Camelot, la patria della cavalleria

Camelot, la patria della cavalleria (http://www.camelot-irc.org/forum/index.php)
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-   -   Ardea de'Taddei (http://www.camelot-irc.org/forum/showthread.php?t=803)

llamrei 14-11-2009 12.54.21

^__^ ah l'Amore....quindi Ardea conferma di avere un lato tenero:smile:

Guisgard 16-11-2009 01.52.12

ARDEA DE' TADDEI

XXXVII

“L’aria era infestata dal fetido e dagli
ingrati grugniti dei maiali. Nella melma
e nel fango i docili servi attendevano
l’arrivo del padrone, che avrebbe scelto
l’animale più grasso.”
(I Racconti della Pallida Luna di Settembre, VII)


“Dove siete diretti, signori?” Chiese l’oste.
“A Caivania.” Rispose Biago.
“Eh, fossi in voi cambierei i miei piani.”
“E perché mai?” Chiese incuriosito Biago.
“Caivania non è un buon posto per voi, miei signori.” Rispose quasi addolorato l’oste.
“Un oste tanto enigmatico non l’ho mai incontrato…” Disse ironico Biago.
“Miei signori” riprese a dire l’oste “Caivania è ormai da tempo dimenticata da Dio. Sarebbe bene che la dimenticassero anche gli uomini.”
“Di cosa parlate?” Chiese Ardea.
“Ogni cosa esistente in natura” rispose l’oste “da frutti solo se è benedetta dal Cielo. E Caivania invece sembra aver perso la Grazia Divina. Come tutti i suoi sfortunati e miserabili abitanti.”
“Ma insomma” sbottò Biago “cosa c’è a Caivania? Una rivoluzione? Una pestilenza? O una carestia?”
L’oste osservò i due e dopo un momento di silenzio rispose:
“A Caivania è giunto il male...”
Ardea e Biago si scambiarono un rapido sguardo.
“Noi abbiamo affari importanti da svolgere in quella contrada” iniziò a dire Ardea “dobbiamo recarci assolutamente in quel luogo.”
“Capisco” rispose mestamente l’oste “anche se non capisco cosa può ancora dare quella terra maledetta.”
Pagato il loro pernottamento, i due, poco dopo, si rimisero in viaggio.
Di nuovo attraversarono il bosco, seguendo l’irregolare sentiero, fino ad avvistare Caivania.
Il Sole era alto e la campagna ridente.
Eppure una strana atmosfera dominava quel luogo.
Come un senso di apatia.
Ad un tratto, prossimi alla meta, Ardea e Biago iniziarono a sentire un maleodorante odore diffuso nell’aria.
Un fetido che sembrava penetrare fin dentro i polmoni, rendendo impossibile respirare.
Più si avvicinavano al centro abitato più l’aria risultava infestata da quel disgustoso e nauseabondo odore.
“Dove siamo giunti?” Chiese disgustato Biago. “Sembra che in questo luogo tutto stia marcendo, appestando l’aria!”
“Si” rispose Ardea “è quasi impossibile respirare.”
Anche i loro cavalli accusavano quest’aria ammorbante.
Strapparono allora alcuni lembi dai loro mantelli e li usarono per coprirsi la bocca ed il naso.
“In questo luogo non troveremo più nessuno” disse Biago “saranno tutti fuggiti. E’ impossibile sopravvivere a questo fetore!”
A stento i loro cavalli riuscivano a proseguire, mentre l’aria tutt’intorno si addensava sempre più di quell’appestante tanfo.
“Ma cosa può mai generare tanta puzza?” Chiese Biago.
“Solo arrivando a Caivania potremo saperlo!” Rispose Ardea.
E poco dopo i due giunsero finalmente a Caivania.
Le strade erano deserte e tutte le case avevano porte e finestre inchiodate o barricate.
Nemmeno un cane osava attraversare le vie di quel luogo.
“Questo posto è morto!” Disse Biago, contenendo a stento un fortissimo senso di nausea.
Tutto infatti sembrava aver abbandonato Caivania. Persino il vento era assente.
E ciò rendeva ancor più densa e pesante quella fetida aria.
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(Continua...)

Guisgard 18-11-2009 01.45.14

ARDEA DE' TADDEI

XXXVIII

“Desolata ed infelice terra,
vergine di eroismi e generosità,
solo quando il tempo frantumerà
queste tue mura, per mano dei
liberatori, i tuoi figli torneranno
a cantare alla luce del Sole.”
(Le Geometriche, libro V)


Biago, accortosi di una fontana proprio al centro di una piazzetta, preso dal senso di sete, si avvicinò per bere e pulirsi la bocca che il fetido dell’aria sembrava aver reso amara e vischiosa.
L’acqua però era opaca, densa e aveva un odore disgustoso.
“Anche l’acqua è marcia in questo infelice luogo!” Gridò ad Ardea.
Ardea si avvicinò per controllare quell’acqua. Infatti nemmeno i cavalli osavano berla.
Ad un tratto si udirono delle grida.
Un momento dopo un uomo, grassoccio e di bassa statura, giunse correndo ed ansimando nella piazzetta.
Appena arrivato a pochi passi dalla fetida fontana, cadde a terra, rotolandosi nella polvere e nel terreno.
Subito da una delle abitazioni che si affacciavano sulla piazzetta uscì disperata e fuori di sé una donna.
“Giuspo! Giuspo!” Gridò la donna. “Figlio mio, come stai?”
Lo raggiunse e lo abbracciò forte. Dopo alcuni istanti, come tante pecore, uno dopo l’altro, iniziarono ad uscire dalle loro case gli altri abitanti della contrada.
La donna stringeva a se quell’ometto ancora steso nella polvere.
“Giuspo! Come stai?” Chiedeva in lacrime la donna.
Tutti gli altri restavano muti e quasi assenti davanti a quella scena.
Giuspo affannava e non riusciva a parlare, mentre quella donna lo scuoteva e lo chiamava per nome, come a volerlo destare da un grande spavento.
“Sto…sto bene, madre…” Rispose con un fil di voce all’ennesima invocazione della donna.
Questa guardò la fontana e disse:
“Aspetta, ti prendo dell’acqua.”
“Quell’acqua è marcia.” Intervenne Ardea che aveva osservato da vicino quella confusa scena. “Prendete questa che è invece pura e limpida.”
La donna ringrazio con un cenno del capo per quel nobile gesto e passò la borraccia del cavaliere al suo malridotto figliolo.
In quel momento uno dei presenti chiese:
“Allora, come è andata, Giuspo?”
L’ometto buttò giù, avidamente, diversi sorsi di quell’acqua pura, fino a prosciugare l’intera borraccia.
Bevve tanto velocemente da essere colto da una profonda tosse quando finalmente staccò la bocca dalla borraccia.
“Dicci Giuspo, come è andata?” Chiese ancora quell’uomo.
Giuspo lo fissò, con la bocca bagnata dall’acqua appena bevuta e gli occhi rossi, fuori dalle orbite, come se stessero per esplodere.
“Come vuoi che sia andata?” Rispose scuotendo la testa. “Ero a circa cento passi da una delle pecore, quando quel suo mostruoso cane mi ha visto, cominciando ad abbagliare e ad inseguirmi!”
“Perché ti sei avvicinato tanto, figlio mio?” Chiese sua madre.
“Madre…” rispose Giuspo “eravamo io e Plino. Ormai Caivania è ridotta alla fame e quest’aria infestata finirà per ucciderci tutti. Non potevamo restare a guardare…”
“Plino?” L’interruppe una delle donne presenti. “C’era anche lui? Dov’è ora? Non l’ho vedo da stamani!”
Giuspo la guardò per qualche istante. Poi, senza dir nulla abbassò il capo.
“Dov’è Plino?” Chiese ancora la donna. “E’ mio marito! Dovete dirmi dove sta! Ditemelo, maledetti! Maledetti!”
“Era con me…” iniziò a dire Giuspo “…quando quel cane infernale ci ha inseguiti…fuggivamo ma poi Plino è caduto…non ho avuto il coraggio di fermarmi… mi sono salvato perché…perché quella belva si è fermata a fare scempio del corpo di Plino...”
La donna gridò ed inveì contro tutti e tutto. Si strappò i vestiti ed iniziò a graffiarsi. Ci vollero quattro persone per evitare che si strappasse lei stessa le carni per la disperazione.
Sentendo quel racconto, la madre di Giuspo strinse ancor più forte il proprio figlio a sé.
Pian piano poi, tutti rientrarono nelle proprie case.
La madre di Giuspo, fermatasi sulla soglia della porta, si voltò verso Ardea e Biago dicendo:
“Non restate all’aperto, miei signori, o quest’aria imputridita vi avvelenerà i polmoni. Vi prego, entrate dentro.”
Ardea e Biago accettarono senza nessuna esitazione quel cortese invito, bramosi com’erano di trovare riparo da quel fetido infernale che dominava ovunque nell’aria.
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(Continua...)

Guisgard 20-11-2009 02.51.26

ARDEA DE' TADDEI

XXXIX

“Quando Tristano senza terra arriva
in Cornovaglia, subito apprende una
notizia che gli è molto sgradita: dall’Irlanda
è giunto il potente Moroldo che sotto la minaccia
delle armi esige da Marco il tributo delle due terre
di Cornovaglia e d’Inghilterra.”
(Tristano, 10)


Il tiepido fuoco del camino creava lievi aloni nella penombra della stanza.
La luce, tenuta a freno dalle porte chiuse e sprangate, era quasi del tutto relegata all’esterno, permettendo al buio di dominare ogni angolo di quella casa.
La legna secca si frantumava con fischi e schiocchi al contatto col fuoco.
Quell’odore nauseabondo, a differenza della luce, non trovava ostacoli a penetrare ed aveva ormai impregnato ogni cosa si trovasse in quella vecchia abitazione.
La donna mise una vecchia pentola, unta e grassa, sul fuoco del camino. In breve la brodaglia che conteneva iniziò a bollire.
“Come è possibile mangiare con una simile aria?” Si chiedeva Biago mentre osservava quella donna intenta a preparare la cena.
Giuspo era seduto accanto al fuoco e pian piano sembrava riprendersi dallo spavento che aveva vissuto poche ore prima.
Ardea invece stava in piedi, accanto al fuoco. Ne osservava le fiammate, causate dalla legna troppo secca, perdendosi di tanto in tanto a fissare le strane ombra che il chiarore del camino proiettava sulle pareti.
“E’ quasi pronto, miei signori” disse la donna “non è un granché, ma di questi tempi è già tanto.”
“Cos’è accaduto oggi, Giuspo?” Chiese all’improvviso Ardea.
Giuspo lo fissòl senza dire nulla.
“Miei signori, questa terra è maledetta!” Intervenne la donna.
“Se una terra è maledetta” disse Ardea “è perché qualcuno vi ha imposto una maledizione!”
“Tutto sembra averci abbandonato” disse la donna “la fertilità della nostra terra, la protezione del duca e la misericordia di Dio!”
“Il duca non vi ha abbandonato e come lui la Divina Misericordia!” Esclamò Ardea. “Il duca sa sempre cosa accade sulle sue terre!”
“Sono ormai due anni che non passa più nessuno dei suoi a Caivania” disse la donna “mentre qui noi moriamo poco a poco.”
“Raccontatemi tutto.” Disse Ardea.
La donna smise di mescolare il contenuto della pentola e si sedette accanto al fuoco. Lo fissò per alcuni istanti, poi cominciò a raccontare:
“La terra di Caivania è sempre riuscita a sfamare i suoi abitanti. Dai nostri raccolti abbiamo sempre ricavato il necessario per noi ed il tributo per il duca. Ma un anno e mezzo fa tutto è cambiato.”
“Cosa è accaduto?” Chiese Biago.
“Non sappiamo né da dove, né perché, ma il male giunse un giorno in mezzo a noi…” Sospirò con le lacrime agli occhi la donna.
“Il male?” Chiese Biago.
“Dal lontano nord un essere terrificante e potente decise di fare di Caivania il suo sacrilego asilo.” Disse la donna. “Egli prese possesso di tutta la nostra terra e ne fece l’immondo pascolo per il suo gregge.”
“Chi è costui di cui ci parlate?” Chiese Ardea.
“Un essere tanto malvagio quanto orrendo.” Rispose la donna. “Tramanto è il suo nome ed il suo aspetto suscita paura e disperazione!”
“E’ gigantesco e grottesco nella persona, vile e rozzo nei modi, violento e sanguinario nell’indole.” Continuò la donna.
“E nessuno di voi ha potuto opporsi?” Chiese Ardea.
La donna lo fissò quasi come se fosse suo figlio.
“Mio dolce signore” rispose “noi siamo contadini ed artigiani. Tra noi non vi sono guerrieri. E per tener testa a quel mostro occorrerebbe un esercito di cavalieri.”
Ardea e Biago si scambiarono una rapida occhiata.
“Inoltre quel maledetto ha posto a guardia del suo gregge un mostruoso cane.” Aggiunse la donna. “Ucante è il nome di quella feroce fiera e sbrana tutti coloro che tentano di avvicinarsi al gregge del suo terrificante padrone.”
“Oggi io ed il mio amico Plino” intervenne Giuspo “abbiamo tentato di rapire una di quelle pecore. Avrebbe sfamato i nostri figli e le nostre donne. Ma sapete poi come è finita per il povero Plino…”
“Quel cane sembra essere stato generato dal medesimo parto che diede la vita al suo padrone!” Esclamò la donna. “E’ grosso quanto un toro, veloce come un rapace e feroce quanto un lupo!”
“E questo immane tanfo” chiese Biago “da dove arriva?”
“Sono gli escrementi del gregge di Tramanto.” Rispose la donna “Quelle bestie pascolano sulla nostra terra, facendone scempio, sia nei frutti che nell’aria.”
La brodaglia della pentola iniziò a bollire più intensamente e per un momento il suo profumo sembrò coprire il fetido dell’aria.
“Ma voi chi siete, nobili signori?” Chiese Giuspo.
“Costui è…” Cominciò a dire Biago.
“Io sono un cavaliere errante.” Lo interruppe prontamente Ardea. “E questi è il mio scudiero. Siamo forestieri e capitammo per caso in questa desolata terra.”
“E avete un nome, cavaliere?” Chiese Giuspo.
“Ho combattuto in Terrasanta” rispose Ardea “e feci voto, per annullare la mia superbia, di non rivelare mai il mio nome ad alcuno.”
“Un voto?” Chiese Giuspo. “Avete qualche colpa da estirpare, mio signore?”
“Si” rispose Ardea “ecco perché il soprannome che ho scelto è cavaliere Ripudiato.”
Madre e figlio restarono colpiti dal soprannome scelto da quel cavaliere. Il suo portamento ed il suo aspetto tradivano valore e bellezza e quel curioso epiteto sembrava fuori luogo.
Tuttavia non chiesero altro.
Intanto la cena era pronta e tutti si sedettero a tavola per consumare quell’ingrato pasto, mentre le lunghe ombre proiettate dal fuoco del camino sulle pareti sembravano disegnare inquiete ed arcane figure, animate dalla paura e dal terrore di quella infelice terra.
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(Continua...)

llamrei 20-11-2009 11.26.04

Inquietante:eek:

Guisgard 23-11-2009 02.59.42

ARDEA DE' TADDEI

XL

“Fermati a pregare in questo
cimitero di pietra, perché è
l’ultima cosa santa che vedrai
prima di attraversare la valle
dell’Ade.”
(Il sogno funesto, III)


Dopo la cena, la pia donna pregò i suoi ospiti di restare a dormire.
“Non vorremo recare disturbo” disse Ardea “abbiamo già approfittato abbastanza della vostra cortesia. Piuttosto, indicateci una locanda per trascorrervi la notte.”
“Non vi sono più locande, né osterie né null’altro che possa dare ospitalità e riparo qui a Caivania.” Intervenne Giuspo fissando quasi ammaliato i giochi di fuoco del suo camino.
“Mio figlio ha ragione, miei signori” disse la donna “la tragedia che stiamo vivendo ha spinto chiunque ne avesse le possibilità a fuggir via.”
Ardea e Biago si fissarono per alcuni istanti.
“Allora non ci resta che accettare la vostra ospitalità.” Disse poi Ardea.
La notte trascorse lunga ed inquieta. Almeno per Ardea.
Biago, nonostante si fosse lamentato pesantemente del fetido dell’aria e di come gli impedisse di chiudere occhio, appena fu su un discreto giaciglio cadde in un sonno profondo.
Il cavaliere invece si rigirava nel letto, tra ansie, preoccupazioni ed un singolare senso di impotenza.
“Ecco perché questi miserabili non pagano più il tributo” pensava “sono delle tristi vittime di un fato atroce!”
“Cosa farebbe mio padre al posto mio?” Si chiedeva continuamente.
Ad un certo punto, seguendo il tenue bagliore della luce lunare che entrava dalla finestrella, posò lo sguardo su Parusia, poggiata a capo del suo letto.
La Luna la illuminava, generando straordinari giochi di luce colorati, frutto delle preziosissime pietre che intarsiavano quella favolosa spada.
In un momento il cuore di Ardea fu invaso dai ricordi.
Gli insegnamenti di suo padre, le loro chiacchierate, le passeggiate lungo la campagna delle Cinque Vie.
E poi il sogno di diventare cavaliere e mostrare il suo valore a quell’uomo che dal nulla lo aveva chiamato ad un destino di gloria.
Le ultime parole che Ardea udì da suo padre, il giorno della partenza verso Afragolignone, echeggiavano ora nella sua mente.
Si alzò allora dal letto, vinto dagli insopportabili pensieri ed afferrò Parusia.
La sfoderò e la mirò con attenzione.
La solida e luminosa lama sembrava risplendere di luce propria in quella inquieta notte.
“Questa spada è tutto ciò che mi resta di mio padre” disse “giuro che la onorerò a costo della mia vita!”
E così tra mille pensieri trascorse quella lenta notte.
Il gallo salutò l’albeggiare e di nuovo il Sole sorse su Caivania.
Giuspo quella mattina annunciò a sua madre che sarebbe andato allo Spiazzo delle Pietre.
Era questo un posto situato tra l’abitato di Caivania e la sua campagna.
Incuriositi, anche Ardea e Biago chiesero di vedere quel luogo.
Appena giunti, Giuspo mostrò loro dei piccoli tumoli di pietrisco posti l’uno accanto all’altro.
Ad occhio se ne potevano contare più di un centinaio.
“Cosa sono questi tumoli?” Chiese Ardea.
“Sono ciò resta dei martiri di Caivania.”
“Ciò che resta?” Ripetè stupito Biago.
“Si” rispose Giuspo. “Non abbiamo tombe su cui piangere i nostri morti. E questi tumoli furono eretti in loro ricordo. Tramanto può toglierci tutto, compresa la vita, ma non il ricordo dei nostri cari.”
“E non vi è un luogo in cui giacciono i corpi dei vostri morti?” Chiese Biago.
“Non su questa terra.” Rispose Plino. “Essi marciscono nelle immonde viscere della feroce belva di quel mostro.”
Detto ciò, Plino si chinò a terra e con delle pietre formò un altro piccolo tumolo, in memoria del suo amico Plino.
I tre, in quel doloroso luogo, vivevano stati d’animo differenti: disperazione, paura, rabbia. E così fu per gran parte di quel giorno che trascorsero tra quelle anonime pietre.
Ma quando il giorno morente iniziò a cedere il posto al crepuscolo, il silenzio di quell’austero luogo fu squarciato da un terrificante e delirante ululato.
Giuspo nell’udirlo si portò le mani sulla testa e iniziò a piangere di rabbia e disperazione.
“Quale aborto della natura può generare un simile verso?” Gridò Biago.
Ma tutti e tre conoscevano bene la risposta a quella domanda.
E per un momento il perenne fetido dell’aria fu coperto da un intenso odore di sangue e di morte.
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(Continua...)

