Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 22-07-2010, 00.09.29   #4
Mordred Inlè
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La storia continua (forse fino a Camlann? Ne dubito, di sicuro tenterò di farla arrivare al matrimonio con Ginevra)!
Perché andando avanti con il libro di K. Hume ho deciso che questa potrebbe essere una stramba AU del libro in cui Uther non è un idiota, Merlino (e non Targo) allena Artù e Kai non è il mostro che la Hume ha deciso di dipingere, ma comunque risente dell'influenza del cattivissimo (ha XD) Severinus (che ho addirittura reso meno crudele rispetto al libro). Ed ovviamente altri cavalieri! E forse altro slash in futuro? (sicuramente un giorno Dinadan si vestirà da donna come il canon vuole).
(Non l'ho ancora riletto il capitolo ;_; spero non ci siano troppi errori)

Warning: menzioni di non-con, ovviamente, come nel libro. Ed ancora, non è necessario leggere il libro (decisamente no, evitatelo). E, ops, sta diventando qualcosa di lungo.
E preparatevi per l'angst.


Le luci del futuro

Artù non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo.
Stava baciando Kai, e su questo ne era certo, ma l'altro non lo ricambiava anche se non si scostava da lui, e dopo qualche minuto di labbra su labbra, Artù si staccò dal figlio di Ector.
"Mi dispiace," esclamò appena vide il volto di Kai, il quale sembrava pronto a colpirlo.
Artù non metteva in dubbio che ne fosse capace. Kai non era propriamente la persona più paziente e gentile della Villa.
"Artù," dirompò improvvisamente la voce di Merlino, salvando Artù da un probabile linciaggio. "Ti stiamo aspettando."
Il ragazzo, ormai uomo in realtà, si alzò velocemente raggiungendo il catino dell'acqua e rinfrescandosi prima di prendere i vestiti portati dalla serva e tornare nella propria stanza.
Non aveva alcuna intenzione di cambiarsi davanti a Kai, soprattutto perché il bacio aveva risvegliato parti del suo corpo che la sera prima erano rimaste miracoloamente dormienti.
Dopo essersi cambiato ed aver mangiato della frutta che la serva Frith gli aveva lasciato nella propria camera, Artù scese velocemente verso l'entrata della Villa.
Gradino dopo gradino, mentre il sole sbucava nel cortile, la consapevolezza che fra qualche minuto tutto sarebbe cambiato lo colpì in pieno.
Non era chi aveva sempre pensato di essere. Non era un servo. Non era-
Non sarebbe mai stato nemmeno colui che avrebbe voluto essere, realizzò d'impulso, con una fitta di dolore. Non sarebbe mai stato il siniscalco della villa assieme a Kai. Sarebbe stato quello che il re voleva da lui.
No, non il re, suo padre.

Uther era un uomo alto, enorme. Appena Artù lo vide capì subito che si trovava di fronte al re e, senza dubbio, a suo padre.
Fu come guardarsi in uno specchio. Le spalle larghe, l'incredibile altezza, il naso un po' schiacciato e la barba più chiara dei folti capelli neri, che ormai si stavano ingrigendo.
Merlino lo abbracciò ed Artù si sentì rabbrividire davanti a tanta confidenza.
Ector si alzò, dopo essersi timorosamente inchinato a terra, mentre altri cavalieri, più o meno giovani, ma tutti dall'aria impassibile, raggiungevano il loro sovrano.
"Posso sapere che cosa ti è preso, razza di imbecille?" sibilò la voce di Kai vicino al suo orecchio mentre la sua mano afferrava la spalla dell'altro. Evidentemente si era abbastanza ripreso da raggiungere la folla alla porta della Villa.
"Kai, non ora, vi prego-" iniziò Artù, sentendosi imbarazzato per essersi momentaneamente dimenticato di lui.
Ma quello era suo padre, era giustificato. Era davanti all'uomo che lo aveva messo al mondo e non era un uomo qualsiasi (ma in realtà era proprio come tutti gli altri), era un re.
"Artù se-"
"Artù!" tuonò la voce di Uther ed il suo volto si girò verso il giovane.
Artù poté vedere una maschera di rughe e pallore sotto la sua barba mentre, con la bocca aperta cercava le parole giuste con cui rispondere.
