Camelot, la patria della cavalleria

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Guisgard 29-08-2011 03.55.23

Il Giglio Verde
 
PROLOGO

“Anno del Signore 1471, il Principato di Animos, nella bassa Normandia, dopo una terribile crisi economica che ha costretto il principe Talquois IV a convocare dopo secoli gli Stati Generali, viene scosso e insanguinato da una violenta rivoluzione che porterà il popolo al potere, mettendo in fuga ciò che resta della nobiltà scampata al furore popolare.
Animos allora si proclama indipendente, autonominandosi Repubblica di Magnus, in onore della leggendaria repubblica che rese grande il nome dell’antica Roma ben prima dell’avvento degli imperatori.
La rivoluzione è guidata da due fazioni: i Pomerini e i Ginestrini.
I primi, così chiamati per aver percorso alla vigilia della rivolta il pomerio delle mura della capitale più volte incitando il popolo a ribellarsi, sono formati dalle corporazioni dei mercanti e degli artigiani del principato e nelle loro idee politiche vi è il sogno di una grande repubblica aristocratica, dove il potere viene gestito dalla nobiltà affiancata dai rappresentanti del popolo.
I secondi, che prendono il nome dal luogo in cui si sono riuniti per la prima volta, il Palazzo della Ginestra, sono invece costituiti dagli studenti universitari animati dalle nuove tendenze letterarie e filosofiche sviluppatesi nel principato, dove la Ragione è la dominatrice assoluta dell’intera esistenza umana.
Essi proclamano una repubblica liberale, sotto il diretto ed esclusivo potere del popolo e vedono come nemici giurati la nobiltà ed il Clero, rei, ai loro occhi, di aver abusato del proprio potere e del proprio ruolo, portando il paese sull’orlo della rovina.
Una nuova alba sorge dunque sulla neonata Repubblica di Magnus, mentre tutti gli altri regni, retti dall’Antico Regime, guardano con sospetto e timore al furore di questi venti rivoluzionari.”

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IL GIGLIO VERDE

La giornata era radiosa ed il cielo di un azzurro vivissimo.
Il grande cortile del palazzo era inondato dall’aurea luce solare, che rendeva luminosissime e splendenti le levigate statue di marmo che adornavano quel monumentale complesso.
La guardia reale si esibiva in parata e buona parte del popolo gremiva le mura esterne del palazzo per assistere a quel cavalleresco corteo.
Gli stendardi del re e i vessilli dell’aristocrazia erano portati in rassegna e le cromate armature dei soldati, animate dagli intensi bagliori causati dal Sole, con variopinti pennacchi piumati che sembravano vibrare in un trionfante saluto, li rendevano agli occhi della folla esultante come tanti Angeli discesi per difendere il reame dai suoi nemici.
Squilli di trombe e rulli di tamburi scandivano l’incedere di quei magnifici campioni di cavalleria e nobiltà, acclamati, invocati ed osannati dal popolo accorso alla parata.
Nell’interno del palazzo, però, quasi a volersi estraniare dal clamore e dall’esaltazione che regnavano tra la gente, una nobile figura, dal portamento austero e dall’immagine che sembrava ricordare il solido granito di cui era fatta quella sua aristocratica dimora, era intenta a terminare una lettera.
“Lord Tudor…” esordì un valletto entrando nella stanza “… la marchesa Ymma De Tour Jazzy è appena giunta.”
“Bene, la riceverò subito.” Rispose il nobile signore, mentre ripiegava con cura la missiva appena terminata.
“Monsieur, vi ringrazio di questa udienza.” Disse la giovane e bellissima marchesa entrando nella stanza.
“L’onore è mio nel ricevervi, milady.” Andandole incontro lord Tudor. “Vi porgo il benvenuto sul suolo di Gran Bretagna. Disponete pure di questo palazzo e di tutta la servitù raccolta in esso.” Baciandole la mano e mostrando un cortese inchino. “Spero che il viaggio non sia stato troppo difficoltoso.”
“La gioia di essere qui” rispose la donna “mi ha già fatto dimenticare le difficoltà che abbiamo dovuto sopportare nella traversata da Calais a Dover, monsieur.”
“Il peggio è passato, mia signora.” Sorridendo l'arcigno aristocratico. “Qui per voi e per vostro marito comincerà una nuova vita.”
“Monsieur, non possiamo ambire ad una vita serena se chi amiamo è avvolto da un incerto destino.”
“Comprendo, mia signora, ma…”
“Perdonatemi, ma il sapere che mio zio è ancora in Francia, alla mercè di quella gente io…”
“Milady, il regno di Camelot è felice di accogliervi e darvi ospitalità e protezione, ma di più non possiamo fare.” Con tono grave il nobiluomo. “Per vostro zio, il cardinale De Toulos, possiamo fare ben poco, se non pregare ed attendere.”
“Com’è possibile che in quel paese si possano consumare tante barbarie contro uomini e donne in nome della libertà e della giustizia?”
“Milady, uno stato è sovrano nei propri confini e né il re di Camelot, né nessun altro monarca d’Europa potrebbe intervenire senza andare incontro al serio rischio di una guerra con la Repubblica di Magnus.”
“Mi chiedete dunque di restare qui, senza far nulla, mentre mio zio attende il giorno della sua esecuzione?”
Lord Tudor chinò il capo senza rispondere nulla.
“Forse coloro che ci hanno condotto in Inghilterra…”
“Milady.” La interruppe lui. “Chiunque sia stato ha agito in modo del tutto indipendente.”
“Volete dire che né la nobiltà, né sua maestà hanno a che fare con la nostra fuga da Animos?” Chiese d’istinto la donna. “Perdonate, ma per me il mio paese si chiamerà sempre col nome che ha portato per tutti questi secoli.”
“Vi comprendo, milady. “ Annuì lord Tudor. “No, nessuno qui in Inghilterra è al corrente degli eventi che vi hanno condotto qui.”
“Qualcuno dice che si tratta di una setta, o forse di una congrega.” Con enfasi la donna. “Forse è una sorta di ordine religioso inviato da Roma per salvare i chierici dal patibolo a cui li hanno condannati i rivoluzionari. Ho sentito dire che celano la loro identità dietro un fiore e…”
“Milady, vi prego.” Cercò di rasserenarla l’aristocratico. “In tempi funesti e confusi come questi spesso accade che nascano leggende e miti volti a spiegare in modo fiabesco eventi altrimenti sconosciuti. Probabilmente voi e vostro marito siete stati tratti in salvo e poi condotti qui da un gruppo di profughi o da qualche aristocratico in fuga, come voi, da Magnus. Ora cercate di tranquillizzarvi. Qui godrete di asilo politico e nessuno potrà più nuocervi. Quanto a vostro zio…” sospirò “… non possiamo fare altro che pregare ed attendere…”
La donna, in lacrime, accennò un inchino e salutato il nobile uomo che le stava davanti uscì dalla stanza, lasciando lord Tudor immerso in una profonda inquietudine.
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ladyGonzaga 29-08-2011 17.58.04

Ancora non mi sembra vero! Quanto tempo è passato dal giorno che partì dalla residenza di Lord Tudor.
Ricordo ancora le sue parole il giorno che mi affidò al servizio della baronessa
di Sant Pierre e ricordo anche la dolcezza di lei quando mi accolse alla sua corte , per crescere nell'arte di una vera dama al servizio del re.
Adesso sono qui a poca distanza dalla sua residenza con il mio cuore che batte per l'emozione .
Spero che l'emozione non mi tradisca , so quanto lui ci tenga al protocollo reale, infondo la mia permanenza presso la baronessa serviva proprio a quello.
Ecco , il mio cavallo è quasi giunto al cancello della sua immensa dimora.
Ohhh il giardino eccolo...



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Chantal 29-08-2011 19.07.49

"Zio,durante l'esposizione del vostro baccelliere,i discenti Ginestrini hanno fatto irruzione nella biblioteca,stamane.Hanno messo in subbuglio le lezioni,il loro esponente ha enunciato dell'idea di Repubblica Liberale che vede nemico anche il Clero.Non nascondetemi che anche voi siete in pericolo.Hanno violato la vostra cattedra,e i maestri delle arti dicono che anche la superiore cattedra di Teologia,con i suoi massimi esponenti,è sotto minaccia."Così ruppe il suo silenzio la ragazza che,a piedi nudi,in quel tardo pomeriggio di fine estate se ne stava immobile,dinnanzi alla grande vetrata a guardare fuori,con lo sguardo immerso nella campagna,impenetrabile a forzarsi,custode di tutti i sentimenti e i turbamenti che l'attraversavano.
Lo zio non le confermò i suoi timori,forse per tutelarla,forse perchè non credeva che il mutare degli eventi potesse essere motivo di pericolo per loro.
Ad ognimodo,non si pronunciò.
Chantal,discente all'università di Animos,terminata la facoltà delle Arti,ora figurava tra gli allievi di suo zio,un prete precettore,nella facoltà superiore di Teologia.
La sua condizione e i legami di parentela con una figura del Clero l'avevano resa parte integrante di quei cambiamenti che vedevano il conflitto tra i Ginestrini e i Pomerini.
I "Ginestrini".Quel nome e la sua origine
Aveva del Palazzo delle Ginestre un'immagine idilliaca,molte volte nell'adolescenza si era rifugiata nei suoi lussureggianti giardini e s'era posta sull'orlo della fontana per riversarvi i piedi.
Di quel luogo,oggi legato a fazioni e sconcerto di rivolta,le piaceva evocare il profumo ed il brillante colore degli arbusti abbarbicati nelle sue terre,le ginestre,per l'appunto,i cui fiori,piccoli e gracili,e i cui steli,forti e resistenti,le ricordavano di quanto fosse equilibrata anche la più piccola parte del creato,sufficientemente capace di difendersi pur nella sua fragilità.
"La ginestra è come la donna",amava ripetere quando la raccoglieva in fasci per portarla nelle sue stanze."E' delicata come le forme che la delineano,e forte come l'animo che l'attraversa."
Chissà se fosse vero anche di lei,quella sua teoria.
Amava camminare a piedi nudi nella casa coloniale dove era cresciuta.I marmi,così freddi,luccicavano come un'immenso specchio e il loro riflesso le appariva simile ad un mondo sotto i piedi fatto di luce e di riverberi arcobaleni,di figure eteree e colori sfumati,che le sembrava far torto a quel misterioso confine che la separavano dalle misteriose creature nelle forme di figure,di oggetti animati,di grandi statue che evocavano l'immagine gemella di ciò che aveva sempre ammirato intorno a lei,soprattutto gli oggetti che suo zio aveva portato di ritorno delle sue missioni in terre e culture diverse.Così camminava a piedi nudi su quel mondo fatto di parvenza.
E poi le piaceva muoversi senza che alcuno si accorgesse di lei.
Ma ora se ne stava immobile,tra lei e il mondo esterno vi era solo la traspartente vetrata che filtrava la luce del sole che si incurvava nel cielo come un vecchio stanco che sta per andarsene a riposare.Si allungavano piano tutte le ombre in lontananza,a anche nella casa,e quella a lei più cara,e si prioiettava sui marmi l'ombra della grande arpa dalle corde colorate,che sembrava invitarla ad accostarsi perchè,finalmente vibrasse,dopo il silenzio in cui era versata la sala tutto il giorno.
Ma,pur affascinta dalla sua compagna,Chantal rimase di fronte alla finestra,e stavolta,suo zio scorse nei suoi occhi sgranati un improvviso senso di inquietudine.
"Domani tornerò in facoltà,anche se le lezioni non si terranno fino a quando i dissensi non saranno placati,io vi sarò,zio,e voi con me.Perchè non potrà accaderci nulla di male finchè resteremo onesti con noi stessi e con la nostra gente.So che avete già pronta la quaestio,sebbene il vostro assistente non abbia potuto argomentare quest'oiggi,sarete voi a farlo domani."
Poi,d'improvviso si voltò:"Avete mai sentito parlare di un fiore particolare,zio?Ho conosciuto un uomo.."
E si interruppe.

