![]() |
ARDEA DE' TADDEI
“L’amore è dunque cosa si benedetta, un si felice travaglio che nessuno, privo del suo insegnamento, può perseguire onore e perfezione.” (Goffredo di Strasburgo, Tristano) Ardea fissò i due ai suoi piedi. “Cosa si nasconde dietro tutta questa storia, milady?” Chiese il cavaliere a Maria. “Rispondete, in nome del duca!” Maria lo fissò, singhiozzando ed asciugandosi le lacrime. Ardea la guardava con un sguardo austero, che esigeva risposte per svelare quell’oscura situazione, ma in cuor suo restava turbato e colpito dall’espressione di quella donna. Sempre fiera, altera, sprezzante, ora invece appariva docile ed avvilita. “Giovanni” cominciò a raccontare la donna “entrò giovanissimo al servizio di mia madre. Era forte e leale. Amava i cavalli e sembrava capace di comprendere il loro linguaggio. Mi sentii subito attratta da lui e trascorrevamo spesso interi pomeriggi a cavalcare nella brughiera.” Si asciugò di nuovo quel fiume di lacrime che le scendeva sulle rosee gote ed aggiunse: “La brughiera sa assumere colori e suoni straordinari, a seconda della stagione che l’attraversa. Anche il vento, mentre soffia tra le cime degli alberi, sembra inneggiare alla vita.” Detto questo strinse ancor più forte a se Giovanni. “Milady, la verità…” disse Ardea con un tono che non lasciava dubbi sul suo stato d’animo. Maria lo fissò, poi con un impeto di orgoglio si alzò e sembrò quasi voler sfidare il suo sguardo. “La verità” disse “è la cosa più naturale del mondo. In breve ci innamorammo.” “E come può l’amore generare tutto l’orrore che è accaduto a Frattagrande negli ultimi tempi?” Chiese Ardea. “Perché” rispose di getto Maria “quando Amore è ostacolato scatena su tutto e tutti la sua ira!” “Cosa vi ha impedito di essere dunque felici?” Chiese ancora Ardea. “Le miserie umane!” Rispose Maria. “Spiegatevi meglio.” La donna accarezzò il capo di Giovanni e poi lo baciò. “Fu la mia famiglia.” Disse. “Furono tutti loro che si opposero alla nostra felicità.” Ardea la fissò senza dire nulla. “Morta mia madre... ” aggiunse Maria “... ben presto tutti si accorsero dell’amore tra me e Giovanni. Ed a quel punto mio fratello e le mie sorelle mi imposero di dimenticarlo. Dicevano che era indegno per una nobile accoppiarsi con un umile servo!” “E voi?” Chiese Ardea. Maria abbassò il capo senza rispondere nulla. “Amore è un privilegio” disse Ardea “che richiede sacrifici per poterlo meritare.” “Voi non capite…” rispose quasi sussurrando Maria “... se non avessi lasciato Giovanni la nostra famiglia si sarebbe lacerata. Ho dovuto farlo…” “Milady, non giustificatevi con me.” Disse Ardea con un ghigno che lasciava trasparire un misto di rabbia e disillusione. “Del resto, se non si è davvero innamorati nessuno può farcene una colpa.” “Cosa intendete dire?” Chiese turbata Maria. “Quello che ho detto.” Rispose Ardea. “Non credo di capirvi.” “Avete compreso benissimo.” “Cavaliere, badate a ciò che dite!” “Milady, non siete nella posizione di intimare nulla.” “Voi non sapete quanta sofferenza abbiamo dovuto sopportare io e Giovanni!” “Ho troppo rispetto per l’amore” rispose Ardea “per lasciarmi impressionare dalle vostre lacrime.” “Voi parlate di amore!” Esclamò stizzita la donna. “Si, parlo di amore!” Replicò Ardea. “Parlo del vero amore. Quello che ti brucia dentro e ti stravolge la vita! Quello che irrompe nel tuo mondo e ti desta dal grigiore di un’esistenza senza slanci! Quello che rende superfluo ed inutile tutto il resto! Di quest’amore parlo. Un amore che smuove le montagne con la forza dei sospiri di chi ne è colpito!” “Voi non sapete nulla di me!” Esclamò fiera Maria. “Si” ribatté Ardea “e le vostre parole mi mostrano benissimo ciò che pensate.” “Non devo rispondere a voi della mia vita!” “La vostra vita è affare vostro.” Rispose Ardea. “Potete innamorarvi ogni giorno di un uomo diverso, per quanto mi riguarda. Ma i delitti ed il disordine esplosi a Frattagrande mi riguardano eccome! Ed in nome del duca i colpevoli pagheranno! Statene certa!” “Come osate parlarmi così!” Esclamò Maria. “Non accetto un simile affronto da chi si fa chiamare Cavaliere Disonorato!” “Siamo disonorati entrambi, mia signora!” Rispose lesto Ardea. “Perché entrambi abbiamo disonorato chi amavamo!” Maria lo fissò turbata, senza rispondere nulla, come fulminata da quelle parole. “Se amavate davvero quest’uomo” continuò il cavaliere “allora dovevate restare al suo fianco nonostante tutto e contro tutto! Come può sentirsi chi viene abbandonato dalla persona amata?” “Io non l’ho abbandonato!” Replicò Maria. “Non avete avuto il coraggio di seguirlo!” Disse Ardea. “Vi è mancata la forza di mettere il vostro amore al primo posto! Davanti a tutto il resto! E questo, per chi dice di amare, è imperdonabile!” Maria lo guardò impietrita, con gli occhi pronti ad esplodere. Giovanni invece restava a terra, con lo sguardo chino, senza dire nulla. Per un momento nella grotta scese un irreale silenzio e l’unica cosa che si udiva era il fuoco delle torce che bruciavano. http://preraphaelitesisterhood.com/w...ndys-medea.jpg (Continua...) |
ARDEA DE' TADDEI
“Neppure dovete scordare le vostre azioni passate, ma confessare innanzi a Dio tutto con diligenza. Questo vi raccomando, nobilissimi guerrieri. Se Dio non l’impedisce dal cielo, questa sarà l’ultima messa.” (I Nibelunghi, XXXI, 1856) La tiepida luce che dominava nella grotta, frutto di quelle torce, generava bagliori ed ombre che sembravano prendere forma e vita sulle annerite pareti di granito. Quasi a voler raccontare storie antiche, epiche, forse dimenticate e custodite per sempre nel seno della brughiera. Il rumore della legna che si consumava echeggiava nel sordo silenzio di quel luogo, dando l’idea che tutto fosse fermo ed immutabile, proprio come l’angoscia e le pene di tutti loro. Il corpo del molosso era ormai in un lago di sangue, vischioso e scuro, come se da quella carcassa fosse fuoriuscito il sangue di tutte le vittime della belva. Ardea fissava quel corpo senza vita, mentre pensieri di turbamento ed ansia si accavallavano nella sua mente. E all’improvviso, in un impeto di rabbia, conficcò al suolo la sua spada. Parusia, incastrata nel terreno della grotta, colpita dai riflessi delle torce, emanava bagliori purpurei che sembravano quasi illuminare a giorno quella prigione di pietra. “Quanti morti.” Disse Ardea. “Quanti innocenti sono stati vittima di quest’orrore e di questo delirio.” “Quella belva ormai è morta” intervenne Biago “e la pace tornerà a Frattagrande.” “Credi davvero che il vero colpevole fosse quel cane?” Rispose con rabbia Ardea. “Ecco io…” tentò di rispondere Biago. “No, i veri colpevoli sono costoro!” Disse Ardea indicando i due amanti a terra. “Costoro con la loro vigliaccheria e le loro miserie!” “Sinceramente” intervenne Maria con un filo di voce “potete pensare e dire ciò che credete, cavaliere... nessuna offesa e nessuna punizione potrebbero farmi più male di quanto non ne abbia già subito in vita.” “Se amavate davvero quest’uomo” chiese Ardea “perché non avete lottato per lui?” “L’avete detto voi stesso... ” rispose Maria con un sorriso di beffa e rassegnazione insieme “... le miserie umane…” “E voi!” Urlò Ardea prendendo per il collo Giovanni. “Voi, perché avete fatto scempio di tanti innocenti, pur di sfogare il vostro odio? Perché, in nome del Cielo? Perché?” Giovanni lo guardò con uno sguardo di apatia, senza rispondere nulla. Ad un tratto si udirono dei passi. Un attimo dopo nella grotta entrarono Luigi, le altre sue sorelle ed alcune guardie del palazzo. I loro sguardi erano di vivo stupore misto a terrore. “Come avete trovato questo luogo?” Chiese Ardea a Luigi. “Abbiamo seguito le vostre tracce con i cani” rispose dopo un attimo di smarrimento Luigi “e una volta trovati i vostri cavalli abbiamo fatto presto a scoprire questo triste luogo.” “Tutta questa storia è triste. Triste ed infamante.” Disse Ardea. “Da quanto siete qui?” “Da abbastanza tempo per aver udito ogni cosa.” Rispose Luigi con lo sguardo basso. “Allora non vi è più nulla da aggiungere.” Disse Ardea. “Ora imporrò su Frattagrande la legge del mio signore, il duca.” “E noi, come sempre, vi obbediremo.” Rispose Luigi. Così, il feroce molosso fu seppellito nella brughiera e quella grotta purificata da riti e preghiere. Il giorno seguente, al palazzo dei Mussoni, Ardea presentò il conto a tutti loro. “Entro sette giorni a partire da oggi vi occuperete di far giungere al duca tutti i tributi arretrati.” Sentenziò Ardea. “Fra tre mesi a partire da oggi, comunicherete al Castello delle Cinque Vie come amministrerete questa contrada. Se continueranno ad esistere dissapori fra di voi, la vostra stirpe perderà il diritto di amministrare queste terre.” “Tutto ciò che avete disposto” rispose Luigi “sarà compiuto. Avete la mia parola d’onore.” “L’infamia che ha colpito la vostra famiglia” aggiunse Ardea “si potrà estinguere, se Dio vorrà, solo con una giusta amministrazione di queste terre.” “E così sarà, a Dio piacendo.” Rispose Luigi. Fatto ciò, Ardea e Biago si apprestarono a partire. Ma prima del loro congedo, Maria avvicinò il cavaliere. “Credete che Giovanni pagherà con la vita?” Chiese la donna. “Il suo destino” rispose Ardea “dipenderà dal giudizio dei Migliori che sarà sancito alla presenza del re. Quel che i nobili del regno decideranno sarà il suo destino.” “Se egli tornerà un giorno da me” chiese ancora Maria “credete che ci sarà un’altra possibilità per noi due?” “Amore non è un tiranno, milady.” Rispose Ardea. “Ma bisogna essere degni dei suoi doni.” “Cosa devo fare, dunque?” Chiese Maria. “Continuare ad amare il vostro uomo.” Rispose Ardea. “Qualsiasi sia il suo destino.” “Non potrei fare altrimenti, cavaliere.” Disse la donna. “Lo so, milady.” Detto questo, seguito dal fedele Biago, il cavaliere Disonorato si congedò da Frattagrande e dai suoi abitanti. Un cielo velato salutava quella partenza. Ed anche nell’animo di Ardea, dopo quei fatti, si addensavano alte e grigi nuvole, come se preannunciassero un forte temporale all’orizzonte. http://www.querinistampalia.it/museo...sta109_245.JPG (Continua...) |
:smile_clap: complimenti ad Ardea per la felice risoluzione di un'altra questione!
Anche se queste nubi all'orizzonte non preannunciano niente di buono... ma non ha mai un momento di pace il nostro? :rolleyes: |
Ardea porta nel cuore una grave pena.
