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“Dite che ho una strana concezione del matrimonio? Ah, ora mi avete incuriosito!” Disse Guisgard. “Ho sempre pensato di essere del tutto indifferente al matrimonio ed a qualsiasi altro genere di legame! Ma ora avete suscitato la mia curiosità! Sentiamo, quale concezione avrei del matrimonio?”
Fissò il cielo e respirò l’aria fresca della sera. “Capomazda è davvero bella…” sussurrò “… qui davvero le stelle risplendono con una luce diversa da qualsiasi altro posto al mondo… e la Luna… la Luna è misteriosa, incantata, eterea e talvolta malinconicamente enigmatica…” un velo di vaga inquietudine attraversò il suo sguardo “… guardate, il crepuscolo si sta già facendo annunciare…” indicando i riflessi purpurei sulle alte torri della cittadella “… sembra assurdo che sia in atto una sanguinosa guerra…” “Dove andiamo?” Chiese poi quasi a volersi destare da quei suoi pensieri. “In un posto accogliente, sicuro e dove potrete farvi un bel bagno! Del resto che marito sarei se non fossi in grado di esaudire i desideri della mia bella mogliettina!” Rise di gusto. “Anche se non posso promettervi una tinozza raffinata come quella del palazzo dei Taddei!” |
Osservai le torri di Capomazda. Erano bellissime, scintillavano, riflettendo i raggi dorati del crepuscolo. Non potei fare a meno di sospirare. Era uno spettacolo meraviglioso.
"Da quello che ho potuto vedere, voi siete dell'idea che due sposi tubino come colombi e facciano pace davanti a una crostata..." sorrisi divertita. "Sarebbe bello... la mia esperienza matrimoniale, durata ben trentaquattro giorni, è stata un po' diversa... la sua conclusione fu un vero sollievo." Risi, anche se all'epoca avevo avuto ben poche ragioni per ridere. "Se mi garantite un bagno caldo... vi seguo senza indugio!" |
si dissi guardando i miei amici per fortuna sono tutto intero ora che facciamo? dove andiamo e aspettai una risposta
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Icarius stringeva il delicato giglio tra le sue dita, indeciso sul da farsi, mentre i tempo scorreva maligno e il cielo si colorava di un rosso intenso.
Era ormai il tramonto. Il tempo sta per scadere... Il duca mi guardò ed io, imbarazzata, asciugai la lacrima con la manica della mia tunica e lo fissai negli occhi; poi egli si girò e posò il giglio ai piedi della statua della Vergine Maria. Smisi di respirare per la paura, le braccia tese in avanti, pronte a scattare, se qualcuno avesse osato avvicinarsi ad Icarius. Ma nessuno si mosse. Lo guardai stupita. Ma sì, era ovvio. La Vergine Maria, colei che fu scelta da Dio. Io non avrei mai potuto pensarci... Icarius dev'essere una persona molto fedele. Lo presi per un braccio, riportandolo bruscamente alla realtà. "Nobile Taddei, fortunatamente tutto è andato per il meglio. Ora dobbiamo continuare il nostro cammino." Guardai poi Nishuru e Luna e vidi che si stavano mettendo le loro rispettive tuniche nere. "Spero accettiate due nuovi compagni di viaggio, Signori, oppure qui le nostre strade si dividono..."dissi rivolgendomi al duca e a Lho. Misi il mio pugnale nella cintura e uscii a passo svelto dalla cattedrale. Addio Ksajel... |
Mi ripresi e mi sentii meglio. Con l'aiuto di Pasuan ero riuscita a rimettermi in piedi. Certo, la notte trascorsa praticamente senza dormire non mi aveva giovato in termini di forze, ma di sicuro mi aveva riempito il cuore di amore.
Guardai Pasuan "E' tutto vero" pensai "questa volta mi ama davvero e non mi lascerà!". Ebbi solo il tempo di ricambiare il suo bacio che sentimmo delle grida Citazione:
Iniziammo ad avanzare, procedevo piano, misurando ogni passo e tastando le pareti intorno a me. Erano fredde, sembravano di marmo ma non avrei saputo dire se fossero scavate nella roccia o rivestite di lastre levigate. Erano umide e ruvide. Sotto i miei piedi sentivo il rumore appiccicoso del pantano, si scivolava un po'. Mi accorsi che il muro faceva una curva secca, voltammo anche noi. Fui accecata dalla luce, dopo essere stata molti minuti al buio i miei occhi non riuscirono a tollerare quella luminosità. Dovetti chiudere le palpebre mentre le pupille si riempivano di lacrime. Ringraziai il fato che avesse voluto accecare Pasuan ben prima, lui non avrebbe avuto problemi ad ambientarsi. "Pasuan, c'è troppa luce, non riesco a vedere!" |
Sollevai un sopracciglio e mi voltai, sorpresa, a fissare quella donna...
