Camelot, la patria della cavalleria

Camelot, la patria della cavalleria (http://www.camelot-irc.org/forum/index.php)
-   Il palazzo delle arti (http://www.camelot-irc.org/forum/forumdisplay.php?f=17)
-   -   Ardea de'Taddei (http://www.camelot-irc.org/forum/showthread.php?t=803)

llamrei 16-10-2009 09.47.14

EVVAIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!! :smile_clap::smile_clap::smile_clap:
CAVALIERE!!!!!!!!!!:smile_wub::smile_wub:

zaffiro 16-10-2009 18.35.21

Mi permetto di intercalare un commento in questa narrazione perchè ancora sento il desiderio di lodare la vostra fantasia,Guisgard,ed attraverso essa,il mirabile lavoro che la Musa sta ispirando alla vostra mente,perchè essa vi guidi ancora ma solo per porre ordine e fluidità nelle idee che sono già in vostro possesso.Sono certa che l'Ardea di cui narrate è parte di voi,dell'animo vostro,ma che ne stia venendo fuori solo una infinitesima parte dell'ardore,dei valori,dei sentimenti che,invece,vi albergano nel cuore e che sono la natura del vostro essere uomo,seppur stiate cercando di riversare con naturalezza ed audacia tutto su un personaggio generato dalla fantasia.Le fantasie innalzano l'uomo,è vero,sorprendono,regalano mondi immaginari,li aprono ai pensieri ed insieme ad essi accendono ogni nostro desiderio sopperendo alle mancanze della vita quotidiana che poche ore ci concede di giorno al culto dei sogni sì da agonizzare,sin la mattino, il buio,il silenzio e la quiete dello spirito conseguibili col calar della notte,pur di nutrirli con avidità.E le fantasie ci arricchiscono indicibilmente,ma ho sempre ritenuto,e riterrò e sosterrò fino al giorno in cui scorgerò la morte con i miei occhi,che la realtà superi di gran lunga la fantasia.La fantasia è il foglio immacolato che permette di narrare di eroi strepitosamente valorosi,nobili d'animo,coraggiosi e dotati di ricchezze e bellezze interiori ed esteriori,e di principesse e fate che donano in nome di amore il loro bene ai sudditi,al ricco e al povero del reame senza riserva alcuna,tutto descritto minuziosamente con abile ed intraprendente penna sotto la guida della Musa perchè trovino memorie perenni nei romanzi piccoli e grandi che l'intelletto dei maestri detta alla Musa stessa perchè questa ne conferisca ad essi forme raffinate.Eppure vi dico che ci sono eroi reali a questo mondo che sono più valorosi,più coraggiosi,più dotati di molteplici bellezze in ogni parte di questa terra reale,e come si narra di Santi che compiono piccoli e grandi miracoli e ne sono venerati,ogni giorno ci sono Santi in cammino per le vie delle città a compiere prodigi più grandi di quelli narrati dalla Santa Chiesa.Attraverso questi uomini e donne reali,più divini di quanto la più affinata fantasia possa divinizzare,più nobili di quanto essa possa nobilizzare con corretta narrazione,più eroi dei valorosi eroi dell'epica di tutti i tempi,c'è una realtà che ai miei occhi è celata,ad appannaggio solo dei puri di cuore,che io non sono capace di scorgere in questo mondo e ne soffro la perdita perchè la mia vita è impoverita a causa della mia cecità di cuore.
Lodo voi,signore,attraverso le fantasie che vi attraversano l'animo,come una infinitesima parte di voi stesso,perchè mi sento scossa dai sentimenti che la lettura mi apre ai pensieri,e tanto vi lodo perchè proseguiate a narrare sempre e solo le bellezze della vita,quanto chiedo,con umiltà,a Dio,che mi apra gli occhi,il cuore e la mente perchè io possa guardare,vedere e sentire questi eroi moderni in carne ed ossa incamminati per le vie del mondo,perchè tutto quanto la mia miseria,il mio malcontento,e le mie sofferenze hanno saputo farmi scorgere è solo miseria,malcontento e sofferenze riversate sugli altri da una distorsione della realtà della quale sono artefice io stessa.

Guisgard 17-10-2009 01.29.07

Lady Zaffiro, come sempre accade, mi perdo dolcemente nelle vostre parole e nei vostri pensieri.
Le considerazioni che fate sono affascinanti e leggervi è sempre un piacere.
In primis vi ringrazio per ciò che dite di me.
Io credo che quando scriviamo qualcosa, inevitabilmente finiamo per proiettare un pò di noi stessi in queste opere.
Forse perchè alla fine si scrive solo di ciò che conosciamo ed amiamo veramente.
Io la penso esattamente come voi: c'è più meraviglia, magia e splendore nella vita reale che in qualsiasi romanzo o film.
Ed è per questo che ho scelto di raccontare a voi tutti la storia di Ardea.
Ho scelto questa storia perchè in essa vi sono descritti tutti i momenti e tutte le stagioni della vita di un uomo.
Quando la musa mi chiese di cosa avrei voluto scrivere, io non ebbi dubbi:
"Voglio scrivere di come la vita può essere degna di un romanzo!"
Una vita che assuma i tratti dell'Iliade, delle Argonuautiche o del Cavaliere della Carretta.
Perchè anche gli uomini reali possano vivere come un Ulisse, un Perseo o un Erec.
Poichè, nulla è più magico del nascere e del morire. E nel mezzo, vivere come un vero uomo.

zaffiro 17-10-2009 09.47.12

Non ringraziatemi,Guisgard,è doveroso che lo faccia io con voi.Molte cose rendono misero l'essere umano,tra queste la lettura fatta passivamente,leggere ogni singola parola,sia esso un romanzo,una lettera,un articolo,e realizzare di essere giunti al punto finale senza essere entrati tra le righe,senza essersi un po' emozionati per il sentirsi coinvolti,e non perchè l'autore non sia bravo,l'amico non ci abbia scritto bei pensieri,il giornalista non abbia saputo comunicare il messaggio all'interlocutore,ma perchè la mente è rigida,assente,o distratta,è una constatazione infelice.Emozionarsi è cosa assai difficile,sentirsi toccati da un personaggio come quello di Ardea smuove i sentimenti irrigiditi da questo freddo che talvolta cala sul cuore,e questo arricchisce il nostro essere.I personaggi di cui dite,epici o mitici o romanzeschi,sono radicati nell'uomo seppur questo ne ignori le gesta e l'esistenza,se sia il filo dei sogni o dell'amore o dei sentimenti ad ancorare il reale al surreale,non mi è dato saperlo,ma un filo lega cuori,pensieri ed azioni col magnetismo della calamita col ferro,e questo filo lega esseri affini,e se l'uomo ha occhi per realizzarlo,la vita assume sfumature inimmaginabili che ben possono ampliare,fino all'infinito,i classificabili sette colori dell'iride.Che il romanzo di Ardea continui ad illuminarci,allora,perchè tutti noi impariamo a sentirci parte di una vita romanzesca.

Guisgard 17-10-2009 17.41.10

Grazie ancora, milady.
Spero vivamente che la storia di Ardea sia degna della sensibilità vostra e di tutti i lettori di Camelot.

Guisgard 19-10-2009 01.47.21

ARDEA DE' TADDEI

XXIII

“Stolti! che osaro violare i sacri
Al Sole Iperion candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.”
(Odissea, I, 11)


Nello scrivere quella lettera, come sempre accadeva, Ardea sentì il viso bagnarsi per le lacrime.
Il ricordo e la nostalgia per suo padre erano sempre vivi in lui e quando gli scriveva questa mancanza diventava quasi insostenibile.
Nella lettera Ardea raccontò ogni cosa, compreso lo stratagemma del cavaliere violaceo, fino alla felice conclusione che sancì la sua investitura a cavaliere.
La lettera poi si concludeva con il desiderio di ritornare a casa al più presto, appena il re gli avesse concesso il permesso.
Ma il re espresse, sentitamente, il desiderio che il nuovo cavaliere si trattenesse ancora ad Afragolignone.
Inizialmente il sovrano volle tenerlo con se almeno fino alle festività del Santo Natale.
Poi fino alla quaresima ed alla Santa Pasqua.
In estate si tennero poi feste tradizionali, che videro giungere a corte molti nobili cavalieri e leggiadre fanciulle e ad Ardea parve scortese partire dalla capitale proprio durante tali cortesi eventi.
Con l’arrivo dell’Autunno poi iniziarono i preparativi per il nuovo torneo di Capo degli Orafi e tutti chiesero ad Ardea, in veste di campione uscente, di difendere il suo titolo.
E così avvenne ed Ardea di nuovo uscì vincitore da quella tradizionale giostra.
Insomma, in un modo o nell’altro, tra feste religiose e tradizionali, tra giostre ed eventi, il momento della partenza slittava costantemente.
La corte era un luogo in cui il corpo e lo spirito si cullano di quel candore che pare rendere la vita un costante sogno, trovando diletto tra la bellezza delle donne e la nobiltà degli uomini.
Gare, giochi e deliziosi incontri non mancavano per inebriare i cuori e far dimenticare preoccupazioni e pensieri.
Ed Ardea, nella sua nuova veste di cavaliere, si trovava a meraviglia in quell’incantato contesto e la sua forzata, diciamo così, permanenza a corte trascorse in modo assai gradevole.
In breve il suo desiderio di ritornare a casa iniziò ad ammansirsi e il rinvio all’indomani divenne una costante del suo modo di pensare.
Quell’effimero domani, che avrebbe segnato la sua partenza dalla corte, divenne sempre più incerto e lontano nel tempo.
Così passarono diversi domani.
E quei domani divennero settimane, poi mesi e poi anni. Tre lunghi anni.
Anni in cui anche le lettere scritte a suo padre, come la voglia di far ritorno a casa, iniziarono a mancare.
Le piacevoli distrazioni della corte, le gare con gli altri cavalieri e la compagnia di deliziose dame, occuparono sempre più i pensieri ed il cuore del nostro cavaliere.
Così quella nostalgia per suo padre e la malinconia per i luoghi dove era cresciuto, iniziarono a dissiparsi come la nebbia ai primi raggi del Sole mattutino.
Così i raggi splendidi e fastosi della corte fecero svanire in breve la voglia ed il desiderio di far ritorno nella sua casa.
E con essi anche il bisogno di scrivere a suo padre.
http://www.roma-gourmet.net/sito/wp-...ecameron_1.jpg

(Continua...)

llamrei 19-10-2009 20.11.59

Il detto "lontano dagli occhi...lontano dal cuore" può essere fatto suo anche ad Ardea.....Ma si ravvederà il nostro buon amico...almeno una missiva al padre....che dite Guisgard? Cosa suggerisce la vostra musa?