E questo è il suo tormento. Un tormento che nemmeno la sua formidabile Parusia può annientare. Tutto sembra sfumare, anche l'amore. Un amore che gli appare come un'illusione, un incanto, simile ai sogni più belli che però all'alba volano via. Sue compagne di viaggio ormai sono solo due dame: madonna Amicizia e madonna Fede. E solo loro possono, in questo viaggio, dargli conforto e mostrargli misericordia. |
ARDEA DE' TADDEI
QUARTA QUESTIONE: CASORRE, LA GIOSTRA DI GOVAROLA “Così dicendo gli mostrò tre scudi appoggiati al muro, tutti dipinti d’argento, uno con una banda vermiglia, l’altro a due bande, il terzo a tre.” (I romanzi della Tavola Rotonda, I tre scudi della pulzella Saraide) Ben presto Frattagrande ed i suoi intrighi furono ormai alle spalle dei due compagni, che proseguivano verso la prossima contrada. Il cielo era grigio e la pioggia a sprazzi compariva sulla campagna, rendendo lenta e malinconica quella giornata. Ardea e Biago si erano ritrovati ad affrontare pericoli ed ostacoli diversissimi tra loro nelle tre contrade già visitate, sfiorando la rovina e rischiando le loro vite. Erano però consapevoli di quella drammatica missione intrapresa. Ardea, tormentato dalle sue colpe, sentiva tutto questo come una sorta di purificazione e metteva in conto che tutto ciò avrebbe potuto richiedergli il più estremo dei sacrifici. E forse, nel profondo del suo cuore, la morte gli appariva come il sacrificio più adatto e giusto per i suoi peccati. Quel cavaliere andava così incontro al suo destino, pronto anche a deporre, ai piedi del suo fato, la sua stessa vita, pur di liberarsi dal fardello dei suoi tormenti. Così, con la sensazione perenne di sfida verso l’ignoto, accompagnato dal suo compagno e scudiero, Ardea si addentrava, attraverso una strada che quasi veniva inghiottita dalla foresta, nelle terre di Casorre. Il grigiore e la malinconia di quella giornata sembravano fiaccare fin nello spirito i due ardimentosi. La foresta aveva assunto un verde chiaro e brillante sotto l’umidità di quella pioggerellina che a brevi intervalli scendeva sul quello statico paesaggio. Sulla strada un leggero manto di fango e pietrisco ricopriva il terreno e rendeva come sordi i lenti passi dei loro cavalli. “Come è scuro questo luogo.” Disse Biago, rompendo il silenzio tra loro. “Questa foresta sembra volersi raccogliere su se stessa e impedire alla luce di toccare la terra.” “Già” rispose Ardea guardandosi attorno “e sembra che questo giorno, con il suo grigiore, voglia scoraggiare il nostro viaggio.” “Cosa mai troveremo qui?” Chiese Biago. “Nelle altre contrade” rispose Ardea “abbiamo trovato la morte ad attenderci. Forse qui non sarà diverso.” “Pensare al male non è un buon auspicio.” Disse Biago. “Le contrade sembravo essersi smarrite.” Rispose con un sguardo grave Ardea. “E’ ovvio perciò ritenere che qualcosa in esse non vada per il verso giusto.” Ad un tratto la strada si fece ancor meno luminosa. Gli alti e robusti alberi, che fiancheggiavano folti le due sponde della strada, intrecciavano i loro grossi rami da un verso all’altro, ricoprendo il cammino come fosse una tettoia. Così, la strada assumeva la forma di una lunga galleria, mentre le leggera pioggerella rumoreggiava su quella naturale e folta copertura. E, ad un certo punto, sugli alberi iniziarono ad apparire degli scudi. Erano inchiodati ai tronchi e messi bene in vista, tanto da essere subito notati da chi attraversava quella strada. Erano tutti diversi fra loro e, ad occhio e croce, sembrava coprire la distanza di diverse miglia. “Che novità è questa?” Chiese stupito Biago. Ardea non rispose, intento com’era a cercare di comprendere quel singolare scenario. “Che da queste parti” chiese ancora Biago “usino questo curioso modo per segnalare le distanze sulle strade?” “Non credo sia così.” Rispose Ardea. “Perché lo escludi?” “Dubito” rispose Ardea “che i proprietari di questi scudi prestino i loro simboli per indicare il cammino ai viaggiatori!” “Credi che appartengano a qualcuno questi scudi?” “Su di essi” rispose Ardea “sono in bella mostra stemmi nobiliari. Hanno quindi aristocratici padroni. O avevano, per meglio dire.” “Perché parli al passato?” “Perché, chiunque siano stati i proprietari, non li hanno di certo ceduti di loro spontanea volontà.” “Non ti seguo…” rispose confuso Biago. “Osservali bene, mio buon amico.” Indicò Ardea. “Vedi che sono tutti scalfiti o lacerati?” “Per Belzebù!” Esclamò Biago. “E’ vero!” “Questi scudi sono trofei di guerra, amico mio.” Disse Ardea. “E chi li ha vinti?” Chiese Biago, sempre più scosso da quella strana situazione. “Credo lo scopriremo presto.“ Rispose Ardea. “Appena saremo giunti a Casorre.” E proprio in quel momento la pioggia si fece più intensa, picchiando con forza sulle foglie dei rami che ricoprivano la strada verso Casorre. http://www.svartberg.com/gallery/pic...dpack_00_a.jpg (Continua...) |
Pessimo, davvevo pessimo segno! :sad_afraid: Tutti quei cavalieri... che fine avranno fatto? :confused:
|
ARDEA DE' TADDEI
“Tu ti potrai provar, se ne hai pur voglia; ma guarda ben che mal non te ne coglia.” (Luigi Pulci, Morgante, X, 42) I due penetravano sempre più, attraverso quell’alberata strada, nelle terre di Casorre. Il cielo era perennemente grigio e la pioggia, come un umido mantellino, copriva ora una parte, ora un’altra di quella campagna. E più i due viaggiatori penetravano tra i fitti alberi, che come miliari segnavano il tragitto, più quella folta gabbia sembrava volerli inghiottire per poi chiudersi alle loro spalle, come ad imprigionarli in quell’astratto scenario. Ed ogni scudo, posto su ciascun singolo albero, rendeva ancor più inquieti gli animi dei due viandanti. “Non so perché” prese a dire Biago “ma avverto qualcosa di sinistro in questo luogo.” Ardea non rispose nulla, intento com’era a scrutare ogni angolo di quel posto. Ad un tratto i due giunsero in un piccolo ed irregolare spiazzo, circondato da cespugli e alberi tranne che in un lato, dove si apriva una viuzza dissestata. Ai bordi di questa vi erano due figuri, sgradevoli nell’aspetto quanto nei modi. Erano seduti sul bordo della viuzza e consumavano avidamente un rinsecchito pasto. “Che posto è questo?” Domandò ai due Ardea. “Questa è Casorre, messere.” Rispose uno dei due. “E questi scudi, posti per almeno quattro miglia di alberi, a chi appartengono?” “A chi appartenevano, dovreste dire, milord!” Rispose il figuro. “Tutti morti?” Chiese Ardea. “Non direi, mio signore.” Rispose divertito il figuro. “Dite piuttosto sgozzati e ridotti a cibo per cani ed uccelli!” “Chi ha fatto questo?” Chiese Ardea stizzito. “Giungete da contrade assai lontane, milord, se ponete una simile domanda!” Rispose il bifolco. Ardea lo fissò. “Questi scudi” aggiunse il rustico individuo “appartennero a gran cavalieri, alcuni dei quali duchi e marchesi.” “Ed anche conti!” Intervenne l’altro figuro. “Hai ragione, vecchio mio... anche conti!” Disse l’altro ed entrambi scoppiarono a ridere. “Badate, villani, che sto perdendo la pazienza!” Tuonò Ardea. “Non vi alterate, mio signore!” Disse il primo villano. “Non è il caso, credetemi!” “Quindi questi scudi” chiese Ardea “sono cimeli di duelli?” “Si” rispose il primo bifolco “ed ora sono trofei per il nostro padrone!” “Chi è il vostro padrone?” Chiese incuriosito Ardea. “Egli è un gran cavaliere, mio signore.” Rispose il primo bifolco. “Forse il più grande mai nato!” Rispose il secondo. “Sicuramente il più feroce e violento!” Aggiunse il primo. “Sembra abbia una gran passione per i duelli.” Intervenne Biago. “Forse è attratto dalle ricchezze dei suoi avversari.” Disse Ardea. “No, mio signore!” Esclamò il primo bifolco. “Egli è un uomo ricco, essendo il signore di tutta Casorre!” “In realtà” aggiunse l’altro “egli è attratto dalle contese. Adora sopraffare gli altri, gettandoli nel disonore e nella vergogna... per poi trucidarli tra mille sofferenze.” Ardea e Biago si scambiarono un veloce sguardo. “E come può” prese a dire Ardea “un simile uomo definirsi cavaliere!” “E’ il diritto che gli da la sua forza!” Rispose il bifolco. “Il vostro padrone” disse Ardea “è solo un folle sadico e sanguinario. E un simile individuo disonora la cavalleria ed i suoi più alti valori!” “Perché allora non lo sfidate voi, mio signore?” Chiese con un ghigno il villano. “Ricorda che siamo diretti a Casorre” intervenne Biago “e non possiamo fermarci a sfidare ogni cavaliere che incontriamo.” “Io non lo definirei un cavaliere colui che sfida i suoi avversari solo per amore della violenza!” Sentenziò Ardea. “Non discutete su questo!” L’interruppe il bifolco. “Nessuno può entrare o uscire da Casorre senza aver sfidato e vinto il nostro signore!” “E questo” intervenne l’altro bifolco “non è mai accaduto!” Ed entrambi scoppiarono in una grassa e grottesca risata. Ardea allora fissò Biago per alcuni istanti senza dire nulla, mentre tutto intorno a loro sembrava etereo ed incantato a causa di quel perenne manto d’umidità, che pareva eternamente adagiato sulla misteriosa ed inquieta contrada di Casorre. http://www.surlalunefairytales.com/i...ore_sleep3.jpg (Continua...) |
ARDEA DE' TADDEI
“Amleto: <<Tutto ciò mi turba assai. Siete di guardia stanotte?>> Marcello e Bernardo: <<Si, mio signore.>> Amleto: <<E’ armato, dite?>> Marcello e Bernardo: <<Armato, signore.>> Amleto: <<Dalla testa al calcagno?>> Marcello e Bernardo: <<Da capo a piedi, signore.>> Amleto: <<Sicché non lo avete visto in faccia?>> Orazio: <<Oh, certo! Aveva la visiera alzata.