Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 24-05-2018 00.58.16

Il nome della perla
 
IL NOME DELLA PERLA

"Spalancano contro di me le loro fauci:
un leone che sbrana e ruggisce."


(Salmo 22)





La Sundra, uno sterminato ed impetuoso oceano di valli, boschi, colline e monti, un insieme di lande selvagge e millenarie simili ad un mare frastagliato di borghi addormentati, austeri manieri, torri diroccate e villaggi senza nome.
Qui dove pulsa ogni specie di fiori, frutti, piante ed alberi e dove vegetano antiche leggende che in molti fingono di non credere più.
Nella Sundra la nebbia è come un canto, un velo, un fantasma, una maledizione che rende tutto incantato.
Bianca ed eterea sale dal profondo ancora umida di pascoli sommersi, canti ancestrali e caverne ove albergano raminghi gli spiriti della notte.
Più tardi con la Primavera e poi l'Estate le piogge stagionali rapide battono a scrosci sui tetti aguzzi e rinsecchiti dei borghi e dei villaggi, con le nuvole che liberano parte di quei sogni e di quelle maledizioni così che gli uomini non vivano nell'ignoranza dei vecchi arcani e delle meraviglie che la Luna racconta alle stelle nella solitudine della notte.
Verso Nord, oltre i confini del ducato Capomazdese e dopo il Monte Sacro all'Arcangelo, le creste rocciose ed ammantate raggiungono una notevole altezza ed assumono un aspetto bizzarro e misterioso.
La più settentrionale appare come sospesa tra cielo e terra, come proprio un'umida nuvola nebbiosa.
Quel costone isolato e lussureggiante protrude in uno spazio quasi illimitato che sovrasta il profondo passaggio del fiume Isclas e su cui si erge l'intera città si Sant'Agata di Gotya.
Racchiusa da pareti rocciose e a strapiombo, la Perla della Sundra, com'era chiamata dai poeti e dai sognatori, è protetta da antichissime mura e le guglie delle sue mille chiese assumono per i viaggiatori lontani i profili opalescenti e cangianti di sterminate nuvole alla deriva su un orizzonte crepuscolare dai tratti fiabeschi.
Nell'anno di Grazia 1771 il terrore apparve in queste lande, diventandone il padrone.
Solo un anno dopo la sua macabra fama oltrepassò i confini di questa ragione, arrivando fino ai palazzi nobiliari di Capomazda, mentre tra la nostra gente si diffuse la convinzione che nessun mortale sarebbe mai stato in grado di sconfiggerlo.
Sotto i suoi attacchi tutta la Sundra sprofondava lentamente nelle tenebre della paura, della disperazione e della morte.
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Lady Gwen 24-05-2018 01.17.21

La carrozza avanzava sulla strada, a tratti sterrata e incerta, a tratti più uniforme.
Mi chiedevo come sarebbe stata la mia nuova vita qui, a Sant’Agata di Gotya.
Non avevo idea di che posto fosse.
In realtà, non avevo idea di alcun posto che non fosse la casa nefasta di mia zia, dove avevo passato parte della mia vita, o le quattro mura, altrettanto nefaste, della Lowerwood School.
La mia vita era stata più terrore e dolore che altro.
Avevo sempre sofferto, ovunque andassi, sia mentalmente che, soprattutto, fisicamente.
Prima a causa delle angherie di mio cugino, assecondato da mia zia, che mi credeva l’incarnazione del demonio, e poi a causa degli insegnanti e del prete della Lowerwood.
E ad un certo punto ero arrivata anche a convincermi di tutto questo.
A convincermi di avere, forse, davvero qualcosa che non andava, se tutti me lo rimproveravano, s etutti mi picchiavano, mi obbligavano a stare al mio posto.
Ma io avevo dei posti in cui recarmi per evadere, oh sì che li avevo.
Ed erano tutti lì, nei libri che divoravo avidamente, che narravano di avventure, di libertà, di regni da salvare, terre da conquistare e principi e principesse da amare con ardore e passione.
E mi convincevo che un giorno anche io avrei vissuto quelle avventure, quella vita fatta di vento fra i capelli e foreste indomite e selvagge.
Osservavo il pomeriggio appena illuminato dal sole, ma velato da una strana nebbia quasi perenne, che copriva tutto come morbido tulle.
Iniziai a scorgere da lontano una grande magione.
Stavo per arrivare.
Avevo trovato questo lavoro come istitutrice di una giovane ragazzina, di circa undici anni, di nome Therese.
Anche lei era un’orfana, ma al contrario mio era un’orfana ricca, con una dote, delle proprietà, un tutore, sebbene non avessi idea di chi fosse tranne sapere che era il proprietario della magione, e viveva in una casa grande almeno il doppio di Lowerwood.
Ma dopotutto, ci avrei vissuto anche io, per un po’ di tempo, quindi non era poi così male.
La carrozza si fermò davanti alla casa, scesi, pagai il cocchiere e mi avvicinai al grande portone in legno.
Poi, bussai col battente un paio di colpi, usando la mano libera dal bagaglio ed attesi.