Guisgard 20-10-2009 01.52.05

Milady, anche i legami più forti, qualche volta, possono soffrire lontananza e subire distrazioni. E solo se sono veri e profondi possono resistere a tutto ciò.
Vedremo quanto è genuino l'amore che Ardea ha per suo padre.
La musa, qui accanto a me, sorride maliziosa e non sembra intenzionata a rivelarci nulla sui prossimi eventi che vedranno protagonista il nostro cavaliere.
Io, in attesa, inizio a preparare la penna...:misc_write:

Guisgard 21-10-2009 02.22.22

ARDEA DE' TADDEI

XXIV

“Laggiù vedrai gli altri mortali che
offesero empi un dio o un ospite
o i propri genitori, patire ciascuno
castigo adeguato a giustizia. Ade è
giudice grande degli uomini sottoterra,
e tutto sorveglia nelle tavolette della
sua mente.”
(Orestea, III)


La nobiltà del cuore è propria dello spirito e l’uomo che ne fa sfoggio brandisce i più alti ideali e valori come arma.
Non sempre il sangue è portatore di virtù, come invece avviene da un animo nobile.
Il leone può generare una pecora e il gufo una serpe, ma un cucciolo allattato dal sangue della lupa presto leverà alto il suo ululato.
Ma il cucciolo d’uomo, tornato nel mondo incantato e dorato, sembra aver smarrito la via verso casa, ma ignora che tra i suoni e i canti della vita gioiosa vi è sempre una zona oscura, dove si annida la tentazione.
Le lodi dei suoi pari e gli sguardi ammalianti delle donne riempivano il suo cuore di effimera gioia e pagano orgoglio, mentre un velo come sonno calava sul suo animo.
Tra le risa e le musiche della corte, nessuno sembrava prestare attenzione al sibilo del vento, che come un lamento lontano pareva annunciare una furiosa burrasca.
Ma l’uomo maledice la sua follia solo quando ha perso tutto e nulla è più doloroso del rimpiangere la gioia mentre si vive nella tristezza.
Quel caldo mattino d’Agosto in tutta Afragolignone si udivano ovunque le campane delle chiese suonare a festa, mentre le strade erano invase dal giubilo della gente.
Anche a corte la gioia regnava sovrana e tutti i suoi nobili ospiti s’apprestavano a vivere quell’inebriante evento.
Era infatti il giorno dell’Assunta e dopo la celebrazione della messa, gare d’armi, di versi e di musiche avrebbero scandito quella solenne festività.
In uno dei lussureggianti giardini del palazzo reale, fra l’attenzione delle dame e l’abilità dei cavalieri, si stava tenendo una gara di tiro con l’arco.
“Fermati e poniti sul capo quella mela!” Gridò ser Francesco detto il codino al suo irriverente scudiero.
“Le mie gote son rosse e tonde” rispose questi “ma badate di non confonderle con la mela!”
“Zitto e resta fermo, sciagurato!” Gridò il cavaliere.
Poi tese l’arco e scoccò la freccia.
Questa avrebbe senza dubbio portato via un occhio a quello scudiero, se questi, lesto, non avesse schivato il dardo.
“Alla mela dovevate mirare, milord!” Gridò il loquace scudiero. “Non alla mia testa!”
“I musici mi confondono.” Rispose imbarazzato ser Francesco.
“Mettete via l’arco, amico mio” intervenne Ardea “che gli scudieri non crescono sugli alberi come le mele.”
“Sapreste far di meglio, voi?” Chiese indispettito ser Francesco.
“Scommetto che spaccherò quella mela prima di voi.”
“Allora scommettete davvero, messere!” Disse una delle dame presenti.
“Quello che volete, lady Veronica!” Rispose Ardea.
“Non saprei…”
“Allora un bacio.” Disse con fare guascone Ardea.
“E sia..” Rispose arrossendo la damigella.
“Rimettiti in testa la mela, scudiero!” Ordinò deciso Ardea.
Poi tese l’arco e scoccò sicuro la freccia, colpendo e spaccando in due la mela.
Tutti applaudirono.
“Ora” gridò allegro Biago “riscuoti il tuo credito, cavaliere!”
La damigella arrossì abbassando lo sguardo ed Ardea si chinò a cogliere il frutto della sua impresa.
E tutti lodarono l’audacia del cavaliere, non solo bravo a tirare con l’arco.
Ma in quel momento un paggio recò un biglietto ad Ardea.
Appartatosi, il giovane lesse il biglietto ed il suo triste contenuto:

“Cavaliere, il vostro pietoso padre, il duca Taddeo d’Altavilla,
forse a causa di una vecchia ferita o forse per la lunga solitudine,
è caduto gravemente malato e disperiamo che possa vivere ancora
a lungo. Egli ha espresso il desiderio, prima di ritornare alla casa del
suo Signore e nostro Dio, di rivedervi un’ultima volta.”


Il doloroso biglietto recava la firma del medico personale del duca.
In un attimo il cuore del giovane fu preda del più profondo e lacerante dolore mai provato.
E insopportabile, come questo immenso dolore, fu il senso di colpa che in breve attanagliò il suo animo.
Le lacrime rigarono il suo bel viso ed il cuore si schiantava sotto il rimorso, mentre stringeva fra le mani quel funesto biglietto.
E in quel dolore malediceva se stesso.
http://www.summagallicana.it/lessico...e%20Oreste.jpg


(Continua...)

llamrei 21-10-2009 13.56.11

...................Vai Ardea! Prima che sia troppo tardi!

Guisgard 23-10-2009 02.43.59

ARDEA DE' TADDEI

XXV

“Keu, che aveva servito le tavole,
sedeva a desinare insieme ai
contestabili, quando giunse a
corte un cavaliere sfarzosamente
equipaggiato per la battaglia, armato
di tutte le armi.”
(Lancillotto o il Cavaliere della Carretta)


Il Sole quel giorno, come tradizione, splendeva alto e forte, in un cielo terso e sgombro da nuvole.
La solennità dell’Assunzione in Cielo di Nostra Signora era da sempre considerata l’ultima festa religiosa dell’estate e per l’occasione tutta la nobiltà afragolignonese si riuniva al cospetto del re per celebrare i giochi che chiudevano appunto tale periodo dell’anno.
Nel palazzo ovunque, nonostante il caldo afoso, vi era un intenso via vai, che vedeva protagonisti servi, valletti, paggi, stallieri, araldi, tutti impegnati nei preparativi che la tradizione richiedeva per quel santo giorno.
La giornata infatti si era aperta con la messa solenne, alla quale il re e tutta la corte avevano partecipato.
Poi c’erano stati i giochi d’arme, come le corse coi cavalli, la lotta dei sacchi e, come abbiamo raccontato, la gara con l’arco.
Dopo il pranzo di mezza giornata, il tutto sarebbe continuato con la celebrazione detta delle Cento Croci e delle Cento Ave o Maria.
Un antichissima preghiera, composta da invocazioni e litanie, capace di scacciare il male ed i pericoli.
Ma appena tale mistico e sentito rito fu concluso, un’improvvisa e singolare visita giunse al palazzo reale.
Un nano, di severo e brutto aspetto, con modi da villano, si presentò a corte.
“Maestà, nobili signori” iniziò a dire con la sua rauca e sgradevole voce “in questo santo giorno non sarà solo il caldo a portarvi noie! Sappiate che per voi oggi qui riuniti al diavolo son state tolte le catene!”
“Chi sei, villano” chiese adirato il re “che ti presenti a noi qui oggi, con i tuoi deplorevoli modi? La natura ti ha fatto quindi sgradevole anche nell’animo, oltre che nel corpo!”
“Maestà” rispose lesto il nano “anche se siete re, pesate bene le vostre parole, poiché non vi è nel vostro regno un cavaliere degno di poterne rispondere per voi!”
“Scarto della natura, hai dunque tanto veleno sulla tua lingua!” Gridò il re visibilmente alterato. “Sei tanto folle, oltre che storpio, da voler quindi sfidare i nostri cavalieri?”
“Non io, mio signore, ma il mio padrone!”
“E chi sarebbe il tuo padrone?”
“Il più grande cavaliere mai armato!”
“Dubitiamo che sia tanto valente” rispose il re “se si accompagna ad un villano e fellone come te!”
“Vi avevo avvertito di misurare le parole” disse con tono grave il nano “ora questa compagnia ne pagherà le conseguenze!”
“La tua villania ti costerà cara!”
“Vedremo.” Rispose il nano.
Poi continuò:
“Il mio padrone ogni anno, in questo santo giorno, ha fatto solenne voto alla Vergine di annientare e disonorare tutti i cavalieri indegni! Ed oggi è il turno di questa corte.”
A quelle indegne parole, tutti iniziarono a mostrare fastidio, sdegno ed inquietudine.
“Dove si trova ora il tuo malvagio padrone?” Chiese il re.
“Malvagio?” Esclamò il nano. “E perché mai? Perché odia a tal punto la debolezza e l’ignavia da fare scempio di chi ne soffre? Un cavaliere indegno non ha diritto di vivere. Ed egli oggi lo dimostrerà, essendo in attesa, fuori al palazzo, di essere annunciato.
“Che sia fatto entrare allora!” Ordinò il re.
E subito nella sala giunse un maestoso e fiero cavaliere.
Alto e robusto, bardato di una corazza cromata e lucidissima, coperta sul busto da una tunica verde bordata di nero.
Il suo passo era deciso ed il portamento autoritario e nel vederlo passare tutti furono colti da uno strano timore.
Il cavaliere giunse al cospetto del re e si inginocchiò per salutarlo.
“Onore a voi, maestà!”
“Qual è il vostro nome, cavaliere?” Chiese il re.
“Ve lo rivelerò solo quando avrò ucciso tutti i vostri cavalieri, essendo costoro indegni di saperlo.”
Un mormorio di protesta si levò nella sala.
“Sire, dobbiamo subire le ingiurie di un fellone?” Gridò ser Mimino dal breve piede.
“No, vi darò subito soddisfazione!” Rispose il cavaliere senza nome.
Così avvenne il primo duello.
Ma nonostante le accuse e le minaccia tra i due contendenti, lo scontro fu breve e ser Mimino ebbe la peggio.
Tutti vollero allora confrontarsi con quell’arrogante cavaliere ed in breve ci furono tutta una serie di duelli.
E bastò poco più della metà del pomeriggio, al cavaliere senza nome, per vincerli tutti.
I suoi avversari ne uscirono feriti nell’orgoglio e nel corpo. Diversi infatti furono feriti a tal punto da restare storpi.
E quando non ci furono più avversari per quel misterioso cavaliere, il re spazientito ordinò:
“Presto, chiamate ser Ardea de’Taddei e conducetelo qui!”
http://www.john-howe.com/portfolio/g...celot-port.jpg

(Continua...)

elisabeth 24-10-2009 20.52.54

Quante prove deve subire il povero Ardea, un lungo percorso iniziatico per forgiare il suo animo di cavaliere........:smile_clap:.......vi seguo in silenzio....per non disturbare....