Guisgard 29-08-2011 19.17.12

De Jeon, Oxio, Missan e il regime dei Cinquanta Illuminati

Quella mattina ad Ostyen, la capitale della neonata Repubblica di Magnus, c’era un gran tumulto di uomini, donne, vecchi e bambini.
Presso l’ex Palais Royal, oggi Place de la Republique, il volgo si era raccolto numeroso per un avvenimento ormai atteso da mesi.
Qual e là uomini, giovani e vecchi, si spintonavano e si battevano per accaparrarsi i posti migliori, quelli che davano sul grande cortile colonnato dell’edificio ed i pochi soldati presenti a fatica riuscivano a mantenere l’ordine, se non con dure minacce.
Ad un tratto quell’oceano di voci, rumori e schiamazzi si ammutolì all’improvviso, come folgorato da una visione.
Tre uomini apparvero nel cortile, seguiti, qualche passo più indietro, da un nutrito gruppo di giovani.
“Avete veduto il maestro?” Chiese qualcuno della folla ai tre che avanzavano. “Dove si trova? Come sta?”
“Si, l’ho veduto.” Rispose quello che fra i tre sembrava avere lo sguardo più determinato.
“Perché non è qui con voi?”
“Le sue parole, le sue idee ed il suo spirito sono qui con noi oggi.” Rispose l’uomo.
Questi allora raggiunse il balconcino in cima alla scalinata e si rivolse al popolo radunato:
“Repubblicani, cittadini, compagni… mesi fa salvaste la madrepatria… oggi finalmente la governerete.”
L’effetto fu un trionfo. Tutti quei volti erano su di lui, rapiti da quelle parole.
L’uomo fece una lunga pausa, assumendo un’espressione teatrale, per dare enfasi alla sua eloquenza.
“Non occorre molto per comprendere…” continuò “… cos’era ieri questa nostra patria? Quattro milioni di abitanti, uno solo dei quali protetto da privilegi vecchi quanto il mondo… e questi, fino a qualche tempo fa, costituivano la nostra terra. Tutti gli altri, tutti noi, non contavamo niente… perché non esistevamo se non per servire quel milione di privilegiati, diviso tra una nobiltà ammuffita e decadente ed un Clero corrotto e bestiale…” fissò tutti loro che ormai erano totalmente in suo potere “… ma da oggi Magnus è di nuovo nostra!”
Ci fu un boato e tutti cercarono di raggiungere quel giovane Demostene tanto bravo a dar vigore all’animo popolare.
“De Jeon! De Jeon!” Urlava la gente in lacrime. “De Jeon! De Jeon!”
Era questi un giovane uomo dai capelli nerissimi ed il volto segnato da due occhi scuri e profondi.
De Jeon era consapevole del suo fascino e dell’efficacia della sua eloquenza.
Gli altri due che gli stavano accanto, sebbene condividevano con lui carisma e determinazione, non potevano ambire ad avere la stessa influenza sul volgo.
Oxio, alla sua destra, era un uomo più avanti negli anni rispetto a De Jeon, dal volto marcato e coperto da una lieve barba, i capelli completamenti rasati e due occhi che non smettevano neanche per un istante di studiare il mondo e che vi abitava.
Missan invece aveva la voce ammansita ed aggraziata dalla poesia e della filosofia, le sue grandi passioni, che conferiva alla sua persona un immagine ingentilita e positiva, che però quasi stonava con i rudi lineamenti di quel volto da figlio di miseri pescatori del Valmiron.
Erano questi tre i capi della fazione dei Ginestrini, gli studenti destati dalla nuova filosofia nascente in quelle terre.
Ad un tratto si aprì una porta ed i tre entrarono nella grande Sala del Consiglio, dove le due fazioni al potere, i Ginestrini e i Pomerini, avrebbero nominato i propri rappresentanti nel Parlamento della Repubblica.
“Ordine del giorno!” Si udì.
“Bisogna discutere dei processi e delle esecuzioni.” Disse uno dei presenti prendendo la parola. “Abbiamo rovesciato i tiranni e preso il potere. Ma ora non c’è più bisogno di continuare a condannare i nobili ed il Clero. Abbiamo fatto la rivoluzione per una nuova epoca, non per continuare le ingiustizie e le violenze.”
“Jean De Giuly…” mormorò De Jeon “… è curioso che proprio voi, capo della delegazione dei Pomerini, facciate tale proposte…”
De Giuly lo fissava turbato, quando proprio in quel momento si accorse che diversi giovani avevano preso posto lungo i muri della sala mostrando dei coltelli sotto il braccio sinistro.
“Cosa significa?” Chiese De Giuly. “Non sono ammesse armi qui dentro!”
“Vi sbagliate…” rispose De Jeon “… sono ammesse in presenza di uno arresto… Jean De Giuly siete accusato di tradimento ai valori della repubblica! Sono mesi che vi teniamo d’occhio… siete in rapporti con gli ex aristocratici e gli ex chierici di questo stato.”
“E’ falso!” Gridò De Giuly.
“Vi difenderete in tribunale davanti al popolo!” Lo zittì De Jeon. “Noi diamo a tutti la possibilità di difendersi. Portatelo via!” Ordinò ai suoi.
E restò a fissare De Giuly, col quale fino a poco tempo prima aveva combattuto fianco a fianco contro i nemici della repubblica, mentre veniva arrestato.
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Guisgard 29-08-2011 19.36.52

Il cancello cromato, reso purpureo dai raggi del Sole che stancamente cominciava a scendere sulla verdeggiante campagna, scintillava con magici riflessi, rendendo quasi fiabeschi i tratti della dimora di Lord Tudor.
Il palazzo, immerso nello splendore della campagna inglese, sorgeva su una fresca e dolce collina, dalla quale era possibile spingere lo sguardo fino al monumentale palazzo reale di Camelot, posto a poca distanza dalla nobile tenuta dei Tudor.
Appena Gonzaga raggiunse il cancello, subito alcuni servitori le si avvicinarono.
Ma prima che questi potessero parlare, una voce si udì.
“Lady Gonzaga!” Disse Jalem, il servitore moro di Lord Tudor. “Non posso crederci, proprio voi!” Rise per la gioia e diede ordine di aprire il cancello.
“Eravate una bambina l’ultima volta che vi vidi!” Continuò il moro. “Ora invece siete una splendida dama! Ricordo ancora quando vi aiutavo a salire in groppa al vostro poni… come si chiamava? Ah, non ricordo… ma che gioia avervi di nuovo qui al Belvedere!”
Ma proprio in quel momento Gonzaga si accorse di una ragazza dal nobile portamento che usciva dal palazzo.
Era la marchesa Ymma De Tour Jazzy.
Questa la fissava e dai suoi occhi scendevano calde lacrime.

Guisgard 29-08-2011 19.59.15

Padre Adam era seduto dando le spalle alle lunghe finestre della stanza, per permettere alle ultime luci del giorno di illuminare il tavolo al quale solitamente lavorava quando era a casa.
Era questi un uomo di età avanzata, ma che ancora conservava i bei lineamenti che avevano accompagnato la sua lontana giovinezza.
Di corporatura robusta ma aggraziata, molto più alto della media e dal portamento fiero e solenne.
La carnagione era chiara, gli occhi di un celeste quasi trasparante ed il naso lungo e sottile.
Il viso era allungato e la sua voce aveva una cadenza particolarissima per quelle terre e tradiva le sue origini provenzali.
Sembrava assorto nel suo lavoro, quando si destò all’improvviso.
E a destarlo era stata una parola.
Una parola pronunciata da sua nipote Chantal.
L’uomo si voltò e fissò la ragazza.
“Un fiore?” Ripetè stupito. “Che fiore? E di che uomo parli?” Domandò.

ladyGonzaga 29-08-2011 20.04.23

" Zio Jalem!!! che il signore di vi benedica!!"
Vi prego fatevi abbracciare, quanto tempo!!
"piccolo Black, il pony si chiamava piccolo Black! Vi ricordate ancora di lui?

Non ci posso credere , sentire di nuovo il vostro abbraccio e quel dolce leggero di profumo di sandalo sulla vostra pelle, mi sembra che tutto il tempo passato via di qui, non sia mai esistito.

Vi prego , state con me , non lasciatemi sola quando dovrò entrare nella sala di Lord Tudor"


Scesi da cavallo con l'aiuto di Jalem , lo guardavo stando attenta che lui non se ne accorgesse.Il tempo era passato si!
Il suo passo non era più quello celere di tanti anni fa , ma il suo portamento era sempre quello, imponente e maestoso e tanto sicuro di se.

Ci avviammo verso la grande scalinata quando non potei far a meno di incrociare lo sguardo di quella bellissima dama dal portamento regale.

" quanto è bella Jalem..ma chi è?"

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Daniel 29-08-2011 22.33.11

Daniel era inseguito dalla polizia.. Era da giorni che non mangiava e aveva rubato un pezzo di pane al mercato.. Non aveva più lavoro.. Finì in una strada con un enorme villa.. C'era un cancello aperto e vide una dama scendere da una carrozza e un uomo dire:
“Lady Gonzaga! Non posso crederci, proprio voi!”
Non ci pensò due volte approfittò della distrazione dei due e sgattaiolò dentro la villa..

