Gwen tornò in camera sua e si rimise a letto.
Ad un certo punto bussarono alla sua porta.
Bussavano con vigore.

Mi sollevai di colpo sentendo qualcuno bussare con vigore.
Ma chi diamine poteva essere?
Subito afferrai la pistola da sotto il cuscino, rimanendo seduta a letto.
"Chi è?" chiesi, volendo essere sicura prima di aprire la porta.

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"Signorina..." disse uno dei camerieri dell'albergo dal corridoio "... mi perdoni, ma ha ricevuto una telefonata... è una cosa urgente... il dottor Elv Pasent... sembra sia stato aggredito..." a Gwen.

Non credetti alle mie orecchie.
Un istante dopo mi ero già vestita ed ero pronta ad uscire.
"Aggredito?" chiesi sconvolta ed agitata, aprendo di colpo la porta "Ma... Com'è successo? Dov'è ora?"

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"Hanno telefonato qui in albergo..." disse il cameriere a Gwen "... era la sua infermiera. Pare il dottore sia passato in clinica per un controllo notturno e qui è stato aggredito. Ora è in ospedale in gravi condizioni..."

No!
No no no!
Volevo proteggerlo tenendolo lontano ed ora era lì, in gravi condizioni, fra la vita e la morte.
Mi sentivo terribilmente in colpa.
Non ero stata io a ridurlo in quello stato, ma mi sentivo in colpa.
"Come arrivo in ospedale? È distante? Dannazione, non ho nemmeno una macchina!" esclamando avvilita e confusa.

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"Se vuole" disse il cameriere "noi mettiamo a disposizione dei clienti dell'albergo un'auto." Disse il cameriere a Gwen.
La condusse nel garage dell'albergo, mostrandole l'auto.

"Grazie mille" annuii, mentre senza indugio lo seguivo nel garage.
Mi feci spiegare come raggiungere l'ospedale e partii immediatamente, sperando che tutto andasse per il meglio.

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Gwen con l'auto dell'abergo giunse in ospedale.
Soffiava un vento forte su tutta la costa, rende l'aria pulita e fresca.
Qui un'infermiera le indicò la stanza di Elv.
"Ma potrà vederlo solo per pochi minuti..." disse lei "... è in prognosi riservata..."
La portò allora nel reparto dove si trovava Elv.
Era steso su un lettino, con una flebo attaccata al braccio.
Sul viso, pallido ed emaciato, aveva i segni dell'aggressione ed era senza conoscenza.

Arrivai in ospedale, chiesi del dottore e un'infermiera mi condusse alla stanza.
Lo vidi lì, su quel lettino, pallido ed emaciato, il ronzio dei macchinari e l'odore di disinfettante erano fastidiosi ed alienanti e mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato.
Mi sedetti accanto al letto, rimanendo ad osservarlo, poi con delicatezza gli accarezzai il viso, passando le dita sui segni dell'aggressione.
Ero ancora in pena per lui e quel senso di colpa non mi abbandonava.

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