Guisgard 25-11-2009 01.16.27

ARDEA DE' TADDEI

XLI

“Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso di eterno consiglio,
tu sei colei che l’umana natura
nobilitasti si, che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”
(La Divina Commedia, XXXIII, 1)


Nulla seguì l’eco di quel delirante ululato.
La Luna, che timida e meravigliosa si era affacciata dalle alte nuvole, in un momento rientrò nel suo giaciglio e pian piano il buio della sera ricoprì ogni cosa.
I tre tornarono a casa.
Nessuno di loro però toccò cibo.
Ardea era in piedi accanto al camino, assorto nei suoi pensieri e forse tormentato dai suoi antichi demoni, che sembravano voler prendere vita dalle mistiche forme che assumeva il fuoco del focolare.
Ma ora vi era un demone ben più reale.
Che non tormentava solamente il suo cuore, ma la vita di innumerevoli persone.
Un demone giunto da un lontano Inferno con l’unico scopo di perseguitare i vivi e spingerli nella disperazione più cupa.
Perché, come gli ripeteva spesso l’abate Petrillus, suo maestro spirituale, il demonio ha come unica arma quella di portare alla resa l’uomo attraverso la disperazione.
All’improvviso, Ardea uscì fuori.
Passeggiò da solo nello spiazzo.
Scrutava il cielo, reso opaco dall’aria sporca e pesante e cercava risposte ai suoi dubbi.
Risposte che in realtà sapeva bene erano celate solo in fondo al suo cuore.
“Se mio padre fosse vivo” pensò tra un impeto di viva rabbia “avrebbe già liberato questo sfortunato luogo dal suo flagello! E se io valgo anche solo la metà di quel grande uomo, allora Tramanto conoscerà davvero cos’è l’Inferno!”
Dopo alcune ore, vista la prolungata assenza, Biago uscì in strada e trovò il suo amico seduto sotto un olmo.
“Così ti seccheranno i polmoni!” Disse appena ebbe raggiunto il cavaliere. “Questo tanfo è malefico!”
“Domani affronterò quel maledetto che tiene sotto il suo giogo questa gente!” Disse all’improvviso Ardea.
“Non puoi farlo!” Esclamò Biago. “Tramanto ha reso cibo per il suo cane tutti coloro che hanno osato avvicinarsi ai suoi pascoli! E’ una follia!”
“Devo farlo per mio padre!”
“No, tu devi dare una discendenza al ducato, non farti ammazzare come uno sciocco!”
“Discendenza?” Disse Ardea “Un figlio che porti nel suo cuore e sul suo onore l’onta di suo padre?”
“Non c’è peccato in te, Ardea.”
“Si, invece! E solo riassestando il feudo di mio padre potrò tentare di porvi rimedio!”
“Ti prego, desisti!”
“E per cosa?” Chiese Ardea. “Per vivere come un vigliacco ed un ignavo?”
“Sei un nobile cavaliere, vivi come tale.”
“Tra meno di un anno potrei essere già morto. Rammenti il duello con il cavaliere misterioso?”
Biago non rispose nulla.
“E’ deciso” disse Ardea “domani affronterò Tramanto.”
Poco dopo, i due rientrarono in casa.
Ardea chiese alla pia donna dove fosse una chiesa.
Giuspo si offrì di accompagnarlo.
Così giunsero in una bella chiesa posta al centro di Caivania.
Nell’abside dominava un meraviglioso dipinto della Santissima Madre di Dio.
“E’ la Madonna di Campiglione.” Spiegò Giuspo. “Da secoli dispensa grazie straordinarie al popolo caivanese.”
Ardea allora recitò con pietà e devozione i Divini Misteri del Santo Rosario.
Ad un certo punto, un prete salì sull’altare ed iniziò ad invocare, con una mistica litania, gli appellativi della Santa Madre di Dio.
“Vergine Prudentissima…Vergine Venerabile…Vergine degna di lode…Regina della Speranza…Regina della Fede…”
Ed ogni invocazione di quella misericordiosa litania sembrava scandire, come un inesorabile conto alla rovescia, l’avvicinarsi del momento in cui Ardea avrebbe affrontato il malvagio Tramanto.
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(Continua...)

Guisgard 27-11-2009 03.00.03

ARDEA DE' TADDEI

XLII

“Perché dovrei temere? La mia vita
per me non val più di uno spillo. E
quanto all’anima, che male potrà farmi,
s’essa è immortale come lui? Ma ancora
mi fa cenno. Io lo seguo.”
(Amleto, I, IV)


Il giorno seguente Ardea all’albeggiare era già in piedi.
Con cura preparava il suo equipaggiamento, sistemandosi la corazza e indossando le armi.
Per qualche istante strinse fra le mani Parusia. Né baciò la fredda e lucente lama, per poi legarla stretta al cinturone.
In quel momento Biago rientrò in casa.
“Ho sellato i cavalli” disse “quando vuoi possiamo andare.”
“Grazie Biago” rispose Ardea visibilmente teso “ma tu resterai qui.”
“Perché mai?”
“E’ troppo pericoloso e non voglio altre colpe sulla mia coscienza.”
“Io sono il tuo scudiero, ricordi?” Esclamò Biago. “Non sono qui per un pellegrinaggio, ma per assisterti!”
“Ricordi la tua promessa, quando ti permisi di seguirmi?” Gli ricordò Ardea. “Dicesti che mi avresti obbedito sempre.”
“Si, nel servirti! Ma così mi escludi dai tuoi ordini.”
Ma la discussione tra i due fu interrotta dall’arrivo della madre di Giuspo.
La donna non disse nulla e posò sulla brace spenta del camino alcuni rami secchi.
“Oggi sembra farà più freddo” cominciò a dire dopo qualche istante “meglio preparare il fuoco.”
Ardea riprese i suoi preparativi senza rispondere nulla.
“Siete in partenza, messere?” Chiese la donna.
“Si” rispose Ardea “affari urgenti mi impongono di andare. Vi sarò sempre grato per la vostra ospitalità.”
“La donna si avvicinò al cavaliere, fissandolo con profonda tenerezza e dolcezza.
“Ragazzo mio” disse accarezzandogli il volto “potrei essere vostra madre. E una madre e non baratterebbe la vostra vita con niente e nessuno. Perché fate tutto questo?”
Ardea restò stupito.
“Perché altri non possono?” Disse ancora la donna. “Quella corazza non può imporvi ciò che non potete compiere.”
“Mia signora” rispose Ardea “le colpe si lavano in un solo modo…col sacrificio!”
“A costo della vita?” Chiese la donna.
“Una vita unta dal peccato non è più vita, ma solo una costante agonia.”
Giuspo, che aveva origliato tutto da dietro la porta, entrò e disse:
“Cavaliere, voi state sfidando l’impossibile! Desistete e vivete la vostra vita altrove, che è ancora lunga e gioiosa.”
“Mio tenero amico” rispose Ardea “tra meno di un anno ho un appuntamento simile con un nemico non meno terribile del vostro Tramanto. Questa di oggi è solo una tappa che mi condurrà, se dovessi uscirne vincitore, verso quell’improrogabile impegno.”
“Io non so niente di queste cose, mio signore” disse Giuspo “sono solo un contadino. Ignoro i fatti d’onore e di armi di voi cavalieri. Ma so che la vita è sacra per tutti, nobili e servi, fedeli e infedeli, cavalieri e villani.”
“E infatti” rispose Ardea “è per la sacralità della vita che faccio tutto questo.”
Poi, preso il suo elmo, aggiunse:
“Uno di voi mi indichi la via dove quel fellone fa pascolare il suo immondo gregge.”
“Vi ci condurrò io.” Disse Giuspo.
“Ed io vi scorterò” intervenne Biago “almeno voi non mi scaccerete.”
Giuspo sorrise.
Di lì a poco i tre partirono.
L’aria era umida e una velata nebbia copriva i contorni di quell’irreale scenario.
Appena intrapreso uno stretto sentiero l’aria si fece ancor più irrespirabile, quasi a far perdere i sensi.
Ad un certo punto un feroce ed allucinante ululato si diffuse nell’aria.
“E’ quella bestia! Ha avvertito l’odore del nostro sangue!” Disse Giuspo.
I tre avanzarono ancora lungo il sentiero, tra quella incantata nebbia e l’immondo fetido dell’aria.
Ed ancora si udì quel delirante ululato. Stavolta più forte e vigoroso.
“Si è avvicinato!” Esclamò Biago. “Temo che quella bestia sia vicina.”
“Quella fiera non vi permetterà di avvicinarvi al suo padrone.” Disse Giuspo ad Ardea.
“Occorrerebbe un modo per liberarsi di quella maledetta bestia!” Disse Biago.
Poi, giunti davanti ad una fitta fila di grossi alberi, Giuspo iniziò a dire:
“Dietro questi alberi, ai piedi della collina, vi è il gregge di Tramanto. Mentre la grotta dove egli ha trovato rifugio è posta sulla cima di quella collina.”
I tre allora si accostarono presso degli alberi, posti tra il sentiero i piedi della collina.
Qui poterono finalmente scorgere il gregge di Tramanto, composto da grasse e belanti pecore, ricoperte da bianchissima e soffice lana.
Ce ne erano tante che era impossibile contarle tutte senza confondersi.
E con il loro letame avevano insozzato tutta la vegetazione.
Il tanfo che quel luogo emanava era insopportabile e quasi appannava la vista, mentre la nebbia, divenuta fittissima, sembrava avvolgere e separare quel posto dal resto del mondo.
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(Continua...)

Guisgard 30-11-2009 00.58.22

ARDEA DE' TADDEI

XLIII

“Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole carinamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.”
(La Divina Commedia, VI, 13)


I tre si nascosero tra gli alti alberi che racchiudevano quel piccolo fondovalle, nel quale pascolavano le pecore del marrano.
“Lì, in cima” disse Ardea “intravedo una grotta…”
“E’ la tana di quel maledetto!” Disse Giuspo, con un tono che tradiva paura e rabbia insieme.
“Devo raggiungere quella grotta!” Disse Ardea.
“Appena tenterete di avvicinarvi” esclamò Giuspo “il suo feroce cane vi assalirà!”
“Dopotutto è solo un cane…” Disse Biago.
“Anche Cerbero lo è” intervenne Giuspo “eppure nessun dannato dell’inferno penserebbe mai di fuggire!”
“Infatti noi non lo attaccheremo!” Rispose lesto Biago.
“Cos’hai in mente?” Gli chiese Ardea.
“Di liberarci di quella dannata bestia” rispose Biago “così che tu possa raggiungere quel fellone!”
“E’ utopia credere di poter far fuggire quel cane!” Disse Giuspo.
“Vedremo…”
“Insomma, cos’hai in mente?” Chiese spazientito Ardea.
“Una volta” cominciò a dire Biago “sua maestà aveva un bellissimo alano. Era robusto e fiero e nessun altro cane poteva stargli alla pari. Ma un giorno il cane accusò dei strani sintomi. Come se uno strano morbo l’avesse contagiato, rendendolo furioso e feroce. Gli stallieri decisero di abbatterlo, ma il piccolo principe, amando tantissimo quel cane, se ne rattristò molto.”
“Arriva al punto, maledizione!” Esclamò impaziente Ardea.
“Il re allora” riprese a raccontare Biago “ordinò che il cane fosse allontanato, ma non ucciso a corte. Allora uno degli stallieri adoperò un sistema adattissimo in queste situazioni, che disse di aver imparato dai nobili cacciatori normanni.”
“Quale sistema?” Chiese sempre più impaziente Ardea.
“Di fissare tra loro, tramite un foro su ciascuna” rispose Biago “due piastre di bronzo, per poi legarle sulla coda del cane! Le due piastre formano un aggeggio chiamato, in lingua normanna, Lamiera.”
“Che curioso stratagemma!” Esclamò Giuspo.
“Curioso ma efficacissimo!” Rispose Biago. “Io ero presente quando, proprio con l’utilizzo di questa Lamiera, dalla corte fu fatto fuggire l’alano del re.”
“Si, ma in che consiste questo metodo?” Chiese Ardea.
“Una volta legata la Lamiera” rispose Biago “il cane tenterà di liberarsene. Ma i movimenti della bestia faranno si che le due piastre di bronzo facciano rumore l’una contro l’altra. Allora il cane inizierà a fuggire spaventato. Il rumore renderà il cane pazzo, facendo si che non smetta mai di correre. Fino a quando, stremato, il cuore gli scoppierà.”
“Ma niente riuscirà a spaventare il cane di Tramanto!” Esclamò Giuspo.
“Quando gli avremmo legato la Lamiera alla coda allora vedrai come tenterà di tutto pur di liberarsene!” Rispose sicuro di sé Biago.
“Vi è del buono in quel che dici” esclamò Ardea “val la pena tentare!”
“Dobbiamo solo escogitare come legare la Lamiera alla coda di quella belva feroce!” Disse Biago.
“Questo sarà compito mio.” Disse Ardea. “Tu pensa come costruire la Lamiera.”
“Qui vicino vi è un vecchio mulino abbandonato” disse Giuspo “li troveremo del bronzo.”
Biago e Giuspo allora si recarono al mulino abbandonato, mentre Ardea si allontanò, prendendo la via verso il cuore del bosco.
Qui catturò un capriolo. Lo squartò e ritornò presso il luogo in cui pascolavano le pecore di Tramanto.
Dopo un po’ lo raggiunsero Biago e Giuspo.
“Abbiamo fuso le lamine di bronzo che rafforzavano le pale del vecchio mulino” disse Biago. “Ecco le nostre piastre. Credo dovrebbero fare al caso nostro.”
Allora legarono una lunga e robusta corda alla Lamiera. Poi, con prudenza, Biago e Giuspo legarono ad un albero il capriolo a testa in giù.
“L’aria fetida domina ovunque” disse Biago “spero che almeno un pò dell’odore di questo capriolo arrivi a quel dannato cane!”
Ad un certo punto, da dietro alcuni spuntoni di roccia, emerse una nera e spaventosa figura.
Era tutta ricoperta da un pelo nero e folto. Era grosso come un toro ed aveva il collo tozzo. L’aspetto ricordava quello di un grottesco cane, ma era quattro volte più grosso.
Appena annusato l’odore del sangue del capriolo, l’orrida fiera si avvicinò all’albero dove era stato appeso.
Ma, con un gesto preciso e fulmineo, Ardea lanciò la corda che si strinse con forza attorno alla coda del mostruoso Ucante.
La belva, sentitasi toccata si voltò tre volte su stessa. E a questi violenti movimenti, le due piastre della Lamiera iniziarono a far rumore.
L’orrendo Ucante tentò di scrollarsi da dosso quell’aggeggio, ma l’impeto e la rabbia, causati da quello snervante rumore, non permettevano a quella bestia di essere lucida.
E più aumentava l’agitazione e la rabbia di quella fiera, più la Lamiera faceva fracasso.
Allora Ucante iniziò a correre per la radura.
Era una corsa folle la sua; sfrenata, senza sosta. Correva in circolo nella piccola radura, spaventando il gregge e disperdendolo.
Più correva, più schiumava e ringhiava.
E quella corsa si faceva sempre più incontrollata, sempre più irrefrenabile.
Alla fine, come vinta dalla rabbia e dalla disperazione, l’orrenda fiera presa la via del bosco e corse via.
Ardea, nel vedere la bestia fuggire via, lanciò un urlo di gioia.
“Non credo ai miei occhi!” Gridò Giuspo.
“A funzionato! A funzionato!” Esultò Biago.
“Ma dove arriverà ora quel cane?” Chiese Giuspo.
“Correrà fino a quando gli scoppierà il cuore nel petto!” Rispose esaltato Biago.
“Presto” disse Ardea ai due compagni “radunate le pecore e conducetele a Caivania.”
I due annuirono.
“Io farò sì che il padrone raggiunga presto il suo cane all’Inferno!” Aggiunse Ardea fissando la cima della collina, mentre la nebbia si era fatta più fitta e l’umidità più pesante, come a voler arrugginire il ferro della sua corazza.
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(Continua...)

Guisgard 02-12-2009 00.51.18

ARDEA DE' TADDEI

XLIV

"Dalla voce al rimbombo, ed all'orrenda
Faccia del mostro, ci s'infranse il core."
(Odissea, IX, 324)


“Ardea…” Lo chiamò Biago.
I due si fissarono negli occhi per alcuni interminabili istanti senza dirsi nulla.
Poi, montato in sella al fedele Arante, Ardea cominciò a salire la collina, semiavvolta dalla fitta nebbia.
La via che conduceva in cima era stretta e dissestata.
Tra il manto di quella densa nebbia alti e incantati alberi di ulivo emergevano, quasi a simboleggiare la volontà della natura di liberarsi da quell’atmosfera maledetta.
Il cielo era simile ad una tela opaca e di tanto in tanto il Sole, come un disco di tiepida luce, si intravedeva nell’atto di attraversare quell’irreale orizzonte.
Giunto quasi in cima, Ardea vi trovò una vecchia nicchia abbandonata.
In essa era custodito un quadro della Santa Vergine di Campiglione con il Bambino.
“Ormai nessuno più mette piede su questa collina.” pensò Ardea.
E sceso da cavallo, iniziò a pregare davanti a quella nicchia.
“Vergine Santa” sussurro “veglia su di me come quando accompagnasti il tuo Figlio sul Calvario.”
Poi, strappato un ramoscello di ulivo, lo pose accanto a quella sacra immagine.
E rimessosi in sella, continuò la scalata verso la cima.
L’aria era immobile e pesante e la collina non era abbastanza alta da permettere all’umidità di asciugarsi.
Il ferro della corazza era ricoperto da un alone di goccioline e la tunica che la ricopriva era completamente bagnata.
Poi finalmente, Ardea intravide uno spiazzo. Era la cima di quella desolata Collina.
Qui la vegetazione era folta e verde e contornava alcuni spuntoni di roccia.
E tra questi si apriva l’ingresso di una grotta: era l’antro di Tramanto.
Ardea legò ad un albero il suo cavallo Arante.
Poi si incamminò verso la grotta.
L’ingresso sembrava un’enorme voragine scavata nella nuda roccia.
Le pareti erano tutte annerite dal fumo del fuoco.
Infatti, al centro della grotta, bruciavano grossi tronchi d’albero.
Ed accanto a questa brace vi erano sparsi ovunque formaggi, salumi e casse ricolme di frutta.
Mentre sulle pareti erano appesi diversi arnesi ed armi.
Tutto era al di la della misura umana, come se tutto ciò presente in quella grotta fosse adoperato da un gigante.
Ardea si avvicinò al rozzo tavolo, seminascosto da una rientranza della roccia, sul quale vi era una coppa riempita a metà con del vino rosso.
La coppa era grossa come quei tipici calderoni bretoni, che i druidi adoperavano per i loro riti.
Un uomo a fatica sarebbe riuscita a sollevarla.
Ardea si fermò, quasi distrattamente, a fissare quel vino rosso e scuro.
All’improvviso qualcosa lo destò dai suoi pensieri.
Velate increspature iniziarono a formarsi nella coppa.
Sempre più profonde nascevano dal centro e si spegnevano lungo i bordi.
Poi tutti gli arnesi appesi alle pareti iniziarono a vibrare.
Prima in modo impercettibile poi in maniera sempre più evidente.
Ad un certo punto la grotta iniziò a scuotersi.
Come se la terra stesse iniziando a tremare.
Sordi boati si susseguivano, quasi ad intervalli regolari.
Ardea, quasi temendo che la grotta potesse franare, corse verso l’uscita.
E qui vide un’orribile e grottesco spettacolo.
Un uomo alto almeno il doppio di uno comune, ritornava in quella grotta.
Aveva i capelli folti e nerissimi, la pelle solcata da profonde rughe ed il corpo ricoperto da un’irregolare peluria.
Aveva delle pelli come abiti e calzava dei sandali legati fino alle ginocchia.
Sulle spalle portava due grossi e robusti cervi, che costituivano il suo avido pasto.
E dalla cintura che gli stringeva le pelli lungo la vita, legata da una robusta catena, pendeva una grossa scure, ancora intrisa dal sangue vivo delle sue prede.
http://www.uweb.ucsb.edu/%7Etracyavi...een_Knight.jpg

(Continua...)