Il re gli fece cenno di avvicinarsi e Kai lasciò la presa lasciando ad Artù la possibilità di obbedire.
"Mio re," sussurrò Artù, insicuro. Doveva chiamarlo padre?
Quando il ragazzo giunse a soli pochi passi dall'altro uomo, questi lo raggiunse con un'unica ampia falcata.
Gli occhi di Uther erano grigi e luminosi ed Artù sentì un'ondata di piacere nel notare che lui ed il padre erano della stessa altezza.
"Sire, se avessimo saputo del vostro arrivo avremmo preparato un'accoglienza degna di voi."
"Sir Ector, avete fatto per me più di ciò che era necessario anche se non ne avevate idea."
Merlino doveva aver messo al corrente Ector del segreto di Artù perché questi arrossì fino alla punta dei capelli e si inchinò nuovamente.
"Artù. Mi hanno detto che sei diventato un meritevole guerriero."
"Sono ciò che Merlino mi ha fatto diventare."
"Mi fido di Merlino," annuì Uther e dovette aver udito la nota roca e rotta nella voce del figlio perché con un gesto veloce lo attirò nelle proprie braccia.
L'unica cosa che Artù riuscì a pensare fu che la barba del padre pungeva. Pungeva così tanto da farlo piangere.
"Ho bisogno di te, Artù," gli sussurrò Uther nell'orecchio, senza lasciarlo andare.
"Sono qui per servirvi- padre," rispose l'altro, dopo un attimo di esitazione.
L'abbraccio dovette durare più di ciò che era ritenuto onorevole perché Merlino li separò gentilmente e chiese ad Ector di accompagnarli nella villa per mangiare qualcosa. L'uomo annuì frettolosamente ed iniziò a dare ordini ai propri servi di portare nella stalla i cavalli e permettere ai cavalieri di riposarsi e rinfrescarsi.
Dopodiché pregò il re di seguirlo all'interno della sua umile casa.
La villa era tutto fuorché umile.
Nonostante la mancanza di una matrona, poiché la madre di Kai era morta molti anni prima, Julanna, la giovanissima moglie di lui, faceva il possibile per tenerla in ordine ed evitare che i rudi gusti degli uomini la facessero diventare più simile ad una caserma che ad una villa romana.
Alle pareti erano appesi gli arazzi più raffinati, forse stonando un po' con l'ambiente romano che la moglie di Ector aveva voluto ricreare con tanta precisione. Decorazioni celte addobbavano i corridoi assieme ad anfore decorate in stile greco.
La sala che Ector usava per i banchetti era oltre la piscina scoperta ed era abbastanza ampia da poter ospitare senza problemi anche una quindicina di persone.
I servitori avevano già iniziato a portare il cibo, ma nessuno mangiò.
Ector osservava il proprio re nervosamente, sicuramente ripensando a come aveva trattato Artù negli anni precedenti e rivivendo nella sua mente ogni momento in cui l'aveva, più o meno giustamente, rimproverato.
Merlino stava guardando Artù con aria soddisfatta, come di chi è appena riuscito a fare il miglior dono possibile. Mentre Kai passava dal sobbalzare per i propri postumi dell'ubriacatezza combinati con il rumore al lanciare occhiate furiose a quello che fino a pochi minuti fa era stato il proprio servitore.
"Come saprete ormai," iniziò Uther, passando un braccio attorno alle spalle di Artù, " quest'uomo- questo valoroso e perfetto uomo che vedete davanti a voi è mio figlio. E mi rammarico di non averlo potuto crescere io stesso."
Nessuno nella stanza fiatò.
"E come figlio del mio sangue e di quello della nobile Igraine, Artù ha il pieno diritto di assumere il titolo Pendragon e di diventare il mio successore."
Artù sobbalzò. Merlino annuì soddisfatto.
"Sire, con tutto il rispetto," iniziò Ector, con voce sottile, "conosco i lord della Britannia e non sono certo che accoglieranno uno sconosciuto con così grande facilità. Voi vi siete guadagnato il vostro valore in battaglia."
