti (od oggetti) attestanti conoscenze segrete ed arcane. Secondo questa leggenda, i templari sarebbero giunti in Italia e nel Lazio, e non potendo allora contare sull’appoggio del Papa Clemente V, avrebbero fatto sosta in alcuni villaggi o centri monastici di fiducia, per celare il prezioso carico dei loro carri: e, con la vicina Ninfa, uno di essi era proprio l’Abbazia di Valvisciolo.
Ad ogni modo, sebbene l’esistenza di un tesoro templare a Valvisciolo non sia mai stata supportata da alcuna prova storica né archeologica, c’è chi ha visto nella stessa struttura dell’abbazia un elemento in favore dell’ardita ipotesi: tra la chiesa e il chiostro sono difatti presenti contrafforti stretti e vuoti e sostanzialmente inutili, poiché, essendo separati dalla chiesa da un corridoio, non hanno la funzione di sorreggere l’interno. I sostenitori della leggenda asseriscono che in realtà queste insolite mura formino cunicoli collegati con i sotterranei del complesso. Intuizione certamente interessante, che però non può essere verificata in quanto i monaci cistercensi non permettono di visitare né i cunicoli dei contrafforti né, tanto meno, i sotterranei dell’abbazia.

tratto dal libro "Lazio: i luoghi del mistero e dell'insolito"
Autori: D. Cortiglia e L. Bellincioni

e sito http://www.eremonedizioni.it

Taliesin 31-05-2012 09.38.39

Se il vostro Edgar avesse potuto visitare il luogo misterioso da voi sapientemente descritto, sicuramnete la sua sconfinata fantasia avrebbe associato quella crepa nell'architrave ad un gotico paesaggio lunare, come a simboleggiare il solitario mondo dei Templari e la loro ascetica visione...

Ho incontrato questa meravigliosa abbazzia durante un mio recente viaggio nella bassa Tuscia e devo confessare che non ho fatto caso a quella leggenda scritta sulla crepa, poichè ero immerso nelle lettture della ricca biblioteca su un personaggio del XV secolo, tale Giovanni da Sermoneta, medico e novello alchimista, precettore di una scienza che ancora non era pronta ed accettata dai tempi in cui egli viveva....ma questa è un'altra storia, legata alla mia....

Grazie lady Altea.

Taliesin, il bardo

Altea 31-05-2012 16.21.51

Sir Taliesin, vi ringrazio per aver posto la vostra attenzione a questo pezzo di storia..che sia vera o di fantasia.
Ciò che mi affascina di più è il "sator", ho letto che dei sator siano stati trovati anche a Pompei in alcune case patrizie..se non erro, e il quadrato magico mi affascina molto.


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