La sua alterigia, così come il disprezzo e l’arroganza che vibravano forte ad ogni sua parola, iniziavano a darmi sinceramente sui nervi e dovetti fare uno sforzo enorme per tornare, per l’ennesima volta, a sorridere. “Voi trovate che io sia stata scortese, signora?” domandai, senza che la mia voce riuscisse del tutto a suonare mite come avevo tentato di modularla “Me ne dispiaccio... ma non vedo come lo sia stata. Solo perché vi ho detto sinceramente ciò che pensavo, forse? Se è la sincerità che non vi aggrada, milady, vi chiedo venia per aver parlato con franchezza!” Citazione:
“Voi presumete troppo, milady...” mormorai, voltando le spalle alla finestra e riallontanandomi da lei “Voi non sapete niente di lady Talia... non dovreste perciò tirare in ballo ciò che non conoscete!” Mi accostai lentamente al tavolo e presi quel calice tra le mani, esaminandone appena il contenuto limpido e cristallino. “Poco fa, signora...” proseguii, parlando lentamente “Vi ricordo, mi avete chiaramente detto che questo liquido, qualsiasi cosa sia, non potrà salvare affatto mio marito. Ditemi, allora, ve ne prego, per quale altro motivo dovrei berlo? Parlate di ciò che definite ‘il Pegno del Cuore’... eppure, quando ve ne ho chiesto spiegazione, nient’altro mi avete detto se non che esso sarebbe utile a me, per non farmi soffrire più. Ebbene, in tal caso, se solo questo è il suo potere, sono costretta a declinare gentilmente il vostro invito e a dirvi che non mi interessa! Ora ditemi, quindi, vi prego... in che modo, se io berrò il contenuto di questo calice, ciò gioverà ad Icarius?” La mia voce si spense lentamente... ero tesa e angosciata, ma non ero disposta a mostrarlo. Ero agitata, combattuta, preoccupata e soprattutto ero molto, molto spaventata... ‘Icarius...’ sospirava la mia anima ‘Oh, Icarius, se solo potessi vederti anche solo un’altra volta... se solo potessi parlarti... abbracciarti... se solo potessi chiederti che cosa devo fare...’ |
Ritornai presso il nascondiglio con il necessario per curare quella vistosa ferita.
"Non vi spaventate. Sono solo io. Forza grand'uomo" dissi rivolgendomi a FIniwell "curiamo quel graffio. Infilatevi un pezzo di legno tra i denti cosi almeno non vi dovrò sentire urlare mentre vi curo" Controllai che non vi fosse infezione in corso. Pulii la feriti, disinfettai con la mistura utile in questi casi, e tamponai con un composto di erbe. Finito il mio compito invitai gli uomini a seguirmi. Percorremmo un tragitto lungo il cunicolo, fino a sbucare dietro ad una porta celata da un camino ormai in disuso da anni. "Ecco. Ora è il momento giusto per andarvene da qui. Vi consegno questo lasciapassare. NOn chiedetemi come l'ho avuto. Vi servirà nel momento del bisogno" Allungai la mano per consegnarlo a Finiwell e mentre lui cercò di prenderlo io ritrassi velocemente la mia. "Ah ah cavaliere. Ogni cosa ha il suo valore. E il prezzo da pagare per aver questo visto è.....che io venga con voi, che vi piaccia o no. Prendere o lasciare" |
“Dite che sono troppo romantico? Non saprei…” disse divertito Guisgard “… del resto il matrimonio, secondo qualcuno, è pur sempre il tempio dell’amore. Quello vero intendo. E voi, milady?” Chiese guardandola col suo solito sorriso. “Voi credete all’amore?” Fissò le torri di Capomazda e poi quel cielo che, imperscrutabile, avvolgeva ogni cosa. “Ma forse quel vostro sospiro di un attimo fa è la risposta alla mia domanda.”
Accennò un vistoso inchino, col suo solito modo di fare tra lo scanzonato e l’irriverente. “Oh, mia signora, sarà mia volontà offrirvi un buon bagno caldo, doverosamente rilassante e sufficientemente profumato, insieme, ovviamente, ad un letto morbido, accogliente e al sicuro da qualsiasi malintenzionato. Compreso, soprattutto, dal sottoscritto.” Rise e poi fece segno alla dama di incamminarsi. |
Risi a quelle parole e lo seguii per quelle stradine.
"Fate bene a dire così... e comunque ho i migliori guardiani che una dama possa desiderare. Loro si inquietano quando mi succede qualcosa che non approvano." Indicai delle piccole impercettibili ombre che guizzavano lungo i muri. Erano silenziosi e tranquilli, tuttavia guardinghi, come se quella calma e quell'immobilità nell'aria non li convincesse. "Quanto alla vostra impertinente domanda..." ridacchiai, guardandolo con un'aria fintamente severa "Oh, ci credo... prima o poi si cade tutti nella rete e si annaspa come pesciolini. La qual cosa esercita su di me l'attrattiva che potrebbe avere una crostata senza zucchero." Riflettei un attimo. "Forse, quando tutti questi guai finiranno, sarò più incline a passatempi che non siano trafugare spade e giocare con fuoco." Osservai la stradina in cui avevamo svoltato. Stretta, poco illuminata, ma ormai la luce del sole morente aveva lasciato il cielo ai teneri raggi lunari. |
“Perdonatemi, ma i vostri guardiani non potrebbero né spaventarmi, né scoraggiarmi.” Disse Guisgard rispondendo con tono scherzoso a Melisendra. “Anche perché, milady, io sono portato a credere solo in ciò che posso vedere e toccare. Dunque, non avendo mai avuto la fortuna di vedere cose come spiritelli o fantasmi, altruismo, generosità ed amore da romanzo” la fissò sorridendo “sono propenso a relegare tutti questi fantasiosi miti nei libri o nei versi di acuti cantastorie.”
Tornò a guardare la strada. “Devo dire però che sarei tentato di restare a Capomazda” continuò “per vedere, una volta finiti tutti questi guai che animano le nostre serate, voi intenta in quei passatempi di cui accennavate.” Rise di gusto. Percorsero la stretta stradina, per ritrovarsi in una zona isolata della cittadella, quasi a ridosso di uno spiazzo irregolare. Ai due comparve subito la sagoma di una casetta seminascosta tra alcune sequoie. E giunti a pochi passi, Guisgard cominciò a fischiare dolcemente. Un attimo dopo una luce illuminò una delle finestre. “Sir Guisgard!” Urlò qualcuno fondandosi fuori dalla casetta. “Temevo di trovarti già a letto, Gavron!” “I veri cavalieri non dormono quasi mai” rispose lesto il bambino “e se dormono, lo fanno con un occhio solo!” “Davvero? Allora io non sono di certo un degno cavaliere!” Il bambino rise e lo abbracciò. “Ehi, sembra che tu non mi veda da un secolo!” Esclamò Guisgard. “Sono felice di rivedervi!” “Gavron, hai due posti a tavola ed una tinozza per un bagno caldo?” Il bambino annuì, per poi fissare Melisendra. “Questa è lady Melisendra.” Disse Guisgard. “Piacere, milady!” La salutò Gavron, per poi invitare i due ad entrare. |
Sorrisi, continuando a camminare al suo fianco.