"Diversamente da ciò che molti sembrano pensare, non sono uno sciocco, sir Ector," rispose Uther, con tono glaciale. "Artù partirà con me il mese prossimo. Un'altra nave di sassoni sono da poco sbarcati sulle coste est e c'è chi dice che il loro capo Cerdic sia con loro. Entro un mese dovrebbero raggiungere i nostri avamposti di Londinium e lì li attacceremo. E sconfiggeremo," terminò con un sorriso.
Il figlio del re, il principe (e com'era nuovo tutto quello!) si morse il labbro per non replicare.
Sei giunto dal nulla e mi vuoi portare via da tutto ciò che ho, avrebbe voluto dire. Da Gallia e dal suo umorismo spigliato, dalla timida Julanna, dal rude Ector e da Kai.
"Non parliamo ora di questo," intervenne Merlino, vedendo la linea sottile che le labbra di Artù erano diventate, "siamo qui per festeggiare la riunione di una famiglia."
"Senza le tre streghe!" rise Uther. Nessuno rise con lui e Merlino impallidì incrociando lo sguardo perplesso ed interrogativo del proprio discepolo.

Fortunatamente per Ector la salute di Uther non era buona come lo era stata un tempo ed il re, dopo solo un'ora, decise di ritirarsi per riposarsi permettendo al padrone di casa di rilassare i propri nervi tesi.
Dopo l'uscita di Uther, Merlino si alzò per stringere una spalla ad Artù e lo informò che quel giorno avrebbe potuto rilassarsi e, se avesse voluto parlargli, lo avrebbe trovato nelle stalle. Una delle tante cose che Artù ed il proprio maestro avevano in comune era il loro amore per i cavalli.
Lasciati soli con Artù, Ector e Kai avevano iniziato a lanciargli occhiate perplesse finché il padrone della villa non si fece coraggio.
"Principe Artù, desiderate ritirarvi anche voi?"
"Ector," replicò questi con una nota quasi di dolore nella voce, "chiamatemi come avete sempre fatto. Siete l'uomo che mi ha cresciuto per tutti questi anni."
Ector annuì, ma non sembrò essere veramente convinto e l'imbarazzo lo costrinse ad ammettere di dover controllare che i cavalieri fossero soddisfatti ed ad uscire sulla scia di Merlino.
"Kai, per quello che è successo questa mattina, volevo dirvi che mi dispiace."
"Se credi che mi inchinerò a leccarti i piedi come mio padre ti sbagli, Artù. Sei stato il mio servo per tutta la tua vita e le cose non cambieranno ora."
Artù spalancò la bocca. Sì, si era dimenticato come era parlare con Kai e che tutto il fatto del parlare equivaleva al lasciarsi insultare.
"Dove andate?" domandò il principe quando l'altro si fu alzato. A parte due profonde e scure occhiaie non c'era alcuna traccia dell'ubriacatezza o dei postumi.
"Da Severinus."
"Dopo quello che è successo?"
"Appunto. Vorrà delle spiegazioni."
"Delle spiegazioni! Non ho fatto nulla di male e nemmeno tu."
"Vorrà vedermi," rispose testardamente Kai. "Sei troppo giovane ed ingenuo per capire."
"Lui vorrà vedere te? E chi è per decidere una cosa simile?"
"Perché tu puoi vero? Sei il re. Potresti ordinarmi di rimanere qui," replicò Kai ed Artù pensò quasi di aver sentito una nota di supplica nella sua voce.
Ma quella era una cosa che non era pronto per fare. Era stato un servo, un ragazzino di nessuno per tutta la vita, e non era pronto per ordinare nulla all'uomo che aveva servito fino ad ora.
Quando Artù non disse nulla, Kai uscì dalla stanza senza aggiungere altro.

Artù non aveva mai sognato di diventare re.
Quando era piccolo aveva immaginato di poter trasformarsi in uno spirito dei boschi e vivere in un albero. Crescendo aveva deciso che avrebbe preferito diventare il signore di una Villa e poter ordinare a tutti ciò che voleva.
Raggiunta la pubertà aveva deciso che dare ordini non era così divertente come l'idea di poter divenire un cavaliere. L'allenamento di Merlino gli avevano lasciato nella mente immagini di nobili guerrieri che salvavano damigelle da torri incantate.
E dopo il bacio di Kai aveva sognato di salvare Kai da una torre incantata.