Guisgard 25-10-2009 02.25.59

La vita di un uomo, che sia un comune mortale o un eroe, è sempre rappresentata da un viaggio. Ed il viaggio altro non è che la più autentica metafora di un percorso iniziatico, attraverso il quale si giunge ad un livello superiore di conoscenza.
Il viaggio di Giasone, quello di Ulisse, quello di Enea; il viaggio che condusse Ercole a superare le Dodici Fatiche, fino ad arrivare al viaggio di Parsifal e a quello di Gawain, altro non sono che percorsi, alla fine dei quali si giunge alla purificazione delle proprie colpe e alla conoscenza più alta.
Ed anche il nostro Ardea dovrà prima purificarsi e poi potrà ambire a conoscere se stesso e quindi il vero senso della vita.

elisabeth 25-10-2009 16.07.11

Devo essere sincera, credo che il periodo di iniziazione non finisca mai, il viaggio e la ricerca del se e' lungo una vita.....e quando questa finisce, ne' comincera' un'altra dove il viaggio continua.......

zaffiro 25-10-2009 16.47.31

Citazione:

Originalmente inviato da elisabeth (Messaggio 11528)
Devo essere sincera, credo che il periodo di iniziazione non finisca mai, il viaggio e la ricerca del se e' lungo una vita.....e quando questa finisce, ne' comincera' un'altra dove il viaggio continua.......

E' molto profondo questo pensiero,lady Elisabeth.

Eppure io credo che la vita non sia avvolta tutta intorno ad un solo periodo,l'iniziazione è il principio di ogni periodo diverso seguito da un rallentamento di moto che permette di assaporare l'equilibrio conseguito.Ora sta a chi è più capace di mantenersi in equilibrio più a lungo e a chi,invece,è più fragile nella sua sensibilità dal vacillare anche per la più semplice causa da battersi,ma credo,quanto più sia affinata l'intelligenza tanto più si soffre e si diviene fragili e sensibili alla vita.Intendo dire che chi vive in semplicità,non cerca una spiegazione logica in tutte le cose,con molta probabilità assapora più a lungo le gioie della vita,perchè si ferma un attimo ad afferrare con le mani quanto da altri o da se stesso seminato,e ne gode.
Credo che Ardea appartenga a quella schiera che,conseguita una vittoria se ne prefigge subito una nuova,e questo,da un lato esalta perchè più si è desiderosi dell'ignoto,più si affina l'intelligenza,ma dall'altro,nega gioie,perchè non sente neppure l'odore dell'alloro che sul capo gli è stato apposto,sebbene i sacrifici siano stati innumerevoli,appariranno poca cosa in confronto a quello verso cui si sta propiettando nuovamente,ma,intanto,i profumi dell'alloro svaniranno con l'appassire della ghirlanda.E non li avrà vissuti appieno.
Mi piace molto anche il pensiero di Guisgard,quando scrive che il percorso iniziatico conduce a un livello superiore di conoscenza.La conoscenza non si estinguerà mai,non per chi la ricerca,però,non ne avremo mai conseguito a sufficienza dal poterci fermare un attimo e desiderare di godersi quanto appreso e conseguito come frutto di esperienze di vita,di studi o di rapporti umani,e questo rende gli esseri umani,a mio avviso,sempre piccoli,ingenui,studenti fino alla morte,e chi per indole è desideroso di spingersi sempre oltre le sue conoscenze,fosse anche un uomo di scienza,non si sentirà mai a livelli tali da potersi fermare e realizzare di essere cresciuto,divenuto uomo e magari invecchiato,si sentirà sempre uno scolaro desideroso di carpire quanto più si può dall'universo,e quando si fermerà a gioire,ad assaporare il suo traguardo,lo farà per poco,ma sarà l'unico modo di desiderare la morte quando,oramai all'ultimo respiro,avrà compreso che non ha visto,letto,studiato,scoperto e conosciuto tutto ciò che avrebbe desiderato nella sua fugace vita,ed in cuor suo ne soffrirà un istante.

E' molto bella la sensibilità a cui sta muovendo il racconto di questo cavaliere de' Taddei che si sta mostrando con naturalezza nel suo nobile cuore e nelle sue debolezze di uomo ingenuo e genuino.

Guisgard 25-10-2009 23.52.27

Mie coretesi dame, i vostri interventi sono molto intriganti.
Ognuno infatti esprime concetti particolarissimi, sebbene palesino due diverse visioni della vita.
Io credo che la vita, come dice Lady Elisabeth, sia un perenne cammino che termina solo quando avviene il passaggio in un altro "quando" ed in un altro "dove".
Tuttavia, credo, esiste un altro viaggio.
Una sorta di viaggio nel viaggio.
Ed è quello che ci porta a conoscere noi stessi. Solo così potremmo affrontare quel grande cammino iniziatico che conduce alla conoscenza della vita in tutta la sua essenza.
Lady Zaffiro raccontava che uomo sia il nostro Ardea.
Io credo che egli sia un uomo che vive con passionalità tutte le cose.
E come tutti i suoi simili è alla perenne ricerca delle gioie e della felicità della vita.
Tuttavia, vi sono alcuni valori che sono comuni ad ogni uomo, al di là del credo e della cultura.
E senza questi valori non vi è gioia.
Il nostro eroe sembra aver smarrito la via che conduce ad essi.
E ritrovarla richiederà immani sacrifici e sofferenze.

Guisgard 26-10-2009 02.52.23

ARDEA DE' TADDEI

XXVI

“Allor le palme il misero gli stese,
e questi profferì pietosi accenti:
Mio diletto figliuolo, Ettore mio,
deh lontano da’ tuoi da solo a solo
non affrontar costui che di fortezza
d'assai t'è sopra.”
(Iliade, XXII, 45)


Ardea intanto, ignaro dei clamori e delle tensioni della corte, era occupato a preparare le sue cose, prossimo ormai a far ritorno nella sua terra.
Una stanchezza che lo affliggeva fin nei meandri dell’anima ed una tristezza senza fine erano le sue compagne in quel triste momento.
Un profondo senso di colpa si era impossessato del suo cuore e non accennava a svanire.
L’immagine di suo padre, ora malato e solo, come uno spettro lo tormentava senza sosta.
Nonostante fosse occupato a prepararsi, quasi costantemente, il pensiero di ciò che aveva fatto, dimenticandosi dell’affetto di suo padre e della nostalgia per la sua casa, lo assaliva in maniera più intensa, quasi insopportabile.
L’unica cosa che ora chiedeva, come un’ossessione, era di ritornare al più presto da suo padre e chiedere il suo perdono.
Ma questi assillanti e laceranti pensieri furono bruscamente interrotti dall’arrivo di due valletti.
“Milord, presto” esordì agitato ed impaurito uno di questi “il re chiede la vostra presenza nella sala del trono!”
“Cosa è accaduto?” Chiese Ardea reso ansioso dall’espressione quasi sconvolta dei due.
“Una sciagura messere!” Rispose ancor più agitato del suo compagno l’altro valletto. “Recatevi dal re!”
Ardea allora lasciò ogni cosa e corse veloce fuori dalla stanza.
Prossimo ormai alla sala del trono, vide fuori di questa una folla irrequieta ed intimorita.
“Ardea fermati!” Gridò Biago, anche lui confuso in quella folla.
“Cosa accade qui?” Gli chiese Ardea.
“Prendi le tue cose e parti ora!” Rispose Biago. “Fallo subito o non rivedrai più tuo padre!”
“Sei impazzito?” Gridò confuso ed infastidito Ardea. “Cosa diavolo sta succedendo? Rispondi!”
“Il re ti reclama per mandarti a morte certa!” Gli disse ancora Biago. “Vattene ora! Avvertirò io che tu eri già partito un’ora fa!”
“Il re chiama ed io dovrei fuggire?”
“Non è il re che ti reclama, ma la morte!”
“Sei pazzo o solo stolto?”
Biago esitò a raccontargli la verità. Infatti, ben conoscendo il suo amico, sapeva che mai avrebbe rifiutato un duello ad un cavaliere che l’avesse sfidato.
“Lasciami entrare allora!” gli intimò Ardea “Se non vuoi dirmi che accade lo scoprirò da solo!”
“Aspetta” gli disse Biago afferrandolo per un braccio “se entri dovrai batterti.”
“Con chi? Tutti ben sapevano che oggi non avrei preso parte a giostre e tornei!”
“Non si tratta di giochi” disse Biago fissandolo con uno sguardo indescrivibile “ma di una singolar tenzone.”
“E con chi?”
“Stamani, a corte, nel bel mezzo della festa” iniziò a dire Biago “si è presentato un misterioso cavaliere scortato da un nano storpio e screanzato.”
“Che cavaliere?”
“Nessuno lo conosce.” Continuò Biago. “Tutti i migliori lo hanno sfidato, ma egli ne ha avuto facilmente la meglio. Ha infangato il buon nome della corte e della nostra compagnia. Ora il re ti chiede di lavare l’onta.”
Ardea senza dir nulla si diresse verso la porta che dava alla sala del trono.
“Ardea” chiamò Biago “non è un cavaliere normale! Sotto quell’armatura vi è un demonio!”
Ardea lo fissò per qualche istante e poi senza rispondere niente entrò nella sala.
Appena lo vide il re si ridestò.
“Eccolo, è giunto!” Gridò alla corte.
Poi, al cavaliere accompagnato dal nano:
“Ora vi confronterete con il primo dei nostri cavalieri!”
“Non chiedo di meglio!” Rispose alla sfida del re quel cavaliere senza nome.
E sfoderò la sua possente e lucente spada, con la quale aveva abbattuto i migliori eroi del reame, disonorandoli e schernendo tutti i presenti.
“Fino alla morte!” Aggiunse fissando Ardea, come se già pregustasse la vittoria per se e l’onta per il suo avversario.
http://www.previdi.it/giorgio/cavaliere.jpg

(Continua...)

Morris 26-10-2009 21.18.11

[quote=zaffiro;11531] Credo, quanto più sia affinata l'intelligenza tanto più si soffre e si diviene fragili e sensibili alla vita.Intendo dire che chi vive in semplicità,non cerca una spiegazione logica in tutte le cose,con molta probabilità assapora più a lungo le gioie della vita,perchè si ferma un attimo ad afferrare con le mani quanto da altri o da se stesso seminato,e ne gode.
Chi per indole è desideroso di spingersi sempre oltre le sue conoscenze, fosse anche un uomo di scienza,non si sentirà mai a livelli tali da potersi fermare e realizzare di essere cresciuto,divenuto uomo e magari invecchiato, si sentirà sempre uno scolaro desideroso di carpire quanto più si può dall'universo,e quando si fermerà a gioire,ad assaporare il suo traguardo,lo farà per poco,ma sarà l'unico modo di desiderare la morte quando,oramai all'ultimo respiro,avrà compreso che non ha visto,letto,studiato,scoperto e conosciuto tutto ciò che avrebbe desiderato nella sua fugace vita,ed in cuor suo ne soffrirà un istante. quote]

Molto bene lady Zaffiro..molto bene veramente!
La vostra sensibilità, in queste vostre parole da me umilmente quotate, è oltremodo sublime ed evidente!