Guisgard 04-12-2009 01.30.06

ARDEA DE' TADDEI

XLV


Appena giunto d’avanti all’antro della sua grotta, la grottesca figura gettò uno sguardo alle pendici della collina.
Gettò di istinto la sua cacciagione sul pietra levigata, che adoperava solitamente per scuoiare le sue prede, e si portò le mani fra i nerissimi e folti capelli.
“Il mio gregge!” Gridò disperato. “Quella maledetta bestia non ha saputo custodirlo!”
E per la rabbia sdradicò quasi un albero con un calcio.
“Se il mio gregge si è disperso” continuò a gridare, mentre inveiva e bestemmiava “batterò a sangue quella maledetta bestia! E se le mie pecore sono state rubate da quei vermi che abitano la contrada allora per loro sarà lutto e pianto!”
Detto questo, l’orrendo Tramanto, si accinse a scendere dalla collina.
“Ehi!” Urlò Ardea, saltando da uno spuntone di roccia, dietro il quale si era nascosto.
Tramanto si voltò di scatto.
“Il tuo gregge non è stato disperso dagli uomini della contrada” gli gridò Ardea “ma da me!”
“Chi sei tu?” Chiese stupito Tramanto. “Perché hai fatto questo? Cosa ti ho mai fatto di male?”
“Sei giunto come un predone su queste lande” rispose Ardea “lasciando le tue immonde bestie a pascolare e ad insozzare tutta la terra! Ora dovrai risponderne al padrone di questo luogo!”
“Ora questa terra è mia!” Tuonò il gigante.
“Un essere come te non possiede nulla” rispose Ardea “nemmeno l’anima! E ora la renderai, dannandoti per sempre!”
Ma all’improvviso, come risposta a quelle parole, Tramanto sfoderò la sua immane scure e lanciò un fendente verso il cavaliere.
Solo la sua rapidità permise ad Ardea di evitare, per pochissimo, quel colpo mortale.
Lesto ed agile, il cavaliere si rotolò nella polvere fino a giungere a delle rocce, che gli offrirono un momentaneo riparo.
Tramanto in tanto continuava a fendere l’aria e a tranciare alberi con i suoi fendenti, nell’intento di colpire quel cavaliere.
“Maledetto” gridava “vieni nella mia casa, disperdi il mio gregge e mi minacci! Farò orrendo scempio del tuo misero corpo!”
Ardea si guardava intorno. Sapeva che quel riparo non avrebbe potuto difenderlo a lungo dalla furia di quel mostro.
Allora, rapido, si lanciò lontano da quelle rocce ed attese il suo nemico nel piccolo spiazzo che dava al sentiero che scendeva dalla collina.
Con un grido attirò l’attenzione di Tramanto. Lo attendeva imbracciando il suo lucente scudo e impugnando la favolosa Parusia.
Il gigante, nel vederlo d’avanti a se, gli si lanciò contro, gridando e bestemmiando.
Gli sferrò un colpo così rapido e forte che Ardea non ebbe il tempo di scansarlo.
Affidò così le sue difese allo scudo che imbracciava.
Ma quel fendente fu così possente che deformò lo scudo e gettò a terra il cavaliere.
Tramanto allora, vedendolo nella polvere, colpì ancora il suo avversario.
Stavolta lo scudo non resse il nuovo colpo e si spaccò in due.
La violenza di quell’impatto aveva fatto compiere un movimento innaturale al braccio di Ardea.
Intontito e indolenzito da quell’assalto, Ardea tentò di sottrarsi dagli attacchi del suo orrendo nemico, ma il dolore al braccio era intenso e la sua corazza sembrava pesare dieci volte di più.
Allora, impossibilitato a fuggire, tentò di parare il nuovo fendente del mostro.
La scure di Tramanto si abbatté con inaudita violenza su di lui, che riuscì però a bloccare quel colpo opponendosi con Parusia.
La forza di Tramanto era tre volte quella di un uomo normale e la sua scure poteva frantumare con facilità la nuda pietra.
E solo la straordinaria resistenza di Parusia fece si che il colpo del gigante non arrivasse a perforare la corazza di Ardea ed a lacerarne le carni.
La pesante scure premeva sulla divina spada, facendola scricchiolare.
Le due armi a contatto, strofinandosi, generavano intense scintille che andavano a spegnersi sulla corazza inumidita di Ardea.
Tramanto allora, sentendo il suo nemico allo stremo delle forze, sollevò le braccia e si preparò ad un nuovo colpo, che stavolta sarebbe stato definitivo.
“Ora o mai più!” Pensò Ardea.
Tirò allora un fendente nelle viscere del gigante, causandogli un taglio profondissimo.
Tramanto lanciò un urlo disumano e lasciò cadere la scure dietro di se.
Questa, legata alla sua cintura da una robusta catena, gli scivolò lungo la schiena, avvolgendogli il collo.
Allora Ardea si lanciò dietro il suo nemico e incastrando Parusia tra gli anelli della catena, iniziò a farla girare come se fosse un perno.
La catena allora iniziò a stringersi sempre di più attorno al collo del gigante.
Questi, sentendosi la mortale morsa al collo, tentò di liberarsene, ma il sangue che fuoriusciva dalla ferita gli toglieva pian piano ogni forza.
Ardea con tutte le sue forze faceva girare Parusia tra gli anelli della catena, stringendo sempre più il tozzo collo del suo nemico.
Questi aveva gli occhi rossi, intrisi di sangue e le orbite come se volessero esplodere, mentre una delirante smorfia gli deformava l’orrendo volto.
All’improvviso getti di sangue iniziarono a fuoriuscirgli dalla bocca e lentamente iniziava a scemare ogni sua resistenza.
Ardea teneva ferma Parusia nella catena con tutta la sua forza, fino a quando non sentì più la resistenza del mostruoso Tramanto.
Lasciò allora Parusia e l’orrendo mostro, senza vita, cadde pesantemente al suolo.
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(Continua...)

Guisgard 07-12-2009 01.07.06

ARDEA DE' TADDEI

XLVI

“Ma tu, Signore, sei mia difesa,
tu sei mia gloria e sollevi il mio capo.
Al Signore innalzo la mia voce e mi
risponde dal suo monte santo.”
(Libro dei Salmi, 4 e 5)


Ardea restò a terra per alcuni istanti. Fino a quando sentì un caldo raggio di Sole, che iniziava a squarciare le alte nubi del cielo, riscaldargli il sudato volto.
Si alzò ed iniziò a pregare.
“Gloria a Te, mio Signore e mio Dio.”.
Estrasse poi Parusia dalla catena e liberò il collo del gigante.
E con un colpo solo lo decapitò.
Pulì poi la lama di Parusia dal sangue di Tramanto e la baciò.
“Grazie, amica mia…”. Sussurrò tenendola fra le mani.
Dietro la grotta vi era un limpido ruscello, che scorreva attorno alla cima della collina.
E in quell’acqua fresca e pura, che sembrava non contaminata dal fetido di quel luogo, lavò con cura il suo bel viso.
Bastarono quei pochi istanti per portargli sollievo e ridargli un po’ delle forze spese nell’immane battaglia.
Poi, osservando il corso di quel ruscello, si accorse che il malvagio Tramanto ne aveva deviato il corso, issando alcune pareti di legno lungo l’argine.
Il ruscello in precedenza scendeva dalla collina fino al piccolo fondovalle. Ora, quella struttura in legno ne impediva il normale corso.
Corse allora all’interno della grotta e con uno grosso martello appartenuto all’orrido gigante iniziò a colpire la parete di legno, fino a quando, sotto quei poderosi colpi, si spaccò, permettendo al ruscello di ripercorrere il suo corso naturale.
L’acqua così scese fino al fondovalle ripulendo la terra dagli escrementi del gregge di quell’infernale mostro.
Intanto a Caivania, Biago e Giuspo avevano condotto le pecore del marrano, precedentemente radunate.
La gente era incredula, stupita e felice nel vedere una simile cosa.
“Sono in pena per il mio amico.” Disse Biago a Giuspo.
“Si, anche io…” Rispose questi.
“Io ritorno alle pendici della collina!” Aggiunse deciso Biago.
Ma all’improvviso in lontananza, dalle lunghe ombre del bosco, emerse una figura a cavallo.
Tutti si voltarono verso di essa.
Poi dopo qualche istante Biago gli corse intorno.
Correva con tutte le sue forze, mentre il cuore gli batteva forte nel petto.
La figura a cavallo, nel vederlo, spronò il destriero che aumentò subito la sua andatura.
“Dio sia benedetto in eterno!” Esclamò Biago.
Ardea sorrise.
E appena lo ebbero riconosciuto, tutti gli abitanti di Caivania lo raggiunsero, cantando e ballando attorno a lui.
“Siete il nostro liberatore! Vi manda a noi l’Onnipotente!” Gridavano in un delirio di esultanza.
Ardea allora scese dal suo fedele Arante.
Recava con se un grosso sacco e la scure che era appartenuta a Tramanto.
Con gesto deciso aprì il sacco e rivoltò in terra il suo contenuto.
Era la testa del grottesco gigante, intrisa di sangue e con un’espressione che sembrava raccontare la dannazione, a cui era destinato, che aveva visto quel mostro nel suo ultimo istante di vita.
A quello spettacolo tutti esultarono e cominciarono a sfogare tutta la sofferenza patita fino ad allora facendo scempio di quell’orrenda testa.
Ardea allora saltò su un carro e cominciò a gridare:
“Uomini e donne di Caivania, da oggi il miserabile giogo impostovi dalle forze del male è cessato per sempre!”
Tutti esultarono a quelle parole.
“Sappiate” continuò a dire Ardea “che chi vi ha liberato fu inviato dal vostro signore, il duca Taddeo d’Altavilla! A lui quindi resterete per sempre grati e fedeli!”
“Viva il duca! Viva il nostro signore!” Gridava festosa quella gente.
“In ricordo a questo evento, il primo Venerdì di ogni mese celebrerete una solenne messa come ringraziamento all’Onnipotente!” Disse Ardea.
“E come tributo al vostro duca” aggiunse “un terzo di queste pecore lo invierete nella sua nobile dimora alle Cinque Vie! Così sarà saldato anche ogni arretrato!”
Tutti gridarono per la gioia e benedicevano il nome dell’Altissimo, invocando ogni bene sul casato del duca.
“Io stesso mi occuperò di condurre le pecore dal duca nostro signore!” Gridò Giuspo.
Quella sera ci fu un grosso banchetto per festeggiare la liberazione di Caivania.
Tutti fecero festa, fino alle prime luci dell’Alba.
A Caivania la luce era ritornata a dominare l’oscurità ed un nuovo tempo, di pace e prosperità, avrebbe avvolto i suoi abitanti.
Tutto ciò grazie alla Fede ed al coraggio di colui che tutti conoscevano come il cavaliere Ripudiato.
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(Continua...)

Guisgard 21-12-2009 01.14.55

ARDEA DE' TADDEI

LXVII


SECONDA QUESTIONE: CARDIZIA, LE DAME DELL'INCERTOCUORE

"Amore stravolge ed abbatte
solo ciò che è di ostacolo alla
felicità degli uomini."
(Anonimo)


Il giorno dopo, salutati da tutta Caivania, Ardea e Biago lasciarono quella contrada per riprendere il loro viaggio.
La felicità e la spensieratezza, frutto dei colori e della musica della notte precedente, cederono presto il posto ad una velata e sottile inquietudine.
L’effimera gioia che quell’impresa aveva dato ad Ardea svanì appena ripresero il loro viaggio.
Quella perenne ombra che Ardea portava sul cuore, scese di nuovo ad offuscare i pensieri di quel cavaliere.
Quando il passato ritorna avvolto dai ricordi di un vita che oggi appare solo un’eterea illusione, allora tutto assume le immagini di uno spettrale e desolato deserto.
Un deserto sterile di speranza, di sogni e di fiducia.
Ovunque, in questo deserto, l’orizzonte appare come un’infinita distesa aliena del susseguirsi delle stagioni e la vita diventa un arido e buio istante di un giorno senza tempo.
La primavera vissuta nelle Cinque Vie, con i suoi verdeggianti prati, l’azzurro dei monti lontani, il cielo terso e luminoso, era svanita come neve al Sole.
La calda e vivace estate della corte di Afragolignone, con la spensieratezza e le promesse che solo madonna Giovinezza sa sospirare, sembrava essere stata spazzata via da un forte ed impetuoso vento.
Un vento che al suo passaggio aveva lasciato sinistri lamenti nel cuore di Ardea.
Una vita senza slanci, un domani senza speranze rendono arido di vita il cuore di un uomo.
Ardea lottava contro i suoi demoni e contro un’esistenza che, se prima era ricamata d’oro e d’argento, oggi appare fredda ed impoverita.
Ciò che di bello vi era nella sua vita solo fino a pochi giorni prima, oggi sembrava aver ceduto il posto alla desolazione ed alla miseria più cupe.
E tutto ciò appariva ad Ardea come un’inesorabile punizione per le sue colpe.
Come un insopportabile anticipazione dell’Inferno.
“Ecco” disse all’improvviso BIago, destando Ardea dai suoi pensieri “qui inizia la via che conduce a Cardizia, la seconda contrada che incontreremo nel nostro viaggio.”
Ardea fermò il suo cavallo e cominciò a scrutare la zona.
“Si” disse “dovrebbe essere questa la strada giusta. Tra un po’ dovremmo trovarci nella zona detta I Verdi Pascoli.”
“Perché questo nome?” Chiese Biago.
“Per la fertilità della sua terra e per la qualità del latte dei suoi armenti.”
Ad un tratto, dai cespugli che affiancavano e racchiudevano quella via, uscì un contadino.
“Sai dirci se questa via conduce a I Verdi Pascoli?” Chiese Ardea.
“No, miei signori” rispose il rustico viandante “questa via conduce ad un luogo conosciuto come l’Incerto Pascolo.”
“Sei sicuro?” Chiese stupito Ardea. “Non è questa la via che conduce a Cardizia?”
“Si, mio signore.”
“Allora per forze di cose” disse Ardea “da qui si arriva al luogo detto I Verdi Pascoli!”
“No, mio signore.” Ribatté ancora il contadino. “Da qui giungerete all’Incerto Pascolo.”
Ardea e Biago si scambiarono uno sguardo confuso.
“Questa via è vecchia di secoli” disse Ardea “la percorrevo spesso con mio padre da fanciullo! E sono certo che conduce a I Verdi Pascoli!”
“Mio cavaliere” rispose il contadino “questa strada giunge a Cardizia e da tutti è conosciuta come l’Incerta Via. Ed è vecchia come il mondo!”
“Mondo illuso!” Tuonò Ardea. “Vecchia come il mondo? Ti prendi gioco di me, villano!”
“Non potrei, mio bel signore!” Rispose intimorito il contadino. “Vi giuro sui miei figli che questo è il nome di questa strada.”
“E da quando?” Chiese sempre più irritato Ardea.
“Da quando a Cardizia comanda una nuova stirpe di signori.”
“Che stirpe?” Chiese Ardea. “Noi veniamo dal palazzo di sua signoria il duca e nessuno ci ha parlato di nuovi vassalli a Cardizia.”
“Non mi meraviglierei di questo!” Rispose il contadino. “Sono ormai due lunghi anni che il duca non passa da queste parti. A Cardizia sono successe un bel po’ di cose nuove!”
“Che genere di cose nuove?”
“Nuovi signori e nuove leggi” rispose il villano “ed anche le strade e i fiumi hanno nuovi nomi. Così, questa strada è conosciuta come l’Incerta Via ed il luogo del quale mi domandavate è chiamato l’Incerto Pascolo.”
“Perché con nomi tanto singolari hanno battezzato questi luoghi?” Chiese sempre più turbato Ardea.
“Perché ormai a Cardizia è stato rovesciato l’ordine naturale di tutte le cose. Non mi meraviglierei se in quella contrada domani il Sole sorgesse ad Ovest e lo scirocco soffiasse da Nord!”
“E tu non sai da cosa dipendono questi strani cambiamenti?” Chiese ancora Ardea.
“Preferisco, come tutti gli altri qui intorno” rispose lesto il contadino “di tenermi lontano da quel turbolento asilo! E vi consiglio di fare lo stesso, miei signori!”
Ardea allora fissò Biago e un momento dopo spronò il fiero Arante.
Così i due si incamminarono lungo l’Incerta Via che li avrebbe condotti verso la misteriosa Cardizia.
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(Continua...)

Guisgard 23-12-2009 00.24.58

ARDEA DE' TADDEI

LXVIII

“Bianche, via più che neve in giogo alpino,
avea la sopravveste, e la visiera
alta tenea dal volto; e sovra un’erta,
tutto quanto ella è grande era scoperta.”
(La Gerusalemme Liberata, canto IV)


La strada, detta dell’Incerata Via, tagliava in due la grande foresta che abbracciava tutt’intorno Cardizia.
Il canto degli uccelli sembrava un’inebriante inno alla gioia di vivere e la lussureggiante vegetazione dominava in ogni dove, come un vero e proprio trionfo della bellezza di Madre Natura.
Il Sole troneggiava nell’infinito cielo vestito di un azzurro sfolgorante ed in lontananza, come un delicato alone turchese, i monti sembravano avvolgere quel bellissimo paesaggio.
Quell’atmosfera pastorale ed idilliaca sembrava negare tutto ciò che aveva raccontato poco prima quel contadino.
Ardea e Biago, nell’attraversare quella strada che sembrava incantata, si sentivano accolti nel seno di una natura incontaminata e primordiale.
Una natura incapace di contenere la più piccola ombra.
Ad un tratto i due giunsero in una radura piccola ma accogliente.
Alte querce, che la racchiudevano come in un mistico anello, avevano intrecciato tra esse i nodosi rami, rendendo quella radura un fresco e riparato giaciglio dalla calura del mezzogiorno.
Li vicino poi scorreva un limpido e mite ruscello, che dai vicini colli raggiungeva la campagna sottostante.
L’acqua chiara e fresca sembrava accarezzare i levigati ciottoli che facevano da letto a quel trasparente corso d’acqua.
Così, i due viaggiatori, scesi dai loro cavalli, si diedero ristoro bagnandosi le mani ed il volto in quel brioso rio.
“Quest’angolo di foresta” prese a dire Biago totalmente rilassato da quel bucolico luogo “è la cosa più accogliente che abbiamo visitato da quando questo viaggio è cominciato!”
Ardea sorrise.
All’improvviso, tra i rigogliosi cespugli, due lepri fiondarono via.
“Per Diana!” Esclamò Biago. “In questo luogo non manca niente! E ora che ci penso il mio stomaco è vuoto come un otre e leggero come un sacco di piume!”
“Tranquillo” disse Ardea “Cardizia non è lontana. Quella laggiù è Verdi Pascoli!”
“Perché poi quel contadino affermava che ora è chiamata Incerto Pascolo?” Chiese Biago.
“Non ne ho idea.” Rispose Ardea. “Ma più di tutto mi preme conoscere chi siano i nuovi signori di Cardizia…e come mai al palazzo ducale nessuno ne sapeva niente!”
Ma in quello stesso momento un galoppare furioso quanto deciso sembrò rompere l’incanto di quel luogo.
Proprio dove il ruscello raggiungeva la campagna sottostante, alcuni cavalieri, ben armati e rivestiti di lucenti corazze, inseguivano due uomini a piedi, che tentavano di fuggire nella foresta.
In breve quei cavalieri raggiunsero i due fuggitivi e li immobilizzarono a terra.
Li disarmarono dei loro bastoni e li legarono per bene.
E quando i prigionieri furono ben saldi dietro i loro cavalli, li portarono via con loro.
Ardea e Biago, che avevano assistito dall’alto a tutta la scena, si scambiarono una rapida occhiata.
Lo scudiero era sul punto di dire qualcosa, ma Ardea lo zittì con un cenno.
Infatti due di quei cavalieri non avevano seguito il resto del drappello ed erano rimasti presso il ruscello.
E credendosi soli iniziarono a togliersi le pesanti e lucide corazze.
Mostrarono così una cascata di capelli, morbidi e luminosi.
I corpi, sebbene asciutti e ben levigati, tradivano una grazia ed una gentilezza aliene ad un maschile portamento.
Le forme, per quanto forgiate e sagomate dal peso di quelle e corazze e dall’utilizzo delle armi, erano vellutate e tenere.
“Che io sia dannato!” Esclamò Biago.
Ma subito Ardea lo zittì con una mano sulla bocca.
I due si fissarono per un momento.
“Si” sussurrò con un filo di voce Ardea “sono proprio due donne.”
Le due cavaliere si bagnarono nelle limpide e fresche acque del ruscello, liberandosi così dalla calura e dalla fatica imposta loro da quelle corazze.
Ardea e Biago le osservarono per tutto il tempo, fino a quando, asciugatesi e rivestitesi con le loro bardate armature, andarono via.
“Per Diana e per tutto l’Olimpo!” Esclamò Biago. “Mai visto donne indossare corazze!”
“E sono anche bellissime!” Aggiunse Ardea.
“Ma chi saranno?” Chiese Biago.
“Vorrei saperlo tanto anche io.” Disse Ardea. “Ma soprattutto mi chiedo perché stessero dando la caccia a quei due uomini…”
“Beh” disse Biago “non sono mai stato inseguito da una donna…mi chiedo che effetto faccia.”
“Voglio andare in fondo a questa storia!” Disse Ardea alzandosi in piedi. “Riprendiamo il cammino e raggiungiamo Cardizia. Sono sicuro che quella contrada è la chiave di tutto…”
Così, ripresa la via, attraversarono il luogo conosciuto ora come l’Incerto Pascolo e si diressero verso Cardizia.
In quel momento ad Ardea quel paesaggio, tanto idilliaco ed armonioso, apparve come una sorta di specchio riflesso di una realtà ben diversa.
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(Continua...)