Ci aveva provato, aveva pensato di aver salvato l'uomo che serviva da un mostro, ma Kai non aveva apprezzato il salvataggio e nemmeno lo considerava tale.
Ed ora lui si ritrovava con il sogno del cavaliere poco davanti a lui ed una vita a dare ordini. L'ultima parte non gli sorrideva molto, ma sapeva che c'era di più nell'essere re dell'ordinare.
Responsabilità. Doveri. Il solo pensiero della grandezza del suo futuro gli facevano crescere la nausea nel petto e l'idea del fallimento (perché sapeva che se non fosse stato abbastanza suo padre sarebbe stato deluso dal suo unico erede) gli dava le vertigini.
Sdraiato nell'erba poco fuori dalla villa, ad occhi chiusi, Artù non si accorse subito del giovane uomo che lo stava osservando a pochi passi di distanza. Fu il rumore di un rametto che si spezzava a risvegliarlo dal suo torpore.
"Non dovreste starvene da solo, senza spada o protezione," lo informò l'uomo, gentilmente.
Lo sconosciuto doveva avere qualche anno in più di Kai ed era uno dei cavalieri che Artù aveva scorto alle spalle del padre. I capelli castani, chiarissimi, erano un po' troppo lunghi per la moda romana così come la corta barba.
"Spero che nessuno voglia uccidermi nella mia stessa casa."
"Lo spero anch'io, principe, ma le persone sono strane," sorrise l'uomo, inginocchiandosi accanto a lui. "Ma la mia spada è vostra."
Il principe si sentì arrossire davanti agli occhi onesti del cavaliere. Quell'uomo era più esperto di lui, più abile di lui di sicuro eppure gli mostrava un simile rispetto.
"Vi ringrazio ed accetto la vostra offerta si-"
"Sir Bedivere."
"Accetto la vostra spada, allora, sir Bedivere. Volete sedervi con me?"
Dovette essere una richiesta strana da parte di un principe perché Bedivere inarcò le sopracciglia, senza perdere il suo sorrise, ma dopo qualche secondo di esitazione si sedette comunque.
"E' un bel posto questo. E' una bella villa."
"Sì. E' un posto tranquillo. Immagino sia diverso da Camelot."
Tutti conoscevano Camelot. Gli antenati di Uther vivevano nell'antica Villa di Camelot da qualche generazione ed appena il re riuscì a consolidare il proprio potere decise di rendere la Villa una vera e propria fortezza. Un vero e proprio castello.
Camelot era il centro del potere di Uther e si diceva che fosse circondata da case e capanne e stalle ed armerie impossibili da contare.
"Sì, molto diverso. Ma Camelot è magica, vedrai."
Il sorriso di Bedivere era semplice ed i suoi occhi sinceri.
"Voi vivete a Camelot?"
"Ci sono cresciuto, assieme a mio fratello Lucan."
"Io ho dei fratelli?" domandò Artù, improvvisamente, vergognandosi subito della propria debolezza.
"No, principe. Avete tre sorellastre, figlie di vostra madre."
Si era sempre fatto domande sulla propria famiglia. Immaginava dei pescatori o dei nobili morti in qualche incidente di guerra. Ma, per qualche motivo, non aveva mai immaginato di poter avere dei fratelli o delle sorelle. Era già troppo difficile il pensiero di aver perso una cosa per aggiungervi altro.
"Vivono a Camelot?"
"No, principe. Vostra sorella Elaine è sposata al re del Garlot. Ed ha da poco avuto un figlio, il piccolo Hoel."
Una famiglia, gridava il cuore di Artù.
"Vostra sorella Morgause vive nelle Orcadi ed è la sposa di re Lot. E vostra sorella Morgana andrà presto in sposa a re Urien di Gore."
"Vorrei conoscerle."
Un'ombra sembrò passare negli occhi di Bedivere. "Le conoscerete, ma se mi permettete di darvi un consiglio, principe, vorrei pregarvi di non affrettare le cose."
"Sono quelle che mio padre ha chiamato streghe, immagino."
Bedivere non rispose, chiaramente incerto su cosa poter e non poter dire al fratellastro delle tre donne.
"Sono così terribili?" insistette Artù, cercando di emanare la calma più assoluta. Sapeva che ora che tutti lo vedevano come un principe sarebbe stato difficile ottenere sincerità quando questa era un piatto amaro da servire. "Potete parlare liberamente. Vi prego."