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Clio 24-05-2018 05.07.04

La luna filtrava dalle pareti del palazzo, potevo scorgere i suoi raggi dalle finestre che illuminavano la stanza.
Non è che una debole luce argentea che ben si specchia con le molte candele intorno a me, che creano un chiaroscuro adatto per il mio riposo.
Sono giorni bui, persino per Elyse Marbrè, la Marchesa di Sant'Agata de Gotya, giorni in cui tante preoccupazioni si affollavano nei miei pensieri, rendendo il mo viso corrucciato e la mia pelle sofferente. C'era qualcosa nelle mie terre che seminava il terrore... qualcosa che non ero io.
Ancora non avevo deciso se quella situazione fosse un bene o un male per me, ma ero determinata a volgere la situazione a mio vantaggio.
Nulla avrebbe dovuto interrompere la mia routine, nessuno doveva intromettersi nei miei affari, nè tantomeno ostacolarli.
Ci avevano provato, eccome se ci avevano provato! Come si chiamava quel curato? Don Francesco? Beh, non andatelo a cercare nella chiesa di San Menna, ora!
In quel momento, però, la sera sembrava essere più quieta, la mia pelle più distesa, sarà per il trattamento di bellezza, e per tutto ciò che lo precedeva.
Mi immersi ancora di più nella vasca, cercando di godermi ancora per un po' il ricordo di quanto accaduto poco prima, potevo ancora sentire le loro urla, i loro lamenti, le loro suppliche, e poi quell'espressione sui loro visi, quello sguardo di terrore, mentre il mio cuore accelrava, il mio sangue iniziava a pulsare e tutto il mio corpo si accaldava a quella vista.
Ce n'erano volute tre, per questo bagno.
Allora vediamo c'era Anne, la ragazzina che mi aveva pettinato i capelli quella mattina, ma aveva avuto l'ardire di tirarmi i capelli mentre spazzolava; poi invece c'era quella morettina che veniva da un paese di mare, Daniela ecco, che mi aveva servito la colazione ma si era dimenticata il burro, cosa decisamente imperdonabile; ah, e infine c'è stata Federica che... beh, non aveva fatto niente ora che ci penso, ma semplicemente mi andava di giocare un po' con lei. Oh, come gridava la piccolina mentre le strappavano le unghie una ad una...
Sentivo il liquido ancora caldo attraversare tutto il mio corpo, ricoprirlo con la sua consistenza vischiosa ma piacevole, leggera e proibita.
Avere una pelle bianca come la mia comprendeva dei sacrifici, in fin dei conti, la cura che vi dedicavo era molta, ma i risultati ripagavano ogni mio sforzo.
Dopo ogni bagno mi sentivo rigenerata, ritemprata, la mia pelle bianca tornava a splendere di nuova luce, e il segni del tempo si guardavano bene dall'avvicinarsi a me.
Ma mentirei se dicessi che è solo questo, la pura ricerca edonistica della bellezza del corpo. No, c'è molto di più in quei giochi proibiti, sensazioni che gli uomini comuni non possono neanche capire.
Un velo sottile che si snoda tra piacere e dolore, quell'eccitazione folle che mi prende quando le vedo contorcersi dalla sofferenza atroce, ma non solo, non è solo quello... i loro occhi quando provano a compiacermi, il controllo totale che ho su di loro nel momento in cui riesco a spezzarle, il momento in cui capiscono di non avere speranza e smettono di lottare, e poi, naturalmente... quello in cui la vita abbandona il loro sguardo.
Solo ricordare quei momenti mi provoca delle sensazioni fortissime, come una bramosia senza fine, un’eccitazione folle.
Allora immergo una mano nel sangue, che scivola dolcemente lungo tutto il mio corpo, fino ad arrivare dove sono più calda e umida, dove gli umori dell’eccitazione si mescolano al sapore metallico del liquido rosso scarlatto che mi ricopre interamente.
Lascio che la mia mano si muova, abile, mentre la mia mente torna alle torture inflitte poco prima, e il mio corpo inizia a conoscere un calore nuovo, tutto attorno a me scompare mente mi concedo un lungo e appassionato amplesso con me stessa, finché le mie grida soddisfatte non riecheggiano in tutto il palazzo.
Non so quanto tempo sia passato, non amo calcolare il tempo dedicato alla tortura, alla bellezza e al piacere, ma il sangue ormai era freddo, dunque doveva essere passato un po’ di tempo.
Decisi di prendermi qualche altro minuto, per contemplare lo stato di estasi, e poi allungai la mano verso il campanellino accanto alla vasca, che avrebbe chiamato le mie servette.
Chissà, magari una di loro sarebbe potuta essere la prossima... mmhhh, il pensiero era decisamente eccitante. Almeno per me!