Sir Morris

llamrei 26-10-2009 21.30.10

Ardea è buono nell'amino ma terribilmente orgoglioso....Affronterà il cavaliere misterioso..non può tirarsi indietro....in cuor mio so che Ardea combatterà lealmente. Attendo di leggere il racconto descrittivo della singolar tenzone....grazie bardo d'eccellenza ;)

Guisgard 27-10-2009 01.37.11

ARDEA DE' TADDEI

XXVII

“Proteggeteci voi, angeli e
ministri della grazia! Sii tu un
benigno spirito o un folletto,
scendan con te soffi celesti o
raffiche d’inferno, intenti buoni
oppur malvagi, tu t’avvicini in
modo ch’io ti voglio interrogare.”
(Amleto, I, IV)


Nella corte scese un irreale silenzio e tutti aspettavano di conoscere l’esito di quel mortale duello.
Il re aveva già fatto preparare la corazza e le armi del suo campione, quando Ardea prese la parola:
“Vostra maestà. Nobili baroni. Io, da cavaliere devoto e fedele alla corona, accetto di buon grado la sfida, pronto a lavare l’onta che l’arroganza di costui ha portato su di noi.”
“E sia!” Proclamò il re.
“Ma non ora, maestà!”
A quelle parole di Ardea l’intera corte fu scossa da agitazione ed inquietudine.
Tutti si levarono in piedi ed iniziarono a biasimare le parole di Ardea, inveendo contro di lui.
Il re però, conoscendo il valore ed il coraggio del suo cavaliere, zittì i presenti e prese la parola:
“Cavaliere, che storia è questa?”
“Maestà” rispose Ardea “sapete bene che non temo la morte più di quanto non mi disgusti la viltà. Accetto la sfida del mio avversario, ma non ora.”
Di nuovo i presenti protestarono a quelle parole.
“Cosa vi impedisce” chiese turbato il re “di combattere oggi?”
“Sire” rispose con voce rotta Ardea “ho ricevuto proprio oggi un funesto messaggio.”
“Che messaggio?” Chiese il re.
Ardea mostrò il biglietto al re, che appena l’ebbe letto cadde come tramortito sul suo regale seggio.
“Si, maestà” disse Ardea “il duca, padre mio e vostro alfiere, è prossimo a ricongiungersi all’Onnipotente. In fin di vita chiede di rivedermi. Vi prego di acconsentire che io parta subito.”
“Nulla in questa corte” iniziò a dire il re dopo un momento di smarrimento, causato da quel biglietto “vi tratterrà. Tuttavia le regole della cavalleria vi impongono, per rinviare il duello, di chiedere il consenso al vostro avversario.”
“Giammai, che io sia dannato!” Tuonò con arroganza ed ira il cavaliere senza nome. “Questa è solo una meschina scusa per salvarsi dalla mia collera!”
“Mettete quindi in discussione la parola e l’onore di un nostro cavaliere?” Gridò alterato il re.
“Certo!” Rispose il cavaliere. “E con forza!”
“Cavaliere” intervenne Ardea “benché sembrate alieno ad ogni regola di cortesia ed onore, non potete ignorare la pietà di un figlio verso il padre morente.”
“Sciocchezze!” Rispose il cavaliere. “La meschinità umana non ha fine, come non hanno fine le menzogne che può inventare!”
“Non vi curate dunque del mio dramma, marrano?”
“Per niente!” Rispose quasi ridendo il cavaliere. “In voi non c’è né pietà né amore. Come in tutti gli uomini. E se davvero avete un padre sul punto di morte, vorrà dire che morirà da solo, come ha vissuto fino ad ora, visto che non ha un degno figlio!”
Benchè quelle parole suonavano infamanti e provocatorie, tanto da offendere tutti i presenti, Ardea non rispose nulla.
In cuor suo infatti sapeva che quel cavaliere diceva la verità.
Egli si era dimostrato un figlio indegno, senza amore né onore e meritava il veleno di quelle accuse.
Tuttavia, il desiderio di rivedere e dire addio al caro padre, erano troppo forti.
“Cavaliere” iniziò a dire “quella è la mia corazza ed accanto sono riposte le mie armi. Se volete cominciare il duello fate pure, ma sappiate che io non le adopererò. Combatterete quindi con un nemico inerme.”
“Fate leva sulla pietà, gaglioffo?”
“Ciò che più mi preme è rivedere mio padre.” Rispose Ardea. “Altro non chiedo. Anzi, se voi oggi qui mi uccideste, mi fareste senza dubbio un gran favore, facendomi congiungere molto prima con colui che amo più di ogni altro.”
“E chi mi dice che il vostro non sia un inganno per salvarvi?”
“Avete la mia parola” rispose Ardea “qui, davanti al mio re. Se accettate di lasciarmi partire, vi giuro che da qui a un mese ci ritroveremo, proprio in questa sala, per il nostro duello.”
“E sia” disse il cavaliere senza nome “recatevi da vostro padre. Il nostro duello avverrà però tra un anno esatto da oggi, nel giorno dell’Assunta. E non qui, ma sul monte che gli afragolignonesi ritengono sacro, nella Cappella dell’apparizione di San Michele Arcangelo.”
“Con questo gesto” rispose Ardea “dimostrate onore e generosità. Tra un anno mi troverete ad attendervi in quel santo asilo che avete scelto.”
“Ma badate bene, cavaliere” intimò con tono gravoso quel cavaliere senza nome “che se mancherete al nostro appuntamento io verrò a cercarvi! E statene certo che vi troverò!”
Detto questo, scortato dall’irriverente nano, quel misterioso cavaliere abbandonò la corte, lasciando su tutti i presenti un’inquietudine ed un senso di smarrimento mai provati prima.
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(Continua...)

zaffiro 27-10-2009 15.03.10

[Egli si era dimostrato un figlio indegno, senza amore né onore ...]

Sono espressioni infelici di uno stato d'animo inquieto e tormentato.Ardea non merita di provare questi sentimenti,non merita di essere così severo con se stesso.
Questo pensiero tormenta ogni uomo che ha dato valore alla vita e ha preso coscienza dei suoi errori,ma neppure il più vile tra gli uomini merita di condannare se stesso con tanta austerità.


A Morris.Grazie,ma questa sensibilità di cui dite mi ha precluso l'ultima possibilità di poter continuare a credere in un sogno per il quale mi sono battuta lungamente,oggi mi rimane il rincrescimento dell'aver permesso a qualcuno di leggere nei miei occhi e "giudicarmi" solo attraverso di essi,decidendo le mie sorti future attraverso la mia carriera di studente.
Perdonate questo inciso OT

Guisgard 27-10-2009 18.25.27

Lady Zaffiro, la vostra pietà per il nostro Ardea è tanto nobile quanto condivisibile.
Ma purtroppo, come le grandi storie ci insegnano, ci sono alcuni valori, universali e naturali, che se smarriti causano immani tragedie.
Cavalieri come Rinaldo, Lancillotto e Parsifal ne sono testimonianza con le loro storie.
Io credo che le gioie ed i dolori nella vita di un uomo derivino solo ed esclusivamente dal suo comportamento.
Come ci insegna la storia di Ardea, una volta commessa qualche colpa si perde la Grazia Divina e con essa la benevolenza della sorte.
E allora, come scoprirà lo stesso Ardea, possiamo solo confidare nella Misericordia più alta ed assoluta.

Guisgard 28-10-2009 01.55.47

ARDEA DE' TADDEI

XXVIII

“<<Volesse Dio>> disse poi Fitzurse a
De Bracy, <<che qualcosa potesse
ridarlo a lui, il coraggio! Il solo nome
di suo fratello è per lui un tormento.
Infelici i consiglieri del principe che
pretende pari forza d’animo e perseveranza
nel bene e nel male!>>”
(Ivanhoe. XIV)


Uscito quell’oscuro cavaliere, l’intera corte fu colta da agitazione e timore.
Tutti si chiedevano chi si nascondesse veramente sotto quell’elmo.
“Mai ho veduto un simile cavaliere!”
“E nessuno altro l’ha veduto!”
“Non è un uomo che si cela sotto quella corazza, ma un demonio!”
“Nel vederlo battersi, ho davvero creduto si trattasse di un Ercole redivivo o del mitico Orlando tornato da Roncisvalle!”
“Forse quel cavaliere è uno spirito giunto per tormentarci!”
Queste ed altre mille frasi simili si rincorrevano confuse nella corte.
Lo scempio compiuto da quel cavaliere sui migliori guerrieri di Afragolignone, aveva gettato tutti nella paura e nello sconforto.
“Dieci come lui” disse il re “ed il regno sarebbe perduto! Nemmeno un esercito potrebbe fermali!”
Ardea ascoltava senza rispondere nulla.
“Apparite pensieroso, messere” gli domandò il re “siete già pentito per aver accettato la sfida?”
“No, maestà” rispose Ardea “mi chiedevo solo chi sia veramente e cosa l’abbia spinto qui oggi.”
Nella sala, in quel momento, entrò un vecchio monaco, da tutti ritenuto un santo eremita, che viveva nel bosco e solo di tanto in tanto veniva in città.
“Vi chiedete chi sia?” iniziò a dire ai presenti. “Un angelo o un demonio? E che differenza farebbe per voi saperlo?”
“Perché vieni a tormentarci, monaco?” Chiese il re, come destato da quelle parole da un qualche profondo pensiero.
“Non io e nemmeno quel cavaliere” rispose il monaco “ma le vostre colpe vi tormentano!”
“Cosa ne sai tu delle nostre colpe?” Gridò uno dei baroni presenti.
“Per mettere alla prova Giobbe” continuò il monaco “Iddio non liberò forse il demonio per tentarlo?”
“E l’angelo della morte” aggiunse voltandosi verso il trono “non fu mandato dall’Onnipotente per punire gli egizi, uccidendo loro i primogeniti?”
“Tu sei pazzo!” Gli gridò il re.
“Angelo o demone” disse il monaco guardando il cielo “non fa alcuna differenza! Egli è per voi un castigo divino!”
“E di cosa si sarebbe macchiata questa corte?” Chiese indispettito il re.
Il monaco sorrise amaro e, appoggiandosi al bastone, si avvicinò al trono.
“Un re” iniziò a dire “conosce la fedeltà dei suoi uomini e la loro abilità con le armi, ma non cosa cela il cuore di ognuno di loro.”
Detto questo, iniziò a recitare alcune orazioni, poi si incamminò verso l’uscita e sparì dalla corte.
Le parole del monaco suscitarono nei presenti un angoscia che andò a sommarsi all’inquietudine che albergava già precedentemente nella sala, rendendo l’atmosfera ancora più cupa.
In Ardea però quelle parole avevano ridestato un pensiero che ormai da ore l’affliggeva.
Così decise di partire all’istante.
Salutò tutti a corte ed omaggiò il suo re. Poi, preparata ogni cosa, lasciò prima il palazzo reale e poi la città, per fare ritorno alle Cinque Vie.
Sul sentiero che, attraversando il bosco, conduceva verso le sue terre, fu assalito da innumerevoli pensieri.
L’immagine di suo padre solo e malato l’affliggeva, come una lama che gli lacerava le carni.
I mesi passati senza scrivergli ora gli sembravano come un lungo periodo di perdizione, in cui aveva maturato vizi e pensieri che minavano i suoi valori ed ideali più alti.
Più si avvicinava a casa, più il senso di inquietudine cresceva.
Il suo animo si tormentava, afflitto dal rimorso e dal rimpianto.
Tutto ciò che prima gli dava gioia, tutti i suoi sogni, le aspettative per il futuro, il suo destino di cavaliere, ora gli apparivano senza senso e valore.
Così, come a volersi liberare da questi rimorsi, da queste inquietudine, lanciò in un furioso galoppo il suo cavallo, affondando nel ventre del veloce animale, i suoi speroni lucenti.
Le briglie tirò forte e con la voce incitò il suo destriero a divorare la via che lo separava dal suo amato padre.
Così, lanciato in quella furiosa corsa, come a voler fendere l’aria, in breve avvistò il castello delle Cinque Vie.
Un mare di ricordi lo raggiunse in quel momento.
E mentre una fresca brezza gli accarezzava i capelli, il suo viso fu rigato da amare lacrime.
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(Continua...)

llamrei 28-10-2009 21.46.29

....ero certa che in cuor suo...avrebbe voluto fortemente tornare dal padre...aveva bisogno solo di un incitamento...bravo Ardea

elisabeth 28-10-2009 22.40.15

Ardea sta crescendo, ora il cavaliere sta imparando a conoscere la voce dell'anima...........e umilmente le lacrime gl solcano il viso, bravo ...sta costruendo il suo tempio interno........