Chantal 29-08-2011 23.06.02

Chantal avvertì stupore in quella domanda.
Tutto ciò che lei gli aveva narrato,dell'irruzione dei Ginestrini,delle minacce alla sua cattadra,del suo desiderio di far comunque ritorno in facoltà l'indomani,sembrava non aver scalfito l'austera figura di suo zio,i cui occhi di un azzurro mutevole si calavano tra il mondo esterno e la sua anima,proprio come vetro trasparente,impenetrabile,eppure che lascia vedere tutto.
E non la sorprese la sua reazione,nè che si curasse tanto della sua ultima affermazione.
"Sì,ho veduto un uomo e vi ho parlato".Ripetè Chantal.
Lo zio se ne stava alla scrivania,ma aveva distolto lo sguardo dai suoi scritti per guardare la nipote,lei fu assalita da un improvviso senso di colpa,non avrebbe dovuto rivelargli di quella figura,non in quel momento.Da quegli occhi riusciva a cogliere ed anticipare ogni parola,ogni pensiero che attraversasse il cuore e la mente di padre Adam.
Così,si voltò nella sua trasparente veste di lino bianco che le si raccoglieva al seno con piccole piegoline ornate di un pizzo lavorato a mano,e forzando un sorriso si portò al suo strumento.
"Desiderate che suoni per voi,zio?"
Mentre attendeva il suo assenso,egli non rifiutava mai a quella richiesta,fece roteare intorno al medio con le altre dita il suo anello,per poi sfilarlo.
Chantal portava sempre un anello alla mano sinistra,si componeva di una fascia d'oro che accoglieva nel centro un ovale con sopra intarsiata la figura di un uomo col capo cinto di alloro.Ai due lati vi erano due piccole pietre lisce,una del colore dell'ambra,l'altra dell'ametista.
Ho tenuto quell'anello,non me ne separerò mai più,l'ho tenuto perchè quando distolgo lo sguardo dal tuo volto,lo poso su di esso,e vi ritrovo quell'immagine di uomo col capo cinto di alloro,e ai miei occhi si apre il volto del mio campione,del Cavaliere che non si dimentica,dell'uomo che adoro come mio Dio mentre io gli ripongo sul capo l'alloro.
Il ricordo di queste righe scritte un tempo oramai lontano la tormentava ogni qualvolta si sfilava l'anello.E neppure lei era conscia dell'arcano motivo che,come un rito,la induceva a spogliarsene prima di suonare.
"Vedete,zio,ora non è importante quella figura..Perchè non abbandonate i vostri intenti e vi distendete mentre suono?Il Sole volge con purpureo incedere alla sera,ricordate che una volta mi diceste queste parole?Mai intraprendere questioni al calar della sera,la sera è sacra a Dio poichè è da preludio alla Notte governata dalla Luna,e la Notte è della quiete,non degli spiriti guerrieri".Chantal fece ad imitare la voce grossa dello zio,riproducendo con precisione quel suo suono con cadenza impressa dalla profumata Provenza,e le sue parole presero ad echeggiava nella sala evocando immagini di colline adorne di lavanda.Sapeva che se lo avesse fatto,egli avrebbe sorriso e il suo animo si sarebbe rasserenato.
Ma l'eco di quanto aveva udito nella mattinata in biblioteca,quando si fece il nome del capo,ancora la lasciava turbata."De Jeon"rievocava,"De Jeon è stato designato come il maestro".Ripeteva nella sua mente con l'accortenza che quel nome non le affiorasse alle labbra,ma rimanesse confinato in un pensiero cupo e avvinto dall'incertezza.
Dalla distensione che pian piano andava addolcendo le espressioni del volto dello zio,Chantal comprese trattarsi dell'approvazione ch'ella aveva richiesto.E iniziò a far vibrare le corde dell'arpa.

Melisendra 30-08-2011 00.15.09

Scossi il capo e gettai sul letto il velo nero che mi copriva il volto.
Ero stanca di portare quel lutto insensato. Mi sentivo soffocare dall'abito scuro e da quell'atmosfera tetra, dunque le mie dita corsero alla gola e litigarono con la collana di perle che mi imprigionava.
Ero vedova. Vedova di un uomo che odiavo.
Mi sedetti e pensai rapidamente alla successione vorticosa degli eventi che avevano travolto la mia tranquilla esistenza.

Ero cresciuta a corte, accanto ai principi di sangue, come si addiceva al rango della mia famiglia e, fino a qualche mese prima, volevo solo essere una degna discendente della mia casata.
Nel blasone di famiglia c'era un ramo di edera rampicante e il motto: Semper prospera. Mio padre diceva che era così che la nostra linea di sangue, più antica di quella del sovrano stesso, aveva attraversato i secoli.

Amavo la vita di corte e il luccichio delle meravigliose sale del palazzo. Camminavo nelle gallerie piene di specchi e assistevo alla continua ascesa politica del nome dei Du Blois. Presto mio padre, Thierry Alexandre Du Blois e Duca di Beauchamps, mi avrebbe trovato uno sposo e la linea di sangue sarebbe continuata attraverso di me, la sua unica figlia. Che ne sapevo io del mondo, mentre crescevo tra le feste del palazzo e i dolci ammonimenti di mia madre?
Tutto finì quando mi ritrovai, nel bel mezzo della notte, a prepararmi per fuggire da quella folla inferocita che si era radunata al di fuori delle mura del palazzo.
I rivoluzionari stavano facendo scempio dell'antica nobiltà. Thierry Du Blois aveva nascosto i nostri tesori e preparava la nostra fuga oltre il mare, quando fu arrestato. Pagammo un caro prezzo per salvargli la vita: fu così che mi trovai sposata all'uomo che aveva arrestato mio padre. Il regalo di nozze del mio sposo fu di rendermi orfana. Ormai sposato all'erede della fortuna dei Du Blois che bisogno aveva di mantenere le sue promesse?
Relegata in campagna dal mio amorevole marito, nella residenza dei duchi di Beauchamps, stavo preparando un piano di fuga, quando giunse una notizia che mi fece traboccare il cuore di macabra felicità: ero vedova.
Tornai in città e occupai gli appartamenti di mio marito. L'eroe della rivoluzione era morto in una volgare rissa da taverna. Così ero diventata la giovane e affranta vedova di Gilbert Lambrois.

"Semper prospera..." sospirai, disfando i bagagli e sistemando i miei abiti. Non conoscevo il mondo in cui mi ero trovata catapultata, ma sapevo che avrei dovuto rendere onore a quel motto e a coloro che prima di me lo avevano pronunciato con orgoglio.
Mi avvicinai allo specchio e mi incipriai con cura per apparire più pallida. Spazzolai i capelli e li intrecciai morbidamente.
I miei occhi non versavano lacrime da quando mi era giunta notizia dell'esecuzione dei miei genitori e mi rifiutavo di piangere la sorte di quel farabutto di mio marito. Mi aveva rivolto la parola poche volte ed erano state tutte sgradevoli.
"Melisendra Yolande Demetra Du Blois, Duchessa di Beuchamps..." mi coprii con il velo da lutto, "vi presento la vedova Lambrois."
Osservai corrucciata la mia immagine riflessa. Ero troppo giovane per quelle vesti che sembravano il sudario di una monaca.
"Madame, portatemi il vestito color avorio!" Gridai in direzione del corridoio.
Attesi che la mia dolce governante facesse capolino dalla porta. Era stata la mia balia ed era l'unica che non mi aveva mai abbandonata.
Non avevo altri servitori con me. Disponevo delle fortune dei Du Blois, ma non avevo intenzione di vendere i gioielli di famiglia per pagare uno stuolo di cameriere. Cosa ne sarebbe stato di me adesso? Orfana e vedova.
La corte si era dispersa e ciascuno aveva pensato a salvare se stesso. I tempi erano incerti e io ero solo una giovane aristocratica caduta in disgrazia.
"Vedova Lambrois..." sussurrai, come per abituarmi al suono di quelle parole.
Mi parve di sentire qualcuno bussare e delle voci provenire dall'ingresso di casa. "Madame?" domandai, lanciando un'occhiata nervosa all'uscio della mia camera.

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Guisgard 30-08-2011 02.04.49

Per le strade, come accadeva ogni giorno, vi erano canti e balli.
Erano soprattutto i giovani ad abbandonarsi a quelle manifestazioni di gioia.
Fresche e candide contadinelle, con i tipici costumi che ne indicavano la provenienza, danzavano a festa, mostrando la loro bellezza appena coperta da abiti leggeri e non certo castigati.
Con loro vi erano giovani villani, artigiani, mercanti e qualche soldato che si accompagnavano, invogliati dalla bella compagnia, a quella musica e a quei balli.
Era questo uno spettacolo, come detto, ormai usuale, specialmente dopo che la gente aveva assistito all’ennesima rappresentazione offerta da monsier il boia, come veniva chiamato l’esecutore della volontà popolare.
Questo stato di cose rendeva le strade, non solo della capitale ma di ogni altra città di Magnus, caotiche e affollate da quell’umanità vivace, variegata ed a tratti grottesca che fino a poco tempo prima era costretta ad un terribile e fatale giogo di miseria e disperazione.
E tutto ciò, dal vicino villaggio, giungeva come un eco lontano e farsesco a disperdersi per la campagna altrimenti ammutolita e addormentata.
Ad un tratto qualcuno bussò alla porta.
Un attimo dopo madame Giselle, la nutrice dell’ex marchesa Melisendra de Beuchamps, si presentò sull’uscio della stanza dove c’era la bella vedova.
“Madame… ricordate il vecchio Marcien, il mezzadro di vostro padre e sua moglie Clementine? Ecco… non sono fuggiti dal paese come credevamo, ma…”
“Lasciatemi passare, voglio rivedere la mia signora!” Interrompendola una voce con fare melodrammatico. “Bontà Divina!” Esclamò Marcien vedendo Melisendra davanti a lui. “Siete sempre bellissima, madame! E ringrazio il Cielo di avervi ritrovata prima della Guardia Repubblicana!”
“Sciocco, non esclamare mai tirando in ballo il Cielo!” Lo riprese la moglie, per poi anche lei prostrarsi davanti alla figlia del loro signore.
“Zitta tu!” Intimò Marcien a sua moglie. “Madame…” rivolgendosi di nuovo a Melisendra “… abbiate la bontà di offrirci riparo ed un pasto caldo… poiché in cambio noi vi portiamo la salvezza!”

Guisgard 30-08-2011 02.30.04

Jalem e Gonzaga si dirigevano, attraverso il viale che tagliava il grande giardino, verso il palazzo del Belvedere, dove avrebbero incontrato lord Tudor, signore di Camberbury.
Ma, proprio in quel momento i due incrociarono lo sguardo della bella Ymma.
“Lei è la giovane marchesa Ymma De Tour Jazzy.” Disse Jalem a Gonzaga. “E’ da poco giunta qui, insieme a suo marito, dalla Francia.”
Ma la giovane marchesa, notando la bella Gonzaga, si avvicinò.
Jalem allora subito presentò la marchesa Ymma alla pupilla di lord Tudor.
“Sono lieta di fare la vostra conoscenza, madame.” Con un cortese inchino Ymma. “E’ un onore ed una gioia poter conoscere una nobile dama come voi… spero di avere l’onore di potervi frequentare spesso e, magari, di stringere con voi una tenera amicizia. Io e mio marito siamo in debito verso lord Tudor e Camelot, per averci offerto aiuto e sostegno. Dal profondo del mio cuore, madame… che Iddio vi benedica e protegga sempre.” E di nuovo limpide lacrime, a stento contenute, rigarono il suo giovane volto.
“Perdonate…” chiese poi a Jalem “… potreste indicarmi un luogo in cui pregare, per favore?”
“Vi è la Chiesetta di San Leucio sulla strada verso il villaggio.” Rispose Jalem. “Se volete posso farvi accompagnare fin laggiù, milady. Altrimenti, potete recarvi della cappella di palazzo, mia signora.”
“Non voglio approfittare oltre dell’ospitalità di lord Tudor.” Con un sorriso la marchesa. “Mi recherò al villaggio, dove mi attende mio marito.”