"Non ho mai conosciuto lady Elaine, ma dicono sia la copia di vostra madre in tutto. Morgana è una donna molto importante. Sembra che abbia molti amici e re Urien è un uomo molto amato dai suoi alleati e rispettato dai suoi nemici. Non porta simpatie per re Uther, ma il suo rancore viene mostrato al mondo. Morgause è lontana, con Lot. Le Orcadi sono un luogo inaccessibile sia dal mare che da terra, ma sono anche poco ospitali e poco produttive. E Morgause è una donna piena di ambizioni."
Non era ciò che Artù si aspettava. Avrebbe voluto che il cavaliere parlasse di qualcosa di personale, della bellezza delle sue sorelle, della loro felicità. Ma si rese conto che era necessario per lui sapere con chi avere a che fare.
"E mio padre?"
"Vostro padre è un re giusto. Ma sta invecchiando."
"Grazie, sir Bedivere. Mi ricorderò della vostra gentilezza," annuì Artù e così avrebbe fatto.

"Non potete andare nuovamente in città," borbottò Merlino, accarezzando uno dei cani da caccia di Ector.
Uther stava ancora riposando e si era fatto portare la cena nella propria stanza. Bedivere era tornato ai suoi doveri di capitano ed Ector ignorava il figliastro come se questi avesse potuto fulminarlo con lo sguardo. Kai ancora non era tornato.
"E' tutto il giorno che è là."
"E' un adulto, sa fare le sue scelte."
"Non mi piace Severinus."
"A Kai piace, quindi credo che tu debba rispettare i suoi desideri."
Artù era convinto che a Merlino fosse sfuggito qualcosa. C'era veramente qualcosa di sbagliato in Severinus, nel modo in cui la sera prima teneva Kai, nella voce con la quale aveva descritto ciò che stava accadendo.
Gli occhi di Severinus avevano sempre terrorizzato Artù quando questi era un bimbo.
"Sono il principe. Potrei ordinare a Kai di tornare qui."
"Non lo faresti. E lui non ubbidirebbe."
"Sono il principe."
"E sono sempre sicuro che non lo faresti."
Artù si sedette sul pagliericcio che Merlino usava come letto e portò le braccia attorno alle ginocchia.
Avrebbe dovuto ordinare a Kai di rimanere.
Si ricordava abbastanza bene il giorno in cui Kai aveva portato per la prima volta Severinus a casa.
Kai aveva avuto tredici anni ed era convinto che il suo sangue romano lo avrebbe portato ad un destino glorioso. Severinus era di cinque o sei anni più grande e sapeva bene che Roma era morta, ma insisteva a proclamarne la grandezza, insultando Celti, Pitti, Sassoni e chiunque non avesse un qualche legame di sangue con Roma.
Artù era sicuro che Kai vedeva in Severinus tutto ciò che lui voleva diventare. Severinus era senza padre e poteva fare qualsiasi cosa, con i suoi amici, con la sua Villa. Kai aveva iniziato a seguirlo ovunque.
Artù era stato geloso, per un motivo semplice ed infantile, ma una parte di lui era stata grata ed aveva sperato che un Kai distratto significasse un Kai meno arrogante. Le cose erano andate in direzione contraria. Kai era diventato sempre più arrabbiato ed il suo già focoso temperamento sembrava essere peggiorato.
No, ad Artù non piaceva Severinus. Non era mai piaciuto.
"Potrebbe aver bisogno di me. Ho bisogno di andare, Merlino, dico davvero. Ho bisogno di far finta che per adesso nulla sia cambiato."
"Ma è cambiato, non puoi scappare."
"Lo so. Ma sono sempre io. Sono sempre Artù e ieri Artù è andato in città da Kai e ci andrà anche questa sera."
D'accordo, Artù stava un po' mentendo. Voleva solo andare da Kai.
"Sono un amico di Uther, ma il re si prenderebbe la mia testa se sapesse che vi permetto di andare in giro da solo e di notte."
"Sono un uomo. E so combattere. Mi avete insegnato tutto ciò di cui ho bisogno."
"Vi ho insegnato anche troppo. Ma la prudenza non è mai troppa. Prendetevi un'arma ed un cavaliere."