Guisgard 28-10-2009 23.33.58

Lady Llamrei, Ardea ha commesso un grande peccato.
Ma non ha mai smesso di amare suo padre. Tra loro c'è un legame che va oltre ogni cosa. Anche io non ho mai dubitato che sarebbe tornato dal suo amato padre.

Lady Elisabeth, diventare un uomo è forse la cosa più difficile.
Ma Ardea cela nel suo cuore un immane peccato. E similmente ad altri uomini come lui, il prezzo da pagare, quando si pecca, è molto più alto.
A volte, durante la notte, lo sento vagare dove nessuno può dargli conforto.
Dove non troverà una spalla su cui piangere o qualcuno che gli tenda la mano.
Ardea deve avere coraggio e dimostrare di essere forte.
Se lo sarà veramente, il suo cuore rappresenterà la "Pietra Angolare" per erigere il suo tempio interno.

elisabeth 28-10-2009 23.39.15

Ardea ha fatto il primo passo.....e trovera' il coraggio di confessare il proprio peccato......lo ha gia' fatto con se stesso, la consapevolezza lo rendera' forte, l'umilta' vincitore

Guisgard 30-10-2009 00.51.14

ARDEA DE' TADDEI

XXIX

“O padre, padre sventurato,
con quale gesto o con quale parola
potrei riuscire ad inviarti da lontano un prospero vento
là dove ti tiene il tuo giaciglio?
Alla tenebra è opposta la luce;
sono anche un pianto datore di gloria
i rendimenti di grazie
per
gli Atridi sepolti davanti al palazzo.”
(Orestea, II)


Giunto al castello sentì forte un’atmosfera di oppressione e un profondo senso di vuoto.
Il cielo era grigio, coperto da gonfie nuvole scure che sembravano sul punto di vomitare sulla terra una collera senza fine. Di tanto i tanto i bagliori dei lampi squarciavano il cielo ed in lontananza si udivano i boati dei tuoni, segno che la tempesta era ormai vicina.
Un forte vento, asciutto e freddo, soffiava tra le alte torri del castello, diffondendo nell’aria un suono simile ad un sofferto gemito.
Sceso da cavallo, alcuni servitori gli andarono incontro, per accoglierlo come si conveniva.
E sulla porta Ardea vide, avvolto in un nero mantello, Vico d’Antò che lo fissava.
“Sei giunto, finalmente.” Disse il cavaliere.
“Come sta mio padre?”
Vico non rispose ed abbassò il capo.
“Dov’è? Rispondetemi!” Gridò Ardea.
Vico lo fissò e scosse la testa.
Poi si incamminò fino ad un cancello di ferro battuto che dava ad un giardino posto dietro il cortile del castello.
Ardea lo seguì e i due giunsero su una tomba di pietra che sorgeva tra gli sterpi.
Sulla croce della tomba era posto il ciondolo con il gufo e la rosa.
Ardea si gettò sulla nuda pietra di quella tomba e cominciò a piangere ed a gridare.
Intanto i boati e le folgori erano sempre più minacciose e dal cielo sembrava sul punto di cadere una pioggia incandescente.
Il vento soffiava forte, percorrendo in lungo e in largo la campagna, per finire poi contro le alte mura del castello.
“Ha atteso il tuo ritorno fino allo stremo delle forze.” Iniziò a dire Vico. “Poi, alla fine, la malattia lo ha vinto.”
Ardea intanto non smetteva quel pianto doloroso e sul viso, poggiato alla base della tomba, le lacrime si mischiavano al fango.
Poi, alzato il volto al cielo, iniziò ad inveire contro se stesso e contro la sua follia, fino a quando, vinto dal dolore e dal rimorso, iniziò a sbattere il capo contro la croce di pietra della tomba.
Occorsero Vico e tre servitori per fermarlo e portarlo in casa a forza.
Ardea scacciava ed insultava quegli uomini, posseduto com’era dalla disperazione più profonda.
Ma alla fine, con il capo sanguinante e senza più forze, cadde vinto ed addormentato.
Dormì tre, forse quattro giorni, nei quali sognò sempre suo padre.
Quell’immagine gli appariva come una visione, uno spettro, che dall’aldilà, con il solo sguardo, lo tormentava.
Quando si svegliò, il dolore fu ancor più intenso.
Passarono così altri giorni, densi di dolore ed amarezza, dove Ardea ormai appariva come un vuoto sepolcro, senza ambizioni o scopi.
Trascorreva il tempo stando accovacciato sulla tomba di suo padre o fissando l’orizzonte sterminato da una delle torri.
E un giorno, mentre era presso la tomba, Vico lo raggiunse.
“Non ti crucciare oltre” disse “o presto lo raggiungerai.”
Ardea non rispose.
“Egli ti volle qui” continuò Vico “perché tu potessi prendere un giorno il suo posto. E quel giorno è giunto.”
“Io non sono degno di essere suo figlio” rispose Ardea “e meno ancora il suo successore.”
“E’ il dolore che ti spinge a dire questo.”
“No, è l’immagine che ho di me a farmi dire questo.”
“Anni di sacrifici e allenamenti” disse Vico “gettati quindi al vento!”
“Si” rispose Ardea “al vento. E proprio dal vento vorrei farmi portar via l’anima.”
“Quindi tutto questo è destinato a perire?”
“Perirebbe se io diventassi duca.”
“Tuo padre è morto solo e povero” disse Vico “non togliergli anche l’onore!”
“Povero?” Chiese sorpreso Ardea.
“Si, povero. Poverissimo.”
“Cosa dite mai?”
“Ciò che gli è rimasto” rispose Vico indicando il castello “è solo questo.”
“Siete pazzo? O forse sono io che ho perso il senno?”
“Il duca ormai da due anni non riscuoteva più i tributi dalle sue terre. Malato e stanco non ha potuto più richiedere ciò che gli spettava ai suoi vassalli.”
“E non vi era nessuno” chiese sconvolto Ardea “che potesse, in nome suo, riscuotere i tributi?”
“Nessuno qui era capace di tali imprese.” Rispose Vico. “Solo lui era in grado di risolvere queste che amava chiamare Questioni.”
“Questioni?”
“Si” rispose Vico “e sperava che tu, una volta ritornato, le avresti risolte al suo posto. Ma il giorno del tuo ritorno egli non ha potuto vederlo, morendo così solo e impoverito.”
In quel momento il vento soffiò ancora più forte, mentre ormai l’oscurità dal cielo era scesa sulla terra, avvolgendo ogni cosa come un manto spettrale.
http://www.lucatarlazzi.com/public/celti071.jpg

(Continua...)

Guisgard 02-11-2009 00.35.18

ARDEA DE' TADDEI

XXX

“E sventurato anche Esone: meglio
sarebbe stato per lui se già prima,
avvolto dentro un sudario, giacesse
sottoterra e non sapesse di questa
orribile impresa.”
(Le Argonautiche, I, 253)


Ardea fissava sconvolto Vico, quasi incredulo a ciò che udiva.
“Sventurato padre mio” disse con un filo di voce “morto povero e solo.”
Poi si lasciò cadere, pesantemente, ai piedi della tomba.
“Non vi sono più uomini al servizio del duca.” Disse Vico. “Io sono l’ultimo rimasto.”
“Fuggiti?” Chiese Ardea senza alzare mai lo sguardo da terra.
“Fuggiti o morti.”
“Morti?”
“Si.” Rispose Vico. “Una squadriglia di suoi fedelissimi fu inviata a riscuotere i tributi, viste le cattive condizioni del duca. Ma quegli uomini non fecero mai più ritorno.”
“Cosa accade loro?”
“Nessuno lo sa.” Rispose Vico. “L’unica cosa certa è che qualcosa di oscuro si cela nelle sette contrade che formano le terre Delle Cinque Vie!”
“Qualcosa di oscuro? Che cosa intendete dire?”
“Quello che ho detto.” Rispose vico, fissandolo negli occhi. “Il male ormai dimora in queste terre!”
“Siete pazzo!”
“Guardati intorno” disse Vico, indicandogli tutto ciò che li circondava “in questo castello ci siamo solo io, te e qualche vecchio servitore. Gli altri sono morti o fuggiti, al soldo di chi fosse in grado di pagare i loro servigi.”
Ardea si accasciò sulla tomba e cominciò ad accarezzare quella nuda pietra, sotto la quale riposava l’amato padre.
“Io stesso” riprese a dire Vico “implorai più volte il duca di inviarmi a riscuotere i tributi. Ma egli non volle mai affidarmi tale compito. Diceva che presto saresti tornato e che solo tu eri in grado di risolvere quelle che egli chiamava Questioni.”
Il vento in quel momento iniziò a soffiare più forte, rendendo limpido e stellato l’infinito cielo della sera.
Ardea allora, come destato da un improvviso impulso, baciò il medaglione del gufo con la rosa che pendeva dalla croce della tomba e si alzò di scatto.
“Vico” disse voltandosi verso quel cavaliere “per domani fatemi avere una mappa delle Cinque Vie, con tutte le contrade che ne fanno parte.”
“Cosa hai mente di fare?”
“Quello che mio padre si aspettava da me.”
“Non puoi partire per una simile impresa” gli intimò Vico “non ci sono più uomini che possano scortarti!”
“Non ne ho bisogno.” Rispose sicuro Ardea. “Questo è un compito per me solo!”
“E’ follia!”
“Se valgo almeno la metà di mio padre” sentenziò Ardea “allora riuscirò in questa impresa!”
“Guardati” gli disse Vico “sei stanco, confuso, stravolto fin dentro l’anima! Non sei in grado di partire per questa missione!”
“Vico” rispose Ardea “negli ultimi tre anni ho combattuto in giostre, duelli e tornei. Il mio dardo aveva come bersaglio lo sguardo di qualche bella dama e la mia spada non ha bevuto altro che frigidi onori e illusori consensi.”
“Ardea, non capisci…”
“No, Vico” l’interruppe Ardea. “Non comprendete le mie parole. Io fui armato cavaliere per compiere grandi e nobili gesta. Non per fare bella mostra in una corte, per conquistare l’ammirazione dei miei pari e stappare un si ad una bella dama!”
“Ardea, capisco cosa provi” disse Vico “ma parli così solo a causa del dolore che ora ti affligge.”
“No, Vico” riprese a dire Ardea “non potete comprendere cosa provo. Solo mio padre, se fosse vivo, potrebbe capirlo. E' per lui che faccio tutto questo.”
“Perché? Ormai egli è morto.”
“Perché non si dica che sia morto povero e senza più il controllo sulle sue terre. Ha perduto un figlio, ma non perderà l’onore!”
“Sei quindi deciso…”
“Si, lo sono. E ho un anno di tempo per risolvere tutte e sette le Questioni.”
“Un anno?” Chiese stupito Vico.
“Si, un anno…”
A quelle parole, sul volto di Ardea, calò un’ombra che oscurò il suo luminoso sguardo. Mentre in lontananza, il soffio del vento sembrava preannunciare ostili ed infausti auspici.
http://www.1st-art-gallery.com/thumb...yard-Scene.jpg

(Continua...)