Guisgard 28-12-2009 01.41.38

ARDEA DE' TADDEI

LXIX

“Il padre gliele diceva; ed egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava d’un'altra. E
così domandando il figliuolo e il padre rispondendo, per avventura si scontrarono in una brigata di
belle giovani donne e ornate, che da un paio di nozze venieno; le quali come il giovane vide, così
domandò il padre che cosa quelle fossero.”
(Decamerone, IV giornata)


Quelli che un tempo erano chiamati Verdi Pascoli avevano conservato in pieno la loro verdeggiante e florida bellezza.
Il Sole sembrava concedere un privilegio del tutto particolare verso quella terra, baciandola con il suo caldo e vitale alito ogni giorno dell’anno.
Quella lieve brezza che soffiava dai vicini monti rendeva tiepida e mite l’aria, mentre l’orizzonte tutt’intorno, schiarito da quel benefico zeffiro, sembrava delicatamente ricamato nella straordinarietà di quel pastorale paesaggio.
L’azzurro sbiadito dei monti più lontani, con una sottile foschia simile ad un etereo manto, arrivava a toccare il brullo verdeggiare dei colli più vicini .
E quel trionfo di colori sapeva ridestare il cuore da ogni suo turbamento o pensiero.
Tuttavia, in quel paesaggio che sapeva di favola, Ardea non riusciva a dimenticare ciò che angustiava il suo cuore.
Qualcosa era cambiato a Cardizia. Forse era opera di quella nuova stirpe di signori che in essa dimorava.
Forse essi non avevano più intenzione di riconoscere il potere del duca su queste terre. Ecco perché non arrivavano più i tributi di Cardizia alle Cinque Vie.
Queste ed altre domande simili, come spine ardenti, laceravano la mente ed il cuore di Ardea.
“Se qui ora vi regna un nuovo casato” pensava “non basterà da sola la mia spada a imporre ai suoi membri di rendere omaggio al duca.”
Ad un tratto Ardea fu destato dai suoi pensieri. Aveva avuto la strana sensazione che qualcuno li stesse osservando attraverso il verde della foresta.
“Hai notato qualcosa?” Chiese a Biago.
“Non direi” rispose questo “ma da un luogo che viene chiamato l’Incerta Via mi attenderei qualsiasi cosa!”
Di nuovo quella sensazione.
Ardea si voltò di scatto e vide un’ombra sgattaiolare tra i cespugli.
“Sembra siamo osservati!” Disse fermando di colpo il suo fido Arante.
E all’improvviso con un gesto fulmineo lanciò il suo pugnale contro la corteccia di un albero.
“Aiuto!” Gridò una voce tra i rovi. “Non ho fatto niente di male!”
Era un ragazzo, con il colletto della sua giubba inchiodato dal pugnale di Ardea all’albero dal quale spiava i due forestieri.
“Aiuto! Liberatemi!” Gridava, mentre tentava di estrarre il pugnale dalla corteccia dell’albero.
Ardea e Biago gli si avvicinarono.
“Liberatemi! Non ho fatto nulla di male!”
“Spiare la gente è per te nulla di male?” Chiese Ardea.
“Non vi stavo spiando. Lo giuro!”
“Ci stava solo osservando.” Intervenne a dire con un filo di ironia Biago. “Del resto la differenza è abbastanza sottile tra i due concetti. Questo ragazzo diventerà un ottimo cortigiano!”
Ardea rise di gusto.
“Liberatemi o i miei compagni ve la faranno pagare!” Minacciò il ragazzo, sempre intento nel vano tentativo di liberarsi da quella scomoda posizione.
“Chi sono i tuoi compagni?” Chiese Ardea.
“E’ gente a cui non fanno paura quelli come voi!” Rispose il ragazzo.
“E sia” disse Ardea “non ti faremo nulla. Ti lasceremo qui e vedremo sei tuoi compagni ti troveranno prima di qualche animale affamato. Certo, ci perderò un bel pugnale, ma se sopravvivi puoi tenerlo, ragazzo.”
“Aspettate!” Gridò il ragazzo. “Non potete lasciarmi qui! Non potete!”
“Beh” disse Ardea “dipende da te. Chi sei e cosa ci fai qui?”
“Non facevo nulla di male…volevo solo…si, insomma, volevo solo vedere le donne!”
“Che donne?” Chiese Ardea.
“Quelle che vivono a Cardizia.” Rispose il ragazzo.
“E perché non vai a Cardizia a vederle?” Domandò ancora Ardea.
“Perché non vogliono che nessun uomo giunga lì.”
“Che storia è mai questa?” Chiese stupito Biago.
“E’ la verità!” Rispose di getto il ragazzo. “Hanno catturato stamani due dei nostri, dopo averli visti attorno alla contrada.”
Ardea strappò il pugnale da quell’albero e liberò il ragazzo.
Questi, vedendosi di nuovo in gradi di muoversi, scappò via, sparendo nella vegetazione circostante.
“Ehi, fermo!” Gli gridò Biago. “Quel ragazzino ci ha giocati!”
Ma Ardea non prestava attenzione a tutto ciò. Le parole di quel ragazzo avevano addensato nuove nubi nei suoi pensieri.
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(Continua...)

Guisgard 30-12-2009 01.25.33

ARDEA DE' TADDEI

LXX

“Fresco e verde lettuccio, la gioiosa campagna
si lasciava ammansire dal docile rio, tra eriche
sempreverdi e profumate margherite e il soave
canto degli usignoli era musica per le orecchie
dei viandanti.”
(Pastorale)


“Quel ragazzo si è voluto prendere gioco di noi!” Sbottò Biago.
“Non credo.” Disse Ardea.
“Non vorrai credere a quella sua assurda storia?” Chiese Biago.
“Ricordi la scena di stamane? Le donne in armatura ed i due uomini che hanno catturato?”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Biago. “Ora che ci penso…”
“Già…” disse Ardea “…forse quel ragazzo non ci ha raccontato bugie.”
“Che pensi?” Chiese Biago.
“Non so.” Rispose Ardea. “Comunque è inutile star qui…ripartiamo verso Cardizia.”
“Sei impazzito?” Protestò Biago. “Non sappiamo nemmeno cosa si nasconda in quella contrada!”
“Da quando ti fanno paura le donne?” Chiese sarcastico Ardea.
“Mio padre mi diceva sempre di guardarmi prima dalle donne e poi dal demonio!” Rispose Biago.
“Tuo padre diceva così perché era un buon Cristiano e non aveva nulla da temere dal demonio.” Rispose Ardea. “Andiamo…Cardizia ci aspetta.”
Ripresero così la strada verso quella contrada, attraverso l’Incerta Via.
Poco dopo avvistarono la porta di Cardizia.
Arrestarono allora il loro cammino e cominciarono a decidere sul da farsi.
“Dobbiamo trovare un modo per entrare nella contrada.” Disse Ardea.
“La porta principale sarebbe un ingresso verso l’Inferno.” Ribatté Biago.
“Infatti” rispose Ardea “entreremo a Cardizia per un’altra via.”
“Ma quale?” Chiese dubbioso Biago.
Ardea si guardò intorno, cercando di scrutare il territorio circostante.
Fino a quando notò un piccolo corso d’acqua che penetrava nel sottosuolo.
“Da lì arriva l’acqua nella contrada.” Disse Ardea, indicando il corso d’acqua a Biago.
Così i due raggiunsero quel piccolo rio e attraverso un’apertura fangosa nel duro tufo scesero in una galleria sotterranea.
“Questo corso d’acqua” cominciò a dire Ardea “è probabilmente tutto ciò che resta di qualche antico acquedotto romano. Percorrendo questa galleria dovremmo giungere sotto la contrada.”
“Come fai ad esserne sicuro?” Chiese Biago.
“Perché gli acquedotti giungevano nel punto più alto della città” rispose Ardea “ da dove poi l’acqua veniva inviata nelle case e in altri edifici.”
Percorsero così quella semibuia ed umida galleria, fino a giungere ad una sorta di cava sotterranea.
Le pareti erano coperte da melma e rocce, mentre il fango sul terreno rendeva quasi impossibile camminare.
Ardea allora illuminò con la torcia ogni angolo di quel luogo, fino a quando notò qualcosa di strano sul soffitto.
“Sembrano incrostazioni.” Cominciò a dire.
Poi con il pugnale iniziò a tastare quel soffitto roccioso.
“Ecco!” Esclamò. “Qui c’è qualcosa!”
“Cosa?” Chiese Biago.
“Una lastra di ferro.” Rispose Ardea. “Deve trattarsi di una botola.”
Così i due forzarono quella porta e si issarono lungo quel passaggio.
A fatica risalirono lungo un’aspra e stretta galleria, fino a raggiungere una grata.
Spostatala, Ardea e Biago si ritrovarono in un’ampia anticamera.
Essa appariva di magnifico aspetto.
Preziosi e rari mobili di raffinato gusto bizantino ornavano quel luogo, mentre soffici tappeti, ricamati alla maniera persiana, erano stesi lungo i pavimenti.
Un gran numero di candele illuminavano quell’ambiente e le pareti erano rivestite da magnifici arazzi.
“Che posto è mai questo?” Chiese Biago.
Ma per tutta risposta si udirono dei passi provenire dal corridoio antistante.
“Siamo perduti…” Disse Biago.
Ardea non rispose nulla ed estrasse Parusia dal suo ricco fodero.
Intanto quel rumore di passi si era fatto più vicino, arrestandosi dall’altra parte della porta che dava a quell’anticamera.
Un attimo dopo la porta si aprì.
Ardea e Biago tennero il fiato sospeso, attendendo il verdetto di quella porta.
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(Continua...)

Guisgard 03-01-2010 23.54.53

ARDEA DE' TADDEI

LXXI

“Ho visto la donna più bella che sia mai nata.
Ella è il desiderio che ho espresso.”
(Le Geometriche, libro V)


Nella sala entrò un uomo di mezza età.
Si muoveva con fare guardingo tra i lussuosi arredi di quell’ambiente.
Scrutava con i suoi grandi occhi dilatati ogni angolo della sala.
Era magro ed indossava una giubba chiara e sgualcita, mentre dei larghi pantaloni consumati gli scendevano a stento fino alle caviglie.
Ai piedi calzava dei vecchi sandali allacciati dietro i talloni.
Quell’uomo sembrava alla ricerca di qualcosa.
Forse era stato attirato dalle voci all’interno della stanza, o forse stava solo perlustrando quel luogo.
Questo pensava Ardea.
Lo strano uomo intanto sembrava davvero alla ricerca di qualcosa, visto che continuava a scrutare con maniacale attenzione ogni parte della sala.
E all’improvviso, con rapido e silenzioso movimento, Ardea sbucò da una tenda ed immobilizzò quel curioso visitatore.
“Una parola o un grido” minacciò Ardea “ed il mio pugnale ti aprirà da orecchio a orecchio!”
“Folli!” Disse quell’uomo. “Siete solo due folli!”
E una grottesca risata deformò il suo volto.
“Zitto, maledetto!” Gli intimò Ardea.
“La vostra sorte è segnata!” Delirava quell’uomo. “La sorte di noi tutti è segnata!”
E continuava a ridere, quasi insensibile alle minacce di Ardea.
“Costui è pazzo!” Esclamò Biago.
“Si” rispose l’uomo, sgranando ancor di più i suoi stralunati occhi “e presto lo sarete anche voi.”
E riprese a ridere.
Ardea allora lo zittì portandogli una mano sulla bocca, mentre con l’altra gli teneva stretto il collo.
“Ridi ancora, maledetto” intimò Ardea “e ti spezzo il collo con un colpo solo!”
L’uomo tentò ancora di ridere, mentre si divincolava dalla morsa del cavaliere.
Ardea lo tenne stretto fino a quando, come se si fosse sfogato, sembrò calmarsi.
“Che il diavolo ti porti!” Esclamò Ardea. “Giuro che stavo per ucciderti davvero!”
L’uomo fece una curiosa smorfia.
Sembrava davvero aver esaurito la sua delirante agitazione.
“Chi sei e che posto è questo?” Chiese Ardea.
“Uccidimi” disse quell’uomo ancora ansimando per l’agitazione “e sarò finalmente libero!”
“Sei dunque prigioniero in questo palazzo?” Chiese Ardea.
“No” rispose quell’uomo “sono rinchiuso in una prigione ben più salda ed imprendibile di questa!”
Biago fece un cenno ad Ardea come a dire “costui è pazzo”.
“Chi sei?” Chiese ancora Ardea.
“Non lo so più…e forse non ha nessuna importanza…presto anche voi sarete apatici alla vita ed al vostro destino!”
“Comincio a credere che tu sia davvero folle!” Esclamò Ardea.
“Si” rispose l’uomo “folle! Non ho più né un cuore, né un anima! Non ho più nulla! Ciò che vedete è solo il fantasma di quel che fui io!”
“L’unica cosa che hai davvero smarrito” disse Ardea “è il senno!”
“Parlate così” disse l’uomo lasciato libero da Ardea “perché non l’avete veduta! Ma quando la vedrete…anche voi smarrirete l’intelletto e la lucidità. E con essi le vostre anime!”
“Di chi parli?” Chiese incuriosito Ardea.
“Della donna più bella e sensuale che sia mai nata!” Rispose quell’uomo, con gli occhi che tornavano a manifestare delirio e fanatismo.
“Che donna?” Chiese Ardea.
“L’unica donna che valga la pena amare!” Gridò l’uomo. “Anche solo per una notte! Anche solo per un istante!”
“Non strillare, maledetto!” Intervenne Biago preoccupato.
“Di quale donna parli?” Chiese con insistenza Ardea.
“Il mio tormento e la mia estasi!” Vaneggiò l’uomo.
“Insomma, dannato, di chi parli?” Chiese quasi con rabbia Ardea.
“Il solo nominarla” disse l’uomo con un folle ghigno “e udire il suo nome, anche se non l’hai mai veduta, ti rende eccitato e nervoso!”
“Questo è tutto suonato!” Sbottò Biago.
“Di chi parli, dimmelo!” Intimò Ardea.
“Parlo di lei…Alaida…la regina di Cardizia!”
E rise come il più fanatico dei visionari.
In quell’istante nella sala giunsero delle donne, abbigliate solo con dei veli trasparenti.
Recavano delle candele che bruciando diffondevano nell’aria un aromatico profumo.
Un momento dopo, Ardea e Biago caddero a terra senza conoscenza.
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(Continua...)

Guisgard 05-01-2010 00.25.11

ARDEA DE' TADDEI

LXXII

“Il sogno è un incanto, frutto
dell’incontro tra il giorno e
la notte.”
(Novalis)


Il prato era di un verde vivissimo, reso ancor più brillante dall’intensa luminosità che il Sole diffondeva ovunque.
Il cielo, vestito di un azzurro imponente, sembrava riflettere come uno specchio le meraviglie di un mondo incantato, sito al di là dei sogni, su tutta la terra.
Ardea camminava accarezzando le alte foglie che crescevano selvagge su quella verdeggiante distesa.
Era senza la sua armatura e si sentiva leggero, fresco e libero.
Ma soprattutto si sentiva sereno.
Il suo cuore gli appariva come l’infinito orizzonte che si apriva davanti a lui: libero da nubi.
La vecchia e stretta via che tagliava quel prato, racchiusa da due fila di bianchi e levigati sassi, conduceva in un piccolo spiazzo, dove sorgeva una vecchia chiesetta.
Accanto cresceva un robusto ulivo, che sospinto dal vento, sembrava voler diffondere nell’aria il benefico influsso delle sue foglie.
Ardea avrebbe voluto entrare nella chiesetta, ma non lo fece.
La porta era chiusa e non si vedeva nessuno in giro.
Sul tetto, accanto al crocifisso di legno che cigolava sotto il soffio del vento, stavano appollaiate tre colombe bianchissime.
La calura però cominciava a farsi più intensa ed Ardea si sedette ai piedi dell’ulivo, cercando ristoro dal Sole sotto la tenue ombra di quell’albero.
All’improvviso, nello spiazzo, giunse un uomo.
Aveva indosso una lunga tunica nera. I capelli erano di un delicato grigio. Così come la sua barba.
“Di grazia, signore” prese a chiedere Ardea “sapete quando aprirà la chiesa?”
“Perché?” Chiese con tono severo quell’uomo.
“Volevo entrare per pregare.”
“Non aprirà oggi.”
“Una chiesa non può restare chiusa un giorno intero!”
“Se può restare chiuso il cuore di un uomo” rispose stizzito quell’uomo “allora può benissimo restare chiusa anche una chiesa.”
“Ma è mattino” disse Ardea “e durante il giorno deve pur essere celebrata una messa!”
“Oggi non verranno celebrate messe.”
“Ma non siamo nel Venerdì Santo!” Esclamò Ardea.
“Già” rispose l’uomo con uno sguardo inclemente “e questo è il tuo dramma!”
Ardea restò colpito e turbato da quelle parole.
L’uomo riprese a camminare, scomparendo dietro le mura della chiesetta.
Ardea intanto ritornò a sedersi ai piedi dell’ulivo, sentendo nel cuore una forte oppressione.
All’improvvisò udì un dolce riso.
Si voltò e vide una fanciulla intenta a raccogliere fiori nel campo accanto alla chiesetta.
Ardea le si avvicinò, mentre ella rideva e cantava una gentile canzone.
“Milady” prese a chiedere Ardea “sapete dirmi se questa chiesetta aprirà oggi?”
La ragazza smise di ridere e di cantare, senza però voltarsi verso Ardea.
Poi, dopo un attimo di silenzio, rispose:
“Non aprirà oggi.”
Intanto il Sole, proprio in quel momento, venne coperto da alte e scure nubi.
“Qual è il vostro pasto preferito, messere?” Chiese la ragazza.
“Le focacce con frutta e miele.” Rispose Ardea.
“C’è qualcuno che le prepari per voi?”
“No.” Rispose Ardea. “Non vi è nessuno.”
La gradevole brezza di qualche istante prima si mutò in un forte e gelido vento che cominciò a sibilare nell’aria.
La ragazza allora si alzò da terra e si voltò verso Ardea.
Era la bellissima ragazza che lui aveva visto quella notte a Caivania e alla quale aveva giurato eterno amore.
“Ora devo andare.” Disse con un filo di voce quella ragazza. “Mio padre mi attende ed ha bisogno di me.”
Detto questo, si coprì il capo con un velo nero.
“Non andate via.” Disse Ardea. “Non mi lasciate solo anche voi.”
La ragazza si voltò e lo fissò per alcuni istanti.
Ardea tentò di avvicinarsi a lei, come a volerla toccare, ma il vento in quel momento soffiò più forte.
Ardea si svegliò proprio in quell’istante.
La stanza era dominata da un penombra che sembrava camuffare ogni suo contorno.
Si accorse che era disteso su un soffice e profumato letto.
Ed accanto a lui riconobbe, nell’incerta luce della stanza, una donna che lo fissava in silenzio.
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(Continua...)