Melisendra 30-08-2011 02.51.41

Erano i primi volti amici che vedevo da quando mi ero sposata. Gilbert aveva pensato di allontanarmi dalla città, affidandomi a persone di sua fiducia, così i fedeli servitori della mia famiglia erano stati tutti allontanati, mentre gli altri erano semplicemente fuggiti.
"Signor Marcien! Clementine!" Esclamai, alzandomi di scatto e affrettandomi a fare loro cenno di alzarsi. "Non c'è bisogno di questa formalità... sono così felice di sapere che vi siete salvati!"
Strinsi le mani di Clementine tra le mie e ricordai quando, da bambina, sgattaiolavo nelle cucine del castello del feudo di Beauchamps e mi rannicchiavo sotto i tavoli, nascosta dalle tovaglie, per sfuggire alle noiose lezioni di ricamo o alla recitazione del rosario. Clementine mi allungava sempre una focaccia o un pezzo di pane appena sfornato.
Quando la notizia della morte del mio sposo aveva raggiunto Beauchamps, della magica terra della mia infanzia non erano rimaste altro che ombre. Il castello era deserto. I preziosi arazzi erano stati strappati dalle pareti e l'argenteria trafugata. Un uomo di fiducia di mio marito si occupava della mia sicurezza e pochi servi tenevano in ordine l'ala della casa che occupavo con Giselle.
Scacciai quei pensieri tetri.
"Oh, Marcien... Clementine... come avete fatto a trovarmi qui, nella capitale? Deve essere stato un lungo viaggio... accomodatevi e raccontatemi ogni cosa."
Mostrai loro il salotto che mio marito usava per accogliere i suoi ospiti e versai un bicchiere di liquore al buon Marcien, che aveva tutta l'aria di averne bisogno.
"Cosa mai può ancora succedere? Papà è morto... la mia signora madre morì di crepacuore, così mi hanno riferito, alla vista della testa del suo sposo poggiata su una picca... e io sono la vedova di quello spregevole Gilbert Lambrois! Oh, possano bruciare all'inferno lui e tutti quelli della sua razza!"
Non ero mai stata avvezza all'alcol, ma i recenti eventi avevamo mutato molte delle mie abitudini. Buttai già un bicchierino, ignorando l'occhiata di disapprovazione di Giselle.
Mi voltai benevola verso gli ospiti e li incoraggiai: "Ditemi tutto..."

Guisgard 30-08-2011 02.53.51

Padre Adam restò a fissare la finestra, quasi a voler confondere il suo sguardo col buio che aveva ormai coperto ogni cosa.
Le dolci note dell’arpa di Chantal cominciarono a diffondersi nella stanza, tra i vecchi e preziosi mobili intarsiati e i ritratti, quasi tutti a tema sacro, che ornavano le pareti.
Il vecchio chierico rise alla riuscita imitazione della ragazza, per poi abbandonarsi al suono del suo strumento.
“Non ho nulla da temere…” disse con voce calma, quasi a voler accompagnare il suono dell’arpa “… Davide non temeva la pazzia di Saul, mentre Erode era intimorito dal Battista… ormai questa è la mia terra e da tempo ho deciso che qui sarei invecchiato e, a Dio piacendo, qui sarei stato seppellito.” Sorrise. “E poi, ragazza mia, il Cristianesimo non si è estinto quando al mondo ve ne erano solo tredici a predicarlo, a maggior ragione non finirà ora dopo che l’intero mondo civile si riconosce nei suoi valori.”
Restò allora a fissare la sua dolce nipote.
“Un uomo…” mormorò “… devo forse preoccuparmi?” Ridendo. “Mi ritroverò dunque un tuo spasimante per casa?” Si fece poi serio di colpo. “Credo passerò la notte nel mio studio… non attendermi. E’ tardi e domani hai lezione. Va a letto, piccola mia. Ah…” aggiunse dopo un istante “… mi hai parlato di un fiore… di che fiore si tratta?”

Guisgard 30-08-2011 03.18.20

Marcien buttò giù, senza far troppo caso alle buone maniere, il liquore offertogli dalla sua signora.
“Non bere tutto quel liquore!” Lo riprese sua moglie. “Non è il momento, idiota!”
“Zitta tu!” Urlò Marcien. “Io non mi ubriaco, io! Ne bevo quattro più di te, io! Un altro, per favore!” Chiese poi fissando Giselle. “Mi occorre forza…” mormorò il mezzadro “… lo sai il Cielo quanta me ne serve!”
“E smettila di invocare il Cielo!” Lo richiamò Clementine. “Vuoi farci passare un guaio! Se proprio non riesci a tenere la bocca chiusa, allora invoca il demonio! Che possa portarti via… insieme a tutti quei dannati!”
Mercien allora fece un gesto di disapprovazione verso la donna, per poi rivolgersi a Melisendra:
“Madame, per essere tranquilli a questo mondo occorrono santi in Paradiso e i vostri, ahimè, sono caduti entrambi…”
“Ancora ad evocare il Cielo, imbecille?” Gridò Clementine. “Vuoi proprio che ci scoprano!”
“Zitta, megera!” Con disprezzo Marcien. “Dicevo, madame…” tornando a fissare Melisendra “… i vostri… protettori” gettando uno sguardo verso sua moglie “sono caduti entrambi… gli aristocratici hanno perso il potere con la rivoluzione… e la fazione del vostro defunto marito, i Pomerini, stando a quando si dice ad Ostyen, vedono calare vertiginosamente il loro consenso popolare a discapito dei Ginestrini… temo che questa vostra dimora possa non essere più tanto sicura…”
“Ma perché poi i Pomerini e Ginestrini si stanno scontrando fra loro?” Chiese Clementine al marito.
“Eh, donna…” atteggiandosi, in modo grossolano, a filosofo “… è la natura dell’uomo che lo porta a scontrarsi sempre e comunque… e quando mancano i nemici, è allora il turno degli amici…” e buttò giù un altro bicchiere di liquore.

Melisendra 30-08-2011 03.47.37

Posai il bicchierino vuoto sul tavolo, non senza che un tremito mi attraversasse e facesse quasi vacillare il delicato cristallo.
"Intendete dire che la Guardia Repubblicana potrebbe venire ad arrestarmi?" Mi tolsi il velo scuro e lo posai sul bracciolo della poltrona. "Ma io... io non ho fatto nulla... questa rivoluzione... che c'entro io con tutto questo?" Sospirai.
"Dovrei rassegnarmi e raggiungere la mia famiglia... il mio posto è con loro."
Sfiorai la collana al mio collo, da cui pendeva una foglia d'edera cesellata in oro zecchino. Tutti i membri della mia famiglia ne portavano uno simile al collo. Io lo portavo nascosto tra le vesti. Mi infondeva coraggio.
"Mio padre stava conducendo una trattativa per farmi sposare un gentiluomo straniero, ma è stata bruscamente interrotta dagli eventi... e ora ho perso ogni cosa. Non posso nemmeno pronunciare il mio nome per il timore che orecchie nemiche possano udirlo. Mi chiamano Madame Lambrois... posso solo ringraziare il Cielo che mio padre non possa assistere a questo scempio!"
Lanciai un'occhiata a Giselle e, esitando, mi versai un bicchiere d'acqua fresca. Non avevo bisogno di irritarla con un comportamento poco femminile come quello di imprecare e bere liquore.
Strinsi la foglia d'edera tra le dita e mi mordicchiai un labbro, pensierosa.
"Non posso rassegnarmi... non posso credere che tutto possa finire così..." mormorai tra me e me.

Guisgard 30-08-2011 03.56.37

Daniel aveva approfittato della distrazione di Jalem e degli altri servitori per intrufolarsi nel palazzo ducale.
Era stanco, braccato come un animale in fuga e sentiva sempre di più il fiato delle guardie sul suo collo.
Un collo, il suo, che sarebbe stato appeso sulla torre più alta di Camelot se lo avessero catturato.
Il giovane ladruncolo allora cercò riparo nell’ampio giardino del palazzo.
Ormai camminava da ore e quel tozzo di pane che aveva rubato non bastava più a dargli la forza di proseguire.
Fu allora che cominciò a sentire un odore che gli parve giungere direttamente dal Paradiso.
In realtà proveniva da molto più vicino: le cucine del palazzo.
Si trovava infatti a pochi passi da dove si stava preparando il pranzo per il signore del palazzo.
Un profumo di selvaggina arrosto, di legumi, di pannocchie stufate e di pane caldo ridestarono il suo spirito ormai fiaccato da quella disperata fuga.
Nel frattempo, dall’altra parte del giardino, al cancello di entrata, mentre la marchesa Ymma salutava Gonzaga e Jalem, giunsero alcuni soldati.
“Salute a voi, mie signore.” Disse uno di loro, mostrando un lieve inchino verso Gonzaga e Ymma. “Perdonate se vi rechiamo disturbo, ma stiamo cercando un ladruncolo che, da quanto affermano alcuni testimoni, sembra sia fuggito verso questa zona.”
“Qui intorno non abbiamo visto nessuno, capitano.” Rispose Jalem. “Non credo che un ladro possa pensare di trovare riparo qui.”
“Non credo di avere il piacere di conoscere quest’affascinante dama.” Con un sorriso il capitano.
“E’ lady Gonzaga, pupilla di lord Tudor.” Spiegò Jalem. “E’giunta oggi a Camberbury.”
“I miei omaggi, milady.” Sorridendo il soldato. “E voi, nel giungere qui, non avete notato nessun ladruncolo in fuga?”