>>” (Shakespeare, Amleto, I, II) La pioggia scendeva a tratti, lasciando ovunque, su quella sterminata campagna, un alone di umidità ed apatia. Le foglie perennemente inumidite formavano un verdeggiante manto, compatto ed immobile, che ricopriva ogni cosa. La strada era resa pesante da un vischioso strato, fatto di fango e terriccio, che la ricopriva. L’eco delle irritanti e volgari risate dei due villani si diffondeva nell’aria, quasi a voler rompere l’irreale ed avvilente silenzio che dominava in quel luogo. “E chi l’ha proclamato signore di Casorre?” Chiese Ardea ai due villani. “La sua forza, mio signore!” Rispose di getto il primo dei due. “Egli uccise gli antichi signori di Casorre” aggiunse l’altro “e ne prese il posto.” “E nessuno è mai giunto a chiedere conto del suo atto di violazione?” Chiese Ardea. “Certo, mio signore…” rispose il primo bifolco “... e giunse tempo fa un manipolo di soldati inviato dal duca in persona... ma egli li annientò in breve tempo!” “E se voi, mio signore, aveste la pazienza di cercare i loro scudi su questi alberi” aggiunse l’altro “potrete aver testimonianza di quanto vi abbiamo raccontato!” Ed entrambi diedero di nuovo forma e suono alle loro deformi risate. “Quale nome ha questo spregevole ed indegno cavaliere?” Chiese visibilmente alterato Ardea. “Il nostro signore è il possente ser Govarola!” Rispose con baldanza il primo bifolco. “E questa dove molti sono stati abbattuti è la sua giostra!” Aggiunse l’altro. “E sia!” Esclamò Ardea. “Ora vedremo se il vostro degno padrone è all’altezza dello scempio che mi avete raccontato!” “Vuoi sfidarlo?” Chiese Biago. “Ne sei davvero sicuro?” “Siamo diretti a Casorre” rispose Ardea “e per farlo sembra bisogna confrontarsi con quel feroce cavaliere.” “Ed è proprio così, mio signore!” Esclamò il primo dei due villani. “Come e dove posso incontrare il vostro malvagio padrone?” Chiese Ardea. “Imboccate questa stradina” cominciò a dire il primo dei due villani “e percorretela tutta. Giungerete così nel cuore di questo bosco. Lì troverete una piccola cappella, nella quale si trova un dipinto della Vergine con il Bambino. Accanto al dipinto vi è una campanella appesa. Prendetela e fatela suonare.” “E una volta fattala suonare cosa accadrà?” Chiese Ardea. “Arriverà il nostro padrone a raccogliere la vostra sfida, messere!” Rispose il Bifolco. “Bene, io vado.” Disse Ardea voltandosi verso Biago. “Verrò con te.” Rispose questi. “Impossibile, mio buon amico!” Intervenne a dire il bifolco. “Uno sfidante alla volta può recarsi verso la cappella.” “Io non sono uno sfidante, ma uno scudiero” rispose nervosamente Biago “ed il mio compito e seguire il mio cavaliere!” “Impossibile!” Sentenziò il bifolco. “Chi ci dice che il vostro padrone sarà solo” chiese irrequieto Biago “e non avrà invece qualche sgherro a dargli man forte?” “Egli ama troppo le sfide” rispose il bifolco “e non si è mai fatto spalleggiare da nessuno quando ne ha sostenuta una.” “E dovremmo credere a due villani come voi?” Ringhiò irritato Biago. I due villani risposero accennando una risata di scherno ai timori di quello scudiero. “Tu resta qui, Biago.” Ordinò Ardea. “Allora, con vostra licenza, mio signore, noi ci giocheremo le vostre armi.” Disse ridendo il primo bifolco. “Aspettate il mio ritorno!” Disse Ardea. Detto questo spronò il fedele Arante e infilò la via indicatagli dal bifolco. Poco dopo scomparve nell’irreale foschia di quel luogo, lasciando Biago inquieto ed intimorito da quella nuova e singolare Questione. http://3.bp.blogspot.com/_dLSVgS5AxB...BurneJones.jpg (Continua...) |
:sad_evil: che orribile soggetto deve essere questo Govarola... orribile quanto quei due indegni figuri che ha lasciato a decantare le sue gesta!! :silenced:
;) |
ARDEA DE' TADDEI
“Se avesse con se qualche compagno del suo valore, il fellone che ci molesta se ne andrebbe sconfitto e coperto d’onta.” (Chretien de Troyes, Ivano) Il bosco appariva come un irreale angolo al di fuori del mondo. La vegetazione era folta e selvaggia, dominando ogni porzione di quel chimerico luogo. Un velo di perenne umidità pareva ricoprire ogni cosa, fissando l’intero scenario come in un immutabile attimo di eternità. Ma ciò che colpiva e turbava Ardea, nell’attraversare quel bosco, era la totale mancanza di suoni. Un bosco, per sinistro o misterioso che sia, è sempre attraversato da rumori, versi, echi. Questo invece sembrava incantato. Neanche il fiero passo del suo Arante sembrava provocare alcun rumore. E man mano che penetrava in quello strano scenario, una viva inquietudine sorgeva nel suo cuore. Ad un tratto il cavaliere sembrò cogliere qualcosa. Un eco, una risonanza, una sensazione. Qualsiasi cosa fosse, egli l’aveva avvertita in pieno. Come se qualcosa avesse attraversato, per un istante, quel luogo. Si voltò di scatto e per alcuni istanti fissò le cime degli alberi che si incontravano verso l’alto, negando quasi al cielo la possibilità di illuminare quel bosco. Eppure niente sembrava mutato. La stessa staticità, la stessa immobilità dominava quel luogo. Continuò allora a percorrere quella stradina. Ma poco dopo, di nuovo, sentì qualcosa. Un qualcosa che echeggiava fin dentro il suo animo. “Eppure” pensò “c’è qualcosa qui…” Si guardò intorno, ma neanche stavolta vide nulla. Ora pero l’ansia e l’inquietudine erano forti. A tratti insopportabili. Sentì allora un forte bisogno di scendere dal suo destriero e toccare terra. Prese un pugno di terra nel suo guanto e se la fece scivolare fra le dita. Era alla ricerca di qualcosa di concreto, di reale, di vivo. Di qualcosa insomma che rendesse vero e tangibile quel bosco. Restò così qualche istante, per poi riprendere il cammino. La stradina era in cattive condizioni e ed un denso strato di melma la ricopriva. L’umidità si avvertiva sempre più, lasciando tante goccioline sulla sua argentea corazza. Ad un tratto la via si allargò sensibilmente. Dava allora ad un piccolo dosso, dove anche i fitti alberi sembravano cedere un po’ più di spazio. E appena vi fu sopra vide al centro del dosso una piccola cappellina. Vi si avvicinò e scese da cavallo. All’interno vi era un dipinto della Vergine con il Bambino. Il cavaliere allora si inginocchiò e recitò delle preghiere. Invocò poi la Santa Benedizione Divina su di sé e si segnò tre volte. Si accorse allora di un piccola campana appesa accanto al dipinto. La prese e la suonò con vigore. In quel momento un alito di vento attraversò quel luogo, scuotendolo dall’irreale torpore che sembrava averlo dominato fino a quel momento. Un attimo dopo si udirono alcuni decisi passi di cavallo. Comparve allora, dall’altra parte del dosso, un robusto e massiccio cavaliere. Una spessa ed ottonata corazza lo copriva totalmente ed una tunica di un turchese spento era avvolta sul suo grosso busto. Il misterioso cavaliere teneva una lunga ed appuntita lancia con la mano destra, mentre con la sinistra portava un largo e poderoso scudo. Era immobile, senza dire e fare nulla, fissando Ardea come la belva feroce fa con la sua preda poco prima di attaccarla. http://rlv.zcache.com/synd_knight_po...72vsu7_500.jpg (Continua...) |
(Un altro buon motivo per tornare felicemente a Camelot ;) )
|
Questa storia sta diventando sempre piu bella e appassionate :o
|
ARDEA DE' TADDEI
“ <<Ti sei confessato, fratello?>> domandò il templare. <<Sei andato a messa questa mattina prima di mettere così in pericolo La tua vita?>> <<Sono più pronto di voi ad affrontare la morte>> rispose il Cavaliere Diseredato, perché era con questo nome che lo sconosciuto si era fatto registrare sull’albo del torneo.” (Walter Scott, Ivanhoe, VIII) Quell’angolo di bosco, reso irreale nell’immutabilità che avvolgeva ogni cosa, appariva come un’arena da cui sembrava impossibile fuggire. I due avversari erano immobili ed in silenzio, l’uno di fronte all’altro, mentre ogni cosa di quell’incantato scenario sembrava non attendere altro che l’inizio della terribile contesa. “Chi siete, cavaliere?” Chiese Ardea, rompendo quell’insopportabile silenzio che aveva dominato la scena fino a quel momento. Il cavaliere misterioso con la mano alzò la visiera dell’elmo, mostrando solo i suoi enigmatici occhi. Erano circondati da rughe e cicatrici. Due sottili fessure lasciavano trasparire occhi piccoli e neri, mentre ciocche di capelli grigi si affacciavano sulle folte e scurissime sopracciglia. Quello sguardo emanava un'unica ed inequivocabile espressione. Ed Ardea la percepì in pieno. Gli occhi di Govarola, infatti, altro non lanciavano che bagliori di malvagità. Chiunque fosse quel cavaliere, era chiara la sua indole. Sotto quella spessa corazza, vi era un uomo assetato di odio e bramoso di violenza. “Avete un nome, cavaliere?” Chiese ancora Ardea, davanti al silenzio del suo avversario. “O è troppo coperto di infamia per poterlo gridare ad alta voce?” “Fossi in voi” rispose urlando Govarola, con una voce grossa e sgraziata “non mi curerei di queste cose!” “E perché mai?” Chiese Ardea. “Perché tutto ciò che riguarda i vivi” rispose il suo avversario “presto non sarà più affar vostro!” “E voi, vista la vostra ottusa sicurezza, non bramate conoscere il nome di colui che vi accingete a sconfiggere?” Chiese Ardea con tono di beffa. “I nomi dei miei avversari” rispose con un ringhio Govarola “sono effimeri quanto gli ultimi istanti di luce nel crepuscolo!” “Non vi importa dunque conoscere” chiese ancora Ardea con tono di sfida “se coloro che avete sfidato e vinto siano realmente cavalieri, o solo briganti e villani?” “Che importanza volete che abbia per me cosa siano stati in vita i miei avversari!” Rispose orgoglioso e sprezzante Govarola. “Quando si giunge all’Inferno, i demoni non fanno distinzione tra nobiltà e volgo!” “Parlate dell’Inferno” esclamò Ardea “e presto ne conoscerete le pene, marrano!” “Invero” gridò Govarola “io tratto tutti allo stesso modo, siano essi re o servitori! A tutti coloro che mi sfidano io regalo una morte lenta, dolorosa ed ignobile! E voi, come chi vi ha preceduto, non troverete altro che non sia disonore e sofferenza!” “Parlate come un boia, non come un cavaliere!” Disse Ardea. “Preparatevi...” minacciò Govarola “... il demonio sta venendo a reclamare la vostra miserabile vita!” “Sapete, cavaliere...” disse Ardea “... da quando ho intrapreso il mio viaggio a nessun avversario ho rivelato il mio nome... ma a voi lo dirò.” “Non mi interessa!” Gridò Govarola con sdegno. “Ve lo dirò ugualmente, ma non ora.” Ribatté Ardea. “Questi sono gli ultimi istanti di vita... non vi sarà un dopo per voi!” Minacciò Govarola. “Vi rivelerò il mio nome al momento giusto.” Disse Ardea. “Basterà il vostro scudo.” Urlò ancora Govarola. “Esso sarà un nuovo trofeo per me... e tutto ciò che resterà di voi!” “Basta parlare ora!” Gridò Ardea. “Le parole non hanno prezzo da pretendere... l’acciaio invece si! Parleranno le nostre armi da questo momento!” Govarola, per tutta risposta, si calò la visiera e prese la giusta rincorsa. Lo stesso fece Ardea. “Fino alla morte!” Urlò Govarola. “Fino alla morte!” Rispose Ardea. Un attimo dopo tutti e due i contendenti lanciarono i loro pesanti ma agili destrieri verso il proprio avversario, scuotendo la terra e destando finalmente quel luogo dall’irreale sonno in cui sembrava essere imprigionato da sempre. http://www.historiabari.eu/Articoli/...telroncolo.jpg (Continua...) |
:confused1: ma questo Govarola è odioso... spero che Ardea lo faccia fuori alla svelta, non lo voglio più vedere! :naughty_snooty:
|
concordo con Talia...so che questi sentimenti non dovrebbero appartenere ad una dama ma.....lo odiooooooooooooooo!!!!!!!!:laughing_lol1: è un rozzo e villano,ecco...opsss:silenced:
|
ARDEA DE' TADDEI