Guisgard 07-01-2010 01.30.39

ARDEA DE' TADDEI

LXXIII

“La bellezza è il divino alone della creazione
che aleggia su tutte le cose.”
(Pindaro)


Ardea per qualche indefinito istante restò adagiato sul morbido cuscino, quasi rasserenato dall’eterea atmosfera di quel luogo.
Poi, fissando quella misteriosa donna che gli stava accanto, chiese:
“Dove sono?”
“Nel palazzo della regina Alaida.” Rispose la donna con una delicatezza ed una gentilezza che sembravano soffiare sull’animo di Ardea.
“Cosa è successo?” Chiese confuso Ardea. “Non ricordo…”
La donna si avvicinò al letto ed il sottile alone luminoso, tiepidamente diffuso nella stanza, si posò sui suoi occhi.
E quegli occhi, di un intenso verde, simile a gocce di quel mare vergine che accoglie e culla le bianche isole greche dell’Egeo, finalmente incontrarono gli occhi del cavaliere.
Ed egli ne restò rapito.
“Siete stato trovato all’interno del palazzo con il vostro compagno.”
“Biago!” Disse Ardea alzandosi di scatto. “Dov’è ora?”
La donna lo fermò posandogli una mano sul nudo petto.
Poi, delicatamente, lo spinse a stendersi di nuovo sul letto.
Quella mano, morbida e soave, quasi come una carezza si era posata sul suo petto, causandogli un intenso brivido.
“Dov’è Biago?” Chiese Ardea. “Voglio sapere dove si trova!”
La donna accese una candela che si trovava su un mobiletto accanto al letto.
E, quasi come un incanto, tutto intorno ad Ardea prese forma e colore.
Egli vide così il bellissimo volto di quella donna.
Il suo viso era morbido e soffice, tondo e perfettamente proporzionato.
La pelle era vellutata come una pesca e le sue labbra erano superbamente dipinte sul quel volto di classicheggiante splendore.
Una cascata di capelli ricci e luminosi, di un biondo leggiadro ed armonioso, simile al lucente oro di un rigoglioso campo di grano, incorniciavano ed impreziosivano quel miraggio di rara bellezza.
Ed un diadema, adornato di piccole ma preziose pietre colorate, teneva spinta all’indietro quella folta e luminosa chioma, conferendole riflessi aurei che sembravano aleggiare attorno a quella celestiale figura.
Quella donna era un inno alla bellezza più alta e più viva.
Un immagine di sensualità, fascino e piacere, privilegio per pochi eletti.
Ardea restò senza parole, mentre vigorosi brividi percorrevano il suo corpo.
“Il vostro compagno” rispose la donna con il suo delicato accento “sarà presto processato.”
“Processato?” Ripeté Ardea. “Per cosa?”
“Siete stati entrambi sorpresi nel palazzo” rispose la donna “ed il processo decreterà se il vostro compagno sia o meno una spia.”
“Ma c’ero anche io!” Disse Ardea. “Anche io dovrei essere processato!”
“La vostra sorte” rispose con un filo di voce quasi sussurrato quella donna “sarà deciso direttamente dalla regina.”
“Perché?” Chiese turbato Ardea.
“Perché questa è la volontà di Alaida.”
“Come può quella donna essere tanto potente?” Chiese Ardea. “Chi le ha conferito tale potere?”
La donna fissò per qualche istante Ardea con il suo luminoso sguardo.
“Solo il duca può investire qualcuno di un simile potere sulle sue terre” aggiunse Ardea “e di certo non lo ha fatto con quella donna!”
La misteriosa donna allora accostò il suo volto a quello di Ardea, quasi a sfiorarne le labbra.
“Cosa rende più forti, secondo voi?” Chiese la donna, mentre il suo alito accarezzava le labbra di Ardea. “Il potere o la bellezza?”
Ardea, come rapito ed incantato da quella donna, non rispose nulla.
Poi, dopo qualche istante,disse:
“Se la mia vita dipende da quella donna, allora voglio vederla!”
La misteriosa dama soffiò sulla candela, spegnendone la fiamma.
“La vedrete presto, non temete.” Rispose con una voce che sembrava vivere di sensuali sospiri.
Battè poi le mani ed un istante dopo si aprirono le porte di quella stanza.
Ed insieme alla luce, che invase ogni angolo di quell’ambiente, entrarono anche quattro donne, vestite come soldati ed armate di scintillanti ed alte lance.
http://rpg.justice-knights.com/females/N/c_nielsen1.jpg

(Continua...)

elisabeth 07-01-2010 20.43.24

E' una storia appassionante Sir Guisgard, sapete descrivere ogni cosa in maniera reale e minuziosa, ogni particolare reca colore e sentimento e' un bellissimo racconto, leggo con passione ogni episodio...quindi vi esorto a continuare :smile_clap:

Guisgard 08-01-2010 01.58.31

Vi ringrazio, milady.
Sono lieto che le vicende di Ardea vi appassionino tanto.
Ciò che mi fa amare questo racconto è che esso è un pò la storia di tutti noi: i sogni, la fama, l'illusione, il peccato, la sofferenza, il coraggio, l'amicizia e l'amore.
Tutte queste cose fanno parte della vita di ogni uomo.
L'eroe, la sua caduta nel baratro e la rinascita, tutto avvolto nelle nebbie del fato inesorabile: questo è il racconto di Ardea.

Guisgard 11-01-2010 00.57.08

ARDEA DE' TADDEI

LXXIV

“Benvolio: <<Ahimè, perché Amore, di aspetto
così gentile è poi, alla prova, così aspro e tiranno?>>
Romeo: <<Ahimè, perché Amore, anche bendato,
deve vedere senza occhi il sentiero che
lo guidi ai suoi desideri.>>”
(Romeo e Giulietta, I, 1)


Quelle donne guerriere, abbigliate con tuniche rosse, fissate con piastre cromate che emanavano luccicanti bagliori, erano tutte bellissime.
Le loro corazze erano lavorate finemente ed aggraziate da incisioni di pregevole fattura.
Avevano il passo dei soldati, ma le movenze tradivano grazia e soavità, come nemmeno il mitico Paride poteva vantare.
Esse erano molto più simili alle leggendarie amazzoni e quel luogo appariva ad Ardea come un regno al di fuori del mondo.
Le quattro guerriere entrarono con passo deciso nella stanza e subito si inchinarono davanti alla misteriosa dama che Ardea aveva visto al suo risveglio.
“Comanda, mia regina!” Dissero in coro.
Ardea restò stupito e turbato, come poche volte gli era accaduto in vita sua.
“Date ordine” cominciò a dire Alaida “che domani cominci il processo ai tre prigionieri.”
“Sarà fatta la tua volontà.” Risposero in coro le quattro guerriere ed uscirono dalla stanza.
“Siete voi…Alaida, dunque?” Chiese Ardea sempre più sorpreso.
La donna lo fissò con un leggero sorriso.
Poi si avvicinò ad un piccolo tavolino di delicata fattura e prese le due coppe che vi erano poggiate sopra.
“Siete stupito?” Chiese la regina porgendo una delle due coppe ad Ardea.
“Poche donne mi hanno così sorpreso in vita mia…”
La regina sorrise.
“Voi uomini” cominciò a dire “non mancate mai occasione di rivelare come e quanto abbaiate amato nel vostro passato.”
“Voi donne invece?” Chiese Ardea.
“Noi amiamo e basta. Ed è questo che ci rende deboli.”
“Amore non rende deboli, ma solo felici.”
“Allora” sentenziò la donna” voi, come tutti gli uomini, non avete mai amato veramente!”
“Prima dicevate che amare rende deboli voi donne…” Disse Ardea.
“Si, è vero.” Rispose Alaida. “Fragili ed indifesi.”
“Amore rende forti, non indifesi.” Disse Ardea.
“Sembra che voi abbiate molta fiducia nell’amore.”
“E’ l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta.” Rispose Ardea.
“Vi sembro fragile, forse?” Chiese Alaida. “Avete l’impressione che io sia indifesa?”
Sorseggiò ancora la coppa e poi, facendo segno all’ambiente circostante, aggiunse:
“Tutto questo che vedete non è il dono di Amore! Il potere, la mia gloria e i cuori su cui governo non sono tributi di colui che ama tormentare gli altri con i suoi dardi incantati!”
“I dardi di Amore” rispose Ardea “colpendoci ci ricordano che siamo vivi!”
“La vostra sciocca devozione verso il più inutile dei sentimenti è patetica!” Sentenziò Alaida. “Siete stolto come tutti gli uomini!”
“Voi invece vi sentite forte, vero?” Chiese Ardea.
“E non lo sono forse?” Ribatté la regina. “Guardatevi intorno! Ho tutto…potere e bellezza! E con essi la felicità!”
“Se la vostra felicità” rispose Ardea “è come l’effimero potere che vantate di possedere, allora siete la donna più infelice del mondo!”
“Come osi parlarmi così, uomo!” Ribatté infastidita la regina.
“Questa contrada appartiene al duca!” Disse Ardea. “E presto dovrete rendere conto del vostro comportamento! Quanto alla felicità…se credete ad una sola delle parole che avete detto finora allora la mancanza di amore vi ha inaridito, assieme al cuore, anche l’intelletto!”
“Tu mi invidi, sciocco uomo!”
“Vi compiango, invece.” Rispose Ardea.
“Potrei farti mettere a morte in questo stesso momento!”
“E cosa vi impedisce di farlo?” Chiese Ardea.
La regina lo guardò senza rispondere.
“Ditemi piuttosto perché mi avete fatto portare qui, invece di attendere con il mio amico il vostro processo?”
“Chi ti dice che non sarai processato anche tu?” Rispose la regina voltandosi e fissando il luminoso cielo da una finestra della stanza.
Ma un istante dopo, con rapido scatto, Ardea la raggiunse e le portò una mano attorno al collo.
“Siamo soli” disse “e le guardie sono lontane…potrei torcervi il collo con un solo gesto!”
“E cosa ti impedisce di farlo?” Chiese la regina, voltandosi verso di lui e liberandosi dalla sua presa.
Ardea la fissò per qualche istante e poi la baciò con passione, stringendo il bellissimo corpo di lei contro il suo .
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(Continua...)

cavaliere25 11-01-2010 11.38.00

interessante
 
bellissimo sir interessante racconto mi sto sempre piu appassionado e spero di imparare sempre di piu su questo meravigoioso mondo :smile: i miei ossegui sir guisgard

Guisgard 11-01-2010 21.57.41

Sono lieto che questo racconto vi stia appassionando, cavaliere.
Del resto, la vita di noi devoti alla cavalleria è un continuo richiamo alla perfezione.
Durante il cammino si può anche cadere, ma ciò che conta è sapersi rialzare.
Questo fa di un uomo un cavaliere :smile:

Guisgard 12-01-2010 00.44.51

ARDEA DE' TADDEI

LXXV

“L’eroe giunse nel palazzo reale di Puteoli.
Ma tra mille tesori favolosi solo lo sguardo
di lei gli parve inestimabile.”
(L’Imperiade, libro V)


E dopo quell’intenso e passionale bacio, i due si persero nell’azzurro dei loro occhi.
La pelle rosea e vellutata di lei, come una carezza si era posata sul volto di lui, che ancora sentiva le sue dolci labbra sulla sua bocca.
Lei non disse nulla.
Lui la guardava, cercando di leggere cosa celasse il fondo dei suoi meravigliosi occhi, mentre la teneva ancora fra le sue braccia.
E quegli attimi sembrarono essere stati abbandonati dallo scorrere naturale del tempo.
“Potrei farti mettere a morte per questo…” Disse lei.
“I tuoi occhi non dicono questo…” Rispose lui.
Lei allora si staccò da lui.
“Non puoi leggere nei miei occhi.” Disse lei. “Nessun uomo può.”
“Lo credi davvero?”
“Ricordati, uomo” intimò lei “che come tutto ciò che si trova a Cardizia, anche tu sei una mia proprietà! E come tale dipendi dal mio umore!”
Poi si incamminò verso la porta. Si voltò indietro e poi uscì.
Ardea rimase solo e turbato.
“Perché mi ha condotto qui?” Pensava. “Perché non sono dove si trovano ora gli altri condannati?”
Resto allora da solo, in balia di dubbi e pensieri, a passeggiare in quella favolosa quanto misteriosa sala.
Ma in tutto ciò non riusciva a togliersi quella donna dalla mente.
E così trascorsero indefiniti attimi e momenti, senza che Ardea riuscisse a quantificarne lo scorrere.
Fino a quando nella sala entrarono due donne.
Erano abbigliate come ancelle, senza indossare quindi armi e corazze.
Lo fissavano con curiosità, apparendo quasi divertite.
Posarono su un seggio pregevolmente intarsiato alcune vesti.
Poi, sorridendo con fare infantile, uscirono.
Ardea, che indossava solo i suoi attillati pantaloni di pelle e niente più, si avvicinò a quel seggio e prese le vesti portate da quelle donne.
C’era una camicia di lino bianchissima e profumata., una tunica di velluto verde senza maniche e dei pantaloni larghi e trapuntati.
Dopo un po’, giunsero nella sala altre tre donne. Anch’elle vestite come ancelle.
Condussero ben sei vassoi d’argento ricolmi di cibi artisticamente preparati, di mille colori e profumi come se fossero giunti dalla lontana Persia.
Posati i vassoi su una grossa tavola al centro della sala, le donne si avviarono verso la porta.
“Ma siete solo donne qui?” Chiese con tono sarcastico Ardea.
Una delle tre lo fissò con enigmatico sorriso. E senza rispondere nulla, le tre donne uscirono.
Ardea si avvicinò alla tavola.
“Sembra che non manchi niente.” Disse ad alta voce.
Ad un tratto, di nuovo la porta della sala si aprì.
E di nuovo la regina entrò.
Meravigliosamente vestita, con un abito di raso vermiglio, rifinito da purissima seta orientale. Ricami d’oro e d’argento poi abbellivano quello sfarzoso vestito.
La bellezza della regina era poi incorniciata da alcuni splenditi gioielli che impreziosivano la sua luminosa figura.
“Sono felice di rivederti.” Disse Ardea. “Tutto questo lusso e queste leccornie sarebbero andate sprecate se fossi rimasto da solo.”
Alaida non disse nulla. Si avvicinò alla tavola e riempì due coppe con un profumatissimo liquore ambrato.
“Potrei farti strappare la lingua” cominciò a dire, mentre porgeva la coppa al suo ospite “per la tua insolenza.”
“E perché allora” rispose divertito Ardea “sono ancora vivo, di grazia?”
Alaida sorrise.
“Forse perché” continuò Ardea “vostra maestà ha bisogno di compagnia per stasera?”
Alaida sorrise con fare malizioso.
“Forse come la mantide” aggiunse mentre prese la coppa che lei gli porgeva “che divora il suo compagno dopo un momento d’amore?”
“Pressappoco.” Rispose lei divertita, mentre sorseggiava la sua coppa.
“Cosa c’è qui dentro?” Chiese Ardea.
“Temi di essere avvelenato? Eppure hai assaporato le mie labbra…e sei ancora vivo.”
Ardea si avvicinò di nuovo a lei.
Ancora i loro occhi si incontrarono e si persero gli uni negli altri.
Ardea baciò ancora quella bellissima donna.
La baciò con ancora più passione.
Poi la prese e la stese sul soffice letto.
E lì si abbandonarono, con vivo e reciproco piacere, alle gioie dell’amore.
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(Continua...)

Guisgard 13-01-2010 00.01.31

ARDEA DE' TADDEI

LXXVI

“A lui il figlio di Venere <<O Febo- disse-
il tuo arco trafigga pure ogni cosa, ma il mio
colpisca te, e di quanto tutti gli esseri animati
sono inferiori a un dio, di tanto è inferiore la
tua gloria alla mia.>>”
(Metamorfosi, I)


La notte trascorse dolce.
I due si amarono con vigore e forte passione.
In quel profumato e soffice letto, i capelli di lei avvolgevano ed accarezzavano il corpo di lui.
Le loro mani più volte si strinsero le une alle altre, quando entrambi i due amanti assaporarono il momento più alto ed intenso della loro passione.
Allora i loro corpi vibrarono al dolce suono della lira di Amore.
E quando l’alba sorse, diffondendo e riversando su tutto il creato il suo roseo sospiro, li trovò abbracciati ed addormentati l’uno sull’altra.
Allora un leggero e luminoso raggio di quell’alba si posò sui loro visi, uniti dal medesimo sospiro.
Ardea in quel momento si svegliò e rimase ad ammirare il volto di Alaida per alcuni istanti.
La sua bellezza, non più ornata da gioielli e colori, dopo quella notte dedicata ai giochi d’amore, appariva fresca come una rosa.
Naturale e più viva.
In quel momento Alaida aprì gli occhi.
Non disse nulla e restò in silenzio, con il viso sul petto del suo amante.
“Icaro che vola troppo vicino al Sole e cade sulla terra.” Disse Ardea fissando un dipinto sul soffitto della stanza.
Ed una lacrima inumidì il vellutato volto di lei.
Allora si strinse ancora più forte ad Ardea.
“Sei sveglia…” Sussurrò il cavaliere.
“Non dire nulla ti prego…” Sospirò lei.
Ardea le baciò la testa e la strinse forte a se.
Restarono così, in silenzio, per diversi istanti.
E quel silenzio era rotto solo dal battito del cuore di Alaida.
“Vorrei che questo momento possa non finire mai.” Disse all’improvviso. “Anche se che questo è impossibile.”
Ardea la guardò senza dire nulla.
“L’amore non da felicità” continuò sedendosi al centro del letto “ma solo un effimera e breve gioia.”
Ardea si sedette accanto a lei e l’abbracciò.
“Chi è la donna che si cela dietro la regina Alaida?” Chiese il cavaliere.
“Una donna” rispose lei dopo un momento di silenzio “che non vuol cedere alle illusioni di Amore.”
“Amore non illude. Mai.”
Alaida, a quelle parole di Ardea, cominciò a piangere.
“Chi sei?” Chiese Ardea.
“Mio padre era un vassallo del duca” cominciò a raccontare lei “e resse Cardizia fino a due anni fa. Era un uomo giusto, ma amava le donne. Mia madre ha sofferto per anni. E quando lui morì, mia madre non visse a lungo, consumata com’era dalla sofferenza e dalle umiliazioni.”
Pianse di nuovo.
Ardea la baciò sul viso e la strinse forte.
“Io giurai che mai avrei ceduto alle calunnie dell’amore” riprese a raccontare “e che mai avrei permesso ad un uomo di rendermi fragile e debole. Così, quando rimasi padrona di Cardizia, al comando di tutte le altre donne, cacciai nella foresta ogni uomo. E da quel giorno nessun uomo è vissuto più di tre giorni in questa contrada.”
“Allora” disse Ardea “gli uomini che le tue soldatesse catturarono nella foresta erano fra quelli scacciati da Cardizia!”
“Si” rispose Alaida “e vivono come cacciatori e pastori attorno alle mura di Cardizia. Ed è vietato loro tentare di entrare.”
“Come è possibile” chiese Ardea “che degli uomini si facciano cacciare dalla loro casa da un gruppo di donne?”
“Sono poco più che contadini” rispose Alaida “mentre noi eravamo addestrate e ben armate. Sebbene Cardizia sia sempre stata una contrada pacifica, mio padre amava le armi e da piccola mi istruì su come maneggiarle. Ed io ho fatto lo stesso con le mie compagne. Ed una notte di Maggio, con le armi e con la forza prendemmo il potere a Cardizia.”
“E davvero” chiese Ardea “siete convinte di poter vivere in questa eterna illusione? Davvero credete che l’uomo e la donna, l’armonia del creato, concepite da Dio ed unite attraverso Amore per Sua volontà, possano vivere separati?”
“Si!” Esclamò Alaida. “Lo credo! E nulla mi farà cambiare idea!”
Ardea la fissò senza dire nulla.
“Cosa credi?” Chiese lei. “Che questa notte abbia forse cambiato il mio più profondo credo? Credi che questa notte ti abbia risparmiato la giusta punizione che spetta a voi uomini! Se l’hai creduto, allora sei uno sciocco!”
Ardea la prese per le braccia.
“Guardami negli occhi e dimmi che per te questa notte non ha significato nulla! Dimmelo!” Esclamò.
Alaida si staccò dalle sue mani ed afferrò una campanella d’oro che aveva su un mobiletto accanto al letto.
E la suonò con agitazione.
Un attimo dopo, nella stanza, giunsero dieci guardie armate.
Circondarono il letto, puntando contro Ardea le loro lance affilate e lucenti.
“Conducetelo via.” Ordinò Alaida. “Sapete dove.”
Ardea la fissò mentre le guardie lo portarono via.
Giunto sulla porta gridò:
“Guardami Alaida! Guardami!”
Ma ella non ascoltò le sue parole. Anzi, non ebbe la forza di guardarlo mentre lo portavano via.
E quando restò da sola in quella stanza, avvolta da quelle coperte che ancora avevano il profumo di lui, Alaida, la regina che non voleva amare, pianse amaramente.
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(Continua...)