Guisgard 30-08-2011 04.20.01

“Siamo tutti vittime di questa follia generale!” Disse Mercien fissando Melisendra. “Cosa me ne faccio io della libertà e dell’uguaglianza, ora che non ho più un lavoro? Per quel che mi riguarda, preferisco servire un padrone che mi nutra e che mi protegga!” E buttò giù un altro bicchiere di liquore. “Al diavolo!” Esclamò. “Il buon Dio Ha creato le gerarchie e l’uomo non può sovvertire l’ordine naturale delle cose!”
“Pezzo d’asino, la smetti di tirare in ballo il Cielo!” Lo richiamò ancora Clementine. “Credi forse che le leggi non valgano qui in campagna? Sono certa che anche questo posto pullula di spie! Accidenti a te!”
“Donna, mi farei arrestare solo per vederti alla mercè del boia!” Con disprezzo il mezzadro. “Madame…” tornando a fissare Melisendra “… in realtà ovunque domina un gran caos… lo scontro tra i Pomerini e i Ginestrini ha prodotto un clima di sospetto e paura… la vostra posizione è molto incerta… siete comunque la vedova di uno dei più illustri rivoluzionari, ma nessuno può sentirsi al sicuro fino a quando le due fazioni non giungeranno ad un accordo…”
“Digli di noi, Marcien…” mormorò Clementine.
“Si, ci stavo arrivando…”
“E’ il troppo bere che ti confonde.”
“Che il diavolo ti porti, donna!” Esclamò Marcien. “Madame…” rivolgendosi poi a Melisendra “… come detto, io non ho più un lavoro ed avevamo pensato, io e mia moglie, di lasciare questo paese ed andare in Inghilterra a cercare fortuna… fra tre giorni un gruppo di profughi con un battello partirà da Calais per Dover… potete unirvi a noi, se la cosa vi piace…”
In quel momento Giselle si avvicinò alla sua padrona e le posò una mano sulla spalla.
“Non avrei mai creduto di dover abbandonare questa terra…” mormorò “… cosa avete intenzione di fare, madame?”

Melisendra 30-08-2011 04.57.18

Feci un respiro profondo. Non era il momento di esitare.
Semper prospera... speranza. Come un lampo di luce che mostra il cammino in mezzo alle difficoltà.
Mi attaccai alla speranza di poter ricominciare a vivere.
Fino a pochi mesi prima ero così felice e scioccamente certa che niente al mondo avrebbe potuto sovvertire il mio mondo. Da quando Gilbert era entrato nella mia vita aveva avuto inizio un incubo da cui non potevo svegliarmi. Il mio matrimonio, invece di essere fonte gioia, era diventato la condanna per me e per i miei. Tutto ciò che sapevo della rivoluzione era che aveva ucciso i miei genitori e mi aveva seppellita viva.
Alzi il mento e mi voltai verso Giselle.
"E' arrivato il momento di mettere radici altrove..."
Mi diressi al mio scrittoio, all'interno del quale avevo racchiuso tutte le carte e i documenti di mio padre. Vi era un documento all'interno del quale erano indicati con precisione tutti i beni che mia madre, nata nella nebbiosa terra oltre il mare, aveva portato in dote al suo sposo. Vi era indicato anche il nome di un piccolo feudo situato in terra straniera, proprio oltre lo stretto. Al momento quello costituiva il mio unico patrimonio, insieme ai preziosi di famiglia e a poco altro. Ben presto i rivoluzionari avrebbero messo le mani su tutti i possedimenti dei Du Blois e io non avrei potuto fare niente per impedirlo.
"Immagino che ci sia pur qualche parente di mia madre su quell'isola nebbiosa... potrei chiedere asilo lì."
Lessi nuovamente quelle carte e le riposi con cura. Fiducia. Speranza nel futuro. L'incertezza si dissolse e parlai con fermezza.
"Così sia, dunque... partiremo con voi e porteremo a termine ciò che mio padre non è riuscito a fare: garantire il futuro e la prosperità della nostra casata."

Daniel 30-08-2011 08.27.33

Daniel non amava rubare.. Non l'aveva mai fatto.. I genitori gli avevano insegnato dei valori.. Ma purtroppo a causa dei Ginestrini una notte i miei genitori morirono per salvarmi la vita da quei maledetti.. Sono stato messo in un orfanotrofio ma ora sono scappato e la fame non si può placare.. Sentii un profumino invitante.. Erano le cucine del palazo.. Buttai un occhio dentro e vidi talmente tanto cibo che quasi mi sentivo male.. Dovevo entrare e mangiare! Dietro di me sentivo persone che parlavano.. E Se erano le guardie? Sgattaiolai dentro la cucina.. Mi nascosi un pò sotto un lungo tavolo di legno e vidi passare un uomo.. credo un soldato a causa delle sue vesti.. Appena decisi di uscire mi ritrovai faccia a faccia con un cameriere lì di passaggio.. Oh Madonna e adesso?

Chantal 30-08-2011 13.58.12

Chantal accompagnava le riflessioni ad alta voce dello zio.Certo,era un uomo tutto d'un pezzo,non aveva mai avuto paura di ritrovarsi a sostenere le sue tesi quando diffondeva la parola di Dio,lui che credeva nei valori dell'umanità e della carità.
Accostò al sorriso dello zio anche il suo,era solito riportare esempi eclatanti di contrastanti figure storiche e leggendarie.E a lei piaceva quella sua eclettica personalità,frutto di lunghi studi ed accurate conoscenze.
Pian piano andava allentando le dita sulle corde,come a muoverle con maggior lentezza,smorzando sempre più il suono fino a che il suo orecchio fosse capace di scindere ogni singola nota.Ultimarono in sintonia,lei la sua melodia e lo zio le sue riflessioni.
"Sì,zio,è ora di ritirarci",fece una pausa."Andate voi,io rimarrò un poco ancora."
La notte era calata sull'orizzonte e era scivolata ammainata al buio anche nella sala.
Aveva di nuovo indossol'anello,ma pensò a quell'uomo,l'uomo di cui aveva fatto accenno a uo zio,e a se avesse dovuto rivelare in quel momento ciò che aveva appreso di lui.
Lo zio se ne stava con imponenza in piedi,dietro lo scrittoio che si accingeva a lasciare,con quel suo sorriso rasserenante.Un uomo…” mormorò “… devo forse preoccuparmi?” Ridendo. “Mi ritroverò dunque un tuo spasimante per casa?” Questo le chiedeva,forse incurante della risposta,ma aveva pur domandato.
"Non dite sciocchezze".Rassicurandolo Chantal,"Non è un uomo comune,e ciò che narra ha la trascendenza dei misteri della Fede.Da questi ho appreso del fiore.Ma ora andate,zio,andate a riposare,l'ora è tarda,e il sonno vi reclama."
Sapeva bene che,se avesse taciuto,lo zio non l'avrebbe forzata ulteriormente.E così era.
Rimase sola,un raggio argenteo si proiettava dalla pallida Luna fino ai suoi piedi,attraverso la vetrata.Pensò come era calma la sera,come la notte era tanto rassicurante,quieta e silenziosa,mentre il giorno che le aveva ceduto il passo,fosse reo di tanto fragore ed agitazione.
"La notte",pensò,"se tutti gli uomini vivessero la notte,sarebbero incapaci di concepire il male,perchè la notte è placida,e seda ogni affanno,ridando il senno persino ai folli."
Ma poi scosse il capo."I folli.Già,i folli e le loro follie",sentenziò.
Si portò nella camera da letto,ma non era molto avvezza al sonno.Chantal non dormiva,non molto.Dormono i cuori ignari,e gli animi sereni ,non lei non lei che era attravarsata da inquietudini e affanni.
Lasciava sempre i battenti aperti,perchè potesse intravedere il firmamento anche dal suo letto.Per chi non dorme,le stelle sono le migliori confidenti.Ma quella notte erano sfuggenti,e sorde ad ogni richiamo.
Poi,d'improvviso,subentrò un ricordo a prendere possesso di ogni suo pensiero.

"Allora,Chantal,ti piace?!
"Come non piacermi,l'ho desiderato tanto".
"Lo so,tesoro mio,per questo lo abbiamo rilevato.Con una rispolverata e velluti pregiati,diverrà come quello dei tuoi sogni,piccola mia.Sai,ho pensato che lo battezzeremo col tuo nome"Chantal de La Merci".Cosa ne pensi?
"E' un nome inconsueto per un teatro,ma mi piace.Sì,già lo vedo animato dallo spirito di grandi tragi-commediografi latini e greci..Sarà bellissimo,madre,il più bel teatro che sia mai esistito ad Animos"

Chantal sorrise a quel ricordo non tanto lontano.
Aveva sognato di possedere un teatro da quando una vecchia signora ereditiera le aveva donato un vecchio libro sull'Alcesti.
E sua madre l'aveva incoraggiata ed appoggiata,acquistandone uno in disuso,perchè riprendesse vita dal cuore della figlia.
La notte scivolò nel sogno di quel sipario dietro il quale la ragazza si nascondeva mentre gli attori vi provavano le scene.Vi si portava la sera,quando le luci soffuse non potevano tradire la sua presenza,e si muoveva attraverso le sale a piedi nudi,per non farsi scorgere da alcuno.
Fu lì che,per la prima volta,vide il cavaliere che accese in lei tutti i suoi desideri.
C'era stato un tempo in cui il teatro di loro proprietà aveva vissuto il suo splendore quando ancora Chantal viveva presso la casa di famiglia.
Nel buio che avvolgeva il suo letto,la ragazza si sfiorò l'anello,sotto il polpastrello riusciva perfettamente a riconoscere ogni lineamento di quel volto di uomo su esso intarsiato.E ripensando a quel volto a lei tanto caro e al quale l'anello la legava,fu rapita dal sonno.
L'indomani si levò presto,per andare in facoltà,ma non prima di aver espresso un'animata richiesta allo zio:
"Buongiorno,zio,ho sentito dire che nel paese giungerà un carrozzone di attori itineranti.Perchè non permettiamo loro di esibirsi nel teatro di famiglia?Il suo palcoscenico è dormiente da tanto tempo,ma il suo spirito ancora viene a destarmi nel sonno,in attesa che io gli presti ascolto."
Poi aggiunse:"Quel fiore di cui ti accenavo,zio..mi hanno narrato che è speciale,e non ne sbocciano di simili in alcuna terra.E anche in quel fiore si raccolgono un'anima e un cuore.."Ma fu sfuggente nel pronunciarsi ancora.
Chantal,talvolta,appariva folle per quei suoi pensieri.Credeva che ogni cosa avesse un'anima,e suo zio spesso sorrideva di quelle sue fantasie,ma non riusciva a negarle la sua accondiscendenza.