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Dacey Starklan 24-05-2018 16.08.32

Sant’Agata di Goya.
Rammentavo ancora il giorno del mio arrivo, ormai dieci anni fa.
All’epoca ero solo una bambina emozionata per il viaggio, alla quale brillavano gli occhi dinanzi alle costruzioni dell’uomo e alle opere della nature che addobbavamo quella perla di città.
Venivo da una famiglia fin troppo numerosa, ero la settima di ben nove figli e l’ultima delle femmine.
Per i miei genitori insomma ero poco più di un peso.
La povertà regnava assolutamente a casa nostra, una stanza unica con il pavimento in terra battuta, un fornello per scaldarci e cucinare le vivande al centro e qualche tappeto a terra da usare come sedie e letti per la notte.
Questo era tutto ciò che avevamo.
Mio padre non era altro che un perdigiorno, non amante del lavoro duro, che sperava di far fortuna stando seduto alla taverna.
Mia madre invece... Lei aveva avuto una vita migliore fino a che non si era invaghita di mio padre.
Naturalmente la sua famiglia si era opposta, avendo individuato il genere di uomo che mia madre ancora ragazza si era trovata.
Ma lei si era fatta guidare da uno sciocco amore adolescenziale, persa per quell’uomo dal fascino esotico, sempre pronto a corteggiarla.
Era rimasta incinta, di mio fratello Tòmas, e quando i genitori ne erano venuti a conoscenza l’avevano rinnegata, scacciandola di casa.
Mio padre non voleva un figlio, non voleva responsabilità e non voleva neanche una moglie ma sperava di ottenere qualcosa dalla famiglia di mia madre.
Così l’aveva sposata e dopo la nascita del bambino era andato a reclamare dei soldi dai nonni.
E così aveva fatto per ogni figlio, dicendo che sarebbero serviti per la loro istruzione e il loro futuro.
I miei nonni finivano per cedere, alla vista di un nuovo piccolo neonato ogni volta, dandogli una somma cospicua ma senza mai perdonare la figlia per la sua sconsiderata scelta .
Per questo eravamo tanti fratelli, ogni figlio portava nuovi soldi che mio padre poteva usare , o meglio, sperperare in vino e scommesse.
Lui non provava amore per noi, semplicemente eravamo una fonte di guadagno e lo dimostrò mandando tutti i miei fratelli maggiori a lavorare molto giovani e facendo sposare le mie sorelle appena raggiunta la pubertà.
A dieci anni era quasi il mio turno per essere data in sposa a qualcuno, al miglior offerente.
Mio padre già pregustava l’affare, diceva infatti che io ero la più bella delle sue figlie.
Un giorno stavo aiutando mia madre a prendersi cura dei miei fratellini più piccoli, Andres e Sylvain, quando in casa arrivarono degli ospiti.
Erano due uomini, entrambi con folte barbe, intorno ai trent’anni.
Mio padre li fece sedere con grandi sorrisi e mi ordinò di preparare loro del thé.
Solo quando andai a servirlo mi indicò uno dei due uomini, quello un poco più basso, dicendo che lui sarebbe stato mio marito, quindi mi prese per un polso e mi scaraventò a sedere vicino all’uomo, che mi rivolgeva occhiate lascive .
Sentii la nausea nel stargli vicino e intercettai lo sguardo di mia madre, supplicandola di risparmiarmi un tale destino.
Ma sapevo che nulla sarebbe successo, che avrei fatto la stessa fine delle mie sorelle, tutte spose bambine.
Quella notte rimasi sveglia, per me era impossibile dormire tormentata dalla paura di ciò che avrei dovuto affrontare.
Al mio risveglio trovai mio padre ancora addormentato e mia madre seduta sulla soglia, con un sacco tra le mani.
Mi fece cenno di andarle vicino e mi tese la mano.
Camminammo, andando oltre il villaggio, in completo silenzio.
Io ero terrorizzata, convinta che mi avrebbe portata alla casa dell’uomo a cui ero destinata.
Camminammo fino a che il sole non fu alto in cielo fino ad arrivare ad un crocevia.