Guisgard 04-11-2009 01.07.53

ARDEA DE' TADDEI

XXXI

“Marcello
Orazio dice ch’è una nostra ubbìa
e non vuol lasciarsi prendere dall’orrida
apparenza che abbiamo scorto già due volte.
L’ho pregato perciò di starsene con noi stanotte,
in modo che se l’apparizione tornasse egli possa
parlarle e credere infine ai nostri occhi.”
(Amleto, I, 1)



L’oscurità avvolgeva, densa e spessa, l’alta torre.
Le nuvole, dominate dal forte vento, si gonfiavano e si rincorrevano in un infinto vortice.
La torre sembrava quasi voler arrivare in cielo, tanto era alta.
Ma quel cielo, tormentato dalle inquiete nuvole e dal poderoso vento, pareva voler respingere sulla terra la maestosa costruzione.
E su quella torre Ardea era solo, a fissare l’orizzonte sterminato e buio.
Intorno a lui vi era solo un profondo silenzio, attraversato dall’impetuoso e tumultuoso soffio del vento.
Ad un tratto udì delle grida.
Provenivano camminamento di ronda. Si voltò per capire cosa stesse accadendo, ma fu raggiunto da due guardie che recavano torce ed armi con loro.
“Milord” disse una di quelle “dovete rientrare, non è prudente stare qui in quest’ora.”
“Che ora è mai questa?” Chiese Ardea.
“L’ora in cui gli spiriti vagano per tormentare i vivi!” Rispose l’altra guardia.
“Devo finire il mio giro d’ispezione!”
“Ma, signore, non capite! Non è prudente restare qui!”
“Non seccatemi!” Rispose irritato Ardea. “Ritornate ai vostri posti, è un ordine!”
Le guardie, senza esitare, obbedirono a quel comando.
Restato solo però, Ardea s’accorse che il vento era diventato di colpo più freddo.
Sentì quindi il bisogno di stringersi il mantello sulle spalle, per cercare tepore da quell’improvviso gelo.
Alla fine, vinto dal freddo, decise di rientrare.
Ma un rumore di passi attirò la sua attenzione. Si voltò di scatto ma non vide nessuno.
Una profonda inquietudine si impossessò di lui.
Il sibilo del vento si fece simile ad un sinistro lamento.
Udì in quel momento il canto del gufo che proveniva dall’oscurità che avvolgeva l’alta torre.
Cercò di riconoscerlo tra il buio della notte, ma non vide niente.
Ma ad un tratto, alzando gli occhi verso la sua destra, notò una figura alta e delicata, dai tratti spettrali e circondata da un pallido alone.
“Chi è là?” Gridò Ardea,
La figura non rispose.
“Chi è che si nasconde nell’oscurità?” Gridò ancora Ardea. “Annunciati o assaggerai la mia spada!”
La figura continuò a restare in silenzio e iniziò ad avvicinarsi ad Ardea.
“Fermati!” Intimò il ragazzo. “Un altro passo e ti infilzerò!”
Ma la figura, silenziosa, muta continuava ad avvicinarsi.
Il vento cessò all’improvviso e con esso il suo lamento.
Ardea estrasse rapido la spada.
“Fermati, chiunque tu sia!” Gridò a quella misteriosa immagine.
In quel momento un lontano ma straziante gemito si udì diffondersi nell’aria.
Ardea avvertì un sordo dolore nel suo cuore.
E improvvisamente, dalla porta che dava alle scale della torre, si sentirono dei passi.
Passi pesanti, stanchi, che però echeggiavano tanto forte da far vibrare la porta dietro la quale provenivano.
Ardea voleva aprire quella porta e scoprire chi stesse arrivando, ma temeva di dare le spalle alla spettrale figura bianca.
I passi si facevano sempre più vicini e forti, tanto da far scricchiolare la porta di legno.
Ardea si voltò verso la misteriosa figura simile ad un spettro, ma non c’era più.
Allora corse verso il bordo della torre dove si trovava fino ad un momento prima e guardò in basso.
E nel giardino sottostante vide la tomba di pietra sotto quale riposava suo padre.
In quel momento un tonfo tentò di sfondare la porta di legno alle sue spalle.
Un secondo colpo, ancor più vigoroso, riuscì a spaccare le cerniere che la fissavano alla parete di pietra.
E da quella porta di nuovo si udì quel delirante gemito udito poco prima.
Dalla soglia buia allora prese forma una ciclopica e nera figura, ricoperta da una spessa corazza.
Ardea riconobbe il misterioso cavaliere comparso a corte e con il quale, tra un anno, l’attendeva un mortale duello.
Immobile ed incredulo, il ragazzo non ebbe il tempo di capire che il cavaliere lo stava assalendo e solo all’ultimo, con uno scatto, riuscì ad evitare il fendente della sua spada.
Ma quel passo all’indietro gli fu fatale. Perse l’equilibrio e dal bordo cadde nel vuoto.
Si alzò di scatto e gridò.
Il sudore gli copriva il viso e sentiva il cuore battergli come impazzito.
“Era…era solo un sogno…” Disse fra se, mentre i primi raggi dell’alba iniziavano a dissolvere il buio della sua stanza.
http://farm4.static.flickr.com/3189/...9012c8bc_o.jpghttp://farm4.static.flickr.com/3189/...9012c8bc_o.jpghttp://upload.wikimedia.org/wikipedi...%27s_Ghost.JPG

(Continua...)
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llamrei 04-11-2009 11.08.17

E' inquietante.....:eek:....per fortuna era stato solo un sogno.....

Guisgard 04-11-2009 19.56.14

Milady, quando si porta nel cuore una colpa tanto opprimente e lacerante, anche i sogni, solitamente eterea dimora dei nostri desideri e pensieri più intimi, diventano dimora dei nostri tormenti.
Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, diceva: "Strane ed arcane forze, benigne o maligne che siano, ruotano attorno ad ogni uomo, influenzandone la condotta, i giudizi ed i pregiudizi."

Guisgard 05-11-2009 00.54.26

ARDEA DE' TADDEI

XXXII

“Così bolliva sempre di quell’angoscia
storica, il figlio diHealfdene. Né il saggio
eroe riusciva a schermare la pena: troppo
forte il conflitto toccato alla sua terra, troppo
odioso e durevole: oppressione, violenza, astio
feroce, grave piaga notturna.”
(Beowulf, III, 189)


Per tutto il giorno l’inquietudine, frutto di quell’arcano sogno, lo accompagnò costantemente.
Il tempo era grigio e sembrava diffondere nell’aria una velata apatia.
Il vento dei giorni scorsi si era fermato e tutto il paesaggio che circondava il castello pareva assumere i contorni di una visione incantata, quasi irreale.
Ardea era, come quasi sempre, presso la tomba di suo padre.
Ad un tratto lo raggiunse Vico.
“Stamani il gallo per te ha cantato presto.” Disse ad Ardea.
“Ormai per me” rispose Ardea senza voltarsi verso Vico “le notti sono solo lunghi tormenti.”
“Spero ti abbia portato consiglio però questa notte.”
“Consiglio…”
“Si” disse Vico “per abbandonare il tuo folle proposito.”
“La follia” rispose Ardea, scrutando il cielo, quasi a volerlo interrogare “mi ha accompagnato negli ultimi quattro anni.”
Vico gli si avvicinò.
“La vita è tua, ragazzo mio.” Gli disse portandogli una mano sulla spalla.
“Mi avete preparato ciò che vi ho chiesto?” Chiese Ardea.
“Si, ecco la mappa delle Cinque Vie!”
Ardea srotolò la pergamena e cominciò a leggere ciò che su essa era inciso.
“Le Cinque Vie” cominciò a dire Vico “sono formate da sette contrade; la valle della Maddola, i Cancelli di San Felice, Caivania, Cardizia, Frattagrande, Casorre ed Acerna.”
“Ognuna è retta da un vassallo del duca è su tutte è imposto un tributo annuo.” Concluse Vico.
“Un tributo che però da due anni nessuno più paga.” Disse Ardea fissando Vico negli occhi.
“Già” rispose questi “e nessuno di noi ne conosce i motivi.”
“Probabilmente” disse Ardea “venuti a conoscenza della cattiva salute del duca, i suoi vassalli ne hanno approfittato per liberarsi dal tributo!”
“Lo escludo!” Rispose sicuro Vico. “Il duca nutriva la massima fiducia verso i suoi sottoposti. E questi gli sono sempre stati devoti e leali! E tu sai bene che il duca non era uno sciocco!”
“E’ nei momenti difficili” disse disilluso Ardea “che si vede la vera devozione e fedeltà.”
Vico, capendo che il ragazzo alludeva a se stesso, non rispose a quelle parole.
“Vico” riprese a dire Ardea dopo un momento di silenzio “tra tre giorni partirò per risolvere queste sette Questioni ed a riscuotere i tributi.”
“Sei quindi deciso…”
“Si” gli rispose “e so che posso contare sulla vostra lealtà verso il nome di mio padre.”
“Comanda ed io ti servirò!”
“Fra tre giorni fatemi avere tutto l’equipaggiamento necessario per questa impresa.”
“Ci penserò io.” Rispose Vico, che poi aggiunse: “Portami con te!”
“No” rispose Ardea “non possiamo lasciare incustodito il castello. E poi questo è un compito per me solo!”
“Ormai su questo castello” disse Vico “governano il vento e la solitudine. Qui sono inutile, mentre al tuo fianco ti aiuterei a risolvere le sette Questioni.”
“Vico” disse Ardea stringendogli la mano in segno di amicizia fraterna “io devo andare incontro al mio destino. Se morissi in questa impresa, almeno uno di noi resterebbe a difendere ciò che è rimasto.”
I due si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi si chinarono entrambi sulla tomba per pregare ed invocare dal Cielo la benedizione su quella disperata impresa.
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(Continua...)