Talia 30-08-2011 14.55.10

La strada si snodava, secca e polverosa, tra i campi che si aggrappavano lungo i crinali delle colline battute dal vento; le pietre bianche che coprivano tutto lo spazio della carreggiata, e che di certo un tempo erano state ordinate e ben disposte, erano adesso, in quei tempi difficili, tutte dissestate e smosse tanto che il procedere sia a piedi che a cavallo risultava arduo e faticoso. C’era il sole quella mattina, un sole debole e dall’aspetto quasi malsano, che ancora faticava a farsi largo tra la cortina di dense nubi, ma che di tanto in tanto occhieggiava tra l’una e l’altra, bagnando la terra di candidi bagliori.
La carovana procedeva lenta lungo la via, tra i mulinelli di polvere e foglie che di tanto in tanto la avvolgevano; la sua stanca andatura, cadenzata dallo scalpiccio dei cavalli, era dovuta in parte, probabilmente, alle pessime condizioni della carreggiata e in parte, di certo, al fatto che non vi era nessun posto in cui essa era attesa...
Sospirai e mossi lo sguardo tra i miei compagni, scrutando il volto di ognuno di loro... volti che conoscevo bene, volti nei quali avevo imparato a distinguere ed interpretare ogni piega ed ogni fuggevole emozione, ogni travestimento, ogni maschera... volti stanchi e provati, volti indecifrabili e pensosi, volti diversi eppure tutti simili tra loro in qualche modo...
Erano tempi complicati, quelli... tempi difficili, specialmente per la gente come noi!
Avevamo conosciuto la nostra fortuna presso i più grandi signori, avevamo avuto giorni di gloria e di prosperità... poi la rivoluzione ci aveva portato via molti privilegi: quando le cose andavano male, dopotutto, chi aveva voglia di assistere agli spettacoli? Chi aveva voglia di ridere o di ascoltare storie?
Beh... noi avevamo scoperto, e a nostre spese, che quando le cose andavano male quelli come noi non erano bene accetti da nessuna parte!
E ora quel nuovo regime che stava nascendo... persino nel nostro piccolo gruppo le opinioni erano differenti: fiducia e preoccupazione, desiderio e inquietudine...
Ma finché avremo una piazza e qualcuno che ha voglia di starci a sentire’ aveva detto Gobert un giorno ‘noi lavoreremo! Non importa per chi, non importa dove... a noi serve solo un palcoscenico e un pubblico!
Ci aveva infervorati con quel breve discorso, ci aveva ridato fiducia... ed eravamo ripartiti. Di nuovo.
Li osservai uno ad uno, cavalcavamo da giorni ormai e la stanchezza e i troppi pensieri correvano nei nostri occhi. Spronai il mio cavallo, quindi, e lo portai un poco più avanti, al centro del piccolo gruppo...
“La vie sans aucune tristesse...” iniziai allora a cantare, modulando la voce in tono giocoso “Je veux vivre sans un regret...”
Quel canto era il nostro compagno, lo intonavamo spesso nei nostri spostamenti... ad un tratto la voce di Tissier, che era il più vicino a me, si unì alla mia, poi via via anche le altre: “Il faut vivre chaque jour, comme si c'était le dernier jour sur cette terre...”
Incrociai i loro occhi e ad uno ad uno li vidi sorridere...
Il resto del viaggio trascorse in modo più leggero.
Poi, finalmente, la strada giunse alla sommità dell’ennesima collina e di fronte a noi apparve una città di medie dimensioni, grigia com’erano spesso le città di quei tempi, ma movimentata e vivace...
Sostammo per un memento là, muovendo lo sguardo intorno, poi prendemmo a scendere la china verso la porta principale...
“Eccolo qui, il nostro nuovo palcoscenico!” mormorai tra me, spronando il cavallo per seguire gli altri.

ladyGonzaga 30-08-2011 16.06.30

Abassai il capo in segno di rispetto , verso colui che indossando una divisa lo meritava , " No mi dispiace, non ho notato nessuno .E' da poco che sono qui, arrivo da un lungo viaggio , mi dispiace non so cosa dirvi".

Alzando lo sguardo verso il cavaliere notai il suo sguardo, forse non ero stata poi tanto convincente, anche se dalla mia bocca usciva solo la verità.

" Possiamo proseguire Jalem? ho premura di incontrare lord Tudor.Vogliateci scusare ma noi dobbiamo andare".

Ripercorrere quella grande scalinata , fu per me un emozione indescrivibile. Erano passati tanti anni da quando usavo stare la a giocare senza preoccuparmi che non era decoroso per una dama.Ma io non lo ero, a quei tempi ero solo una ragazzina che a tutto pensava tranne a come si fa un inchino.

Mi sembra quasi di sentirlo lord Tudor " Gonzaga tu sarai una nobildonna , è ora che te lo metti bene in testa"
Ma a queste urla , ricordo anche la prima e ultima volta che vidi sul suo volto una lacrima , fu proprio il giorno che mi aiutò a salire sulla carrozza che mi avrebbe portato lontano da lui .

E adesso eccomi qui, come lui voleva..una gentil dama nella mente e nell'anima.
Tutto era rimasto come allora , la grande vetrata ai piedi della scalinata e il grande roseto che circondava questa.

"Jalem datemi la mano , statemi vicino, le mie gambe tremano"....


http://www.titlehere.com/wp-content/...y_SeverArt.jpg

Guisgard 30-08-2011 19.15.07

Melisendra rimise così a posto quei suoi documenti di famiglia, sotto però lo sguardo vigile ed attento di Mercien.
E quando la giovane e bella vedova pronunciò alla devota Giselle la sua volontà di ricominciare una nuova vita in terra straniera, marito e moglie si scambiarono una fugace occhiata.
La governante dell’ultima dei Du Blois mostrò chiaramente timore e dubbi per la decisione della sua padrona.
Ricominciare una nuova vita, in una terra, l’Inghilterra, ostile ai rivoluzionari, presentava senza dubbio difficoltà non da poco, soprattutto se l’impresa era tentata da due donne.
Ma la scelta era quasi obbligata.
Troppo incerto era ormai lo scenario che si andava a delineare nella Repubblica di Magnus.
“E sia, mia signora…” sospirò la fedele nutrice “… comincio sin da ora a preparare ciò che ci è rimasto per la partenza.
Clementine fissò, con uno sguardo quasi enigmatico, sospeso tra la paura, l’incertezza e l’angoscia, suo marito.
“Io sono fedele ai miei signori, i nobili Du Blois!” Disse Marcien, guardando sua moglie. “Bevo alla salute del casato dei Du Blois!” E si scolò l’ennesimo bicchiere di liquore, seguito, quasi titubante, da Clemenine.
Il giorno della partenza arrivò presto.
I quattro attesero i primi cenni del crepuscolo per prepararsi.
Calais era ad un paio d’ore circa, dove avrebbero trovato ad attenderli il battello con altri profughi, diretto a Dover, in Inghilterra.
Il viaggio fu segnato da un tetro silenzio fra i quattro.
Un’opprimente angoscia aleggiava fra loro, visto che il pericolo di essere scoperti era concreto.
Giunsero così ad un piccolo molo fuori mano e poco sorvegliato, a causa del basso porto che rendeva possibile il transito solo a piccoli pescherecci, ma tuttavia adattissimo per un piccolo battello come quello che si apprestava a salpare.
Con attenzione e prudenza Marcien si avvicinò ad alcuni uomini fermi sulla banchina e indicò, oltre se stesso, le tre donne che erano con lui.
“Ho appena parlato col capitano…” disse poi appena ritornato dalle tre donne “… tra un momento ci faranno salire a bordo…”

Guisgard 30-08-2011 19.35.33

Daniel, attratto dai profumi e tormentato dalla fame, si era nascosto in cucina, ma uscendo allo scoperto si era ritrovato davanti un giovane valletto.
“E tu chi sei?” Chiese questi fissando il giovane ladruncolo.
“Ehi, voi due, presto!” Chiamò all’improvviso uno dei cuochi. “Cosa fate li impalati? Il padrone se non mangia in orario sapete bene che va su tutte le furie! Avanti, cominciate a servire a tavola o vi prendo a randellate!”
“Allora sei uno dei servitori.” Fece il valletto a Daniel. “Certo, potevi vestirti un po’ più decorosamente… e sia, è tardi e non c’è tempo da perdere… avanti, aiutami a servire in tavola… seguimi.”
I due allora, presi alcuni vassoi, si diressero verso la sala da pranzo, dove trovarono il signore del palazzo già spazientito per il ritardo.
“Ero sul punto di ordinare da mangiare in qualche locanda del villaggio!” Tuonò Lord Tudor. “Accidenti a voi, sciocchi valletti! Un giorno vi metterò tutti a pane ed acqua! Avanti, servite in tavola che ho fame!”

Guisgard 30-08-2011 20.06.44

Jalem guardò Gonzaga e sorrise.
“Suvvia, milady…” disse il servitore prendendola per mano “… sapete bene che lord Tudor vi ama come una figlia e che ha atteso fino ad oggi il vostro ritorno… ormai voi siete la sua unica gioia, l’unica cosa che può addolcire la sua vita…” il moro sorrise di nuovo ed aprì la porta, facendo entrare Gonzaga nella sala dove si trovava l’austero aristocratico.
Questi era impegnato ad inveire contro i suoi valletti, ma appena Jalem e la bella dama fecero il loro ingresso lord Tudor si ammutolì all’istante.
Era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva visto Gonzaga.
Era un’aggraziata ed elegante dama dal portamento e dai modi squisitamente cortesi.
Bruna, con occhi vispi di chi ama osservare e far suo il mondo che lo circonda, lineamenti ammirevoli, un colorito soffuso di pesca e di rose.
Ma i segni della sua nobiltà non si fermavano qui.
Il portamento, come detto, era da gran dama ed ogni suo gesto tradiva gentilezza e grazia.
Il sorriso era luminoso ed il suono della voce melodioso e delicatamente musicale, di chi era abituato a recitare versi ad alta voce.
Ma questi particolari, sebbene importantissimi per qualsiasi nobile uomo o artista, erano del tutto indifferenti al signore di Camberbury.
L’uomo, infatti, vinto quel primo momento di stupore e, diciamolo, commozione, si alzò e tese le braccia verso la ragazza.
“Ti avevo mandata ad imparare le regole della cortesia, ma forse sei giunta fin sul Parnaso… a quale delle nove muse hai rapito la bellezza?”
E abbracciò teneramente la sua pupilla finalmente ritornata a casa.

Daniel 30-08-2011 21.14.42

Mi ero ritrovato con in mano un vassoio pieno di carne.. Avevo una fame ed ero tentato di arraffarne un pezzo mo non potevo.. Ero davanti a Lord Tudor.. Avevo l'impressione che mi guardasse male.. Si era accorto che non ero un suo cameriere? E se mi avesse scoperto? Mi avrebbe consegnato alle guardie che mi avrebbero chiuso nelle segrete.. No! Non potevo permetterlo! Servii quel poco che mi era rimasto nel vassoio e andai in cucina presi una sacca dove misi un pò di pane, formaggio, carne secca e acqua e decisi di andarmene.. Proprio mentro stavo per uscire vidi il capitano della polizia ritornai immediatamente nelle cucine..
"Rimanderò la fuga a dopo.." dissi tra me e me..