“Con destrieri già di per sé infrenabili nel salto, quei due, spronando, dal galoppo si lanciarono alla grande carriera. Mostrarono chiaro il loro ardimento di cavalieri, né l’uno frodò l’altro di un solo colpo.” (Wolfram Von Eschenbach, Parzival, I) La polvere si alzò veloce sotto i poderosi passi di quei fieri sauri. Un manto, spesso e fitto, avvolse in breve le due sagome che, rapide, si avvicinavano sempre più l’una all’altra. L’incedere era perentorio ed il folle galoppo dei cavalli sembrava essere scandito da un inesorabile conto alla rovescia, alla fine del quale i due cavalieri si sarebbero scontrati. Ed un attimo dopo avvenne il terrificante impatto. Il colpo fu forte ed echeggiò nell’aria, disperdendosi in quel bosco. Un momento dopo gli scudi andarono in frantumi, a causa del possente impatto con le robuste lance. Ma anche queste finirono in mille pezzi, travolte dall’impeto e dall’odio che i due contendenti provavano. Ma quel devastante impatto ebbe conseguenze che andarono oltre la distruzione delle armi. Entrambi i cavalieri, infatti, furono disarcionati dai loro destrieri, finendo a rotolare nella polvere. Ma un attimo dopo furono già in piedi e con le spade in pugno continuarono quella terrificante tenzone. Govarola colpiva con tutta la sua forza l’odiato avversario. Il suo spadone, robusto ed affilato, sembrava fendere l’aria ogni qualvolta si muoveva. La lama era divenuta opaca, resa così dal sangue delle tante, troppe, vittime che aveva ormai intriso il suo acciaio. Ardea invece impugnava la fiera Parusia, vigorosa e luccicante e respingeva i folli colpi del suo rivale. Lo scintillio di quelle spade e l’eco delle lame che si infrangevano fra loro dominava tutta la scena. I due campioni lottavano come belve, decise a cibarsi della vita del proprio nemico. Ma ben presto Govarola si accorse che il suo avversario era molto diverso da tutti coloro che aveva sfidato in passato. Ardea teneva ben a bada i suoi attacchi ed anzi li restituiva colpo su colpo. Ma più passava il tempo, più Ardea sentiva le forze abbandonarlo. Ciò era dovuto al grande sforzo che richiedeva quella battaglia. Govarola infatti aveva una forza ben al di sopra da quella posseduta da un uomo normale. Respingere i suoi attacchi non era quindi cosa semplice ed Ardea ben presto comprese la situazione. Continuando così, capì presto Ardea, quella contesa gli avrebbe in breve sottratto ogni forza. Decise allora di cambiare tattica e smise di affrontare il suo avversario a viso aperto. Iniziò così a schivare i violenti colpi del suo nemico. Lo scopo di Ardea era quello di sfiancare Govarola, facendolo in pratica colpire a vuoto. Ma anche questo modo di combattere aveva i suoi rischi. Evitare e schivare i feroci colpi di Govarola era tutt’altro che semplice. Un tentennamento, un infinitesimale attimo di indecisione e la sua carne sarebbe stata bersaglio dei colpi di Govarola. Ardea allora cercava di mettere spazio fra sé ed il suo rivale, ma questi, nonostante la sagoma rozza e sgraziata, si muoveva abbastanza velocemente e riusciva sempre a marcare stretto il cavaliere delle Cinque Vie. E quando i colpi di Govarola andavano a segno, trovavano sempre la cromata lama di Parusia a bloccarli. Ma parare gli attacchi di Govarola a lungo andare avrebbe in breve prosciugato le forze di Ardea. Infatti, il figlio del duca cominciava ad avvertire dolore alle braccia, intense fitte ai fianchi e pesantezza nelle gambe. Ogni qualvolta bloccava un attacco di Govarola si sentiva scuotere fin dentro le ossa e la terra sotto i suoi piedi gli sembrava scivolosa e scomposta. Cominciava ad ansimare e non rispondeva più agli attacchi del suo avversario, limitandosi solamente a bloccare i violenti fendenti che questi gli lanciava. Ad un tratto Govarola arretrò di alcuni passi. Ardea comprese che stava caricando per un nuovo attacco. Forse quello decisivo. Infatti Govarola impugnò con forza l’elsa del suo spadone e dopo un momento di attesa si lanciò verso il suo rivale. Ardea ebbe solo il tempo di stringere a due mani Parusia e lanciare un fendente verso quella brutale sagoma che gli balzava addosso. Un momento dopo i due cavalieri si superarono rapidi, lanciando ognuno il proprio ultimo e fatale colpo. Un alito di vento ed un irreale silenzio dominarono in quel momento quel luogo. I due cavalieri erano immobili, con ancora le spade in pugno, uno alle spalle dell’altro. E dopo un indefinito istante caddero entrambi al suolo come morti. http://blufiles.storage.live.com/y1p...j3VAW_zxc7g2Ks (Continua...) |
"...e caddi come corpo morto cade" (reminescenze... :D)
:sad_cry: nooo, e ora? |
Citazione:
|
@Guisgard
Allora... che la musa stessa si sia ispirata al Sommo Poeta? :D |
Citazione:
|
ARDEA DE' TADDEI
“Amleto: <<Il vostro affetto, dite; ed il mio a voi. Lo spettro di mio padre in armi? Brutto affare! Qui sotto c’è una trappola… Fosse già buio! Oh, anima mia, cerca di restar calma. Le azioni dei malvagi non possono sfuggire agli occhi degli uomini. Con tutto il suo sforzo la terra non riesce a nasconderle.>>” (Shakespeare, Amleto, I, II) Il terreno del bosco era fangoso e vischioso, reso così a causa dell’umidità. Ardea sentiva l’intenso odore dell’erba bagnata attorno a se. Sollevò la visiera del suo elmo ed alzò gli occhi azzurri, ora resi quasi vermigli per il sangue, verso il suo avversario. Govarola era steso a terra, in una pozza di sangue. Ardea tentò di sorridere ma una forte fitta glielo impedì. Si portò allora una mano sul fianco e, toccandosi la tunica, vide il suo guanto di ferro sporco di sangue. Cercò allora con gli occhi il suo fianco. Ebbe solo la forza di chinare il collo e vedere un fiume di sangue sgorgare dalla sua tunica lacerata. In quel momento sentì le sue ultime forze abbandonarlo. Si levò improvvisamente un forte e fresco vento che cominciò a soffiare su tutta la campagna. Attraversava rapido quella distesa verde, correndo fra le spighe di grano e le poderose querce, che al suo passaggio piegavano, come inchinandosi, le loro cime al cielo. Ardea era in groppa al suo cavallo. Riconobbe subito quell’aria e quella terra. L’odore dei prati in fiore ed i colori che guarnivano quel pastorale scenario. Era finalmente ritornato alle Cinque Vie. Il cielo era di un intenso blu e le nuvole che lo attraversavano era candide e lucenti. Rivide in un attimo le sue corse ed i suoi giochi da ragazzo. I suoi allenamenti e le lunghe cavalcate con suo padre. Accarezzò allora il suo Arante. “Siamo tornati a casa, amico mio.” Disse sorridendo. Avanzò allora lungo quella piccola stradina e cominciò a scorgere in lontananza la sagoma del castello ducale. Un intenso brivido percorse tutto il suo corpo. Una gioia viva e straripante si impossessò di lui. Il cuore cominciò a battergli forte e gli occhi gli divennero lucidi. “Dopo tante sofferenze” pensò “sono di nuovo a casa.” Ad un tratto si sentì chiamare. Si voltò e vide una figura in lontananza. Era immobile e lo fissava senza dire nulla. Ad un tratto gli fece un cenno. Ardea allora cominciò ad avvicinarsi a quella misteriosa figura. E più si avvicinava, più riconosceva in quella figura i tratti di una ragazza. La ragazza allora, appena fu raggiunta dal cavaliere, si tolse il velo che copriva il suo volto. Ardea restò turbato e sorpreso, riconoscendo quella figura. Questa gli sorrise. Era la ragazza che Ardea vide alla locanda di Caivania. La stessa ragazza a cui aveva donato il suo cuore. “Perché proseguite in quella direzione, cavaliere?” Chiese quella bellissima ragazza. “Lì c’è il castello di mio padre.” Rispose Ardea. “Lì non c’è nessuno.” Disse la ragazza, fissandolo con i suoi meravigliosi occhi chiari. “Di qua invece vi stanno aspettando.” “Chi mi sta aspettando?” Chiese stupito Ardea. La ragazza non rispose nulla. Abbassò gli occhi inumiditi dal pianto e si coprì di nuovo il volto con il suo velo. In quello stesso momento, in fondo alla strada, apparve qualcuno. Era un grosso cavaliere su un cavallo nero. “Quello è il cavaliere che mi sta aspettando alla cappella di San Michele!” Disse Ardea. “E’ tornato il duca!” Gridò un contadino che attraversava la campagna. “Presto, andiamo a rendergli omaggio!” Ardea si voltò di scatto e vide suo padre. Era a pochi passi da lui e gli dava le spalle. “Padre!” Gridò Ardea. “Padre, sono io!” E in quel momento si alzò di scatto da letto, chiamando ancora suo padre. Era sudato ed agitato. Le mani gli tremavano e sentiva il cuore battergli forte. Comprese allora che era stato tutto un sogno. Solamente un sogno. Si guardò intorno. Era in una capanna di legno. A pochi passi da lui c’era un camino acceso ed accanto al fuoco stava un uomo di grossa stazza che gli dava le spalle. http://www.agrisantamaria.it/immagin...no-enoteca.jpg (Continua...) |
Citazione:
:rolleyes: oh, meno male... ero così preoccupata per Ardea!! :sad_afraid: :smile: |
ARDEA DE' TADDEI
“Prospero: << Calmati e non temere più; di al tuo cuore pietoso che non è accaduta nessuna sventura.>>” (Shakespeare, La tempesta, I, II) “Avete ripreso conoscenza…” disse l’uomo accanto al fuoco “... bene.” “Dove mi trovo?” Chiese Ardea, ancora intontito. “Siete ospite nella mia umile capanna.” Rispose l’uomo. “Chi siete voi?” Chiese ancora Ardea. “E come sono giunto qui?” L’uomo sistemò un grosso pezzo di legna di traverso sul fuoco ed avvicinò un bacino di terracotta alla brace ardente. “La minestra è quasi pronta.” Disse fissando il fuoco. “E voi avete bisogno di mangiare carne.” Ardea lo guardava senza dir nulla, incuriosito come era da quel luogo e dal suo proprietario. “Vi ho trovato senza conoscenza” aggiunse l’uomo “ed in una pozza di sangue nel bosco.” “Già…” disse Ardea “… ora ricordo… il duello…” “Si, la scena in cui giacevate come morto” rispose l’uomo “dava proprio l’idea di un duello appena concluso.” “Il mio avversario…” cominciò a dire Ardea. “Era poco distante da voi, senza vita.” Lo interruppe l’uomo. “Dio sia lodato…” disse Ardea “… ho vinto quel marrano.” L’uomo non disse nulla. “Chi siete voi?” Chiese Ardea. “Sono un vecchio abitante di questo bosco.” Rispose l’uomo senza mai voltarsi. “E vivete qui tutto solo?” “Si, lontano dai miei simili ho meno possibilità di peccare.” “Siete dunque un eremita, allora.” “No, non confondiamo la preziosa seta con la comune lana!” Rispose l’uomo. “Un uomo di Chiesa è ben altra cosa. Io sono solo un semplice peccatore.” “Lo siamo tutti.” Disse Ardea. “Si, ma non tutti abbiamo la capacità di comprenderlo” rispose l’uomo “e l’umiltà di riconoscerlo, purtroppo.” “Ma il giusto castigo” sentenziò Ardea “alla fine colpisce sempre i rei.” “Fortunatamente” aggiunse l’uomo “il Supremo Giudice non sbaglia mai.” “Verissimo.” Rispose Ardea. “L’antica saggezza popolare” continuò l’uomo “recitava spesso che Dio è tardivo nel far attendere i suoi propositi, ma non dimentica mai di realizzarli!” “Parlate da saggio.” “Quella che voi chiamate saggezza, ma che io invece definisco esperienza di vita, è uno dei pochi vantaggi che si raggiungono alla mia età.” “Qual è il vostro nome, signore?” Chiese ancora Ardea. L’uomo allora smise per un momento di mescolare la minestra e finalmente si voltò verso il suo ospite. Mostrò così il suo volto. Un volto maturo ma fiero, ben incorniciato da capelli lunghi e bianchissimi che unendosi con la folta barba, anch’essa bianca, racchiudevano quasi tutto il suo capo. Lo sguardo, le gote ed il naso erano le sole cose che quel manto bianchissimo lasciava fuori dalla sua fluente massa. Gli occhi erano di un azzurro intenso e caldo, circondati da poche ma decise rughe. Il naso, aquilino e pronunciato, dava un’espressione a quell’uomo di austerità e nobiltà insieme. La corporatura era robusta ed i suoi movimenti lasciavano trasparire orgoglio, dignità e lignaggio. Ardea, fissandolo, sentì come un sussulto nel suo cuore. Qualcosa di quel volto sembrava turbarlo. Qualcosa però che egli non riusciva a comprendere. Rimase così a fissare quel misterioso uomo, mentre nella capanna i bagliori del fuoco acceso generavano giochi di luce e ancestrali ombre che sembravano rendere quel luogo come una proiezione dell’Aldilà. http://www.cinecon.com/bigstory/orlandobloomint_435.jpg (Continua...) |
ecco ed ora che succede???chi è questo saggio misterioso?