"Non vi stancate mai di scherzare!" guardai con curiosità una casetta in lontananza, verso la quale sembrava ci stessimo dirigendo. "Trovo improbabile che mi fermerò a Capomazda, se tutto andrà bene..." la speranza non mi avrebbe mai abbandonata. "Sono sempre stata nomade... spostarmi non mi ha mai stancata, ma forse per Uriel lo farò quando troverò il posto giusto." Un volta prossimi alla casa, Guisgard emise un fischiettio e ci accolse un bambino, poco più grande di Uriel. Sorrisi, nel vederlo mi assalì la nostalgia. "Salve, piccolo..." lo salutai, sorridendo. "Abiti qui tutto solo?" Superammo la soglia di casa e mi guardai intorno, alla fioca luce delle candele. |
“Si, milady.” Disse Gavron annuendo. “Vivo qui da solo. Ora vado a preparavi il bagno.”
Si allontanò per poi tornare dopo qualche minuto. “La tinozza è pronta, milady.” Sorridendo Gavron. “Non hai nulla per togliere la sete?” Domandò Guisgard mentre cercava nella grande credenza della stanza. “Ho del succo di mele in cantina.” Rispose Gavron. “E forse anche di ciliegie. Ora vado a vedere.” “Lascia perdere.” Lo fermò Guisgard. “L’acqua andrà benissimo...” “E’ molto bella.” Disse il bambino una volta rimasto solo col cavaliere. Guisgard annui. “Finalmente vi siete deciso!” Sorridendo il piccolo. “Bene, bene!” “Di cosa parli?” Domandò. “Della bella signora.” Guisgard lo guardò perplesso. “Un cavaliere che si rispetti deve avere una dama.” Fece Gavron. “Voi forse eravate l’unico cavaliere ad esserne sprovvisto nel reame.” “E cosa sarebbe una dama?” Chiese Guisgard. “Un fazzoletto? Un bottone?” “Beh, un cavaliere senza dama è come…” “E’ come un bambino con la lingua troppo lunga!” Lo interruppe Guisgard. “Lady Melisendra è andata a fare il bagno?” Gavron annuì. “Bene… è molto stanca, appena avrà finito le mostrerai dove dormire…” disse alzandosi e dirigendosi verso la porta. “E voi non avete sonno?” Chiese. “Beh, l’hai detto tu, no? Un vero cavaliere non dorme mai!” Rispose divertito. Uscì dalla casa e si sdraiò sulla staccionata, restando a fissare il cielo notturno di Capomazda, tra inquietudini ed una velata malinconia. |
Seguii Gavron in una stanza e sistemammo la tinozza dietro un paravento.
Lo ringraziai e rimasi da sola. L'acqua era fredda, forse non c'era legna a sufficienza per scaldare tutta quell'acqua. "Dove siete? Ci siete? Ehm... vi dispiacerebbe..."indicai la tinozza e vidi l'acqua agitarsi, come se qualcosa ci si fosse tuffato, lanciando qualche piccolo spruzzo. "Sssh! Fate piano..." Dopo poco, mentre mi toglievo i vestiti sporchi e li lavavo in un secchio, mi accorsi del vapore che saliva dalla tinozza. "Basta, basta..." Li redarguii. Mi immersi nell'acqua calda e mi beai di quella sensazione rilassante. Mi strofinai bene con una spugna e rimasi lì, in ammollo. "Che cosa faremo?" domandai, mentre un paio di luci danzavano vicino a me. "Che cosa farà quando scoprirà che è in possesso di una comunissima spada?" Rabbrividii nonostante l'acqua calda. Dopo un po' uscii dalla tinozza e mi avvolsi in un lungo telo. Mi pettinai i capelli e rimasi seduta, con la schiena rivolta al fuoco, mentre i miei vestiti asciugavano. Accarezzai le luci danzanti, percependo il loro nervosismo. "Andrà tutto bene... andrà tutto bene..." sussurrai. |
L’angoscia.
L’angoscia dell’attesa. Cosa stava accadendo mentre lei era lì? A quest’ora si sarà già accorto del trucco della spada. Cosa avrebbe fatto ora lui? Ma perché allora questo silenzio? Forse la stava osservando. Come un predatore aveva già fiutato l’odore della sua preda. Questi pensieri affliggevano Melisendra. Pensò poi ad Uriel. In quel momento qualcuno bussò alla porta della stanza. “Milady, sono io…” disse Gavron restando sull’uscio, con lo sguardo rivolto a terra “… volevo solo dirvi che ho preparato una minestra calda… è pronto anche il letto se volete riposare…” |
"Entra pure..." gli dissi, coprendomi con un altro telo.
"Ti ringrazio per la tua ospitalità." Gli sorrisi, mentre le luci si dissolvevano. Mi augurai che non le avesse viste... non si poteva mai sapere quale reazione avrebbe potuto avere. "Dimmi, dove sono i tuoi genitori... sei un po' troppo giovane per vivere qui tutto solo..." I capelli erano quasi asciutti e scendevano, un po' arricciati e arruffati lungo la schiena. Mi ero avvolta nel telo come se fosse stata una toga romana e non avevo freddo. Osservai il fuoco scoppiettare. |
“I miei genitori? Non ho più nessuno, milady.” Disse Gavron. “Non ho mai conosciuto mio padre… mentre mia madre è morta dandomi alla luce… vivevo qui con una mia zia, ma è morta tempo fa… sorrise “… ma io sono bravo, sapete? Non ho bisogno di nulla! Ora che assaggerete la minestra che ho preparato mi direte!”