Guisgard 15-01-2010 00.44.02

ARDEA DE' TADDEI

LXXVII

“Io sono follia. Ma non sono solo.
Tutti coloro che amano sono come me.”
(Anonimo)


Intanto, nelle segrete del palazzo, tre uomini attendevano un processo che sembrava già aver sentenziato la loro condanna.
“Siamo caduti in trappola come degli allocchi.” Disse uno di loro.
“Sta zitto” lo riprese l’altro “e facciamo vedere a queste donne come muore un uomo!”
Ma mentre uno si lamentava e l’altro era già rassegnato, il terzo sembrava non prestare attenzione alle loro parole.
Era accasciato accanto alle sbarre e sembrava studiarle con attenzione.
“Cosa fai li vicino?” Gli gridò uno dei due. “Speri di farle aprire a furia di guardarle?”
“Queste sbarre” prese a dire il terzo di loro, che altri non era che Biago “avrebbero bisogno di una sistemata, ogni tanto. La ruggine le sta consumando.”
“Già” sembra che le nostre dame non si curino molto di questo genere di lavoretti!” Rispose l’altro.
“E questo è il loro guaio.” Disse Biago.
Poi, tirò fuori da uno stivale una sorta di chiodo sottilissimo e cominciò a farlo girare nella serratura.
Alcuni istanti dopo uno scattò precedette l’apertura di quelle sbarre di ferro.
“Sei un demonio, mio buon amico!” Esclamò uno dei due prigionieri.
“Zitti e seguitemi!” Ordinò. “Cerchiamo un modo per uscire da qui.”
Così i tre cercarono di evadere da quelle segrete.
Percorsero un lungo ed umido corridoio, fino a giungere ad una sorta di cella scavata nella roccia.
“Sembra un vicolo cieco.” Disse uno dei due prigionieri. “Forse siamo in trappola!”
“Sono sicuro che qui vicino c’è la galleria nella quale scorre il corso d’acqua” disse Biago “e se riuscirendo a raggiungerla saremo salvi.”
Ad un tratto si udirono dei passi di soldati.
“Sono quelle maledette!” Disse uno dei due prigionieri. “Siamo perduti!”
I tre si fecero sotto l’umida parete di roccia, sperando che le soldatesse non scrutassero, al loro passaggio, quella buia cella di pietra.
I passi erano sempre più vicini e sembravano echeggiare nelle orecchie dei tre fuggiaschi in maniera sempre più opprimente.
Sentivano la paura prendere sempre più possesso di loro. Le mani tremavano ed il sudore rigava i loro volti.
Mentre quei passi erano sempre più vicini.
Ma all’improvviso udirono una voce provenire da una piccola crepa nella roccia.
“Ehi voi…” disse quella voce “…per di qua.”
Biago abbassò lo sguardo e vide un sasso ritirarsi dentro la parete.
“Presto, passate qui sotto!” Aggiunse quella voce.
In un momento i tre attraversarono quel passaggio e subito dopo la pietra ritornò al suo posto, rendendo praticamente invisibile quella via di fuga.
I tre si ritrovarono così in una lunga ed irregolare galleria, dove scorreva, arrivando alle loro ginocchia, un corso d’acqua.
“Attraverso questa galleria vi ritroverete fuori da Cardizia.” Disse colui che li aveva tratti in salvo.
“Ma tu sei l’uomo che gridava nell’anticamera!” Esclamò Biago.
“Si, sono io.” Rispose quell’uomo.”
“Maledetto!” Esclamò agitato Biago. “Per colpa dei tuoi schiamazzi ci hanno scoperto e catturati!”
“Vi conviene sbrigarvi.” Disse quell’uomo, che sembrava aver smarrito la sua agitata follia.
“Ha ragione.” Disse uno dei due prigionieri. “Scappiamo o ci troveranno.”
“Sai dove si trova il mio amico?” Chiese Biago a quell’uomo.
“E’ imprigionato, ma per ora non credo corra rischi.” Rispose questi.
“Come fai a saperlo?” Chiese Biago.
“Lo so.” Rispose quell’uomo. “Ora affrettatevi.”
“Non posso lasciare qui il mio amico!” Disse Biago.
“Lui non corre pericoli, per ora.” Disse quell’uomo. “Voi invece si. Andate!”
“Ma tu chi diavolo sei?” Chiese Biago. “Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Sono solo un uomo, follemente innamorato di un’illusione.” Rispose enigmaticamente quel loro salvatore. “Ora andate. Aiuterò io il vostro compagno.”
Allora i tre fuggirono attraverso quella galleria, fino a giungere fuori le mura della contrada.
Biago però aveva la morte nel cuore, temendo per la vita di Ardea.
Ma, mentre si lasciavano dietro Cardizia e le sue alte torri rese ambrate dal tramonto, Biago giurò a se stesso che sarebbe tornato.
E in quel momento una morsa gli attanagliò il cuore, come a volerlo lacerare.
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(Continua...)

cavaliere25 15-01-2010 22.57.51

bellissimo
 
complimenti cavaliere e amico mio devo dire che siete bravo a raccontare sono molto colpito e mi fa piacere leggervi ogni volta

Guisgard 16-01-2010 14.55.26

Grazie, cavaliere.
Sono lieto che le avventure di Ardea incontrino il vostro favore :smile:

Guisgard 21-01-2010 00.53.50

ARDEA DE' TADDEI

LXXVIII

"Così, la terra variando i semi
Vigor non perde, e in non arato campo
Con larga usura anch'ei l'ozio compensa."
(Georgiche, libro I, 120)


I tre fuggitivi ben presto sbucarono nella foresta che circondava Cardizia.
Attraverso sterpi e rovi giunsero in uno spiazzo. Biago seguiva i due compagni che sembravano conoscere molto bene quei luoghi.
E in quello spiazzo, uno dei due iniziò ad imitare il canto del merlo.
Un attimo dopo qualcuno, celato nella vegetazione circostante, fece altrettanto.
Poco dopo nello spiazzo comparirono cinque uomini.
“Siete vivi!” Disse uno di loro. “Grazie al Cielo!”
“Si.” Rispose uno dei due fuggitivi. “Però ce la siamo vista brutta. Disperavamo di potercela cavare.”
E tutti loro si abbracciarono.
Poi, uno dei cinque, vedendo Biago, chiese chi fosse.
“E’ un nostro compagno di cella” rispose uno dei due fuggitivi “e siamo fuggiti grazie a lui.”
“Benvenuto tra noi, amico.” Disse l’uomo che aveva chiesto di lui.
Poi aggiunse:
“Non restiamo qui. Gli altri devono sapere che siete sani e salvi.”
E così penetrarono nel cuore della foresta, fino a giungere ad un villaggio, piccolo e ben mimetizzato tra la folta vegetazione.
Qui i tre furono accolti con gioia e festa.
“Vieni” disse uno dei due fuggitivi a Biago “devi conoscere Lugos.”
“Chi sarebbe?” Chiese Biago.
“Lugos è il capo del villaggio.” Rispose l’altro. “Senza di lui saremmo persi.”
Andarono allora verso una capanna con il tetto quasi del tutto coperto da sterpi e fogliame.
Appena giunti fuori a quel rustico tugurio, la porta si aprì e apparve un uomo.
Era asciutto, di altezza media, con capelli ed occhi nerissimi e la pelle olivastra.
“Lugos…” cominciò a dire il fuggitivo “…questo è Biago. Era prigioniero con noi a Cardizia e senza di lui noi saremmo ancora lì a marcire.”
“Benvenuto nel nostro villaggio, Biago.” Disse Lugos tendendogli la mano.
Biago si guardava attorno e ammirava come quegli uomini fossero riusciti, in quella natura selvaggia ed inospitale, a costruire un villaggio tanto accogliente e sicuro.
“Ehi!” Gridò all’improvviso una voce alle sue spalle. “Io ti conosco!”
Biago si voltò per lo stupore.
“oI ti ho incontrato nella foresta qualche giorno fa” aggiunse quella voce “ed eri in compagnia di un cavaliere e volevate lasciarmi legato come pasto per le belve feroci!”
Biago allora riconobbe quella voce ed il suo proprietario.
Era quel ragazzo che lui ed Ardea incontrarono appena giunti nella terra di Cardizia.
“Sei sicuro, Tanco?” Chiese Lugos al ragazzo.
“Si, sicurissimo!” Rispose lesto questo. “Ti dico che è lui! Ne sono sicuro!”
“Che storia è questa?” Chiese Lugos a Biago.
“Posso fidarmi?” Chiese Biago.
“Ti abbiamo portato qui, nel nostro villaggio” rispose Lugos “e se sospettassimo di te ti avremmo già fatto la pelle.”
“E sia.” Disse Biago. “Io sono lo scudiero di un cavaliere giunto qui in nome di sua signoria il duca Taddeo.”
“Chi è il cavaliere che accompagni?” Chiese Lugos.
“Mi ha imposto di non rivelare a nessuno il suo nome” rispose Biago “ed io non lo disubbidirei mai.”
“Dove si trova ora?” Chiese Lugos.
“Non l’ho più visto.” Rispose Biago “Forse, quando fummo catturati, fu condotto in un altro luogo. Non so cosa pensare.”
“Un solo cavaliere contro quelle streghe?” Gridò uno dei presenti. “Il duca così pensa di riprendersi Cardizia?”
“Silenzio!” Gridò Lugos.
“Dovete aiutarmi.” Disse Biago. “Devo scoprire dove l’hanno condotto e, se ancora vivo, liberarlo.”
“Faremo il possibile.” Disse Lugos. “Purtroppo noi siamo fuorilegge nella nostra terra e nemici per coloro che dovrebbero essere le nostre compagne.”
“Ma come è accaduto tutto ciò?” Chiese Biago. “Come può essersi diffusa una tale innaturale follia?”
“Seguimi” disse Lugos “e davanti a del buon vino e ad un buon piatto caldo le nostre sventure ci sembreranno meno amare.”
“Ma come?” Intervenne il giovane Tanco. “Quest’uomo voleva fare di me il pasto di qualche fiera della foresta e tu lo inviti a mangiare e a bere!”
“Sta buono, mio giovane ed irruento compagno.” Disse sorridente Lugos.
Entrarono così in una capanna, dove furono serviti loro carne e vino.
“Tutto cominciò” iniziò a raccontare Lugos “due anni fa, con la morte del vassallo del duca. Egli era un uomo giusto ma covava una serpe in seno. Sua mogli infatti non gli perdonò mai il suo libertino amore per le altre e istruì in silenzio la loro unica figlia, forgiandola con un viscerale odio verso tutti gli uomini. Ella, divenuta adulta, sfruttò la sua maestria con le armi appresa dal padre e sparse il funesto seme del suo odio nelle altre donne. E così, alla morte di suo padre, il potere fu preso dalle nostre donne, che ci scacciarono da Cardizia intimandoci di non tornarvi più. Da allora noi le chiamiamo le Dame dall’Incertocuore.”
“Tutto ciò è assurdo!” Esclamò stupito Biago.
“Noi siamo gente pacifica” disse Lugos “ed aliena all’uso delle armi. Nulla abbiamo potuto contro la loro follia.”
“E come pensate di far finire tutto ciò?” Chiese Biago.
Proprio in quel momento un uomo entrò nella capanna.
“Lugos, i cavalieri che attendevamo sono giunti.”
Lugos allora si alzò e si diresse fuori.
Ma prima di uscire si voltò verso Biago e disse:
“Amico mio, qui fuori troverai la risposta alla tuta domanda.”
Biago allora lo seguì, incuriosito da quelle parole.
E uscito dalla capanna vide tre cavalieri, ricoperti da solide e spesse corazze ed armati di tutto punto.
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(Continua...)

Guisgard 22-01-2010 01.20.57

ARDEA DE' TADDEI

LXXIX

“Cavalieri forti e feroci incontrerai
sul tuo cammino. Ed al tuo fianco
troverai solo la tua Fede ed il tuo
coraggio.”
(Le Geometriche, libro V)


Il nostro scudiero non impiegò molto a riconoscere quei tre cavalieri.
Erano tre fratelli, appartenenti ad una nota famiglia che vantava una nomea alquanto ambigua.
I loro nomi erano Bartolo, Antonio e Bienzo, della famigerata stirpe dei Merchitti.
Erano mercenari senza scrupoli e nel vederli Biago capì che la situazione sarebbe potuta precipitare molto presto.
“Perché siete ricorsi ai servigi di questi cavalieri?” Chiese a Lugos chiamandolo in disparte.
“Perché noi Carditesi siamo da sempre gente pacifica, tranquilla” rispose Lugos “ed aliena alle armi ed all’arte di procurar danno al prossimo.”
“Questi cavalieri invece” ribatté Biago “sono proprio l’opposto della tua gente! Sono avidi e bellicosi!”
“Conosci forse un altro modo per riportare la pace a Cardizia?” Chiese Lugos. “O per poter liberare il tuo compagno?”
Biago non rispose nulla. Decise di aspettare l’evolversi degli eventi, sperando, in cuor suo, che tutto ciò non li avrebbe condotti alla rovina.
“Chi è tra voi” cominciò a chiedere ser Bartolo dei Merchitti “che è appena tornato dalle prigioni di quel luogo?”
I due compagni fuggitivi di Biago, intimoriti al solo pensiero di dover ritornare in quel posto, restarono in silenzio, palesando la natura remissiva del loro popolo.
Biago invece, ansioso di ritornare a cercare Ardea, rispose lesto a quell’appello.
“Sono io, cavaliere.” Rispose facendo un passo avanti.
“Bene” disse ser Bartolo “e allora ci farai da guida conducendoci nel palazzo di quelle maledette.”
In breve furono pronti per partire.
Assieme ai tre cavalieri e a Biago, si aggiunse un piccolo drappello formato da Lugos ed alcuni dei suoi.
Ripercorsero a ritroso il cammino che i fuggitivi avevano fatto e si ritrovarono al corso d’acqua.
Da qui scesero sotto le mura di Cardizia, arrivando alla galleria che li avrebbe condotti nelle segrete.
Lugos ed i suoi avrebbero atteso qui, senza procedere oltre, i quattro, attendendo un segnale per intervenire. Altri dei suoi stavano per giungere dalla foresta e, dietro le indicazioni dei tre cavalieri, si appostarono attorno alla grande porta che dava l’accesso a Cardizia.
In una cella delle segrete intanto, Ardea era stretto tra dubbi ed interrogativi.
Si chiedeva cosa sarebbe stato di lui e cosa stessero facendo, quelle donne, al suo scudiero. Inoltre non riusciva a togliersi dalla mente quella bellissima donna che gli aveva donato una passionale notte d’amore per poi farlo rinchiudere in quella cella.
Ad un tratto percepì dei rumori confusi. Ebbe subito il sentore che non fossero le guardie.
Un attimo dopo, alcune pietre della parete iniziarono a scuotersi. Poi, come spinte dall’esterno, vennero avanti e mostrarono un passaggio scavato nella parete.
“Salute, cavaliere!” Disse una voce stridula. “So che si ozia bene qui dentro, ma, credimi, fuori si sta meglio!”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Ardea, che aveva riconosciuto quel mezzo matto incontrato nell’anticamera del palazzo.
“Calati qui dentro e seguimi!” Disse con tono spiccio quel pazzo.
Ardea, senza farselo ripetere, seguì le indicazioni di quel singolare individuo ed in breve i due si ritrovarono in una galleria semi illuminata dalle fessure che si aprivano sulla volta.
Intanto, negli appartamenti regali di quel palazzo, Alaida era tormentata da ciò che gli diceva il suo cuore.
Fissava il ritratto di Icaro sul soffitto e amare lacrime scendevano sulla sua rosea e vellutata pelle.
Malediva se stessa, il suo destino e la potenza di Amore.
Aveva fatto di tutto per sfuggirgli, per riparasi dai suoi dardi. Aveva tentato di rendere come la pietra il suo cuore, convinta che le sue frecce non avrebbero potuto scalfirlo.
Aveva vissuto con il ricordo del giuramento fatto a sua madre, che mai avrebbe ceduto alle illusioni di Amore.
Ma erano bastati gli occhi azzurri di un misterioso cavaliere per far diventare tutto ciò un’eterea convinzione.
Ma, all’improvviso, alcune grida la destarono dai suoi tormenti. Corse ad aprire la porta per capire cosa stesse succedendo.
Ma una sua guardia la precedette, entrando di corsa nella stanza.
“Mia regina” disse ansimando la donna “tre cavalieri pesantemente armati e ferocemente determinati sono penetrati dalle segrete. Hanno assalito a tradimento le altre guardie ed hanno appiccato il fuoco nei sotterranei. Hanno poi, con l’aiuto di alcuni complici, fatto aprire la porta grande e gli uomini della foresta, anch’essi armati, sono entrati a Cardizia!”
Un brivido di paura misto a collera percorse il volto di Alaida.
Ma l’amazzone guerriera non si perse d’animo.
“Raduna ciò che resta della guardia reale” ordinò alla sua soldatessa “e attaccate senza pietà quei marrani!”
Poi corse verso un baule d’ebano finemente intarsiato e lo aprì.
Estrasse una luminosa spada che emanava intensi ed aurei bagliori.
“Vediamo se la scritta che rechi incisa sulla tua lama” disse fissando quella superba spada “saprà ricacciare di nuovo negli inferi i demoni che ci assalgono!”
Impugnò allora la sacra Parusia, sottratta al cavaliere imprigionato e si diresse verso quelle grida che si diffondevano disperate per tutto il palazzo.
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(Continua...)