“ Non scendere fino a che non sarai a Sant’Agata di Goya e lì cerca la chiesa più alta, troverai un uomo ben vestito, vedrai che mi assomiglia.
Dagli questo biglietto.
Andrà tutto bene. Tu almeno avrai una vita migliore.”

E così mi consegnò il sacco, che scoprii poi essere pieno con le mie poche cose, e una busta.
Non avevo mai visto mia madre scrivere prima di allora.
Arrivò una diligenza, su cui montai, spaesata ma confortata dai sorrisi di mia madre, che si sforzava di trattenere le lacrime.
Fu l’ultima volta che la vidi.

Sono passati dieci anni fa allora, dieci anni dal mio arrivo, dalla mia ricerca dell’uomo in chiesa.
Mio zio era il presbitero di Sant’Agata di Goya, una buona posizione che gli garantiva una vita tutto sommato agiata e confortevole.
Da sempre contrario alla decisione della famiglia di isolare sua sorella, quando gli consegnai la lettera mi accolse subito in casa, era convinto che fosse il volere di Dio per rimediare agli errori dei genitori.

“ Dacey è ora del thé !”

Udii la voce dello zio in lontananza, mentre io ero persa nel viale dei ricordi, lo sguardo fuori dalla finestra della mia stanza.
Andai subito di sotto, raggiungendo lui già al tavolo e gli preparai il thé.
Aveva il vizio di prenderlo sempre con molto zucchero e faceva orecchie da mercante quando gli facevo notare quanto fosse poco salutare per lui.
Era neanche un anno che era guarito da un episodio di gotta e ora stava tornando ai vecchi eccessi.
Era anche un anno da quando la vita tranquilla a Sant’Agata era stata interrotta da qualcosa di terribile e spaventoso, motivo per cui mio zio aveva aumentato la sua dose di zucchero.
Se devo morire di una morte tremenda, diceva, almeno avrò un po’ di dolcezza sulle labbra.