Chinò un pò il capo. “Siete molto bella, sapete?” Arrossendo. “E voi avete un marito e dei figli?” Chiese poi ingenuamente. |
Gli sorrisi, mentre spazzolavo un altro po' i capelli ormai asciutti.
"Sei galante, piccolo Gavron, sono sicura che da grande sai un vero conquistatore..." gli allungai un buffetto scherzoso. "Non ho un marito, ma ho un figlio, poco più giovane di te... è lontano, non vive con me. Non lo vedo spesso... si chiama Uriel." Sorrisi malinconica, poi mi ripresi e mi rivolsi al suo visetto curioso. "Sarò felice di assaggiare la tua minestra, sono certa che sarà deliziosa." |
“Allora vado subito a mettere in tavola!” Disse Gavron correndo in cucina.
Poco dopo si cominciò a sentire il buon odore di quella minestra per tutta la piccola casa. Guisgard, intanto, passeggiava nervosamente accanto alla staccionata. “Tutto tace…” mormorò “… tutto sembra essersi ammutolito in questo posto… comincio a non sopportare più questo silenzio… forse gli uomini di Monteguard mi staranno dando ancora la caccia… o forse sono troppo impegnati a preparare le difese della cittadella… chissà se Morrigan è riuscita a scoprire qualcosa… forse non avrei dovuto coinvolgerla… forse non serai mai dovuto venire in questo posto… ora c’è anche la questione della spada… e poi…” Si voltò a fissare per un momento la casa di Gavron. “Almeno questo posto per ora è sicuro…” guardò di nuovo il cielo, come se cercasse un segno nell’infinito firmamento che sovrastava Capomazda. |
Presi un mestolo di minestra e mi scaldai, assaporandola.
"E' davvero ottima..." mi complimentai con Gavron. "E' molto tardi, dovresti essere a letto..." riflettei, "Ti aiuto a riassettare e poi andiamo tutti a dormire." Mi alzai e aiutai il piccolo Gavron a sciacquare i piatti con l'acqua di un secchio e a mettere ogni cosa al suo posto. Quando ogni cosa fu in ordine, mi indicò il letto nella camera in cui c'era ancora la tinozza, che avevamo svuotato. Mi domandai cosa stesse facendo là fuori Guisgard. Forse stava semplicemente con naso all'insù, come ogni sognatore. |
“Troppa luce? Ma dove siamo giunti? Descrivimi cosa vedi…” disse Pasuan a Dafne.
I due si erano ritrovati in una sorta di grande antro scavato nella roccia. Vi erano torce ovunque, accanto alle quali erano posti dei lunghi specchi che riflettevano e diffondevano la loro luce. Il tutto sembrava preparato per un oscuro rituale. All’estremità opposta al punto in cui si trovavano i due amanti, si apriva un lungo corridoi avvolto nella penombra. E dal corridoio giungevano voci lontane e confuse. Come in un lungo ed angosciante lamento, quelle voci si avvolgevano e si contorcevano fra loro, generando un eco spettrale e disperato. |
“Se volete potete andare a letto, milady.” Disse Gavron. “Finirò io di sistemare domattina la cucina.” Sorrise.
Si voltò poi verso la porta. “Sir Guisgard è ancora fuori…” mormorò “… non ha neanche assaggiato la minestra…” si voltò verso Melisendra “… è accaduto qualcosa, milady?” Chiese. “Ho visto che non ha più la sua spada… è la prima volta che lo vedo senza…” In quel momento si udì il suono della sua ocarina giungere da fuori. |
Finiwell fissò incuriosito Llamrei.
“Devo dire che voi siete una monaca alquanto singolare…” disse, mentre si assicurava che la benda sulla ferita tenesse bene “… a dire il vero, se non fosse per la vostra tonaca non penserei mai a voi come un pia donna timorata e dedita ad orazioni, vespri e alla recita del Santo Rosario.” Continuò a fissarla perplesso. Guardò poi Morrigan e Cavaliere25. “Sembra che la nostra monaca non ci lasci molta scelta…” mormorò il cavaliere “… e sia, del resto se avesse voluto tenderci una trappola, l’avrebbe già fatto da un pezzo. Vedi, amico mio?” Rivolgendosi a Cavaliere25. “Anche se indossano una tonaca ed hanno preso i voti, per me le donne non presentano alcun segreto. Qualsiasi sia la loro vocazione.” Tentò di ridere, ma la ferita gli faceva ancora male. “Va bene, è inutile indugiare oltre…” disse “… il capitano ci starà cercando… e sia, sarete dei nostri, sorella!” Con sarcasmo. “Adiamo alla caserma!” Ed imboccarono il cunicolo indicato da Llamrei. |
Layla sospirò spazientita.