Guisgard 24-01-2010 23.56.37

ARDEA DE' TADDEI

LXXX

“Dalla grande porta al palazzo
centrale avanza un’Averno di
fiamme! Nola è perduta!”
(Le Geometriche, libro V)


Intanto, in una galleria sottostante al palazzo, l’eco di quelle grida erano giunte anche ad Ardea ed al suo liberatore.
“Cosa accade?” Chiese Ardea.
“La rovina dell’Incerto regno che domina Cardizia.” Rispose l’uomo.
“Dobbiamo salire su, allora!” Disse Ardea.
“Sei folle?” Esclamò l’uomo. “Vuoi tornare in quel luogo ora che si sta scatenando l’Inferno?”
“Il mio compagno è ancora lì!”
“Non più!” Rispose l’uomo. “E’ fuggito. Ora è con gli uomini della foresta.”
“Ne sei certo?”
“Si. Fui io ad aiutare lui ed altri due prigionieri. Proprio come sta tentando di fare con te ora.”
“Io però deve tornare a recuperare la mia spada.” Disse Ardea.
“Una spada non vale la tua vita!” Esclamò l’uomo.
“Quella è la spada di mio padre” disse Ardea “ed io non la lascerò qui!”
“Torni per la spada o per la regina?” Chiese l’uomo.
“Indicami da dove posso risalire per giungere nel palazzo.”
“Quella donna ha stregato anche te!” Disse l’uomo. “Seguimi!”
Avanzarono allora fino ad un piccolo cunicolo che li avrebbe condotti nei piani alti del palazzo.
Qui intanto stava scatenandosi l’Inferno.
I tre cavalieri mercenari facevano scempio delle soldatesse carditesi, mentre il fuoco iniziava ad avvolgere le fondamenta del palazzo.
Ad un tratto apparve un cavaliere.
Era ricoperto da una armatura cromata che emanava rosei bagliori ed impugnava una spada lucente come il Sole.
Appena l’ebbero visto, i tre Merchitti si apprestarono a sfidare quel cavaliere.
Iniziò così una feroce contesa. Ma nonostante l’impari sfida, quel cavaliere teneva con maestria testa a quei tre.
Intanto, Ardea ed il suo liberatore erano risaliti nel palazzo.
E una scena apocalittica si mostrò allora ai loro occhi.
Uomini e donne si battevano senza sosta e senza pietà, mossi da un odio primordiale, mentre il fuoco pian piano consumava le mura del palazzo.
“Ardea!” Gridò una voce familiare. “Sei vivo, grazie al Cielo!”
Era Biago.
“Sono felice di rivederti, amico mio…” disse Ardea “…ma dobbiamo salvare il palazzo!”
“Ormai è tardi!” Rispose Biago. “Quei dannati Merchitti hanno dato fuoco a tutto.”
“Di chi parli?” Chiese Ardea.
“Sono tre mercenari assoldati dagli uomini della foresta per riprendersi Cardizia!”
“Il fuoco” disse Ardea “parte dai sotterranei. Dobbiamo trovare il modo di spegnerlo. Servirebbe dell’acqua. Tanta acqua!”
“C’è un modo.” Intervenne l’uomo che l’aveva salvato. “La galleria in cui passa il corso d’acqua è costituita da mattoni crudi. Se l’abbattessimo il corso d’acqua invaderebbe i sotterranei, spegnendo il fuoco.”
“Sei un genio, vecchio pazzo!” Disse entusiasta Ardea.
“No!” Intervenne Lugos. “Questo posto e tutto quello che rappresenta deve essere distrutto! Non vi permetteremo di salvarlo!”
”Ascolta…” disse Ardea prendendolo per la giubba “…se questo palazzo brucerà, in breve brucerà tutta Cardizia!”
Poi ordinò a Biago e ad altri uomini di seguire il vecchio e fare come diceva loro.
Lui intanto, attirato dalle grida della battaglia, si lanciò nella mischia.
Vide allora lo scontro tra i tre Merchitti ed il cavaliere dalla corazza rosata.
E riconobbe in pugno a quest’ultimo la sua Parusia.
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(Continua...)

Guisgard 26-01-2010 00.21.19

ARDEA DE' TADDEI

LXXXI

“Non vi è gloria nella battaglia,
ma solo nemici. E non vi è fama
nella vittoria, ma solo liberazione
da quest’odio che ci spinge a combattere.”
(La faida tra l’impero e il regno, IX)


Quel cavaliere, sebbene veloce nelle movenze e preciso nel colpire, iniziava a soffrire l’attacco simultaneo dei tre Merchitti.
Benzo allora, accortosi della difficoltà del cavaliere, tentò di infilzarlo alle spalle.
Questi però, capite le sue intenzioni, lo aggirò e lo colpì con un fendente mortale.
Alla vista del fratello colpito a morte, Antonio si lanciò con rabbia verso il suo avversario e lo trafisse ad un fianco.
Questi si accasciò a terra.
Antonio allora tirò il suo fendente per finire l’avversario, ma una veloce e poderosa lama fermò il suo colpo.
“Chi siete?” Chiese il Merchitto.
“Il duello è finito, cavaliere!” Rispose Ardea, puntando la spada con la quale lo aveva fermato, alla gola di Antonio.
“E chi l’ha deciso?” Ringhiò Antonio.
“La vostra buona sorte!” Rspose Ardea. “Perché se non mettete via la spada oggi sarà il vostro ultimo giorno.”
“Chi siete per parlare così ad un cavaliere?” Chiese irritato Bartolo.
“Non vedo cavalieri qui.” Rispose Ardea. “Tre contro uno non è da cavalieri, ma da vigliacchi.”
Antonio, infangato da quelle parole, lo assalì con violenza. Ed altrettanto fece suo fratello Bartolo.
“Questa è vostra!” Gridò da terra il cavaliere rosato, lanciando ad Ardea la sua Parusia.
L’eroe la impugnò e raccolse la sfida dei due marrani.
Lo scontro fu subito duro. I due avversari erano animati da odio e rabbia per la morte del loro fratello e lanciavano poderosi colpi verso Ardea.
Questi riusciva a difendersi bene dai loro attacchi, ma era impossibilitato ad offendere, senza rischiare di indebolire la sua difesa.
Tutto questo mentre attorno continuavano gli scontri tra gli uomini e le donne di Cardizia ed il palazzo era sempre più avvolto dal fumo e dal fuoco.
Ad un tratto, vedendo Ardea in difficoltà contro i due Merchitti, il cavaliere rosato, strisciando, arrivò a raccogliere una lancia e affidandosi alle poche forze che gli restavano, trafisse ad una gamba Bartolo.
Venuto meno l’appoggio di suo fratello, Antonio si ritrovò a combattere da solo. E l’esitazione per questa nuova situazione gli fu fatale.
Con un abile e preciso colpo, Ardea lo trafisse mortalmente.
Bartlo intanto, estratta la lancia dalla sua gamba, cercò di colpire il cavaliere rosato, ma Ardea lo raggiunse e con un colpo gli mozzò il braccio destro, lasciandolo a terra tra le sue grida laceranti ed il suo sangue che lo avvolgeva.
Ardea allora si avvicinò al cavaliere rosato e controllò la sua ferita.
“E’ un brutto taglio…” disse “…ma non è mortale.”
Il cavaliere ferito fece cenno ad Ardea ti togliergli l’elmo.
Levato l’elmo, Ardea svelò con stupore l’identità di quel cavaliere.
“Alaida!” Gridò Ardea. “Sei tu!”
La regina sorrise.
Nemmeno il sangue ed il sudore che rigavano quel viso, riuscirono a rendere più sbiadita la sua bellezza.
Ardea allora l’alzò da terra e la condusse in una vicina stanza.
“Avevi ragione tu…” disse la donna piangendo “…non si può vivere senza l’amore.”
Ardea l’accarezzò con dolcezza.
“Ora pensa a riposarti.” Le sussurrò.
“Salva le mie compagne…ti prego…” Disse Alaida con un fil di voce.
Ardea le sorrise ed annuì.
“Mio bel cavaliere senza nome…” sospirò la regina “...ti amo…”
Detto questo, perse conoscenza.
Ardea accarezzò il suo bel viso e l’adagiò sul letto.
L’affidò a due ancelle e corse fuori.
Prese allora un grosso corno e lo suonò con forza.
In quel momento cessarono i furiosi scontri.
“Basta combattere tra voi!” gridò Ardea. “Figli e figlie di Cardizia, se amate questa terra e ne siete degni, allora aiutatemi a salvare questo palazzo!”
La sua voce echeggiò nelle loro menti e sembrò scuotere nel profondo quegli uomini e quelle donne.
Tutto questo mentre il fuoco si faceva sempre più minaccioso, deciso, come mosso da collera divina, a cancellare ogni cosa di quel luogo.
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(Continua...)

Guisgard 27-01-2010 00.16.27

ARDEA DE' TADDEI

LXXXII

“Toccherò di nuovo il Sole!
Oh Cielo, accoglimi. E tu terra
sostienimi.”
(La vendetta di Icaro)


Tutti allora, come se le parole di Ardea avessero scosso le loro coscienze da un lungo torpore, cominciarono a darsi da fare per domare le fiamme.
Ardea intanto corse nei sotterranei, dove Biago e gli altri cercavano di far penetrare le acque del corso d’acqua che scorreva sotto Cardizia.
Questi erano intenti a distruggere parte di quel muro di mattoni crudi.
“A che punto siete?” Chiese Ardea, mentre le fiamme rendevano quasi impossibile respirare.
“Abbiamo trovato delle piccole crepe” rispose Biago tossendo “nel muro. Le fiamme le hanno rese visibili, ma occorre qualcosa per abbattere questo muro.”
“Prendete quei crossi tronchi” gridò Ardea “li useremo come arieti!”
E mentre gli altri fecero come aveva ordinato, Ardea con tutta la forza che aveva conficcò Parusia in una di quelle crepe e cominciò ad usarla come leva.
I suoi compagni lanciavano poderosi colpi contro quel muro, mentre Ardea tentava di allargare quella crepa.
Pian piano, dalle crepe cominciò a colare acqua.
E ad un tratto, finalmente, il murò cedette sotto la foga e la disperata determinazione di quegli uomini.
L’acqua così invase i sotterranei del palazzo, coprendo le fiamme che sembravano essere giunte dall’Averno.
Nei piani alti, intanto, uomini e donne lottavano strenuamente ed insieme contro ciò che restava dell’incendio.
Ed alla fine vinsero le ultime fiamme.
Vinto così quel nemico, tutti i carditesi e le carditesi compresero finalmente la follia del loro comportamento.
Una nuova epoca sarebbe giunta in quel luogo. L’era dell’incertezza era finalmente tramontata.
Seguirono feste, canti e musica per celebrare il ritorno alla vita di Cardizia.
E durante tali gioiose celebrazioni, Ardea prese la parola:
“Uomini e donne di Cardizia…” gridò, mentre tutti si zittirono per ascoltarlo “…la contrada è di nuovo vostra!”
Ci fu un boato di gioia.
“Il duca ha fiducia in voi” continuò a dire “e sa che saprete ricostruire lo splendore di questa contrada! In nome del duca, vostro e mio signore, nomino Alaida baronessa di Cardizia. Ella saprà guidarvi con grazia ed indulgenza!”
Tutti applaudirono ed apprezzarono le sue parole.
Alaida lo ascoltava dal balcone del palazzo. Lui la vide e la raggiunse.
La donna era nella sua stanza, invasa dalla luce del mattino che la rendeva fresca e luminosa.
“Come stai ora?” Chiese Ardea.
“Molto meglio” rispose lei “e ormai la ferita non fa più male e non ha avuto conseguenze.”
“Bene, ne sono lieto.” Rispose lui.
Lei sorrise malinconica.
“Sono qui per…”
“Per salutarmi, lo so.” Lo interruppe lei.
“Il mio viaggio è solo all’inizio” disse Ardea “e se mi fermassi ora sarebbe la fine di tutto.”
“E poi” disse Alaida “qui non c’è niente che ti spinge a restare…”
Ardea si avvicinò a lei.
“Mia signora…” cominciò a dire “…ho la morte alle calcagna, una colpa nell’animo…ed il volto di una dama nel cuore. Il mio destino è lontano da qui.”
Umide e azzurre lacrime cominciarono a bagnare gli occhi di lei.
“Ti chiedo solo una cosa…” disse lei “…il tuo nome…”
Ardea le si avvicinò e le sussurrò il suo nome ad un orecchio.
Le loro labbra si sfiorarono per un effimero istante, fino a baciarsi.
Ma quel bacio durò solo un attimo.
Uno ultimo intenso sguardo e poi quel cavaliere lasciò la sala e con essa Cardizia.
Rimasta sola, un’ancella le si avvicinò.
“Perché non gli avete detto del bambino, mia signora?” Chiese questa.
“Tenerlo qui senza amore” rispose Alaida “sarebbe solo un delitto ed un eterno tormento. Ma non mi ha lasciata sola.”
Mentre diceva questa cose si accarezzava dolcemente il ventre.
“Questo bambino” disse l’ancella “ sarà nobile e grande. E diventerà un re.”
“No…” rispose Alaida sorridendo “…sarà come suo padre…il più grande di tutti i cavalieri.”
“Come lo chiamerete, mia signora?”
“Un nome che mi rammenterà sempre il breve istante in cui suo padre mi amò” rispose lei “e quando giunsi a toccare quasi il Sole, prima di ricadere sulla Terra.”
E parlando fissava il ritratto di Icaro sul soffitto della camera.
Poi si affacciò dalla finestra ed in lontananza scrutò il suo cavaliere che riprendeva il cammino verso la foresta, accompagnato dal fedele scudiero e dai suoi eterni sospiri.
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(Continua...)

Guisgard 28-01-2010 23.51.15

ARDEA DE' TADDEI

LXXXIII


TERZA QUESTIONE: FRATTAGRANDE, IL MOLOSSO DEI MUSSONI

"Nella nebbia si nasconde la tentazione."
(I Racconti della Luna Pallida di Settembre, III)


Il cammino che conduceva Ardea e Biago verso Frattagrande era lungo e stancante.
Avvolta in una verde ed umida brughiera, questa contrada era la più occidentale delle proprietà del duca e ne segnava i confini verso l’ovest.
Miglia e miglia di verdeggianti distese contornavano l’intero paesaggio, mentre un lungo e stretto sentiero si apriva quasi intimorito al suo interno.
E solo verso sera i due avvistarono le cupole ed i campanili delle chiese di Frattagrande.
Ardea, forse aiutato da quell’incorporeo scenario, che il crepuscolo avevo coperto con una tenue nebbia, era perso nei suoi pensieri.
Questo suo viaggio, suo padre, la ragazza vista nella taverna di Caivania, lo sguardo di Alaida, le sue colpe ed i suoi peccati; tutto, come un mare impetuoso, veemente e furioso, inondava la sua mente.
In certi momenti lo sconforto, la rassegnazione, lo smarrimento sembravano prendere il sopravvento.
In un attimo, dalla giorno alla notte, come un impalpabile fatalità, la sua vita fù totalmente cambiata.
La gioia, i sogni, la speranza, la fama, tutto sembrava essersi smarrito, facendolo sentire come un naufrago, approdato su una terra deserta, dopo aver perso ogni cosa.
Egli faceva ricorso a tutte le sue forze, a tutta la sua abilità per portare a termine questa ardua impresa.
Ad ogni contrada egli avrebbe messo in gioco la vita. Sapeva che la morte poteva attenderlo ovunque. Forse proprio a Frattagrande.
Eppure continuava.
Ma per cosa? Si chiedeva in certi momenti in cui lo smarrimento si faceva più forte.
Perché rischiare così la vita?
E se anche, miracolosamente, avesse portato a termine tutte e sette le Questioni avrebbe comunque trovato ad attenderlo quel misterioso cavaliere che sembrava invincibile.
E allora perché non fuggire via?
Perché non cercare una terra in cui ritrovare la serenità perduta e ricominciare di nuovo a vivere?
Forse era la sua debolezza, forse il suo tormento a suggerirgli queste cose.
Forse era il diavolo che già assaporava la sua anima.
Perché allora continuare? Per cosa? Per chi?
Ed era in questi momenti che, come una misteriosa forza, emergeva dal suo cuore un impeto.
Per suo padre. Per ciò che gli ha dato.
Per le sue terre e per chi vi abitava.
Ma anche per se stesso.
Sapeva infatti che in nessun luogo avrebbe mai potuto trovare pace.
Solo con immani fatiche e sacrifici egli avrebbe potuto tentare di lavare il suo cuore da quella colpa.
E se anche avesse dovuto pagare con la vita per quelle sue colpe, egli ben sapeva che all’Inferno non avrebbe trovato tormento peggiore di quello che stava vivendo ora.
Anzi, forse egli sperava, in cuor suo, proprio di morire in questa impresa e trovare finalmente sollievo dai sui supplizi.
Ma mentre tali pensieri laceravano il suo animo, ad un tratto dalla brughiera circostante emerse un delirante latrato.
“Cosa è stato?” Chiese intimorito Biago.
Ardea non rispose e fece cenno di tacere al suo scudiero.
Un attimo dopo uno spaventoso ringhio si diffuse tra le nebbia e la sbiadita luce lunare.
“Di nuovo!” Disse spaventato Biago. “E stavolta sembra più vicino!”
“Teniamoci sulla strada ed evitiamo la brughiera.” Disse Ardea guardandosi attorno. “Frattagrande non è lontana.”
Ripresero così il cammino con un andamento più svelto, mentre Ardea teneva ferma la mano sull’elsa di Parusia.
Di nuovo nell’aria echeggiò quell’inumano ringhio.
“Si è avvicinato ancora di più!” Disse Biago quasi balbettando.
Proseguirono ancora, guardinghi ed impressionati da quei versi bestiali, fino a quando, poco dopo, giunsero finalmente alle porte di Frattagrande, che come una spettrale visione emergeva inquietante tra il buio della sera ed i lamenti della brughiera.
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(Continua...)

Guisgard 01-02-2010 00.41.02

ARDEA DE' TADDEI

LXXXIV

“L’Aldilà non è poi così, lontano.
Immaginate che il mondo e tutto
ciò che conoscete non siano altro
che l’appendice di un qualcosa di
molto più grande. Un qualcosa che
sfocia nell’infinito. Sempre che crediate
all’infinito, ovviamente.”
(La setta degli Illusi, XIV)


Arrivati a Frattagrande, Ardea e Biago trovarono la contrada deserta.
Il silenzio che percorreva le buie strade era rotto dal lento e lamentevole rintocco di una campana.
Decisero così di seguirlo, ritrovandosi poco dopo nel centro di Frattagrande.
Così assistettero ad una triste cerimonia.
Una bara veniva portata verso la chiesa, mentre dietro seguivano tutti i cittadini in religioso silenzio.
Alla testa del corteo vi era una donna che stringeva due bambini. I suoi lamenti, intervallati da uno straziante pianto, sembravano echeggiare nel buio della sera e nella tristezza di quel momento.
Ardea e Biago si segnarono tre volte alla vista di tutto ciò.
“Proprio nel bel mezzo di un funerale” prese a dire Biago “dovevamo capitare qui! Spero solo non sia un brutto presagio.”
I due poi si avvicinarono ad una locanda, dove sulla porta assisteva al funerale il proprietario.
Era un uomo anziano, con capelli ricci e bianchi e baffi arruffati.
“C’è un pasto caldo e un posto per la notte?” Gli chiese Ardea, mentre Biago teneva per le redini i loro cavalli.
“Si...” rispose senza fissarlo quel vecchio “…c’è posto qui. C’è un sacco di posto in questo luogo.”
“Chi era il defunto?” Chiese Ardea.
“Uno come tanti.”
“A giudicare da sua moglie e dai suoi figli” disse ancora Ardea “non doveva essere vecchio.”
“Non lo era.” Rispose con apatia il locandiere.
“Questi sono i nostri cavalli.” Prese a dire Biago.
Il locandiere prese le loro redini e li condusse nella stalla.
Ardea e Biago intanto presero posto ad uno dei tavoli.
“Molto socievole il nostro amico.” Disse con sarcasmo Biago.
Il locandiere ritornò con del vino e due ciotole di minestra.
“Dìte...” prese a chiedere Ardea “…era un uomo importante il defunto? Ho visto che tutta la popolazione seguiva il corteo funebre.”
“Era un povero disgraziato” rispose il vecchio “come tanti.”
“Allora” intervenne Biago, tra un cucchiaio di minestra e l’altro “aveva molti amici.”
Il locandiere lo guardò con un’espressione di fastidio misto ad apatia.
“Quando c’è qualcosa che accomuna gli uomini” rispose “allora questi si ricordano di essere tutti fratelli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Tutti a Frattagrande” rispose il locandiere “sanno che li accomuna la stessa cosa.”
“E cosa?” Chiese Biago mentre lucidava il fondo della sua ciotola.
“Che moriranno tutti della stessa morte!”
Biago per quella risposta quasi si strozzò, cominciando a tossire forte.
Ardea invece fissò per qualche istante il locandiere. Poi chiese:
“Che storia è questa, vecchio?”
“Una storia maledetta” rispose il locandiere “come la sorte che tocca a tutti noi.”
“Di che sorte parlate?” Chiese Ardea.
“E’ una lunga storia.” Rispose il vecchio.
“Abbiamo tutta la notte.”
Il locandiere fissò quel cavaliere.
“Chi siete?” Chiese.
“Un semplice cavaliere.” Rispose Ardea, riempiendo la sua coppa di vino ed offrendola al vecchio. “Ora bevete con noi e raccontateci cosa accade in questo posto.”
Il locandiere prese la coppa e la svuotò in un sorso solo. Poi prese a raccontare:
“Tutto cominciò quando la gran duchessa morì.”
“Parli di lady Grazia de’Mussoni?” Chiese Ardea “Non sapevo fosse morta!”
“Si...” rispose il vecchio “…la dama di ferro, come noi la chiamavamo, godeva della fiducia del duca e ha retto Frattagrande per quarant’anni.”
“Si, tutti nelle Cinque Vie conoscono lady Grazia.” Disse Ardea. “Ma ora chi governa Frattagrande?”
Il locandiere rise amaramente.
“Nessuno.” Rispose. “Solo la morte e la paura.”
In quell’istante si udì un ultimo rintocco di campana, seguito un momento dopo da un allucinante ululato.
“Per l’Inferno!” Saltò su Biago. “Di nuovo quel verso!”
“Si...” disse il vecchio “...si ode ogni notte.”
“Ma che cos’è?” Chiese visibilmente turbato Ardea.
“E’ il fantasma del molosso di lady Grazia!” Rispose il vecchio.
Ardea e Biago lo fissarono increduli.
“Arriva ogni notte dall’oltretomba, per portarci i tormenti della sua padrona!” Aggiunse il vecchio, mentre la pallida Luna della notte era emersa dalle sottili nuvole del cielo, illuminando una Frattagrande ormai sinistramente vuota e desolata.
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(Continua...)