Guisgard 06-11-2009 01.14.24

ARDEA DE' TADDEI

XXXIII

“Con il ramoscello sferza la
groppa del cavallo che corre via:
senza inciampare, lo porta a grande
andatura nella foresta oscura.”
(Perceval o il Racconto del Graal)


La mattina del terzo giorno, quello che Ardea aveva fissato per la partenza, tutto era pronto.
Vico aveva preparato una delle armature che il duca aveva voluto per suo figlio quando sarebbe tornato col titolo di cavaliere.
Dalle scuderie condusse un magnifico cavallo dal pelo rossastro e dalla criniera che pareva d’argento.
“Questo formidabile destriero” disse ad Ardea “tuo padre voleva donartelo, come degna cavalcatura per un cavaliere. Non credo ne esista uno simile in tutta Afragolignone.”
“E’ magnifico.” Disse Ardea.
“Quando fu condotto al castello” aggiunse Vico “nessuno riuscì a domarlo. Il duca lo tenne per le redini, lo fissò negli occhi e, montatogli in sella, gli morse un orecchio fin quando questo fiero sauro ebbe la forza di scalciare. Alla fine cadde stremato, vinto dalla determinazione e dall’abilità del duca.”
“Lo domò per me…” Disse Ardea accarezzando quel cavallo.
“Si” rispose Vico “per te. Il suo nome è Arante!”
Per un istante Ardea restò in silenzio, osservando quel bellissimo cavallo. Poi destatosi dai suoi pensieri, preparò le ultime cose per la partenza.
“Qui vedo lo scudo, la lancia, la scure ma non la spada!” Disse osservando il suo equipaggiamento. “Non ci sono più spade?”
“Seguimi!” Gli disse Vico.
I due giunsero alla cappella di palazzo.
Entrarono e Vico si inginocchiò e si segnò con la croce. Ardea fece altrettanto.
Poi Vico raggiunse l’arca di pietra posta davanti all’altare e ne estrasse il contenuto.
“Ecco la tua spada, cavaliere.” Disse porgendogli l’arma contenuta nell’arca.
“No” rispose stupito Ardea “Parusia no!”
“Era la spada di tuo padre” disse Vico “e sono sicuro che egli avrebbe voluto che tu la portassi con te.”
“Non sono degno di questa magnifica arma!” Rispose Ardea rifiutandosi di toccarla.
“Non è un premio, Ardea, ma un aiuto in questa tua impresa.”
“E’ un’arma sacra! Non posso portarla con me!”
“E’ l’occasione giusta per adoperarla!” Affermò Vico “Sei da solo contro l’ignoto. Ella ti darà almeno una possibilità di riuscita.”
“Non ne sono degno!”
“La adopererai solo per risolvere le Questioni. Al tuo ritorno la deporremo di nuovo nell’arca.”
“E sia…mi auguro di non disonorarla.”
“Tuo padre” disse Vico “avrebbe voluto che tu un giorno potessi brandirla.”
In quel momento nella cappella entrò un monaco coperto da un cappuccio.
Salì sull’altare e cominciò a celebrare la santa messa.
Vico ed Ardea l’ascoltarono e parteciparono al banchetto Eucaristico.
Conclusa la mistica recitazione, Ardea si apprestò a partire.
Abbracciò forte Vico, senza che nessuno dei due disse nulla.
Poi, montato in sella ad Arante, commosso salutò il suo amico.
“Addio” disse “e che Dio ti protegga.”
“E faccia lo stesso con te.” Gli rispose Vico.
A quel punto nulla poteva più trattenerlo al castello.
Uscì quindi dal maniero e si apprestò a seguire il sentiero che conduceva nel folto e misterioso bosco.
Il cielo era luminoso ed un asciutto vento schiariva l’aria, disegnando perfettamente le forme dei monti che tutt’intorno racchiudevano quel paesaggio.
Percorse solo pochi passi, quando notò una lontana sagoma provenire dal bosco.
Era a cavallo e veniva verso il castello. Si accorse di Ardea e, dopo un attimo di titubanza, gli si avvicinò.
Canticchiava una canzone e sembrava che gli uccelli del bosco, con i loro melodici cinguettii, lo accompagnassero in quel suo curioso motivetto.
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(Continua...)

Guisgard 09-11-2009 00.28.05

ARDEA DE' TADDEI

XXXIV

“<<In quanto a questo>> replicò Gurth
<<non tradirò mai un amico, nemmeno
se minacciano di scuoiarmi. Ho la pelle
dura, io, e sopporta il coltello e la frusta
quanto quella di un maiale del mio branco.>>”
(Ivanhoe, X)


“Chi vive?” Gridò Ardea.
“Io so chi sono” rispose la voce del viaggiatore mentre si avvicinava “voi piuttosto, chi siete?”
“Avanza ed annunciati, menestrello!” Intimò Ardea.
“Non sono un menestrello!” Rispose il viaggiatore.
“Ma questa voce…”
“Viva il re!” Gridò il viaggiatore.
“Non può essere….Biago!” Esclamò sorpreso Ardea.
“Proprio lui!” Rispose divertito Biago.
I due si raggiunsero e si abbracciarono.
“Cosa ti spinge quaggiù?” Chiese Ardea.
“A corte” rispose Biago “io e mio padre abbiamo finito di riparare le armature danneggiate dal tuo misterioso sfidante. Ormai lì, per me si batteva troppo la fiacca!”
Ardea rise di gusto.
“Tu piuttosto” chiese Biago “come te la passi?”
Ardea si incupì. Poi dopo alcuni istanti rispose:
“Purtroppo mio padre è morto. Non ho fatto in tempo neppure per salutarlo un’ultima volta.”
“Fatti forza, amico mio.” Gli disse abbracciandolo forte Biago.
“Mi spiace che non potrai trovare grande ospitalità al castello.” Disse Ardea. “Ormai è quasi disabitato. Su queste terre sembra essere calata madonna Miseria.”
“Non starci a pensare” rispose Biago “sai bene che non sono affatto abituato al lusso ed allo sfarzo. Mi basterà la tua compagnia.”
Mi spiace, mio buon amico” rispose sconsolato Ardea “sono in partenza.”
“E dove sei diretto?”
“Devo percorrere in lungo e in largo questo feudo.”
“Per quale motivo?”
“Sono ormai due anni che nessuno dei vassalli di mio padre versa più i tributi.”
“E vai a riscuoterli da solo, senza scorta?”
“Un manipolo di guardie fu già inviato dal duca a richiedere ciò che gli spettava” rispose Ardea “ma non fece più ritorno.”
“E tu vorresti riuscire da solo dove molti hanno fallito?”
“Ormai sono rimasto io solo per questo compito. Lo devo al nome di mio padre.”
Biago lo fissò per qualche istante, poi disse:
“Ho capito! Hai deciso di farti ammazzare prima di incontrare ancora il misterioso cavaliere apparso a corte nel giorno dell’Assunta!”
“Hai il pessimo difetto” rispose seccato Ardea “ti trasformare ogni situazione in una farsa comica.”
“Veramente chi dice cose assurde sei tu, mio buon amico.”
“Cosa puoi saperne tu!” rispose infastidito Ardea. “Con te perdo solo il mio tempo. Il castello è laggiù; lì troverai l’ultimo fedele di mio padre. Digli chi sei ed egli ti ospiterà. Addio.”
“Forse non sarò esperto di cavalleria come te” gridò Biago all’amico che gli aveva appena voltato le spalle per incamminarsi verso il bosco “ma posso vantarmi di conoscere bene le armi. E tu dovresti ben ricordarlo, se non erro!”
“Cosa vuoi da me?” Gli chiese Ardea voltandosi indietro.
“Voglio venire con te!”
“Sei pazzo!” Rispose ironico Ardea. “Non è lavoro per te, maniscalco!”
“Eppure, un giorno, venisti da me a chiedere il mio aiuto, ricordi?”
“Era una faccenda totalmente diversa!”
“Era un fatto d’armi” rispose Biago “come lo è ora. Né più, né meno!”
”Al torneo di Capo degli Orafi tu dovevi solo farmi da scudiero” disse Ardea “qui invece non so cosa mi aspetta in ognuna delle contrade di questo feudo che visiterò. Sarebbe troppo rischioso per te. Ed inoltre potresti essermi d’intralcio!”
“E se si dovessero danneggiare le tue armi?” Chiese Biago “Se la tua corazza avesse bisogno di riparazioni? Ad ogni cavaliere, per ogni impresa, occorre uno scudiero!”
“Non qui” rispose deciso Ardea “basto io da solo.”
“Un tempo” esclamò Biago “chiedesti il mio aiuto. Ed io, contro ogni logica ed ogni regola ti fui accanto. Ora ti chiedo di ripagare quel favore.”
“Quest’impresa potrebbe celare insidie terribili. Pericoli inimmaginabili…”
“Abbiamo sfidato la collera del re, ricordi?” Rispose Biago. “Cos’altro potrebbe spaventarci!”
Ardea fissò il suo amico, quasi convinto dall’ardore delle sue parole.
“E sia.” Disse Ardea. “Però dovrai giurare di obbedirmi sempre. In ogni occasione.”
“Sarò il più devoto e leale degli scudieri!”
“E in ogni pericolo dovrai farti da parte. Mi starai lontano di cento passi, ogni volta sarò impegnato in uno scontro!” Sentenziò Ardea.
“Lo giuro.” Rispose Biago.
Una stretta di mano sancì quel fraterno patto.
Poi i due si incamminarono lungo il sentiero, fino ad essere inghiottiti dal lussureggiante e misterioso bosco che, come la porta del destino, sembrava segnare il passo verso l’ignoto.
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(Continua...)

llamrei 09-11-2009 10.08.43

Vera Amicizia. Mi chiedo se sia possibile un tale sentimento anche nella vita di tutti i giorni. Senza inganni e a prescindere.
Ammiro questi due personaggi

elisabeth 09-11-2009 12.00.58

Lady Llamrei, avete colpito nel segno....ho letto con attenzione tutta la storia, in essa si racchiudono tutte le vicissitudini che ci accompagnano nella vita, la gioia e il dolore sempre compagne.......e l' amicizia...il puro sentimento cio' che pensi e senti a "priscindere"......purtroppo non credo che nella maggior parte delle volte possa accadere........il sentimento e le belle parole......nell' amicizia e in qualsiasi altro rapporto.....ahime' sono sempre a " priscindere"...........

Guisgard 09-11-2009 18.45.10

Mie delicate dame, ciò che dite è vero.
Madonna Amicizia e Messer Amore, sono i compagni migliori che un uomo possa chiedere a questo mondo.
Trovare il vero amore, come la vera amicizia, forse dipende più da un privilegio del Fato che dall'abilità dell'uomo.
L'immenso Laurence Olivier diceva spesso che la vita è come un grande film, capace di raccontare le storie più belle.
Ma le storie, per essere tali, hanno bisogno di grandi interpreti.
La ricerca del vero amore, come quello della vera amicizia, è un'eterna viaggio che ognuno di noi fa.
E i più fortunati troveranno questi degni interpreti, che faranno davvero della nostra vita la più grande storia mai raccontata.