“Quel calice porterà giovamento sia a voi che a vostro marito.” Disse a Talia. “A voi, come detto, donerà serenità… mentre a vostro marito farà conoscere la verità… la verità è il dono più grande che si possa chiedere… essa ci allontana del peggiore dei peccati e dei tormenti… l’illusione.” La fresca brezza d’Autunno rischiarava l’aria ed annunciava la nuova stagione. I pomeriggi erano ancora miti e sereni, rendendo la campagna luminosissima e lussureggiante nel suo rigoglioso bucolico splendore. “Una guerra è sempre una guerra...” sussurrava Layla giocherellando con una ciocca dei suoi biondi capelli “... che sia di conquista o liberazione...” “Quella guerra farà sì che la nostra civiltà possa giungere in quelle terre...” disse lui, mentre si lasciava accarezzare dai lunghi e dorati capelli di lei “... porteremo i nostri valori, i nostri ideali e difenderemo la Fede...” “Già... come hanno fatto in Terrasanta...” tristemente Layla “... mi sembra quasi di udire le stesse parole...” “Amore mio...” abbracciandola lui “... conosci Sygma? Io credo che sia tra le terre più belle che ci siano... freschi e lucenti fiumiciattoli serpeggiano tra verdeggianti colline, mentre meravigliosi girasoli seguono il Sole nel suo attraversare il cielo... la campagna lì sembra infinita. Come un tappeto si lascia ondeggiare e condurre sul dorso delle colline, con rigogliosi vitigni ed uliveti che tappezzano quello che sembra essere un meraviglioso abito a festa della natura... potresti cavalcare per miglia e miglia senza incontrare città, borghi o castelli… miglia e miglia di quel paesaggio che sembra infinito... per poi imbatterti in un casale che pare incantato, circondato da austeri cipressi sferzati da un vento che sembra nascere dal ventre stesso della terra rossa di Sygma...” “E perché volete portare la guerra in un luogo tanto bello?” Domandò Layla. “Layla...” sospirò lui accarezzandola “... Sygma è una terra meravigliosa... una terra della quale io voglio renderti la principessa e la regina...” “Già, le principesse di Sygma... sono famose per la loro bellezza... pallide, eteree, degli stessi colori del Sole...” “Layla, io tornerò sempre da te...” prendendo il volto di lei nelle sue mani “... dimmi che mi aspetterai ed io tornerò da te... dimmelo, Layla...” “Ti aspetterò…” sussurrò lei con i suoi bellissimi occhi azzurri resi quasi vermigli dalle lacrime “... ti aspetterò sempre... cos’altro potrei fare... ti amo...” “Quel calice potrebbe essere un vostro alleato, milady.” Continuò Layla, dopo un attimo di silenzio. “Come lo fu per Alcesti… dipende da voi...” In quel momento arrivò Shezan. “Milady…” disse agitato “... Morgan ha avuto un’altra crisi…” A quelle parole Layla corse fuori in giardino. |
Icarius posò il giglio ai piedi della statua della Santa Vergine e si voltò poi verso i cavalieri e le dame.
Ma appena Icarius palesò la sua scelta, tutti loro si segnarono e chinarono il capo. Le campane della cattedrale suonarono e fu celebrata la messa. Anche Icarius vi partecipò, ricevendo, come tutti i presenti, il Corpo del Redentore. Finita la messa tutti loro uscirono dalla cattedrale. “Sayla…” disse Icarius turbato “… perché mi dici questo? Davvero vuoi abbandonare questo viaggio? Non vuoi più essermi accanto in quest’impresa?” Fissò poi Nishuru e la ragazza che Sayla aveva chiamato Luna. “Se sono riuscito a giudicare bene” continuò “e a donare il giglio alla sua legittima proprietaria è grazie alle parole di questo cantore.” Indicando Nishuru. “Gli sono dunque debitore ed averlo con noi in questo viaggio mi rassicura non poco. Quanto a questa ragazza…” fissando Luna “… se ella è tua amica, Sayla, allora è anche amica mia… verranno con noi, se vorranno davvero.” Avvicinandosi a Sayla. “Ma non abbandonarci, Sayla. Ti prego.” “Mio signore…” intervenne commosso il vecchio del giglio “… vi sono debitore per aver risolto il Giudizio del Giglio. Se non fosse stato per voi, quel fiore sarebbe sfiorito miseramente…” “Allora, se davvero vuoi sdebitarti, indicaci la via per la Dimora degli Innamorati.” Disse Icarius. “Mio signore, ti ripagherei malamente allora!” “Perché mai?” Chiese Lho. “Perché esso è un luogo terribile, a cavallo tra il passato ed il nostro tempo!” Agitandosi il vecchio. “Tra la realtà e l’illusione, tra la vita e la morte!” “Non abbiamo altra scelta.” Fece Icarius. “E’ lì che siamo diretti.” “Mio signore, ascoltatemi…” quasi disperandosi il vecchio “… in quel luogo vi è solo solitudine, angoscia, dolore e morte… e temo che anche voi, giungendovi, incontrerete tali sciagure…” “E’ davvero tanto terribile quel posto?” Domandò Lho. “Si, amici miei!” Esclamò il vecchio. “In esso vi è un’oscura tradizione… La Dolorosa Costumanza…” “E di cosa si tratta?” Chiese Icarius. “E’ un oscuro pegno che le forze del male richiedono a chi giunge in quel luogo…” scuotendo il capo il vecchio “… e sono certo, conosciuto il vostro ardore, che una volta lì, vorrete poi cimentarvi in quell’impresa…” “A me preme solo ritrovare mia moglie” disse Icarius “ e riportala a casa con me. E né voi, né nessun altro mi impedirà di fare ciò.” “Continuate oltre la cattedrale” indicò il vecchio “senza allontanarvi mai dal sentiero… giungerete così in piccolo borgo, sul quale domina La Dimora degli Innamorati con la sua sinistra e spettrale immagine…” “Mettiamoci in cammino.” Disse Icarius. “Forse sarebbe saggio saperne di più sulla prova della quale raccontava questo vecchio.” Mormorò Lho. “Solo giungendo in quel luogo scopriremo la verità.” Rispose Icarius. “Andiamo.” “Aspettate, milord…” lo chiamò il vecchio. Icarius lo fissò. “Voglio darvi solo un consiglio… il vostro giudizio vi ha aiutato a risolvere la questione del giglio… affidatevi ad esso e non seguite le scelte o le convinzioni altrui…” “Non capisco…” “Nel dramma dei Taddei tutti hanno pietà e compassione per lady Gyaia…” fece il vecchio “… ma in realtà anch’ella ha delle colpe in tutto ciò… chi ama non fugge via… ricordatelo, mio signore… chi ama davvero, non fugge mai via… perché oltre l’amore, vi è solo la morte…” Icarius lo fissò per alcuni istanti. Poi lo ringraziò, lo salutò e fece cenno ai suoi compagni di riprendere il cammino. |
Citazione:
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Io, Luna e Nishuru aspettammo fuori dalla cattedrale che la messa finisse.