Guisgard 01-02-2010 23.34.45

ARDEA DE' TADDEI

LXXXV

“Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.”
(La Divina Commedia, VI, 19)



Ardea e Biago, alle parole del locandiere, si scambiarono un’occhiata confusa ed incerta.
“Che storia è mai questa?” Chiese Ardea.
“E’ la verità” rispose stancamente il locandiere “e spesso appare più incredibile della fantasia.”
“Il fantasma di un cane!” Esclamò Biago. “Ho sentito sin da piccolo storie di spettri e fantasmi…di re, dame e cavalieri. Ma mai di un cane!”
Il locandiere accennò un ghigno che sapeva di beffa.
“Ma dove è sbucato fuori questo cane poi?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia” rispose il locandiere “aveva un molosso a cui era molto affezionata. Era una gran donna, forte, risoluta, con un carattere indomabile. Aveva però una carenza che rendeva il suo vigoroso animo non sempre luminoso…era avara!”
“Si...” intervenne Ardea “...il duca mi raccontava spesso dei suoi vassalli e di lady Grazia diceva proprio questo.”
“Chi siete dunque, cavaliere?” Chiese il locandiere interrompendo il suo racconto.
“Sono un uomo inviato dal duca in questa contrada per controllare se tutto sia in ordine.”
“Allora avrete molto da fare, mio signore...” disse il locandiere “...visto che qui domina il disordine nella sua essenza più reale!”
“Continuate a dirci di lady Grazia e del suo molosso.” Disse Ardea.
“Lady Grazia non amava che qualcuno si avvicinasse al suo palazzo ed alle sue proprietà.” Riprese a raccontare il locandiere. “Non aveva molta fiducia nel suo prossimo.”
“Era cittadina del mondo allora!” Esclamò Biago.
“Si” rispose il locandiere “ed è normale essere diffidenti verso gli estranei…un po’ meno invece è esserlo verso i propri figli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia conosceva gli animi dei suoi figli” rispose il vecchio “e conosceva la loro avidità e l’astio che c’era fra di loro. Una volta uno dei suoi servi mi raccontò che ella evitava di fare testamento, per paura di essere uccisa!”
“Per l’Inferno!” Esclamò Biago.
“E quel cane quindi le serviva per difendersi dai suoi stessi figli?” Chiese incredulo Ardea.
“Si” rispose il locandiere “e per strana ed innaturale che possa sembrare è questa la nuda e cruda verità.”
“Salute.” Disse ironico Biago e scolò la sua coppa di vino.
“E dopo la morte di Lady Grazia” chiese Ardea “che fine ha fatto il suo cane? Parlate di un fantasma,quindi presumo sia morto.”
“Si.” Rispose il vecchio locandiere. “Morì poco dopo la sua padrona. Forse per la nostalgia.”
“Questo non faccio fatica a crederlo.” Intervenne Biago. “Spesso gli animali si sono dimostrati più umani di molti individui che ho conosciuto.”
“E da quando questo cane è tornato dall’Aldilà?” Chiese Ardea con sarcasmo.
“Poco dopo essere morto.” Rispose il vecchio. “Appena gli scontri tra i figli di lady Grazia si fecero più violenti.”
“Si contendono le sue proprietà, immagino.” Disse Ardea.
“Ed il potere su Frattagrande.” Aggiunse il locandiere.
“Questo sarà il duca a deciderlo.” Sentenziò Ardea.
Il locandiere lo fissò senza dire nulla.
“Comunque” intervenne ancora Biago “questa storia è assurda! Non può esserci il fantasma di un cane. Tutti sanno che gli animali non hanno un’anima!”
“L’Inferno ha molti orrori inspiegabili per noi mortali.” Rispose il locandiere.
“L’Inferno ha molti orrori.” Disse Ardea. “Proprio come la follia umana.”
“Ma dove appare questo fantasma?” Chiese Biago.
“Ogni notte nella brughiera” rispose il vecchio “e si aggira attorno al palazzo di lady Grazia. E chiunque abbia la sventura di incontrarlo finisce sbranato. E oggi ne avete avuto testimonianza.”
“Un fantasma che sbrana…” Ripeté Biago.
“E’ come se la gran duchessa l’avesse inviato dall’Aldilà per evitare che i figli possano mettersi d’accordo sulla sua eredità!” Disse il vecchio con gli occhi spalancati dal terrore.
“Tutto ciò è assurdo...” Disse Ardea.
“Eppure lo abbiamo sentito nella brughiera, ricordi?” Intervenne Biago.
Ardea si avvicinò alla finestra e cominciò ad osservare l’oscurità della notte.
“Si, qualcosa deve esserci la fuori nel buio...” disse scrutando l’immensità della notte “...qualcosa che sembra voler tormentare i vivi attraverso i supplizi dei morti...”
Un rintocco di campana si diffuse in quel momento per le strade di Fattagrande, come se stesse indicando l’ora più oscura e misteriosa della notte.
L’ora in cui i morti ritornano per perseguitare i vivi.
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(Continua...)

Guisgard 03-02-2010 00.46.37

ARDEA DE' TADDEI

LXXXVI

“Stirpe maledetta e caina che finge
di non udire il lamento del proprio
sangue reale!”
(La Guerra dell’Oro, VII)


Poco dopo, Ardea e Biago presero possesso della loro camera.
Biago, stanco per il viaggio, cadde subito nelle tenere braccia di Morfeo.
Ardea invece, in balia di pensieri e preoccupazioni, impiegò un po’ prima di addormentarsi.
La notte tuttavia, nonostante la tetra atmosfera di Frattagrande, trascorse tranquilla.
L’indomani, i due scesero per la colazione nella sala da pranzo.
E qui trovarono un’inaspettata sorpresa.
Un uomo, asciutto nel fisico e rugoso nel volto, li stava attendendo.
Era abbigliato al modo degli stallieri e diceva di aver avuto ordine di condurre i due nuovi arrivati al palazzo ducale.
“Costui ha nome Giovanni” disse il locandiere “ed è al servizio dei Mussoni da anni ormai. E’ una persona di piena fiducia. Potete seguirlo tranquillamente.”
“Veramente” intervenne Biago “non abbiamo ancora fatto colazione…”
“Al palazzo” rispose Giovanni accennando un inchino “è tutto pronto per accogliervi. I miei signori attendono voi per la colazione.”
“A cosa dobbiamo questo invito al palazzo?” Chiese Ardea.
“I miei padroni sono vassalli leali e fedeli” rispose Giovanni con un tono di rispetto e pudore “e desiderano che un cavaliere del duca ed il suo scudiero alloggino al palazzo.”
“Sanno già chi ci manda.” Disse Ardea sarcastico guardando il locandiere. “Sembra che in questa contrada le voci corrano anche di notte.”
Poi, prese le loro cose, seguirono quel uomo.
Poco dopo si ritrovarono davanti al palazzo ducale di Frattagrande.
L’edificio era grande e ornato di diversi fregi e stendardi, che raccontavano il lignaggio ed il prestigio della stirpe dei Mussoni.
Giunti nel grande cortile colonnato, trovarono ad attenderli un uomo di bassa statura ma di portamento fiero.
“I miei saluti, cavaliere!” Disse andando incontro ai due ospiti. “Sono Luigi de’Mussoni e vi porgo il benvenuto a Frattagrande.”
“I miei omaggi, milord.” Rispose Ardea.
“Con chi ho l’onore di parlare, messere?” Chiese Luigi.
“Sono, come già sapete, un cavaliere inviato dal duca per controllare come procedono la conduzione e l’amministrazione di Frattagrande.”
“Ed avete un nome, presumo?” Chiese ancora Luigi.
“Ho un nome, milord, come tutti i cristiani...” rispose Ardea “...ma feci voto solenne di non rivelarlo mai ad alcuno. Se vi aggrada potete rivolgervi a me con l’epiteto di cavaliere disonorato.”
“Singolare soprannome!” Esclamò stupito Luigi.
“La cavalleria insegna a noi suoi adepti che la vanagloria e le frivolezze della vita vanno annullate.” Rispose Ardea. “Io peccai proprio in simili carenze ed il mio nome, ancora oggi, ricorda la mia colpa.”
“Sebbene” rispose Luigi “il vostro portamento e le vostre parole neghino il sospetto in voi di tali colpe, rispetterò questo vostro voto e vi chiamerò come mi avete detto.”
Ma proprio mentre Luigi parlava, Ardea notò una figura che da una delle finestre che davano sul cortile li stava fissando.
Era una donna, dai chiari capelli e dall’aspetto avvenente.
“Vedo che non hai perso tempo ad accogliere i nostri ospiti.” Disse una voce appena giunta nel cortile.
“Sebbene dimori ancora instabilità in questa contrada” rispose Luigi “le regole del buon vivere civile non le abbiamo dimenticate.”
Poi, rivolto ad Ardea aggiunse:
“Cavaliere, questa è mia sorella Maria.”
La donna fece un inchino e si presentò ad Ardea.
Era questa una bellezza bruna, dai lineamenti gentili e ben fatti. Prosperosa nelle forme e fiera nel portamento.
“Sono sicura” disse la donna “che mio fratello avrà ben soddisfatto il ruolo di padrone di casa, sebbene non ne abbia nessun titolo, porgendovi il nostro benvenuto.”
“Qualcuno doveva pur accogliere l’inviato del duca!” Sbottò infastidito Luigi.
“Ed hai fatto benissimo, fratello mio.” Rispose Maria che poi, rivolta ad Ardea, chiese:
“Qual è il vostro nome, messere?”
“Come ho già spiegato a vostro fratello” rispose il cavaliere “un voto impostomi dal mio credo fa si che tutti mi chiamino cavaliere disonorato.”
“Un nome tanto meschino per un uomo così affascinante?” Rispose Maria. “Ed immagino che il vostro valore non sia da meno del vostro aspetto.”
“Milady...” disse Ardea chinando il capo “...vi benedica Iddio per le vostre parole.”
“Direi di raggiungere la sala grande” intervenne Luigi “dove ci verrà servita la colazione. Se volete farmi la compiacenza di seguirmi.”
Ma prima che lasciassero il cortile, ad Ardea non sfuggì un cenno tra Maria e Giovanni.
Un cenno quasi di intesa che però colpì il cavaliere per la forma confidenziale con cui fu posto dalla donna a quel servitore.
Giunti poi nella sala grande, altre due donne andarono incontro ai nuovi arrivati.
“Queste sono le mie due sorelle Ania e Rosetta.”
Le due donne si presentarono con rispettosi inchini e larghi sorrisi ai loro ospiti.
Costoro erano di qualche anno più giovani di Maria e a differenza della sorella maggiore erano molto più chiare di carnagione, sebbene meno affascinanti. Le accomunava il castano chiaro dei loro capelli ed un fare nei loro modi che tradiva una certa indole battagliera.
“Visto che ci siamo tutti” prese a dire Luigi “direi di metterci a tavola per la colazione. I nostri ospiti saranno affamati.”
“Manca ancora Parzia” rispose con tono fermo Maria “e sono sicura che i nostri ospiti vorranno conoscerla e godere, con noi, della sua compagnia..”
E proprio in quel momento giunse nella sala una ragazza.
Era più giovane delle altre e tradiva un portamento molto meno distinto.
Il suo fare disinvolto, che ben si legava alla sua avvenenza, ben dipinta dal biondo tenero dei capelli, dal viso gradevole e dalle forme aggraziate, colpì subito Ardea.
Un’ampia scollatura si apriva sul suo vestito turchese ed uno sguardo ammaliante era impresso sul suo volto.
“Questa è Parzia, nostra sorella minore.” Disse Maria.
Ardea nel vederla subito riconobbe in lei la ragazza che li stava osservando da una finestra del cortile poco prima.
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(Continua...)

Guisgard 08-02-2010 01.08.48

ARDEA DE' TADDEI

LXXXVII

“Quella tavola era imbandita
da pietanze fumanti e colorati
nettari. Le candele profumavano
l’aria di aromatiche essenze e
scintillanti posate impreziosivano
i posti a sedere. A quella tavola però
mancavano armonia, lealtà e amore.”
(Il pasto dei Primi, VIII)


“Benvenuto nel palazzo dei Mussoni, cavaliere.” Disse Parzia inchinandosi.
Sul suo volto era dipinto un malizioso sorriso, mentre quel vestito che indossava faceva ampio sfoggio del suo avvenente corpo.
“Parzia è la più giovane fra noi” intervenne Maria “ed è quindi diletto di noi tutti coccolarla e viziarla.”
“Noi tutti?” Prese a dire Luigi. “Parla per te, sorella mia. Su queste cose l’ho sempre pensato come nostra madre, che Dio l’abbia in gloria.”
“Nostra madre, come ben sai, anche se ora sembri averlo dimenticato, adorava viziare ognuno dei propri figli. Compreso te, fratello caro.” Rispose Maria.
Luigi le lanciò un’occhiata di astio e disgusto.
“Gli affari di famiglia” intervenne Rosetta “riguardano noi soli. Direi perciò di annoiare oltre con simili questioni i nostri ospiti e di prendere invece posto a tavola.”
“Sono perfettamente d’accordo con te.” Rispose Maria sorridendo a denti stretti.
Così, una volta seduti a tavola, fu servita loro la colazione.
“E’ di vostro gradimento il tutto, messere?” Chiese Parzia con un sorriso ammaliante.
“E’ tutto squisito, damigella.” Rispose Ardea.
“La nostra Parzia” intervenne Maria “ha tra i suoi diletti e le sue virtù un vivace amore per l’arte culinaria. E questa colazione è stata appunto preparata da lei… per voi.”
“Per me?” Ripetè stupito Ardea.
“Certo” rispose Maria. “Sapevamo del vostro arrivo qui a Frattagrande.”
“ E come, milady?” Chiese Ardea. “Visto che sono giunto in incognito?”
“Lo eravate forse prima di giungere qui” rispose Maria sorseggiando dalla sua coppa “ma una volta attraversate le mura, noi sappiamo ogni cosa di ciò che accade a Frattagrande.”
“Fa parte dei nostri doveri di fedeli vassalli del duca, ovviamente.” Precisò Luigi.
“Ovviamente.” Rispose Ardea bevendo dalla sua coppa.
Poi, rivolto a Parzia, aggiunse:
“Raramente ho assaggiato, al di fuori del mio castello, una colazione tanto prelibata. Vi faccio i miei più sinceri complimenti, damigella.”
“E cosa, ditemi...” chiese Parzia con viva curiosità “...avete gradito di più?”
E badate, nel rispondere” intervenne Maria “di non essere formale o troppo educato. Non si adatterebbe al tipo di uomo che sembrate essere.”
Milady, sappiate che” rispose Ardea sorridendo “essere scontato o banale è ciò che più temo, oltre alla viltà ed alla scortesia.”
Poi a Parzia:
“Come vi dicevo, ho gradito moltissimo ogni pietanza. Ma, se devo essere sincero, più di tutto ho apprezzato questa focaccia di farina nera, aromatizzata con frutti di bosco. Una vera leccornia, damigella.”
“Allora, vorrà dire” rispose compiaciuta la ragazza “che, per tutto il tempo che trascorrerete qui, io la preparerò ogni mattina per voi.”
Ardea accennò un inchino.
Poi, rivolto agli atri, prese a dire:
“Signori, approfitto della deliziosa circostanza per parlarvi del mio incarico. Ben comprendo che a tavola non si parla di affari simili, ma approfitto del cordiale clima e della vostra nobile compagnia.”
“Vi ascoltiamo, messere.” Rispose Luigi.
“Il duca ha sempre ritenuto lady Grazia, che possa riposare in pace, donna di altissime qualità ed innegabile valore.” Continuò a dire Ardea. “Ma, dalla sua spiacevole morte, al duca non sono più giunti i tributi che il vostro casato si è impegnato a raccogliere per lui. E ciò ha reso dispiaciuto sua signoria il duca.”
“Purtroppo” rispose Maria “non è stato ancora deciso chi sia, fra noi, il suo degno successore. In questo modo il seggio è vacante.”
“Lo comprendo, milady” disse Ardea “e sono qui appunto per sollecitare che ciò accada presto. Ma il duca conosce bene la lealtà della vostra stirpe. Attenderò quindi la vostra decisione sulla successione a Lady Grazia, sebbene il diritto mi dia la facoltà di proclamare un erede da questo stesso momento.”
“Il diritto e la legge” rispose Maria “mal si legano ai valori familiare, cavaliere. Credo sia più opportuno che tali decisioni siano prese in seno alla nostra famiglia.”
“Milady, sono sicuro” disse Ardea “che troveremo prestissimo un accordo che salvaguardi i valori della vostra famiglia e gli interessi del duca.”
“Credete ai fantasmi, messere?” Chiese all’improvviso Parzia, con il suo solito sorrisetto.
“Parzia, ti prego!” La riprese Luigi.
“Damigella, io” rispose Ardea “ho imparato dalla vita che bisogna guardarsi dall’odio dei vivi, anziché temere la vendetta dei morti.”
A quelle parole, sulla tavola scese una strana atmosfera.
E proprio in quel momento entrò nella sala Giovanni.
Aveva una misteriosa espressione sul suo volto.
Come colui che reca dentro di sé un odio senza fine.
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(Continua...)

elisabeth 10-02-2010 00.29.40

Dovete sapere Sir Guisgard, che leggo con passione la storia di Ardea, il vostro modo di scrivere e' appassionante, tutto cio' che descrivete e' reale ed e' possibile immaginare il percorso di vita che sta affrontando Ardea.....Vi esorto dunque a scrivere questa bellissima storia, sappiate che continuero' a leggere con avidita' ogni capitolo che la vostra musa vi ispirera'


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