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Altea 24-05-2018 16.26.36

Nata a Capomazda da una famiglia antica e nobile, Duchessa Altea de Bastian è il mio nome ma ormai è stato perso, tranne per la mia famiglia che, probabilmente, da anni mi sta cercando ovunque anche se nel bosco mi conoscono come "La Duchessa".
Adoravo fare quelle scampagnate nel bosco quando soggiornavamo nella nostra residenza estiva fuori da Capomazda e ogni giorno incontravo quel bellissimo ragazzo presso il laghetto.
Era di umili origini e un giorno mi narrò di fare parte di una banda, non di malviventi, ma certo non risparmiavano le carrozze di ricchi possidenti e qualche scorribanda la facevano.
L' Amore mi acceccò talmente tanto da abbandonare ogni agio, il mio nome la mia famiglia e seguirlo nel suo Clan.
Ma un giorno successe l' imprevedibile, forse assalì la carrozza di un uomo sbagliato, o altro, e venne ucciso. Gli avevamo raccomandato caldamente di non agire mai solo. Ero distrutta e ancora oggi rimango nella mia piccola ma vasta solitudine interiore.
La mia vita fu, nuovamente, in bilico e temetti per il mio futuro, ovviamente non potevo ritornare in quella casa dove ero fuggita, anzi la Libertà ormai era la mia vita.
E rimasi in quel bosco con il clan, il Capo mi prese a cura e pure il resto della banda.
Piano piano coi proventi costruimmo un piccolo villaggio nel boschetto, le nostre case sono di legno ma abbastanza robuste e ricche.
Non temiamo la Legge, anzi l' Arciduca ci deve la vita. Ricordai quando si trovava in carrozza col vescovo e uno dei cavalli si imbizzarrì e io e il Capo coi nostri cavalli riuscimmo a fermarla prima si rovesciasse, ovviamente eravamo mascherati ma egli capì eravamo dei briganti gentiluomini..il famoso "Clan della Rosa Scarlatta".
La nostra tattica è semplice, prima arrivo io e fermo le diligenze e carrozze, o qualche passante ricco e mi mostro con il visino angelico, distraggo i malcapitati e poi gli altri arrivano in gruppo e quel visino angelico si unisce a loro con arco o la mia fida spada.
Quel giorno Danton ci invitò nella sua casetta, si era sposato con una bella mora del gruppo, a presiedere le nozze era stato un gentil monaco nella cappelletta vicino Santa Agata di Gotya e volevamo divertirci un pò, era da molto non si festeggiava per un lieto evento anche se si faceva spesso baldoria.

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Guisgard 24-05-2018 17.31.15

La magione sorgeva poco prima di Sant'Agata di Gotya, in una verde radura con alcuni noci e vari castagni poco distanti.
Intorno, dal basso verso l'alto, solo montagne aspre, indomite, selvagge, primordiali.
La magione era grande, circondata da un basso muro di cinta rettangolare, oltre il quale si potevano scorgere le cime di cinque olmi rinsecchiti.
Un vecchio impettito e dal viso annoiato venne ad aprire.
“La signorina Gwen immagino.” Disse alla ragazza squadrandola da capo a piedi. “Prego...” invitandola ad entrare ed a seguirlo.
La portò in un ampio salone arredato con discreto lusso ma poco gusto.
Forse in questa regione lo stile era alquanto relativo.
“Attenda qui, prego.” Il vecchio cameriere, per poi andare via.



L'acqua vermiglia, vischiosa e densa, di un rosso forte, impenetrabile, ancora caldo e pulsante di vita.
La pelle chiara della marchesa Elyse sembrava quasi fosforescente in quel bagno di sangue, come una novella Poppea nel suo latte di mula, ma con un piglio di disumana perversione in più dell'imperatrice.
Arrivò allora la giovane servetta, quasi con un'espressione disgustata e con l'orrore negli occhi.
“Marchesa, ai suoi ordini...” disse a capo chino.



Era un pomeriggio spensierato e di baldoria, di canti, balli e buona birra, oltre che squisito vino appena rubato da qualche nobile cantina.
Danton e la sua sposa erano raggianti ed il buon monaco gustava l'ottima carne di lepre offerta come banchetto di nozze.
Buona parte della banda era presente con Altea.
C'era Gozil, il grosso e grasso capo del clan, con i lunghi capelli e la folta barba rossa.
Poi Loi lo smilzo e saggio del gruppo, Briz il forzuto e robusto arciere ed infine Guan il bruno tiratore scelto.
Gozil continuava ad ingurgitare teglie di carne trita e bollita affogata nel pomodoro, accompagnando il tutto con litri di vino rosso, mentre Loi cominciava a guardare il cielo, visto la banda non amava restare troppo in giro durante il giorno.