"Luna, sapresti dirmi qualcosa in più sul cavaliere del gufo? Sai, dopo questo viaggio... dovrò fargli visita... Il Sommo Sacerdote sarà già furioso per questo mio ritardo." La porta della cattedrale si aprì e ne uscirono il vecchio, Lho ed Icarius. dissi ad Icarius che non avrei continuato quel viaggio, se Luna e Nishuru non fossero venuti con noi. Icarius acconsentì, dicendo che Nishuru lo aveva aiutato a risolvere l'enigma del giglio, ma era più scettico nei confronti di Luna. "Luna, oltre ad essere mia amica, è la figlia della donna che ci ospitò alla Torre Diroccata, all'inizio del nostro viaggio..." Ascoltai il vecchio darci indicazioni per arrivare alla Dimora degli Innamorati, mettendoci però in guardia. Ancora la tradizione della Dolorosa Costumanza... ma di cosa si tratta? Guardai sospettosa l'anziano uomo e poio mi voltai ad osservare il tramonto. "E' tardi, Nobile Taddei, dobbiamo rimetterci in cammino e trovare un posto ove passare la notte prima che faccia buio..." dissi incamminandomi. Non sapevo se continuare ancora il mio viaggio. La mia identità era stata scoperta e stavo mettendo a rischio anche Luna e Nishuru. Solo per aiutare un pazzo. Interrogai mentalmente Luna, per chiederle consiglio, ma lei mi rispose che non mi poteva aiutare, che doveva essere una mia scelta. Ricordai il viso di Talia e l'immaginai imprigionata chissà dove. Accellerai il passo. Lei non merita tutto ciò... |
Guardai il mio amico Finiwell e dissi ora devi solo guarire e tornare forte perr la grande battaglia che ci attende e mi sedetti su una sedia accanto a lui
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La luce del crepuscolo era quasi scesa sulle radure del bosco e sul fertile manto della campagna.
Verdi fronde scintillavano di meravigliose tonalità sotto gli ultimi bagliori del Sole che andava a spegnersi nello sterminato orizzonte. La volpe, come la cerbiatta e la colomba, conduceva i propri piccoli nella tana, per proteggerli non dai predatori della notte, ma da quelli, ben più feroci, che si muovevano nelle ultime luci del giorno. I traditori erano radunati lungo il passo detto Delle Cinque Vie, dove avevano trascorso le ultime ore prima di iniziare il fatale e decisivo assedio alla capitale taddeide. Il luogo di quel convegno era presso un antico sentiero di oppi, già conosciuto ed attraversato dagli antichi romani per congiungere queste torre con quelle del nord. Da qui, congiunti i due schieramenti, si erano mossi alla volta di Capomazda. Il loro arrivo fu annunciato prima da sordi boati, poi dal fumo e dalla polvere che sollevarono i loro cavalli. Dalle torri le sentinelle lanciarono subito l’allarme, facendo piombare la città ed il popolo in un incubo che fino a quel momento era stato solo immaginato. Due cinte murarie cingevano Capomazda: quella che circondava il borgo e quella che proteggeva la cittadella ducale. In un attimo tutto quel mondo fu circondato dai due poderosi schieramenti nemici. Innumerevoli torce si accesero, illuminando il crepuscolo Capomzdese con i loro sinistri ed infausti bagliori. Capomazda e la sua gente erano in una morsa. |
Non sapevo cosa rispondere a quel bambino tanto compìto. Nonostante fossi madre, non avevo mai avuto veramente a che fare con i bambini, nemmeno col mio, visto che era un'altra donna a crescerlo. Il mio passato non mi aveva certo preparata a farlo. Con Uriel avevo un rapporto che certe volte mi sorprendeva, perché il richiamo del sangue era forte, mentre altre volte mi lasciava con un po' di amarezza, specialmente quando nei suoi occhi vedevo un bisogno che non potevo soddisfare. Io per prima dubitavo di potermi prendere cura di lui come una madre qualsiasi. Forse lui lo aveva capito, forse era rimasto deluso e amareggiato. Sapevo come ci si poteva sentire, da bambini, a porsi complesse domande sulla propria madre. Per molto tempo avevo accusato la mia di avermi lasciata senza combattere, mentre di lei avevo solo un ricordo confuso che scompariva in un nugolo di fumo. Forse Uriel pensava lo stesso di me.
"Guisgard ha prestato la sua spada per salvarne un'altra e insieme la vita di mio figlio..." risposi a Gavron, avvicinandomi. "Il mondo e l'animo degli uomini, Gavron, è agitato da numerose forze, che sono talvolta buone, altre cattive, altre ancora sono semplice mutamento... è importante che ci sia un equilibrio. Qui a Capomazda è a rischio questo equilibrio..." gli passai affettuosamente una mano tra i capelli. "Guisgard è una brava persona... potrebbe far sì che ogni cosa vada al suo posto..." Per un attimo vidi un paio di luci brillare e svanire. Sfacciati, pensai. "Forse è difficile da capire... non volevo confonderti le idee, ma non temere, non succederà niente di male." Mi domandai se lo dicessi per rassicurare me o lui. |
Luna accennò qualcosa a Sayla sul misterioso Cavaliere del Gufo.