Melisendra 30-08-2011 21.56.48

L'aria fresca e salmastra mi pizzicava le guance, mentre ciocche ribelli sfuggivano dalla semplice acconciatura che li tratteneva.
Avevo indossato i vecchi abiti di una cameriera, che Giselle aveva trovato nella casa del mio defunto marito. Erano abiti semplici e la stoffa ruvida mi prudeva nei punti in cui si appoggiava alla pelle.
Avevamo stipato i miei abiti dentro a sacchi di iuta e tutti i preziosi di famiglia, salvati dall'avidità degli uomini, erano stati cuciti con estrema cura nella biancheria che indossavo. Mi ero dovuta disfare di alcuni beni della mia famiglia. A malincuore Marcien aveva venduto l'argenteria al mercato nero, poichè il denaro ci sarebbe servito per il viaggio.
Con noi recavamo viveri e generi di conforto.
Ero quasi certa che nessuno mi avrebbe riconosciuto, in fondo non ero nota negli ambienti fuori dalla corte. Vestita in quel modo potevo sembrare una semplice ragazza in viaggio con la sua famiglia verso l'Inghilterra.
Con le dita cercai la foglia d'edera che non abbandonava mai il mio petto e, appena le mie dita sfiorarono il freddo metallo, mi affrettai a celarla nuovamente tra le vesti, confortata.
Non avevo mai affrontato un viaggio per mare. Improvvisamente quella distesa d'acqua sferzata dai venti mi sembrò cupa e minacciosa. Rammentai i pomeriggi trascorsi in barca, nel laghetto del parco del Palazzo di Ostyen, insieme ai miei compagni di svago. Le dolci melodie dei trovatori e le fresche risate delle ragazze ci cullavano mentre scivolavamo pigramente sull'acqua. Amavo ascoltare i trovatori cantare e intrecciare versi in quel gioco meraviglioso che era l'amor cortese.
Il vociare dei pescatori mi fece tornare alla realtà.
Anuii alle parole di Marcien e mi incamminai verso il molo, affascinata dalle onde che si infrangevano contro gli scogli.
Scrutai l'orizzonte, quasi credendo di poter vedere al di là dello stretto, ma rassegnandomi all'ignoto che ci attendeva.
"Giselle, pensi che i parenti di mia madre potrebbero aiutarci? Tu l'hai conosciuta fanciulla, quando giunse a Animos... forse ti ha parlato della sua famiglia al di là del mare... dovremmo inviare una lettera per annunciare il nostro arrivo... ma a chi? Rimpiango di non essermi mai interessata ai polverosi libri di genealogia della nostra biblioteca..."
Mi incamminai con Giselle verso il battello in attesa, stringendo a me il mio fagotto.

Guisgard 31-08-2011 01.22.18

“Non badate ora a queste cose, madame…” disse Giselle alla sua padrona “… se il Signore ci permetterà di lasciare questa terra ormai insicura, allora sono certa che guiderà i nostri passi anche in Inghilterra…” esitò un momento, per poi riprendere “… ricordo che vostra madre parlava sempre di una lontana zia… era una marchesa e viveva in un palazzo tra Londra e la contea di Camelot… ma ora non rammento il suo nome… dobbiamo avere Fede, madame… ormai ci è rimasta solo quella…”
La notte senza Luna avvolgeva ogni cosa, rendendo oscura e indefinita quella piatta distesa d’acqua che appariva davanti a loro.
L’aria era asciutta ed attraversata da un lieve vento che permetteva, a tratti, di scorgere inquiete e maestose figure attorno al piccolo porto; erano le alte scogliere immerse in quella enigmatica notte.
I quattro allora si avviarono verso il battello, ma a pochi passi dalla tavolozza che permetteva di salire a bordo, una strana espressione attraversò gli uomini sul ponte.
Infatti alcune ombre avevano preso forma da quell’angosciante oscurità e si avvicinavano al battello.
“Madame, è ora!” Esclamò all’improvviso Marcien, per poi arrestare di colpo il suo passo, imitato subito da sua moglie.
Quelle parole rivolte a Melisendra suonarono prima inspiegabili e poi sinistramente ambigue alla devota Giselle.
Quasi come un messaggio, un segno, come il bacio che Giuda diede a Nostro Signore prima di tradirlo.
Quelle ombre, avvicinandosi e mostrando finalmente le loro fattezze, in breve circondarono i quattro.
“Chi fra voi è Melisendra Yolande Demetra Du Blois, ex duchessa di Beuchamps e vedova Lambrois?” Chiese con tono solenne uno di quei soldati.
Dopo un attimo di sconforto, misto a rassegnazione, che però non aveva impedito a Giselle di comprendere la situazione, la devota nutrice, quasi con un gemito, rispose:
“Sono io… sono io… cosa accade, signore?”

Melisendra 31-08-2011 02.03.14

Stavo pensando a mia madre, Lowenna, che così poco mi aveva parlato della sua famiglia d'origine e mi sembrava di rivederla, con quei capelli mossi e rosso fiamma che erano una caratteristica della sua famiglia. Solo in quel momento realizzai quanto poco sapessi di lei, oltre al fatto che fosse mia madre e la Duchessa di Beauchamps. Non mi aveva mai parlato della sua vita prima di sposare Thierry Du Blois. Avrei mai scoperto chi fosse Lowenna di Wendron? O era troppo tardi?
Troppi pensieri affollavano la mia mente.
Ciò che accadde intorno a me mi lasciò senza fiato per la sorpresa.
Le parole di Marcien, lo sguardo di Clementine e le parole della guardia. Infine quelle della mia amata Giselle.
Non potevo crederci. Come osava Marcien tradirmi? Tradire mio padre!
La mia fedele Giselle, tra le cui braccia ero cresciuta, si era appena gettata in pasto a quegli uomini che avevano con tanta precisione pronunciato il mio nome. Non potevo permetterglielo.
"No, Giselle..." mormorai. Sollevai lo sguardo e dissi: "Sono io. Sono Melisendra Yolande Demetra Du Blois, figlia di Thierry Alexandre Du Blois, Duca di Beauchamps. Cosa posso fare per voi, monsieur?"

Guisgard 31-08-2011 02.17.30

“Ex duca di Beauchamps, madame!” Esclamò il tenente, correggendo Melisendra. “E non vi sono signori qui, madame. Né in terra, né tanto meno in Cielo!” Il suo sguardo passò rapidamente dalla giovane vedova alla sua fedele nutrice, per poi ritornare sul bel viso della padrona. “Posso domandarvi cosa ci fate a quest’ora della notte in un posto malfamato come questo? Posto solitamente frequentato da profughi, fuggiaschi, evasi e nemici della repubblica?”
A quelle domande, che già sapevano d’interrogatorio, Marcien e sua moglie cominciarono a defilarsi.
Fecero qualche passo indietro, come a voler prendere le distanze dalle due donne.
“Noi non abbiamo fatto niente.” Mormorò Giselle.
“Allora non avete nulla da temere.” Rispose il tenente. “Devo ripetervi ciò che vi ho domandato un attimo fa, madame?” Rivolgendosi poi di nuovo a Melisendra, con un tono che tradiva impazienza ed insofferenza.

Melisendra 31-08-2011 02.42.31

Non avevo idea di quale fosse la risposta appropriata. Mi sarei cacciata nei guai? Posai il fagotto accanto a me e mi raddrizzai, a dispetto delle misere vesti rimanevo la figlia di Thierry Du Blois.
"Potrei dirvi che sono a passeggio... l'aria di mare rende più forti." Lo guardai ricambiando il suo gelido sguardo inquisitore. "In realtà desidero solo liberarvi della mia presenza su questo amato suolo e, dopo la prematura scomparsa dei miei genitori e del mio amato sposo, raggiungere la famiglia di mia madre, che si trova proprio oltre lo stretto." Accennai al mare inquieto che si agitava poco lontano da noi.
"Avete ucciso mio padre, un Duca di Beauchamps e la sua sposa, Loyanna di Wendron... il casato di Wendron è stato informato di ciò che è successo alla loro congiunta. Continuerete a giustiziare tutte le persone nelle cui vene scorre sangue blu fino a quando i principi stranieri non uniranno le forze contro la vostra Repubblica?" Il vento mi scompigliò i capelli, qualche ciocca sfuggì e mi accarezzò il viso. "Lasciate che parta in esilio." Nel pronunciare quelle ultime parole chinai lievemente il capo, come a indicare tacitamente che sapevo che la mia sorte si trovava nelle loro mani.

Guisgard 31-08-2011 03.03.31

“La vostra eloquenza è pari alla vostra bellezza, madame.” Sorridendo il tenente. “Volete lasciare la madrepatria? E perché mai? Per un paese umido e nebbioso, dove siamo odiati e disprezzati solo perché abbiamo raggiunto ciò che altri paesi troveranno forse solo fra secoli?” Un ghigno sorse sul volto dell’ufficiale repubblicano. “Nessuna congiura ha ucciso vostro padre, madame. Egli, come tutti quelli come lui, è stato processato e giustiziato per la libertà del popolo. Chiedete dunque l’esilio, madame? E sta bene, magari vi sarà concesso. Forse. Ma non lascerete questa terra con cose che non vi appartengono. Sapete bene che ogni vostra ricchezza è stata o sarà confiscata dallo stato, perché appartiene al popolo.”
Fece allora un cenno ai suoi e questi strapparono dalle mani di Melisendra e Giselle tutto ciò che avevano con loro.
“Ora vi domando la compiacenza di volerci seguire, madame.” Riprese a dire il tenente.
“Dove volete condurci?” Gridò Giselle. “Non vi basta quello che ci avete fatto? Ci avete strappato l’affetto dei nostri cari e l’amore per una terra che non sentiamo più nostra!”
Ma uno dei soldati le impedì di proseguire, colpendola al volto.
Un attimo dopo Melisendra e Giselle furono portate via dai soldati, mentre sul posto non vi erano più tracce di Marcien e di sua moglie.
La notte proseguiva così il suo corso ed immagini, ricordi e sensazioni confuse correvano nella mente di Melisendra, mentre la veloce ed anonima carrozza le conduceva chissà dove.
E prima ancora che l’alba si affacciasse nel cielo, la figlia del Duca di Beauchamps si ritrovò, da sola, in un’austera sala di un grosso palazzo, più simile in verità ad un vecchio casermone.
Qualche istante dopo un uomo entrò nella stanza.
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Melisendra 31-08-2011 03.17.56

Nessuno aveva risposto alle mie insistenti domande. Dove volevano condurre me e Giselle? E perchè ci avevano separate? Niente panico. Dovevo rimanere calma.
Potevano anche tenersi tutti i miei bagagli, che in fondo contenevano solo vestiti e pochi preziosi.
Sentivo i gioielli premere contro la mia pelle, attraverso la stoffa del corsetto. Giselle era stata previdente. Non avrei lasciato loro anche i gioielli di mia madre.
Camminavo nervosamente lungo la stanza, quando finalmente la porta si spalancò ed entrò un uomo.
Mi voltai di scatto verso lo sconosciuto e lo osservai.
"Spero che voi possiate darmi qualche risposta, monsieur... perchè sono stata condotta qui? Cosa volete da me?"