Dacey avanzò con il vassoio su chi c'era la teiera fumante che sprigionava l'aroma di quel buon thè.
La sala era la solita in cui suo zio, nei lunghi pomeriggi al suo scrittoio, amava prendere l'ambrata bevanda.
Si trattava di un ampio gabinetto con i muri ornati di armi difensive ed offensive, così tappato che l'aria appariva ammuffita, antica, come le origini del loro palazzo, un tempo appartenuto al vescovo di Sant'Agata di Gotya ed ora sede del presbitero.
Al centro della sala stava una tavola rettangolare tutta coperta di libri e di carte, su cui era dispiegata un'immensa planimetria della città e dell'intera regione della Sundra.
In piedi, davanti al caminetto, stava un uomo appena più alto della media, di aspetto colto e fiero, quasi nobiliare, con occhi grigi e penetranti, la fronte ampia, il volto smagrito ed ancor più allungato dal pizzo e dai baffi brizzolati.
Non aveva spade o altre armi, ma sembrava per tutto il resto del suo aspetto un uomo di guerra.
Sotto infatti la lunga cappa Domenicana si vedevano i lunghi stivali di pelle scura leggermente sporchi di melma, segno che in mattinata era stato a cavalcare.
Quell'uomo era Pier de' Agnioth, naturalmente presbitero di Sant'Agata di Gotya.
Nulla dunque in lui rivelava il chierico, rendendo impossibile a chi non lo conosceva comprenderne il ruolo.
Dopotutto erano stati gli eventi ad imporre su quest'uomo tali prerogative, dato che di fatto era lui a reggere il governo della città per volontà stessa del barone.
“Vieni, cara...” disse notando Dacey “... avevo proprio desiderio di un buon thè caldo...” invitandola a sedersi.
https://theartsdesk.com/sites/defaul...?itok=-ti7sLtP

Lady Gwen 24-05-2018 17.34.23

Era tutto così selvaggio e indomito qui, come nei libri che amavo.
Venne un uomo anziano ad aprirmi.
"Sì esatto" annuendo.
Mi accompagnò in un salone ampio, ma molto scarno.
Mi sistemai in un angolo in silenzio e in attesa, poggiando a terra il bagaglio e aspettando di essere ricevuta.

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Altea 24-05-2018 17.43.13

L' atmosfera era davvero brillante e allegra, Gozil mangiava e beveva e risi guardandolo.."Capo non bevete troppo o come faremo poi a portarvi nella vostra casetta" e guardai il monaco "Che ci raccontate? Da molto si narra di un qualche pericolo nelle zone di Santa Agata di Gotya, verità o superstizione?" mentre Loi osservava il cielo impaziente quasi di andarsene.

Guisgard 24-05-2018 17.50.46

Ad un tratto la porta si aprì di colpo e nella sala arrivò una ragazzina sugli undici anni, dall'aspetto vispo, i modi schietti ed i boccoli ben pettinati.
Sorrideva vivace e teneva in mano una bambola di pezza.
La seguiva il vecchio cameriere.
“La signorina Therese...” disse a Gwen indicando la bambina “... lei è la nuova maestra... Gwen.” Alla piccola.
Therese squadrò Gwen con curiosità.
“Io odio la matematica!” Esclamò.



“Tranquilla...” disse Gozil ad Altea con le mani e la barba unti della salsa di pomodoro “... il mio appetito è secondo solo al mio desiderio sessuale!” Ridendo. “Al massimo alla pari!” Bevendo per non strozzarsi. “Quando ti deciderai a cedere?” Facendo l'occhiolino alla bandita. “Sono anni che ti corteggio!” Annuendo, per poi addentare altra carne.
Anche il monaco mangiava di buon gusto.
“Eh, questo è un bel mistero...” rivolto ad Altea “... molti credono sia opera di qualche lupo, cosa assai probabile... o magari un branco di cani randagi... chi può dirlo... di certo non sono tempi felici per la Sundra...” bevendo.

Clio 24-05-2018 17.56.16

Passarono lunghi istanti, troppi, decisamente troppi.
La servetta si stava facendo aspettare... male, molto male.
Di solito stavano attente a non commettere il minimo errore, perchè le mie punizioni erano leggenda, non solo nel castello, ma in tutta Sant'Agata.
Vero che cercavo di assumere sempre servette che provenivano da lontano, o che erano di passaggio, orfanelle di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza.
Poi arrivò, e peggiorò solo la situazione.
Gioia bella, non ti hanno insegnato a stare al tuo posto, eh?
Ma non potevo dire che la cosa mi dispiacesse, odiavo quando le servette non erano perfette come volevo, ma amavo decisamente di più punirle.
Oh si...
Questa era nuova, avevo scordato il suo nome, avrà avuto massimo qundici anni, un piccolo fiore immacolato.
Che carina....
Le scoccai un'occhiata glaciale, poi alzai una mano insanguinata e schioccai le dita.
"Il mio asciugamano!" ordinai, secca, decisa, mentre il mio pensiero correva al cosa indossare.

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