“Egli è un uomo malvagio e feroce.” Disse. “Ciò che rende gli uomini le straordinarie creature che sono, è la loro anima. Ma quel cavaliere non conserva più nessuna anima. Egli è rinchiuso in quella sua indistruttibile corazza, come in una prigione.” Solo queste parole la ragazza proferì, mentre la nobile compagnia si era già rimessa in viaggio, seguendo le indicazioni del vecchio del giglio. Ad un certo punto avvistarono un piccolo borgo. Il suo aspetto era ospitale e molte persone animavano le sue strade. Il loro arrivo fu salutato dalle campane che suonavano a festa. Appena entrarono nel centro abitato, i nostri eroi furono subito raggiunti da diverse persone che li fissavano incuriositi. “Quel cavaliere…” dicevano alcune donne parlando fra loro e fissando Icarius “… verrà di sicuro per tentare La Dolorosa Costumanza…” e nel dire queste cose scuotevano il capo e si disperavano. “Che peccato…” avvicinandosi altre donne ai loro cavalli “… è così nobile e bello… che Iddio abbia pietà di lui…” “Che strana atmosfera vi è in questo luogo…” mormorò Lho. Icarius fissava ed ascoltava tutto ciò senza dire nulla. Ad un tratto si mostrò ai loro occhi un bellissimo palazzo. Sorgeva su una piccola altura e dominava tutto il borgo. Era circondato da alti alberi ed aveva mura che sembravano insuperabili. “Che luogo è quello?” Domandò Icarius ad un passante. “E’ la Dimora degli Innamorati, milord.” Icarius allora fissò quel luogo che appariva, ai suoi occhi, la fine e la meta di quel loro mistico ed irreale viaggio. http://3.bp.blogspot.com/_QMhtr8UTFe...vB8/s400/5.jpg |
Gavron sorrise a quella carezza di Melisendra.
“Non abbiate paura, milady.” Disse il bambino con gli occhi che brillavano intensamente. “Io conosco sir Guisgard come nessun altro. Lui è come me… noi due non abbiamo nessuno a questo mondo e per questo siamo diventati amici per la pelle.” Assunse un’espressione furbetta. “Non ditelo a lui, ma l’ho scelto come maestro per diventare un vero cavaliere.” Sorrise, per poi voltarsi verso le finestre, attratto dalla musica dell’ocarina di Guisgard. “Quando suona è perché si sente malinconico… ma è in questi momenti che gli vengono le idee migliori!” Esclamò fissando di nuovo Melisendra. “Lui non lascerà nei guai voi e vostro figlio… io lo so… ha un gran cuore e vi aiuterà. Ora è tardi e vado a letto…” la fissò arrossendo “… sapete… siete bella… come la mia mamma…” Saltò allora su una sedia e le diede un bacio sulla fronte. “Buon riposo, milady.” Ed andò a letto. |
Quel piccolo gesto mi aveva sorpresa.
"Buonanotte..." mormorai, prima di dirigermi verso il letto a me destinato. Una volta tra le lenzuola mi addormentai subito. Mi augurai di non fare sogni. "Vieni qui..." sussurrò. I suoi occhi scuri e determinati mi convinsero che sarebbe andato tutto bene. Le strinsi la mano e mi strinsi a lei. Mi guardò con quegli occhi vellutati da cerbiatta e mi accarezzò la fronte. Sentii che sotto il suo tocco le mie paure si dissipavano e la mia angoscia scompariva, come per magia. Era una magia che la vedevo praticare quando la mio fratello aveva mal di testa o quando contrattava con i mercanti di vino che venivano a trovarci dopo la vendemmia. Indossava abiti meravigliosi e io la aiutavo a prepararsi per i banchetti, che io potevo osservare da dietro la porta, di nascosto, prima di andare a dormire. La abbracciai, lì, per terra, mentre la mia veste acquamarina si macchiava di sangue. Il cortile era pieno di sangue e morte. Mio fratello era a terra. La mia balia. Ogni servo. Lei era venuta da una terra lontana, mio padre l'aveva portata da uno dei suoi viaggi. Me lo ricordavo appena. Se ci fosse stato lui, niente di tutto quello sarebbe successo. "Mamma... che cosa... sono tutti morti..." singhiozzai, stringendola e cercando di fermare il sangue. "Scappa... non deve trovarti... scappa, mia piccola ape..." riuscì a sussurrarmi in un orecchio. "No! Ti prego... devi venire con me..." mi accinsi a provare a fare quello che faceva lei, guarire le persone. Le strinsi la testa tra le mani e provai a soffiare sulle sue labbra, ma uscì solo aria, non quella magia di cui lei era capace. "E' troppo tardi... vai via! Corri!" Mi spinse via. Se solo fossi stata abile come lei, l'avrei guarita. "Non... deve... prender..." il suo respiro si affievolì, fino ad assomigliare al battito d'ali di una farfalla. Si spense. "No, ti prego! No!" gridai. Ma i suoi occhi nocciola erano diventati vitrei. Il suo bell'abito zafferano era quasi interamente color porpora. "Melisendra..." una voce alle mie spalle interruppe i miei singhiozzi. Mi voltai di scatto. "Vieni, piccola mia..." lo guardai con orrore. Ma quella figura incappucciata si avvicinò a me e mi strappò a forza. Il suo tocco mi fece perdere la cognizione di ogni cosa. Sentii a malapena le sue parole dare un ordine preciso alla marmaglia che lo circondava. "Bruciate ogni cosa..." Mi svegliai di colpo. La luce aveva colpito il cuscino. Non era stato un sogno. Era un pezzo del mosaico che era finalmente andato al suo posto. Mi vestii di corsa, indossando i vestiti asciutti e uscii nel cortile davanti a casa a prendere aria. Una leggera brezza agitò i miei capelli e mi sentii meglio. Mi avvicinai al pozzo e calai il secchio. L'acqua fresca mi schiarì le idee, mentre il cielo all'orizzonte era a malapena tinto di bagliori rosa. |
La notte.