Guisgard 10-11-2009 01.45.37

ARDEA DE' TADDEI

XXXV

I° QUESTIONE: CAIVANIA, IL GREGGE DI TRAMANTO

“Sembrava quasi che gli spiriti del canto
non potessero concedere al loro protettore
un segno più amabile di gratitudine che questa
figlia, la quale possedeva tutto ciò che la più soave
immaginazione poté riunire in una tenera figura di
fanciulla.”
(Enrico di Ofterdingen, III)


Il lungo e solitario sentiero percorreva, tagliandolo da occidente, il folto bosco, fino a giungere nelle terre di Caivania.
Questa era la contrada più vicina ai territori del castello ducale. Racchiusa da questa densa e compatta macchia verde, Caivania sorgeva su terre assai fertili e da sempre aveva sostenuto un tributo per il duca.
Ma mentre erano ormai prossimi alla porta della contrada, Ardea e Biago furono colti dal crepuscolo.
“E’ inutile andare oltre” disse Ardea “sono posti sconosciuti per noi questi, meglio accamparci e riprendere il cammino domattina.”
All’improvviso però i due furono destati da un poderoso rumore di passi. Un attimo dopo una veloce e solida carrozza li raggiunse e li superò.
Il passo del veicolo era ben lanciato, ma non tanto da impedire ad Ardea di scrutarne l’interno.
E vide alcune donne. Ma solo su una cadde la sua attenzione.
Aveva un velo bianco attorno al collo, che incorniciava in maniera sublime un viso bellissimo e perfetto, dalla pelle come alabastro e dagli occhi chiarissimi.
Un cappello di stoffa annodata attorno al capo non teneva dietro tutta la sua bellissima chioma, nerissima come le piume di un corvo.
La corsa della carrozza permise solo per un breve istante questa paradisiaca visione ed Ardea ne fù completamente rapito.
“Io non so quanto potrò ancora vivere” pensò Ardea “se un giorno, un mese, un anno o cento. Però so che fino a quando il mio cuore pulserà e la mia anima mi apparterrà io non amerò altra donne che te!”
“Che fretta!” Esclamò Biago. “Per poco quella carrozza non ci travolgeva! Ma dove è diretta?”
“Non lo so” rispose Ardea “ma voglio scoprirlo!”
E si lanciò all’inseguimento, con Biago che lo seguì a ruota.
Dietro la corsa della carrozza, i due arrivarono in una radura buia ed irregolare. Al centro della quale sorgeva una piccola locanda.
Appena giunta, la carrozza fu fatta fermare dietro l’abitazione e lo steccato che racchiudeva quello spiazzo fu chiuso subito.
Ardea e Biago allora, impossibilitati ad avvicinarsi a coloro che scendevano da quella carrozza, legarono i cavalli fuori la locanda ed entrarono dentro.
Subito l’oste si avvicinò e li fece accomodare accanto al fuoco acceso, che rianimò con della legna secca.
Comandò poi ad un dei suoi figlioli di occuparsi dei cavalli dei nuovi clienti e servì a costoro del buon vino della casa.
“Una capra verde come insegna!” Disse ad alta voce Biago. “Come mai?”
“Capre e pecore” rispose l’oste mentre portava a tavola altro vino “se ne vedevano in abbondanza una volta da queste parti.”
“Ed ora invece?” Chiese Biago.
“Ora invece la terra di questi luoghi non da più buoni frutti come un tempo.”
“Carestia?” Chiese ancora Biago.
“Si…diciamo così.” Rispose l’oste. “I signori avranno fame, immagino. Mia moglie ha ancora sul fuoco uno sformato di carne e verdure davvero ottimo. Ve ne servo un po’?”
“Certo!” Rispose euforico Biago. “E innaffiatelo con altro vino, amico mio!”
“Sentito?”Disse Biago rivolto ad Ardea, “Sembra che qui ci sia una carestia.”
Ardea non fece caso a quelle parole. In realtà non aveva minimamente prestato attenzione alla conversazione del suo scudiero con l’oste.
Nei suoi pensieri vi era solo quel bellissimo volto visto poco prima in quella carrozza. E fremeva di sapere a chi appartenesse.
“Cos’hai?” Chiese Biago.
“Nulla…” Rispose assente Ardea.
“Sarà, ma mi sembri strano.”
“Non hai visto i passeggeri di quella carrozza che abbiamo incrociato nel bosco?”
“Incrociato?” Rispose lesto Biago. “Per poco non ci investiva!”
“Vi era una ragazza dentro.”
“E sei riuscito a vederla?” Chiese stupito Biago. “A quella velocità io a stento ho visto la carrozza!”
“Perché si sono fermati dietro la locanda?” Chiese Ardea.
“Chissà, forse sono di casa. O magari sono persone importanti.”
“Voglio chiederlo all’oste!”
“Lascia perdere!” Rispose Biago. “Mia nonna mi diceva sempre che la troppa curiosità chiama i guai!”
“Se i guai hanno il suo aspetto” disse Ardea “allora spero di incontrarne ogni giorno!”
In quel momento arrivò l’oste per servire la cena.
“Che profumino!” Esclamò Biago. “Amico mio, questo sformato canta!”
“A chi appartiene quella carrozza ferma dietro la locanda, dite?” Chiese Ardea.
“A certi gran signori, messere.” Rispose l’oste.
“Che signori?” Chiese Ardea, dominato dalla curiosità.
“Forestieri, credo. Sono di passaggio e pare non vogliano essere disturbati.”
Finito di cenare, Ardea uscì all’aperto.
Giunto dietro la locanda vi trovò un uomo addormentato di guardia alla carrozza.
Notò al piano superiore dell’edificio un luce provenire da una finestra.
Vinto dalla curiosità, l’indomito ragazzo, con fare ardito, si arrampicò sul capanno delle stalle e si accostò alla finestra.
Udì allora un rumore provenire dalla stanza e per prudenza saltò giù nello spiazzo.
Un momento dopo la finestra si aprì ed una donna si affacciò nel buio della sera.
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(Continua...)

Guisgard 12-11-2009 02.45.51

ARDEA DE' TADDEI

XXXVI

“E cos’è l’amore, se non una pazzia
mite, un’amarezza che soffoca,una
dolcezza che da sollievo?”
(Romeo e Giulietta, I, I)


Quella donna con una lampada scrutò con fare sospettoso l’oscurità sottostante la finestra.
Era una donna pasciuta e dall’aspetto severo quella che si era appena affacciata.
“Mia signora” gridò Ardea dal buio dello spiazzo “sono qui!”
“Per l’amor del Cielo!” Esclamò la donna. “Chi siete e cosa volete a quest’ora?”
“Cercavo una damigella…”
“Una damigella?” Rispose seccata la donna “E la cercate qui, svegliando la gente che dorme?”
“Sono sicuro che è passata da queste parti, mia signora!”
“Non ci sono damigelle per voi qui” tuonò la donna “ora allontanatevi o chiamerò uno dei guardiani!”
“Lasciate che ve la descriva” implorò Ardea “forse davvero l’avete intravista.”
La donna sbuffò spazientita.
“E’ una bellissima fanciulla” continuò a dire Ardea “ha la pelle bianca come la porcellana e vellutata come una pesca. Gli occhi sono quelli di una colomba e i capelli più scuri di una limpida notte d’inverno senza Luna!”
“Siete forse un poeta?” Chiese sempre più irritata la donna.
“No, signora” rispose lesto Ardea “sono un cavaliere errante.”
“Comunque, come vi ho detto” disse la donna “qui non c’è nessuna damigella che vi sta attendendo. Quindi allontanatevi, di grazia!”
“Sono io che cerco lei!”
“Messere, volete che chiami i guardiani? Se siete un cavaliere, allora non dimenticate le buone regole della cortesia e lasciateci dormire!”
Detto questo, la donna rientrò e chiuse la finestra.
Ma da dietro la tendina della finestra si mostrò un volto di ragazza.
Questa guardò Ardea coprendosi il volto con un velo, lasciando scoperti solo i suoi bellissimi occhi.
E dopo alcuni istanti richiuse la tendina, sparendo nel buio della stanza.
Ardea l’aveva però riconosciuta: era la ragazza della carrozza.
“Allora ella è davvero in quella stanza!” Pensò tra sé.
“Oh cielo notturno…mi hai donato una delle tue scintillanti stelle! Ma come si raggiunge una stella? Gli uomini possono solo sfiorare con i loro desideri quelle cadenti!”
Poi andò a sedersi sotto un alto albero.
“E il Cielo ben conosce i miei desideri e ciò che più sogno in questa notte che pare incantata.”
Poi, dopo aver sospirato ancora un po’ sotto l’immensità del firmamento, rientrò nella sua stanza.
Biago dormiva pesantemente.
Ardea invece restò alla finestra, invocando presto il sonno, per sognare la sua bellissima ninfa.
Poco dopo, all’albeggiare Biago si svegliò.
Voltandosi vide il letto di Ardea vuoto.
Si alzò di scatto e si accorse che il suo amico era addormentato accanto alla finestra.
Gli si avvicinò e lo coprì con una coperta.
“La notte è stata umida.” Pensò fra se.
Ma Ardea, si destò in quello stesso istante.
“Buongiorno, amico mio!” Disse sorridente Biagio.
“Ho la schiena a pezzi…”
“Immagino” gli rispose Biago “quella nuda pietra sembra tutt’altro che comoda!”
“Già…” Rispose Ardea massaggiandosi la schiena.
“Perché hai dormito qui?”
“Il sonno…credo mi abbia colto alla sprovvista.”
“Succede sai” rispose ironico Biago “di notte soprattutto.”
“Beh, ieri sera non ne avevo molto di sonno.”
“Preoccupato?”
“No…innamorato!”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Biago.
“Oh, il diavolo non c’entra, mio buon amico!” disse Ardea. “L’amore viene solo dal Cielo.”
“Bel momento hai scelto per innamorarti!” Esclamò Biago.
A quelle parole Ardea fù come destato da un sogno.
“Hai ragione” rispose “forse è davvero opera del demonio…”
“Ora non esagerare!” Rispose Biago.
“Dimentichi questo nostro viaggio?” Disse Ardea. “Non sappiamo nemmeno cosa ci attenda!”
Poi dopo un momento di silenzio aggiunse:
“E poi…se anche risolvessimo tutte e sette le Questioni, tra meno di un anno mi attende un mortale duello con quel misterioso cavaliere.”
“Lo temi tanto dunque?”
“No…ma tu l’hai visto…sembra il diavolo bardato di armatura.” Rispose Ardea. “Con una simile spada di Damocle sulla testa quale promessa posso fare ad una fanciulla, se non quella, celata nel mio cuore, di amarla in silenzio per sempre.”
In quell’istante l’oste bussò alla porta.
“Lor signori quando vorranno” disse da dietro la porta “troveranno giù latte fresco e pane appena sfornato.”
Scesi, appresero dall’oste che la carrozza che aveva sostato alla taverna la sera precedente era partita poco prima dell’alba.
“Per dove?” Chiese Ardea.
“Hanno preso la strada per Acerna.” Rispose l’oste.
“Acerna, l’ultima contrada del feudo…” Pensò fra sé Ardea, mentre nel suo cuore una strana ansia si fece sempre più intensa.
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(Continua...)


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