ps:bene ora turberete i miei sonni con quest' immagine sir..non si può vedere un Bloom cosi e rimanere impassibili:naughty:...:p |
Citazione:
|
ARDEA DE' TADDEI
“E così splendido era l’eroe figlio di Zeus, con le guance fiorite di leggera peluria e gli occhi splendenti, ma la forza ed il vigore di una belva. Muoveva le braccia, provando se erano ancora agili come in passato e non le avevano appesantite né la fatica, né il remo.” (Apollonio Rodio, Le Argonautiche, II, 42) “Ecco, la nostra sobria cena è quasi pronta.” Disse l’uomo. “Come va la vostra ferita?” Ardea allora, quasi istintivamente , portò il suo sguardo sul fianco. “Va meglio, credo...” rispose “... non mi causa alcun dolore.” Poi, fissando l’uomo aggiunse: “Suppongo siete stato voi a curare la mia ferita.” L’uomo si avvicinò al letto e gettò uno sguardo sulla stretta fasciatura che teneva fermo il fianco del cavaliere. “Si, non sanguina più.” Disse tastandola con le dita. “Del resto sono tre giorni che dormite. La ferita ha così avuto modo di riposarsi a dovere. Fortunatamente non era molto profonda. Siete stato fortunato, Govarola quando colpisce lo fa sempre a morte.” Ardea, avvicinatosi quell’uomo, lo fissò con ancora più attenzione. Il viso era praticamente sommerso dai lunghi capelli e dalla folta barba e la penombra della capanna non rendeva certa più chiara la sua immagine. “Tre giorni?” Ripeté Ardea. “Mi state dicendo che sono qui già da tre giorni?” “Si, tre giorni e tre notti.” Rispose l’uomo mentre riempiva due ciotole di minestra. “Ecco, ora mangiamo. Voi avete bisogno di forze, altrimenti non potrete lasciare questo luogo e riprendere il vostro viaggio.” “Come sapete che sono in viaggio?” Chiese incuriosito Ardea. “Nel sonno i primi due giorni avete delirato.” Rispose l’uomo senza scomporsi. “E parlavate del vostro viaggio e di qualcosa che vi attendeva.” “Sono vostro debitore.” Disse Ardea. “Mi avete salvato la vita e concesso ospitalità. Qual è il nome a cui devo tutto ciò?” “Fin quando vivevo in mezzo agli altri” rispose l’uomo senza alzare lo sguardo dalla sua ciotola “tutti mi chiamavano Memmone il Fragolo.” “Siete dunque di Afragolignone anche voi!” Disse Ardea. “Conoscete quindi il duca Taddeo d’Altavilla!” “Mi sono ritirato qui” rispose Memmone “da troppo tempo. Gli usi ed i nomi degli uomini mi sono ormai indifferenti.” “Per non conoscere il duca” replicò Ardea “vuol dire che siete qui da molto tempo!” “Mangiate o non vi rimetterete.” Disse l’uomo. Ardea allora consumò la sua cena. Dopo i due stettero un po’ accanto al fuoco, senza però scambiarsi molte parole. In realtà Ardea avrebbe voluto, ma quell’uomo non sembrava molto socievole. Forse quella vita da eremita lo aveva indotto in tale comportamento, pensava Ardea e non volle quindi forzare più di tanto. Del resto il nostro cavaliere continuava a fissare il suo misterioso salvatore, cercando di capire perché quel volto lo turbasse tanto. Dopo un po’ l’uomo si alzò e diede la buonanotte al cavaliere. Anche Ardea si coricò, ma non riuscì a prendere sonno tanto presto. Il giorno seguente il Sole era alto e penetrava con forza da due piccole finestre sulla parete. L’uomo servì del latte fresco di pecora al suo ospite, accompagnato da del pane caldo. “Come vi sentite oggi?” Chiese ad Ardea. “Molto meglio!” Rispose Ardea. “La ferita non la sento neanche più!” “Bene, così potremo capire quando sarete in grado di ripartire.” Rispose Memmone. “Sembra abbia un gran fretta di liberarsi di me...” pensò Ardea “... del resto se ha scelto questa l’avrà fatto perché stanco del mondo, probabilmente.” “Ve la sentite di provare?” Chiese Mammone. “A far cosa, signore?” “A provare la vostra forza.” “La mia forza?” Ripeté incuriosito Ardea. “Si. Quando vi sarà ritornata allora potrete ripartire.” “E in che modo proveremo?” Chiese Ardea. “Lottando.” “Lottando?” Ripeté Ardea. “E con chi?” “Con me.” Rispose Mammone. “Non vi sembro forte abbastanza da poter rappresentare un buon allenamento?” “Certo, siete alto e robusto.” “Allora approfittate!” Disse Mammone. “Provate a spostarmi.” I due allora cominciarono quella prova. Ardea si lanciò verso il suo avversario e lo afferrò per i fianchi. Cercò allora di spostarlo, ma Mammone gli portò un braccio attorno al collo e lo atterrò con facilità. “Siete ancora debole, cavaliere.” Disse l’uomo aiutandolo ad alzarsi. “Non è ancora il momento per voi di ripartire.” Aprì allora la porta della capanna, lasciando entrare la chiara luce del Sole, che invadendo tutta la stanza quasi abbagliò lo sguardo di Ardea, non più abituato al chiarore del giorno. http://lh4.ggpht.com/_sO4CMauV5xg/Rt...io-di-sole.jpg (Continua...) |
ARDEA DE' TADDEI
“Polvere sono i cavalieri, ruggine le loro spade, con i santi sono le loro anime, noi crediamo.” (Samuel Taylor Coleridge) Il giorno trascorse lento. Memmone preparò una tisana per il suo ospite e sgozzò uno dei suoi capretti per sfamarlo. Gli offrì poi del vino rosso. “Questo è il sangue rosso della terra.” Disse ad Ardea. “Bevetene e rigenererà il vostro.” Quando giunse la sera, i due trascorsero ore serene accanto al fuoco. Ardea pian piano prese confidenza con quel suo misterioso salvatore e cominciò a raccontare un po’ di sé. Memmone però non sembrava particolarmente impressionato da tutto ciò che era successo al suo ospite. L’unica volta che rispose qualcosa fu quando Ardea gli parlò dei suoi sensi di colpa per aver abbandonato suo padre. “La vita ha diverse stagioni” disse “e non tutte sono raggianti come un giorno di primavera. Quando si attraversa un periodo difficile, bisogna prenderne atto e cercare di non peccare ancora. La tentazione si annida nelle nebbie dei nostri stati d’animo.” Poi concluse: “Ora è tardi, sarà meglio andare a dormire.” Il giorno dopo, Memmone chiese ancora ad Ardea di testare la sua forza. I due lottarono di nuovo ed ancora una volta Ardea ebbe la peggio. Ogni giorno, per dieci giorni, Memmone chiese ad Ardea di lottare per provare il suo stato di salute. Il tredicesimo giorno, costretti nella capanna per il forte vento che scuoteva il bosco, Memmone mostrò alcune cose al suo ospite. “Queste sono armi forgiate con quelle di Govarola.” Disse, mostrandogli alcune frecce. “Erano armi di strabiliante e superba fattura. Sarebbe un peccato lasciarle inutilizzate.” “Perché ne avete fatto delle frecce?” Chiese Ardea. “La sua spada ed il suo scudo, come anche la sua mazza ferrata erano in buono stato.” “Erano armi maledette” rispose Memmone “e andavano purificate. Troppo sangue aveva intriso la loro superficie.” “Allora vi faranno comodo.” Disse Ardea. “Sono per voi, non per me.” Rispose l’uomo. “A me non occorrono armi. Mi sono ritirato dal mondo proprio per non aver più a che fare con le sue miserie.” “Per me?” Ripeté Ardea. “Si, potrebbero servirvi.” “Perché dite questo?” Chiese Ardea. “Siete un cavaliere, giusto? Allora vi occorreranno di certo.” “Ho già una magnifica arma.” Disse Ardea. “Una formidabile ed invincibile spada.” “Non esistono armi invincibili.” Rispose l’uomo con tono disilluso. “Tutto dipende dalla maestria di chi le adopera.” “Parlate così perché non conoscete Parusia.” Disse fiero Ardea. “Nemmeno la mitica Excalibur e la possente Durlindana potrebbero tenere testa a questa divina spada.” L’uomo sorrise. “Mio tenero amico” disse “conosco ogni arma di questo mondo, compresa la leggendaria spada di cui mi parlate. Ma i grandi di Afragolignone sanno bene che l’arma non può nulla se il cuore di chi la brandisce non è saldo. E voi ne avete avuto la prova con Govarola.” “Cosa rende il cuore saldo?” Chiese Ardea. “I valorosi e gli ideali che lo riempiono.” Sentenziò l’uomo. Poi si alzò ed invitò Ardea a battersi di nuovo. “Provatemi la vostra forza ed insieme ad essa quanto è saldo il vostro cuore.” Ardea si alzò e si apprestò alla sfida. Gli occhi dei due si incrociarono in un intenso sguardo che provocò ad Ardea un turbine di ricordi e sensazioni. In quel momento rivide quasi tutta la sua giovinezza trascorsa alle Cinque Vie attraversargli il cuore. Fissando quell’uomo ed il suo sguardo qualcosa si destò in Ardea, provocandogli uno stato d’animo enigmatico ed indefinito. Come se quella scena egli l’avesse vissuta già in passato. http://www.fatemagia.it/immagini/gandalf4.jpg (Continua...) |
un deja vu? :neutral_think: ma chi sarà mai questo misterioso uomo?