La notte di Capomazda è magica, animata com’è da suoni ed echi lontani. Lontani nel tempo, nei desideri, nei sogni e nelle paure. Strane ed oscure forze agiscono nella notte di Capomazda. Forze che provengono da dove invece gli uomini trovano troppo spesso rifugio: il passato. E’ nel passato che si annidano i nostri peggiori nemici: le illusioni ed i rimpianti. Demoni e fantasmi capaci di tormentarci fino alla disperazione ed alla pazzia. Perché, come raccontava Sant’Ireneo, lo scopo di ogni demone è quello di portarci alla disperazione. Quell’acqua era limpida, fresca e rassicurante. Melisendra poteva quasi specchiarsi in essa. E sulla sua limpida superficie vedeva riflesse Capomazda. Ma era un’immagine inquieta e cupa. Per un attimo ebbe quasi l’illusione di vedere un volto su quell’acqua. Il volto del suo antico e malvagio padrone. Un volto che svanì in un attimo. E poi quel suono di ocarina, quasi a destarla dai suoi timori. |
Con una mano colpii la superficie dell'acqua, per infrangere quelle immagini.
Il suono dell'ocarina mi destò da quei cupi pensieri. Ma non potei fare a meno di domandarmi se quei ricordi fossero casuali o se qualcuno li avesse mandati a tormentarmi. "Non vi stancate mai di suonarla, vero?" domandai. "Buona giornata, Guisgard!" |
Il cavaliere era ai piedi della grossa quercia che faceva da limite fra la campagna e la stradina che riportava al centro della cittadella.
A quelle parole di Melisendra, Guisgard smise di suonare. “Siete mattiniera vedo, milady.” Disse. “Buongiorno a voi.” Accennando un inchino col capo. “Voglio sperare di non essere stato io a svegliarmi con la mia ocarina…” sorrise “… altrimenti sarete di pessimo umore per tutto il giorno ed io, come al solito, ne subirò le conseguenze.” Rimise in tasca l’ocarina. “Oppure chissà che non sia stata la voglia di vedere l’aurora e destarvi dai vostri sogni… ah, che sciocco, queste romanticherie non sono da voi, mia signora!” E la fissò divertito. |
Quella sua aria scanzonata e il sole nascente fecero svanire i brutti sogni e quei ricordi spiacevoli.
"Mi piace quest'ora del giorno... l'aria frizzante riesce a cancellare tutte le ombre della notte." Risposi con un sorriso. "Non temete, è stato il sole a svegliarmi, non la vostra ocarina... non sarò imbronciata e nemmeno scontrosa." Mi rifugiai sotto i rami della quercia e ammirai il cielo che man mano diventava sempre più luminoso. "Gavron è adorabile... e nutre una vera e propria adorazione per voi!" commentai. |
“Nutre un’ammirazione per me? Ma no!” Disse fingendosi sorpreso. “Strana la vita vero? Eh, beata ingenuità dei bambini!” Sorrise. “Beh, visto che non sarete né scontrosa, né imbronciata, bisogna festeggiare questo giorno radioso! Cosa desiderate per colazione? C’è un fornaio da queste parti. Ho cominciato a sentire l’odore del pane caldo almeno un’ora fa. Del resto vi avevo promesso un degno rifugio, accogliente e munito di tutti gli agi possibili!”
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Lo seguii. In effetti aveva ragione: nell'aria si sentiva un buon profumo di pane appena sfornato.
"Bizzarre creature... i bambini. Non sono molto pratica dell'argomento... bè, a parte mio figlio, che purtroppo non vedo spesso... ogni tanto riesce a manipolare i miei sogni, testardo... ma evidentemente deve avere preso da me anche quello, la testardaggine, intendo..." Dei serpentelli d'aria, invisibili e leggeri, mi circondarono un polso. Me ne accorsi subito. Si agitavano con la solita indolenza. "Voi, invece, rimanete qui a fare la guardia...", sussurrai, lanciandoli nell'aria con un rapido movimento del polso. |
“Già…” disse Guisgard fissando il cielo che assumeva i suoi nuovi colori “… la testardaggine deve essere una virtù di famiglia.” La fissò per un istante con un curioso sorriso. “Non so come ci riusciate…” facendosi serio “… a stare lontana da vostro figlio… come fate ad accettare tutto questo? Per cosa poi?” Sospirò. “Mah, probabilmente ho parlato di nuovo troppo… scusatemi, non è affar mio… sarà colpa dei tanti pensieri di stanotte che non mi hanno fatto chiudere occhio…”
Si alzò, sgranchendosi le gambe. “E’ proprio necessario?” Chiese. “Di giocherellare agitando le mani, intendo? E di bisbigliare qualcosa all’aria? Non riuscite mai a togliervi questa vostra veste? Sembra quasi che quelle bizzarre presenze siano i vostri migliori amici… o forse gli unici… beh, c’è altro nella vita e…” scosse il capo “… perdonatemi, sono un idiota…” fece qualche passo in avanti “… allora, pane bianco o focaccia? Miele o Marmellata? Cosa desiderate per colazione?” |
"Io e Uriel abbiamo viaggiato a lungo... era piccolo e l'ho portato con me finchè ho potuto. Ma spostarsi continuamente, di giorno o notte che sia, tra i pericoli e l'incertezza, fuggendo... non è un genere di vita adatto a un bambino." mi soffermai un attimo a riflettere. "L'uomo incappucciato sapeva che Uriel avrebbe ereditato i miei poteri, come io li ereditai da mia madre, ho dovuto nasconderlo prima che lo prendesse come fece con me per addestrarlo ai suoi scopi... Posso solo immaginare cosa ne potrebbe fare... e credetemi, non è un'immagine piacevole."
Entrammo nella bottega del fornaio. Il profumo solleticò il mio appetito. "Uhm... un pezzo di pane e miele andrà benissimo!", sorrisi. Nonostante tutto ero ancora di buon umore. "Spero che i miei amici non vi turbino. E nemmeno i miei gesti. E' il nostro modo di comunicare e avete ragione quando dite che sono i miei unici amici. Amici fedeli. Ma hanno bisogno di comandi semplici e decisi... oppure si perdono nei loro giochi. E se si sentono ignorati possono combinare molti guai..." feci spallucce. |
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