Guisgard 31-08-2011 03.40.51

L’uomo camminò per qualche istante in circolo attorno al tavolo sul quale le guardie avevano lasciato alcuni documenti, presumibilmente riguardanti la ragazza che era seduta davanti a lui.
“Ex marchesa di Beauchamps…” leggendo dai fogli presi proprio in quel momento in mano “… il tenente ha riferito che pronunciavate il vostro ormai decaduto titolo con orgoglio, superbia a sentir lui…” fissò Melisendra e sorrise “… un consiglio, dato il legame che avevate con uno dei nostri valorosi compagni, madame… non vi conviene sbandierare troppo i vostri trascorsi aristocratici… potrebbero causarvi guai… per questo mi rivolgerò a voi col solo titolo che vi spetta… madame Lambrois.”
Riempì allora due coppe che erano sul tavolo con del vino, porgendone poi una alla ragazza.
“Naturale che la vedova di un eroe della patria qui può giungervi solo come ospite…” continuò l’inquisitore “… anzi, vi dirò che per me è un onore potervi parlare, madame… e lasciate che mi presenti… sono Jules Oxio, rappresentante dei Ginestrini… noi ci stiamo occupando di voi da tempo e grazie ad un buon patriota come il signor Marcien siamo riusciti a non farvi commettere una sciocchezza… vedete, l’Inghilterra è terra ostile per noi… ma che sciocco…” sorridendo “… sono certo che voi questo lo sapete già, vero, madame? E sicuramente non avete commesso l’errore di portare con voi ciò che resta del vostro blasone, soprattutto in una terra barbara come quella che ha dato origine a miti che solo la nostra letteratura ha poi reso degni di essere letti oggi… e vi chiedo, madame… dove si trovano i gioielli appartenuti alla vostra famiglia ed ora di proprietà del popolo di Magnus? Avevo pensato di chiederlo alla vostra devota nutrice, ma sono certo che collaborerete… per il suo e per il vostro bene…”

Melisendra 31-08-2011 04.04.25

Rimasi impassibile, non dimostrando alcun segno delle emozioni che mi stavano attraversando. Sorseggiai appena il contenuto della coppa e poi incrociai nuovamente lo sguardo del mio interlocutore.
"Suppongo che sia la stessa domanda che avete rivolto a mio padre prima di giustiziarlo..." sussurrai senza battere ciglio. "Vi devo deludere. Tutto quel che apparteneva alla mia famiglia è stato trafugato dai vostri valorosi compagni quando invasero il castello di Beauchamps... quanto alla mia dote di sposa... mio marito, il caro Gilbert Lambrois, l'ha sperperata per coprire i suoi debiti di gioco." Chinai il capo. "Almeno, questo è quello che mi è stato riferito... penso sappiate che conducevamo vite piuttosto separate."
Sollevai nuovamente lo sguardo.
"Quanto alle ragioni del mio viaggio: desidero solo ricongiurmi alla famiglia di mia madre. La Rivoluzione mi ha privata dei miei cari, dei miei beni e ora cerca di prendersi anche il mio nome. Non ho nessuno che possa garantirmi protezione. Mio marito è morto e io sono qui davanti a voi e vi supplico di liberare me e l'unica amica che mi è rimasta... e di lasciarmi partire in esilio con i soli abiti che ho addosso."
Nonostante le mie parole suonassero disperate, i miei occhi rimasero limpidi, così come il tono della mia voce. Deglutii dignitosamente e posai la coppa sul tavolo.
"Monsieur Oxlo, c'è qualcos'altro in cui posso esservi utile?"

Guisgard 31-08-2011 04.05.54

Daniel era stato costretto a ritornare in cucina.
Non poteva fare altro che aspettare che le guardie si allontanassero dal palazzo.
Era stato fortunato.
Lord Tudor, prima arrabbiato per il ritardo con cui era stato servito in tavola, aveva dimenticato ogni cosa una volta rivista la sua pupilla Gonzaga.
E questo lo aveva distratto abbastanza da non accorgersi del modo in cui era vestito Daniel.
Ora il ladruncolo era bloccato in cucina ad attendere il momento propizio per fuggire via con quanto aveva raccolto.
In quel momento però lo raggiunsero gli altri valletti, che si sedettero accanto a lui.
Erano tutti in attesa degli avanzi dalla tavola del loro signore.
“Allora, si può sapere perché sei vestito in quel modo?” Chiese quello che con lui aveva servito in tavola. “Se il padrone se ne accorge ti farà frustare a sangue!”
Gli altri sorrisero scioccamente.
“Si e magari lo metterà pure ai ferri!” Intervenne uno di quelli.
“Si e forse, dopo, lo venderà a qualche altro padrone!” Gli fece eco un altro.
“Su, ora basta.” Li zittì il primo valletto. “Non spaventatelo ora. Io sono John Carrey.” Presentandosi a Daniel. “E tu? Come ti chiami?”

Guisgard 31-08-2011 04.48.21

Oxio restò un attimo pensieroso dopo aver udito le parole di Melisendra.
Giocherellava nervosamente con i documenti che aveva in mano e fissava la ragazza negli occhi, come a volerne carpire ogni singola emozione.
“Vostro padre era nemico della patria ed amico invece dei suoi nemici…” disse, rompendo finalmente il suo silenzio “… cospiratori, monarchici, ecclesiastici… sapevate che il vostro nobile genitore era in contatto con gli inglesi? Era un traditore ed è stato condannato giustamente. Quanto ai gioielli di famiglia, vi assicuro che vostro marito non ne ha mai usufruito…” sorrise con un ghigno “… al povero Lambrois non negavate solo le vostre grazie, madame… ma a quanto pare anche alcuni beni della vostra famiglia… ora vi chiedo per l’ultima volta… dove sono quei gioielli?”
Ma proprio in quel momento una terza persona entrò nella sala.
“Repubblicano Oxio, come procede qui?” Chiese De Jeon.
“Madame Lambrois afferma che i gioielli della sua famiglia sono stati tutti utilizzati dal suo defunto marito.”
“Davvero?” Restando impassibile De Jeon, intento a controllare i documenti riguardanti Melisendra. “E’ ovvio che mente.” Sentenziò. “Falla arrestare.”
“Ma è la vedova di Lambrois!” Fece Oxio.
“E allora? Arresti lei, non suo marito. E’ stata portata qui da sola?”
“Con la sua governante.”
“Saranno processate entrambe.” Disse de Jeon.
“Con quale accusa?”
“Ha derubato il popolo.” Rispose De Jeon. “Probabilmente quei gioielli li avrà già fatti giungere da tempo in Inghilterra. Ecco perché ora stava fuggendo.”
Oxio allora suonò un piccolo campanello e due guardie entrarono nelle stanza.

Guisgard 31-08-2011 05.12.06

La carovana proseguiva lenta e svogliata e l’incedere dei loro cavalli sembrava accompagnarsi alla canzone che buona parte della compagnia aveva intonato.
Dei sette che componevano la compagnia, solo tre restavano in silenzio, limitandosi chi ad ascoltare gli altri cantare, chi a fissare la cittadina che era apparsa loro in lontananza.
“Finalmente una città!” Esclamò il vecchio Essien, uno dei tre e capo della compagnia. Gli altri due erano il giovane Renart e colui che guidava il carrozzone, una sorta di casa ambulante, studio, spogliatoio e dimora di quegli artisti itineranti.
L’uomo alla guida del carrozzone appariva silenzioso e distratto.
Aveva un basco scolorito, un tempo rossastro, con tanto di piuma sulla testa ed una buffa maschera sul viso.
“Più che città direi cittadina!” Fece Tissier.
“Dì pure che quello è poco più grande di un borgo!” Aggiunse Gobert.
“E cosa vuol dire mai?” Fece Essien. “Forse la gente di un borgo o di una cittadina si diverte meno di quella che vive in grandi città? Non credo che quella cittadina adagiata sul colle davanti a noi sia più piccola dell’Atene classica, in cui venivano inscenate le opere di Menandro, di Aristofane o di Cratino!” Con tono ampolloso e teatrale, come era suo modo di fare sulla scena e nella vita. “Senza parlare poi della Roma repubblicana, dove scrivevano Plauto e Terenzio!”
“Roma non era più piccola di quella cittadina!” Esclamò Gobert. “Roma è la città più grande del mondo!”
“Lo è diventata ora!” Fece Fantine, una delle due donne della compagnia. “Non lo è sempre stata!”
“Le città di un tempo non erano paragonabili a quelle di oggi.” Spiegò con sontuosi gesti il vecchio Essien. “Sono poi i poeti e gli scrittori che, nel tramandarne le immagini, le ingigantiscono agli occhi dei contemporanei. Un po’ come avviene con noi attori oggi… noi che amiamo arricchire e vivacizzare la realtà quotidiana nei nostri spettacoli. Un palcoscenico degno dell’opera più bella non è direttamente proporzionale al perimetro delle mura della città in cui si trova.” Ed annuì, come ad aspettarsi un applauso ed un consenso che quell’esigua platea non poteva e non voleva concedergli.
“Beh, cos’altro aspettiamo?” Fece Tissier. “Raggiungiamo quella degna città, cittadina o borgo che sia, per scoprire se è una novella Atene, un’ inaspettata Roma oppure un luogo che rifugge l’estro e la vivacità di quelli come noi.”
Essien allora fece un cenno all’uomo che guidava il carrozzone e la compagnia riprese il viaggio.
“Speriamo sia una bella cittadina, comunque.” Disse Renart.
“Bella o brutta che sia” replicò Essien “tu non ne godrai di certo le attrattive, visto che hai almeno un paio, o forse anche tre, di copioni da provare e riprovare!”
“Abbiate fiducia e vedrete che vi stupirò, maestro!” Rispose Renart sicuro di sé. “E stupirò anche te, vedrai.” Aggiunse, avvicinandosi col suo cavallo a quello di Talia.
Poco dopo la compagnia giunse nella cittadina, che aveva nome Cardien.

Melisendra 31-08-2011 05.33.15

Presto mi avrebbero portata via. L'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio.
"Aspettate..." mormorai, quasi timidamente, scostandomi appena dalla presa delle guardie.
"Così siete voi quel famoso De Jeon." Gli rivolsi un inchino, nonostante nel mio cuore provassi solo disprezzo per quell'uomo che, con le sue orazioni, fomentava il popolo e probabilmente aveva partecipato alla condanna di mio padre. La mia vita non mi apparteneva più, era finita nelle mani di quegli uomini ansiosi di trovare un nuovo spettacolo per gli occhi delle folle.
"Se..." mi tremò la voce "Se recuperaste ciò che è rimasto del tesoro dei Du Blois... lascereste libera me e la donna che avete arrestato con me?"
Rimasi immobile a guardare quegli uomini così tetri.
Sapevo dove mio padre aveva nascosto alcuni preziosi che la sua famiglia si tramandava da generazioni: la cripta del palazzo di Beauchamps. Mi augurai che non mi vedesse mercanteggiare con i suoi assassini. I gioielli di mia madre, invece, sarebbero rimasti al sicuro nel mio corsetto. Dovevo scegliere tra l'eredità dei Du Blois e quella dei Wendron e mi spiaceva ammetterlo, ma quello che rimaneva dei Du Blois era ormai perduto. Occultarne i resti sarebbe stato sciocco, a quel punto.


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