|
ARDEA DE' TADDEI
"Oreste <<Proprio a te parlo: soccorri, padre, i tuoi cari.>> Elettra <<E io aggiungo la mia voce tra il pianto.>>" (Eschilo, Orestea, Coefore) I due si fissarono per alcuni lunghissimi istanti, perdendosi ciascuno nello sguardo dell’altro. Memmone era robusto e forte e nonostante l’età non sarebbe stato facile per nessuno avere la meglio su di lui. E mentre Ardea lo fissava, fu investito ad un tratto da un mare di ricordi. Egli rivide suo padre mentre lo allenava. Quei giorni luminosi alle Cinque Vie. Giorni fatti di duro allenamento e snervanti sacrifici. Suo padre era duro e non concedeva riposo. “Cavaliere è un modo di essere, non di fare!” Soleva sempre dire. Quanto aveva ragione, pensava oggi Ardea. Solo quel ferreo addestramento avrebbe potuto renderlo il cavaliere che era oggi. Se il suo spirito ed il suo fisico non fossero stati forgiati da quegli insegnamenti, egli non sarebbe sopravvissuto alle disumane Questioni che era stato costretto ad affrontare. E come il Sole illuminava, in quei giorni ormai lontani, il castello delle Cinque Vie, così oggi l’astro infuocato rendeva chiara e lucente quella capanna. Ma suo padre non c’era più. C’era però quel misterioso uomo che lo incitava e lo spronava. “Battiamoci, cavaliere!” Esclamò all’improvviso. Un momento dopo si ritrovò Ardea addosso. Il cavaliere, con un fulmineo balzo, lo aveva braccato. “Notevole, ragazzo mio!” Disse Memmone. “Ma lo slancio del cerbiatto e la rapidità della lepre risulterebbero vani se non fatti seguire dalla forza del toro!” Ardea aveva afferrato le sue muscolose braccia e cercava di immobilizzarlo. Ma la stazza di Memmone era il doppio della sua e con un deciso quanto poderoso gesto, l’anziano uomo si divincolò dalla presa del giovane cavaliere. “Quando deciderete di attaccare il vostro nemico” lo riprese Memmone “accertatevi di avere le possibilità per poterlo fare!” Ardea rapido indietreggiò ed evito il tentativo di presa del suo avversario. “Molto bene!” Esclamò Memmone. “Il giovane gufo ha ritrovato l’agilità e si libra sicuro con le sue veloci ali!” Poi rise di gusto. “Ma ora è il momento decisivo della battaglia...” aggiunse “... l’attimo nel quale si compie il destino dei due pretendenti alla vittoria! Occorre decisione e fermezza!” Ardea lo fissò senza dir nulla. “Altrimenti la sciagura è già sopra di voi!” Concluse Memmone. In quel momento allora Ardea si lanciò sul suo avversario e strinse i suoi fianchi come in una morsa. Per qualche istante i due contendenti furono scossi ciascuno dalla forza dell’altro. “E’ dunque questa tutta la vostra forza, cavaliere?” Chiese severo Memmone. “Di questo passo non risolverete mai le altre Questioni che vi sono rimaste! Anzi, forse troverete la morte proprio nella prossima!” “Maledizione!” Ringhiò Ardea. “E il vostro fallimento sarà il fallimento di vostro padre!” Aggiunse Memmone. In quel momento Ardea sentì un misto di delusione e pena nel suo cuore. Ma più ancora avvertì una rabbia folle e smisurata. Una rabbia contro se stesso. Una rabbia che lo spinse a maledire la sua debolezza ed il suo egoismo. Sentì allora una forza senza eguali sorgere in lui. Una forza mai avvertita prima. Strinse ancor più vigorosamente i fianchi del suo avversario e con un rapido e deciso movimento lo scaraventò verso terra. Memmone cadde pesantemente, fracassando gran parte del letto, che fortunatamente attutì la sua rovinosa caduta. “Avete recuperato in pieno la vostra salute, mio giovane cavaliere!” Esclamò dopo qualche istante Memmone. Ardea lo fissava ansimando per la fatica. Tutto questo mentre i vigorosi e caldi raggi del Sole invadevano e riscaldavano quella capanna attraverso un alone aureo e luminoso. http://2.bp.blogspot.com/_ZwDsP8qyf6...+nel+bosco.jpg (Continua...) |
Ardea! :smile_lol:
Oh, sir... cominciavo proprio a sentirne la mancanza!! ;) Grazie, mio signore, per avermi ed averci donato un nuovo capitolo! ...mi auguro, anzi, che ora non ci lascerete in attesa del successivo troppo a lungo!! :rolleyes: :p |
Milady, prima di partire, il nostro nobile Ardea promise (immagino certo a qualche dama) che sarebbe ritornato con le sue gesta.
Ed un degno cavaliere mantiene sempre la parola data ad una nobile dama :smile: |
ARDEA DE' TADDEI
"Figlio di re, bisogna dunque che ci separiamo. Ma prima voglio che sappiate, voi ch'io ho allevato, che non sono vostra madre e che voi non siete mio figlio. Il vostro lignaggio è tra i migliori del mondo e voi conoscerete un giorno il nome dei vostri genitori." (I Romanzi della Tavola Rotonda, Gli Amori di Lancillotto del Lago, Gli Adii) Ardea restò qualche istante in silenzio. Aveva il fiato rotto per la fatica e sentiva le braccia e la gambe doloranti. Fissava la finestra dalla quale penetrava il vigore dei raggi solari. Poi, dopo alcuni istanti, rivolse uno sguardo al suo avversario. Questi lo fissava con una singolare espressione. Un lieve e caldo sorriso era accennato sull’anziano volto di Memmone. Le rughe che circondavano i suoi penetranti occhi chiari sembravano aver allentato quella morsa che rendeva l’espressione del vecchio uomo austera e severa. Una luminosa serenità, mista a soddisfazione, illuminava il suo sguardo. Il vigore di Ardea sembrava aver destato quell’uomo dal suo essere costantemente crucciato e schivo. “Credo che per la fatica” cominciò a dire Ardea, mentre aiutava il suo avversario a rialzarsi “ci siamo guadagnati un’abbondante colazione. Non credete anche voi?” “Il fragrante e caldo sapore di una dolce focaccia” rispose divertito Mammone “sarà la giusta ricompensa al nostro sudore!” I due così mangiarono con gusto il meritato pasto, per poi uscire a camminare nel bosco. Per un po’ si abbandonarono ai suoni, ai colori ed ai profumi del bosco senza scambiarsi alcuna parola. Poi, come ridestatosi dai suoi pensieri, Ardea esordì: “Prima parlavate delle mie Questioni come se le conosceste molto bene.” Mammone non rispose nulla e continuò a d assaporare il caldo tepore del bosco. “Chi siete in realtà?” Chiese ancora Ardea. “La vita, ragazzo mio, altro non è che una serie di incontri.” Rispose Mammone palesando una profonda serenità. “Vi ho trovato in quel bosco come avrebbe potuto trovarvi chiunque altro fosse passato, quel giorno, da quelle parti.” “Vivete qui da tempo” chiese Ardea “e non avete mai incontrato quel violento cavaliere?” “Ho imparato a stare alla larga dalla cieca furia degli uomini.” “Govarola quindi non vi ha mai incontrato?” Chiese Ardea. “Il bosco è grande, molto più di quanto voi possiate immaginare.” Rispose Memmone. “In esso si cela il naturale ed il soprannaturale. Il finito e l’infinito. Proprio come nell’animo umano.” “Io in verità non comprendo...” cominciò a dire Ardea. “Voi avete ben altro da cercare e trovare, ragazzo mio.” Lo interruppe Memmone. “E stare qui a domandarvi di un povero vecchio non fa altro che ritardare il vostro viaggio.” “Sembrate conoscere bene il mio viaggio.” Disse Ardea. “In fondo...” rispose Memmone “... ogni uomo compie il medesimo viaggio. Un viaggio diretto verso un’unica meta...” “Quale meta?” Chiese Ardea. “La ricerca di noi stessi.” Rispose Memmone. “Il mio viaggio invece è volto solo a cancellare le mie colpe.” Disse Ardea. “Ma dubito che questo sia possibile.” “Ogni uomo pecca.” Rispose Memmone “Tanto il giusto, quanto lo stolto. E’ nella natura umana.” “Credo che la felicità, per queste mie colpe, mi sarà sempre negata.” Disse amaramente Ardea. “La felicità è lo scopo di ogni uomo.” Sentenziò Memmone. “Amare ed essere amati. Questa è la vera felicità.” “Non ho più nessuno che possa amare e dal quale pretendere di essere amato.” “Allora” rispose secco Memmone “siete già morto, amico mio.” Ardea lo fissò. “E voi quindi?” Rispose di getto. “Solo in questo bosco, siete anche voi come morto?” “Ogni uomo ha la sua storia.” Rispose Memmone. “E qual è la vostra?” Chiese Ardea. “Ebbi un figlio, molto tempo fa.” Rispose Memmone. “Tanto di quel tempo che fa, che spesso mi domando se sia davvero mai esistito quel dolce figlio.” “E dov’è ora?” “Partì per un lungo viaggio.” “Dove?” Chiese Ardea. “In Terrasanta?” “Forse.” Rispose Memmone. Poi aggiunse: “In fondo ogni viaggio è simile a tutti gli altri viaggi. La destinazione è inutile.” “Inutile?” Ripeté stupito Ardea. “Si, amico mio.” Rispose Memmone. “Non conta cosa troveremo alla fine del viaggio. Ma ciò che saremo diventati noi nell’arrivarci.” Giunsero allora presso un piccolo ruscello, che scorreva limpido dai colli vicini. L’acqua era trasparente e limpida ed attraverso di essa si potevano scorgere i ciottoli consumati sul fondo del ruscello. Ardea mise entrambe le mani in quelle chiare, fresche e rigeneranti acque. Si lavò il viso e respirò forte. “Torniamo alla capanna, amico mio.” Disse Memmone. “Dovete prepararvi per riprendere il viaggio.” E per un’infinitesimale istante, Ardea avvertì una profonda inquietudine. Quel bosco appariva come un luogo idilliaco, dove il giovane cavaliere aveva ritrovato una serenità smarrita da tempo. Ma quelle parole di Memmone ridestarono Ardea, come a volerlo strappare da un sogno per mostrargli la cruda realtà. E la realtà era scandita dalle altre Questioni che erano rimaste. Ed attorno ad esse ruotavano il destino e la salvezza di Ardea. http://www.artsfairies.com/Parsifal%...s/Parzival.jpg (Continua...) |
ARDEA DE' TADDEI
"Amleto: Ahimé, povero spirito. Spettro: Non compassionarmi, ma sta ben attento a ciò che ti svelerò. Amleto: Parla. E' mio obbligo ascoltarti." (William Shakespeare, Amleto, I, V) I due percorsero la via a ritroso e si ritrovarono di nuovo fuori alla capanna di Memmone. Quel cammino di ritorno, nonostante i due avessero affrontato la stessa via dell’andata, apparve diverso ad Ardea. Il sentiero pareva aver un’inclinazione diversa e gli alberi gli erano apparsi difformi da quelli visti mentre andavano verso il ruscello. Insomma Ardea avrebbe giurato che la via fatta del ritorno dal ruscello fosse diversa da quella sostenuta per arrivarci. “Abbiamo preso un cammino diverso?” Chiese Ardea ad Memmone. “Nel giungere al ruscello abbiamo attraversato un’altra parte del bosco.” Memmone lo fissò per qualche istante e poi rispose: “La realtà spesso ci appare diversa da quella che è. Non fatevi ingannare, abbiamo percorso lo stesso cammino, sia all’andata che al ritorno.” “Ma come è possibile?” Si domandò stupito Ardea voltandosi indietro sulla via appena percorsa. “La realtà è sempre la stessa...” disse Memmone “...siamo noi che la osserviamo con occhi diversi.” “Come è possibile?” Domandò ancora Ardea. “Eppure avrei giurato...” “Non giurate, amico mio!” Lo interruppe Memmone. “Non fatelo mai! Ogni giuramento richiede un pegno. E qualcuno potrebbe un giorno domandarvi tale pegno.” “Eppure sono sicuro che nel tornare qui abbiamo attraversato un punto diverso del bosco.” “Vi confondete.” Rispose Memmone. “Al ritorno avevate uno stato d’animo diverso. Ecco perché la via vi è apparsa differente.” Ardea lo fissò confuso. “Ora entriamo, così che possiate prepararvi per ripartire.” Concluse Memmone. Rientrati nella capanna, Memmone offrì al suo ospite un delizioso amaro fatto di particolarissime erbe. Era di un colore molto strano, mai visto prima da Ardea. Poi, finitolo di gustare, il cavaliere cominciò a preparare le sue cose. Indossò la sua corazza e per ultima legò al cinturone la fedele Parusia. Memmone, durante i preparativi del cavaliere, restò tutto il tempo accanto al camino acceso. Poi, quando Ardea fu pronto, gli mostrò qualcosa di particolare. “Guardate bene queste frecce.” Disse mostrandogli una faretra colma di lucidissimi ed aguzzi dardi cromati. “Sono in grado di colpire bersagli impensabili anche per il più abile arciere. Purché, ovviamente, chi le scagli sia all’altezza della loro efficacia.” “Da dove provengono queste fecce?” Chiese Ardea. “Le ho preparate io stesso per voi.” Rispose Memmone, mentre le mostrava al suo ospite. “Le ho forgiate fondendo le armi del cavaliere che voi stesso avete sconfitto in singolar tenzone.” “Govarola?” Domando incredulo Ardea. “Queste frecce sono nate dunque dalle armi di quel violento cavaliere?” Memmone annuì, mentre quei fieri dardi emanavano argentei riflessi al contatto con la luce del fuoco. “Le armi di Govarola” aggiunse Ardea “sono maledette dal sangue di tutti coloro che egli uccise!” “Sciocchezze!” Esclamò Memmone. “Le armi non hanno né volontà, né giustizia. E’ la mano di chi le impugna a sottostare al giudizio del Sommo Giudice.” Ardea lo fissò turbato. “Rifiutereste forse” continuò Memmone “la lancia di Lucifero che egli adoperò quando era ancora il duce delle Milizie Celesti? Sarebbe sciocco da parte vostra! Siete un cavaliere, non un filosofo.” Ardea lo fissava senza rispondere nulla. “Le armi non hanno colpa.” Continuò il vecchio uomo. “Esse servono solo a chi le utilizza. Prendete queste frecce e conservatele con cura.” Concluse Memmone, porgendo ad Ardea la faretra. “Credete che potrebbero essermi utili queste frecce?” Chiese Ardea. “Fu una freccia” rispose con un sorriso Memmone “ad abbattere Achille, il più forte guerriero mai nato.” Ardea non chiese altro e prese con sé quelle armi. “Come farò a tornare a Casorre?” Chiese a Memmone. “Probabilmente il mio scudiero è là a domandarsi se io sia vivo o morto.” “Seguite il sentiero e non abbandonatelo mai.” Rispose Memmone. “Alla fine troverete la porta di Casorre.” Poi accompagnò il suo ospite ad una piccola stalla che si trovava sul retro della capanna, dove si trovava il fiero Arante. Ardea lo accarezzò per qualche istante. Poi vi montò su e prese la direzione del sentiero. Ma fatti pochi passi si voltò indietro verso il suo salvatore. “Ci incontreremo ancora?” Chiese. “E chi può dirlo!” Esclamò Memmone. “Già...” disse Ardea “...siamo alla mercè del caso.” “Io non credo al caso...” rispose Memmone “...ma alla volontà di Dio ed al Libero Arbitro che Egli dona agli uomini.” “Addio e grazie di tutto.” Disse Ardea. “Non vi dimenticherò.” “Né io” rispose Memmone “dimenticherò voi, cavaliere.” In quel preciso istante, dopo aver detto quelle parole, Ardea ebbe la sensazione di cogliere una strana ed intensa luce negli occhi di quel misterioso uomo. Ma fu solo per un breve ed infinitesimale istante. Allora, Ardea si incamminò sul sentiero, per essere inghiottito poco dopo dal folto e verde bosco. http://www.chivalrynow.net/images/pictures/galahad3.jpg (Continua) |
ARDEA DE' TADDEI
"Non lodarti del tuo valore, poichè troveresti un giusto gioco per la tua superbia. Non vantarti per le tue imprese, perchè le hai conseguite solo per un antico diritto. Sii dunque umile e sarai cavaliere." (Antica canzone) Il cavaliere seguì le indicazioni dategli da Memmone e non deviò mai il suo cammino. Percorse il lungo sentiero, che sembrava scorrere in seno al bosco come fosse una arteria della sua linfa vitale, fino a quando avvistò da lontano le mura di Casorre. Il bosco allora sembrò finalmente allentare il suo lussureggiante abbraccio e si aprì su una vasta e verdeggiante campagna. Al centro di questa, come detto, sorgeva la vasta contrada di Casorre. Ardea nel vederla si abbandonò ad un sospiro di liberazione, ma non poté evitare di voltarsi indietro verso il bosco, interrogandosi ancora sugli arcani fatti che aveva vissuto. Poi, spronando l’agile Arante, galoppò rapido e deciso fino alla contrada. Appena vi fu giunto, una folla di curiosi gli si fece innanzi. Lo guardavano con stupore misto ad ammirazione. Si chiedevano sull’identità di quel misterioso cavaliere e da dove fosse mai giunto. Ad un tratto gli si avvicinò un anziano e cortese uomo. Era vestito con gusto, anche se i suoi abiti non tradivano un eccessivo sfarzo. Il portamento era aggraziato e gentile ed i suoi modi palesavano il rango senza dubbio di alto lignaggio. “Vi porgiamo il nostro benvenuto a Casorre, cavaliere.” Esordì. “Questa contrada è sotto il dominio di Dio e della protezione di sua signoria il duca d’Altavilla. Ed io ne sono il potestà.” Ardea rispose chinando cortesemente il capo. “Gli stranieri sono sempre benvenuti in questa terra” continuò a dire l’anziano uomo “e quindi ciò che è nostro è anche vostro, milord. Ma permettetemi di domandarvi in che modo siete riuscito a giungere in questa nostra isolata contrada.” “Attraverso il bosco.” Rispose Ardea. “Impossibile!” Esclamò il potestà. “La via che conduce qui attraverso il folto bosco è sotto il dominio di un feroce quanto invincibile cavaliere! Egli tiene in scacco Casorre, impedendo a chiunque di entrare ed uscire senza aver prima combattuto contro di lui!” “Parlate di certo del cavaliere conosciuto come Govarola.” Disse Ardea. Tra tutti i presenti sorse un confuso ed intenso mormorio. “Infatti!” Rispose il podestà. “Come fate a conoscerlo?” “Lo conosco perché l’ho veduto, eccellenza.” “Impossibile!” Esclamò il podestà. “Nessuno può incontrarlo senza doverlo poi affrontare!” “Ed infatti” disse Ardea “io l’ho sfidato.” Il mormorio allora diventò un insieme di voci irregolari e stupite per le parole di quel cavaliere. “Govarola è un demonio!” Disse il podestà. “Nessuno è mai riuscito a batterlo in singolar tenzone!” “Govarola non era un demonio” ribatté Ardea “più di quanto non sia stato un cavaliere. Egli era un brigante, un vile, tanto sgradevole nell’aspetto quanto poteva esserlo nell’animo. Ma in fondo era solo un uomo. E come tutti gli uomini era di mortale natura.” “Dite quindi, milord, che l’avete sconfitto?” Chiese il podestà. “Mandate alcuni uomini all’inizio del territorio di Casorre, dove il marrano amava sfidare i suoi avversari. Lì troverete la prova di ciò che dico.” “Non c’è bisogno, milord.” Disse il podestà. “Trovammo già il corpo di quel furfante, anche se non sapevamo chi l’avesse sconfitto. Molti potevano vantarsi di tale impresa. Perdonate le mie domande, ma erano dettate dalla volontà di sapere se voi foste davvero colui che uccise il malvagio Govarola.” “Dunque trovaste il suo corpo senza vita nel bosco?” Chiese Ardea. “Si, milord.” Rispose il podestà. “E morto quel marrano, i suoi servi si diedero alla fuga.” “E non giunse qui uno scudiero?” Chiese Ardea. “Si” rispose una voce alle sue spalle “e ho atteso qui il tuo ritorno, senza perdere mai la speranza di rivederti vivo!” Ardea si voltò di scatto e riconobbe il fedele Biago. I due allora si abbracciarono e si salutarono. “Passarono delle ore e tu non ritornasti dalla selva.” Cominciò a raccontare Biago. “Allora cercai di raggiungerti. Trovai il corpo di Govarola sena vita, ma di te nemmeno l’ombra. Giunsi allora qui a cercare aiuto. Raccontai tutto, di te e della missione in nome del duca. Sentivo che eri vivo e decisi di attendere qui il tuo ritorno.” “Grazie, amico mio.” Disse Ardea. Tutta Casorre allora fece festa. Una festa attesa da anni e che ora poteva cominciare, poiché l’ospite d’onore, il cavaliere che l’aveva liberata da quel crudele giogo, era finalmente giunto. La festa durò fino all’alba e dopo un breve riposo, Ardea e Biago, ripresero il loro cammino. Non prima però di incaricare il podestà di suddividere le ricchezze di Govarola ed inviare alle Cinque Vie il tributo destinato al duca. Tutti lodarono la nobiltà e la lealtà di quel cavaliere, ringraziando il Cielo per averlo inviato a liberarli. Ed il suo ricordo fu sempre vivo in quella contrada. http://www.bbc.co.uk/history/british...g_edward_6.jpg (Continua...) |
Più leggo più la mia stima per Ardea cresce..ah che uomo (sospiro)...sempre dedito ai più alti valori della cavalleria..non si riposa un attimo...ha tutta la mia ammirazione...per quello che può valere:smile_wub:
|
Eh... la quiete dopo la tempesta... e ora cosa accadrà? :confused2:
Attendo trepidante... ;) |
ARDEA DE' TADDEI
"Accanto alla fonte si vedevano le rovine di una cappelletta con il tetto in parte diroccato." (Walter Scott, Ivanhoe, XVI) QUINTA QUESTIONE: MADDOLA, L'ENIGMA DELLA VAMMANA La contrada di Maddola sorgeva nella zona Settentrionale del feudo delle Cinque Vie. Posta tra i grandi monti che racchiudevano il passaggio verso l’interno, questa contrada era adagiata in una grande e fertile vallata. Ed i monti, che apparivano come giganti addormentati a guardia di quel mondo, erano legati fra loro dai resti di un grandioso e colossale acquedotto romano, che attraversava la vallata con un’impotenza tale da rendere nulli i secoli che erano passati dalla sua fondazione. Come una fiera ed indomita immagine della forza dell’uomo ad ammansire la natura, questa ciclopica costruzione, con le sue ampie ed alte arcate, dominava quelle terre come se la grandezza di Roma fosse ancora là ad intimorire possibili conquistatori. Durante le stagioni calde, Maddola appariva luminosa e splendente, come un inno alla natura con i suoi colori, i suoi profumi e tutti i suoi suoni. Un tripudio delle tonalità più fresche che la natura sa assumere attraversavano quel ridente territorio ed il Sole lo baciava con tanta foga ed ardore da apparire come il più appassionato tra gli innamorati. Ed infatti solo un amore così bello, tra tutti gli elementi che compongono il mondo, poteva spiegare la meravigliosa immagine che Maddola dava di se tra la fresca e sognante Primavera e la calda e luminosa Estate. L’Inverno invece mutava di getto questa solare ed accogliente immagine, dando a Maddola un volto totalmente diverso durante il suo passaggio. Anticipato dal piovoso e ventoso Autunno, il freddo Generale, al suo arrivo, portava con sé un manto di foschie ed umidità. L’intera valle veniva circondata da una pesante e spessa foschia, capace quasi di estraniare Maddola dal resto del mondo. E l’unica cosa capace di squartare quel velo era il rigido gelo, che durante i mesi più freddi dell’anno raggiungeva ed avvolgeva l’intera contrada. E fu proprio nel pieno Inverno che Ardea e Biago giunsero alle soglie del territorio di Maddola. E lo scenario che si mostrò ai loro occhi parve ai due viaggiatori come il preludio di ciò che avrebbero dovuto affrontare. La grande via, che sorgeva quasi a fatica tra la selvaggia e folta vegetazione del bosco, era tanto angusta quanto sconosciuta ai due viandanti. Il cielo era grigio e scuro, solo a tratti lacerato da macchie di luce, come se il Sole a stento tentasse di affacciarsi sull’umida terra. L’aria era pesante ed un freddo vento soffiava in quell’inospitale scenario. “Questa valle sembra volerci ricacciare indietro” disse Biago con il volto contratto dal tagliente vento “o è solo una mia impressione?” “No, non ti inganni.” Rispose Ardea, scrutando con attenzione quel luogo. “La natura appare inospitale ed anche il vento sembra condurre con sé lamenti e minacce.” “Qui l’Inverno” disse Biago “comincia a mostrare i muscoli. Rimpiango il caldo ed accogliente ozio della corte afragolignonese.” “Anche io rimpiango il mio mondo e la mia vita...” rispose Ardea con tono sarcastico “...ma dimentichi che non siamo giunti fin qui per un viaggio di piacere!” Biago sorrise ironicamente. “Riprendiamo il cammino” aggiunse Ardea “prima che la notte ci colga ancora in questa bosco.” “Dubito che la notte possa essere più buia di questo posto!” Rispose Biago con un tono tra la beffa ed il dramma. Così, i due ripresero il loro cammino, fino a quando, ormai prossimi al crepuscolo, avvistarono da lontano la valle di Maddola. Era circondata da un’alta ed inquietante nebbia, dalla quale emergevano, quasi a fatica, le arcate più alte dell’antico acquedotto romano. “Se per tutto il giorno la nebbia ha dominato questo posto” cominciò a dire Biago “non oso immaginare come sarà la notte da questa parti!” “La valle è ancora troppo lontana” disse Ardea “e continuare sarebbe da sciocchi. Ormai è quasi notte.” “Cos’è quell’immensa costruzione che appare tra la nebbia in lontananza?” Chiese Biago indicando l’acquedotto. “E’ un antico e maestoso acquedotto di età romana.” Rispose Ardea. “Era capace di rifornire d’acqua diverse città che sorgevano a nord di Afragolignone.” “Accidenti!” Esclamò Biago. “Ed è ancora in piedi dopo tutto questo tempo?” Ardea sorrise. “Già e faremmo meglio a cercare un riparo per stanotte, visto che non possiamo vantare la stessa resistenza di quella poderosa struttura.” Disse il cavaliere. Proseguirono ancora fino a quando avvistarono una piccola luce in lontananza. La raggiunsero e scoprirono che proveniva da una vecchia chiesetta abbandonata. La facciata era semplice e consumata ed una vecchia campana si affacciava ad accogliere qualche sperduto visitatore. Una grande croce di ferro battuto dominava la sommità del sacro edificio ed una pesante porta di legno di quercia, rinforzata da spesse barre di ferro, sbarrava l’ingresso a chiunque volesse profanare quel luogo di preghiera. E spinti dall’oscurità ormai dominante e dal freddo vento che aveva cominciato a soffiare con ancora più vigore, i due decisero di bussare a quella porta, sperando che oltre ai simboli della Fede anche le carità Cristiane abitassero quell’austero edificio. http://farm4.static.flickr.com/3054/...2f5_z.jpg?zz=1 (Continua...) |
Appena ho letto mi è venuto da esclamare "non bussate a quella porta!":laughing_lol1:...sono curiosa chi troveranno i nostri due amici?
|
sublime la descrizione del paesaggio, sir... :smile_clap:
|
ARDEA DE' TADDEI
"In un luogo lontano, lontano dalla vista di tutti, crebbe dalla giovinezza alla vecchiaia un venerabile eremita. Il muschio era il suo letto, la caverna la sua umile cella, i frutti erano il suo cibo, la fonte cristallina la sua bevanda. Lontano dagli uomini, trascorreva con Dio i suoi giorni: pregarlo era il suo dovere, lodarlo il suo piacere." (Parnell, L'eremita) Ardea smontò allora dal suo Arante e si diresse verso quella massiccia ed austera porta. “Fa attenzione!” Gli gridò Biago. “Questo luogo sembra lamentevole ed ostile!” “Questa è una chiesa” rispose Ardea non curandosi più di tanto delle premure del suo scudiero “e non ci negherà un riparo!” E quando fu davanti alla porta, si accorse di un curioso oggetto che pendeva inchiodato ad essa. “Cosa guardi?” Chiese Biago, incuriosito dall’esitazione mostrata dal suo compagno. “Questa strana cosa...” rispose Ardea toccando quell’insolito oggetto “... sembra un fascio di capelli... anzi, sembra crine di cavallo...” “Già.. sembrerebbero...” disse Biago fissando l’oggetto con attenzione e curiosità. Ardea bussò allora con vigore su quella porta, mentre il sibilo del vento si faceva sempre più sinistro ed inquietante. Nessuno rispose da quella porta ed Ardea bussò di nuovo, con ancora più forza. Ad un tratto si udì abbagliare con forza un cane. “Sembra provenire da dietro la porta...” disse Biago. Ardea bussò ancora, quasi a far scricchiolare quella porta. L’abbagliare di quel cane si fece più disperato e rabbioso, come a voler scoraggiare ed intimorire i nuovi arrivati. “Anche se buttassi giù quella porta” disse Biago impressionato dal vigore che mostrava quel cane nell’abbagliare “quella belva ci farebbe a brandelli prima di oltrepassarne la soglia.” Ma Ardea incurante del prudente parere di Biago bussò di nuovo, con ancora più decisione. Ad un tratto, sovrapponendosi ai versi ed ai ringhi di quel cane, una voce si udì da dietro la porta. “Chi bussa a quest’ora?” Disse. “Questo è un luogo sacro e disturbate le mie orazioni!” “Degno padre...” rispose Ardea “...siamo viandanti colti dal sopraggiungere della notte. Abbiamo fame e freddo. In nome di San Raffaele protettore dei viaggiatori vi chiediamo un riparo per la notte.” “Non sapete che è peccato” disse infastidita quella voce “interrompere le orazioni di un monaco? Il giorno volge alla fine ed io non sono dispensato dai miei obblighi. Ripartite e non indugiate oltre ad infastidirmi. Io pregherò per voi.” “Non vi recheremo noie e fastidi, statene certo.” Si giustificò Ardea. “Né abbiamo intenzione di interrompere le vostre sante mansioni. Ma non possiamo proseguire oltre poiché la notte è ormai calata e la strada ci è sconosciuta. Siate un buon samaritano ed accoglieteci nel vostro eremo per stanotte!” “Buon fratello...” disse la voce dalla porta “...tornate da dove siete venuto e vedrete che non vi accadrà nulla. Ora lasciatemi perdere che ormai solo a stento riesco a frenare il mio cane. Esso non è un buon cristiano e non conosce la pietà per i suoi simili. Figuriamoci per gli sconosciuti! Ora, ascoltatemi, allontanatevi e le mie orazioni saranno per voi in questa notte.” “Forse è meglio proseguire oltre...” consigliò timidamente Biago, intimorito com’era dalle parole udite da quella porta. “Un cane è degno se tale è il suo padrone!” Eslamò irritato Ardea. “Esso non ha la coscienza cristiana e la vostra vi si ritorcerà contro se ora ci lasciate al freddo ed all’oscurità della notte!” “Ingenuo figlio...” rispose fingendosi calma quella voce “...non fui io a chiamarvi qui. Queste vie non si attraversano nelle notti invernali! Il detto recita aiutati che Dio ti aiuta! Non fu perciò per suo volere, né per il consiglio di San Raffaele, che giungeste in queste lande! Non coinvolgetemi quindi nella vostra avventatezza e partite da casa mia!” “Se vi è una croce” tuonò Ardea “allora questa è la casa del Signore! Egli aprì le porte a tutti e voi farete altrettanto o, su quanto ho di più sacro, spezzerò questo legno con il vigore della mia spada!” “Briganti, non temete neppure la casa del Signore?” Gridò quella voce, liberando finalmente la sua insofferenza. “Se volete aprirò questa porta, ma solo per aizzarvi contro il mio cane!” “Come me ed il mio scudiero anche la mia spada è a digiuno... il vostro cane capita a proposito!” Rispose Ardea ormai travolto dalla rabbia. “Andate via, figlioli, vi supplico...” quasi supplicò quella voce “... le provviste che possiedo potrei dividerle solo con il mio cane, tanto sono indegne e sgradevoli, quanto al giaciglio è costruito per fare penitenza, non per riposare uno stanco corpo. Datemi ascolto e ritornate da dove siete giunti.” “Cosa temete?” Chiese Ardea. “Che siamo furfanti e ladri? Credete che si possa solo pensare di attentare ad un santo luogo senza subire il giusto castigo dal Cielo?” “Vedo che siete buoni cristiani... vi supplico quindi di proseguire oltre...” “Ed il vostro saio non fa anche di voi un degno cristiano?” Chiese Ardea. “Aprite questa porta ed accoglieteci come insegna il Santo Vangelo.” “Andate via!” Intimò allora quasi disperata quella voce. “Non capite... non sapete… ed io non voglio il vostro sangue sulla coscienza!” Ardea e Biago, a quelle misteriose ed inquietanti parole, si scambiarono un rapido sguardo. “La morte ci è da sempre alle calcagna, in questo nostro viaggio.” Rispose Ardea. “Qualsiasi cosa potrebbe accaderci non sarà mai riversata su di voi… dateci un giaciglio per questa notte ed all’alba, vi giuro sul mio onore, ripartiremo per sempre dal vostro eremo.” Per alcuni istanti non si udì più nulla provenire da quella porta. Neanche la rabbia del cane. Poi, ad un tratto, si sentì scorrere una pesante catena e l’aprirsi di diversi lucchetti. Un attimo dopo quella porta finalmente si aprì, mostrando il suo interno ai due viaggiatori. http://www.viaggi-qui.com/adpics/por...ca_prima33.jpg (Continua...) |
Tutti gli orari sono GMT +2. Adesso sono le 23.48.05. |
Powered by vBulletin versione 3.8.11
Copyright ©2000 - 2025, Jelsoft Enterprises Ltd.
Copyright © 1998 - 2015 Massimiliano Tenerelli