Alla fine Artù dovette acconsentire e chiese di Bedivere poiché era l'unico che conosceva. Fu però costretto ad accantonare il proprio dovere perché dopo una giornata di fatica Bedivere si stava risposando ed Artù si accorse di non avere abbastanza autorità sui cavalieri del capitano per costringerli a chiamarlo (in realtà nemmeno ci provò perché non voleva disturbare il suo sonno).
Sir Dinadan si offrì di accompagnarlo. Non doveva essere molto più anziano di Artù, ma cavalcava un cavallo come se fosse nato da un centauro.
Aveva dei capelli rossicci, ma nemmeno una traccia di lentiggine. Si muoveva con la velocità di un serpente e le sue mani con lui.
Il fatto che Artù fosse il suo principe non sembrò turbarlo particolarmente.
"Sono curioso di incontrare il vostro fratellastro."
"Non è proprio il mio fratellastro."
"Allora dovreste incontrare i miei fratelli. Uno più burbero dell'altro."
"Molto diversi da voi, allora," scherzò Artù, sul proprio cavallo, felice di quel diversivo mentre si avvicinava alla città.
"Non dite sul serio. Sono il più cupo della famiglia."
"Ne dubito, sir Dinadan."
"Avete ragione. Mia sorella probabilmente è peggio. Metterebbe paura persino all'anima di mio padre. Sir Brunor."
Ancora Artù non aveva sentito del leggendario Brunor detto 'Il buon cavaliere senza timore' e la triste battuta cadde senza seguito.
La cosa non sembrò preoccupare Dinadan.
"E' bello vedere qualcuno che si prende cura del proprio fratellastro."
"Non è il mio fratellastro. Siamo solo cresciuti assieme. Ma ho delle sorellastre."
"Conosco le vostre sorellastre. Loro farebbero paura a mia sorella."
Artù non poté chiedere altro, e non volle, perché finalmente giunse alla taverna che aveva scorto la sera prima. In un terribile deja vù rivide la prostituta che l'aveva salutato e decise che non voleva che un rispettabile cavaliere vedesse Kai con Severinus.
"Salve," sorrise la prostituta, avvicinandosi a Dinadan.
"Mi dispiace, mia signora, niente per me e niente per voi questa sera. Ma vi assicuro che ho un vestito come il vostro a casa."
La donna arricciò il naso per la confusione ed Artù approfittò del momento per domandare a Dinadan di aspettarlo lì.
"Sono qui per proteggervi."
"Se avrò dei problemi vi chiamerò."
La cosa non sembrò rassicurare molto Dinadan il quale riuscì a patteggiare con il principe finché questi non si lasciò accompagnare davanti alla casa in cui aveva trovato Severinus.
"Per qualsiasi cosa, sono al vostro servizio," sussurrò Dinadan prima che Artù entrasse.
Non vi era nessuno ad indirizzarlo sulla retta via questa volta, ma Artù si lasciò guidare dalle voci. Sentiva la voce di Severinus, ad un volume esageratamente alto e gelido, e le brevi spezzate risposte di Kai, tipiche di quando questi era particolarmente furioso.
"Se pensi che tu possa anche solo prendere in considerazione una simile idea, ti sbagli, Kai."
"Dei, sono ubriaco," rispose la voce di Kai.
"Sì, sei ubriaco. E per questo ti perdono. Vieni."
Artù sentì i propri pugni stringersi al tono accondiscendente di Severinus ed ai passi di Kai che, evidentemente, stava ubbidendo all'ordine. Una parte di Artù si sentì rosa da una malsana gelosia all'idea che Kai potesse ubbidire Severinus, ma non lui.
"Non mi ricordo più perché urlavo. Non volevo urlare," replicò Kai ed Artù sentì una chiara nota di paura nella sua voce.
"Lo so. Bevi ancora."
"Sono già ubriaco, non sono-"
"Bevi."
Artù si ritrovò nella stanza, dimentico del moto di rabbia che gli aveva fatto scostare la tenda ed avanzare sui due.
Severinus e Kai erano seduti su due sedie vicine ed il primo teneva il volto dell'altro tra le mani, voltato verso di sé.
"Mi sembra abbia detto no," disse Artù, riconoscendo nel proprio tono il gelo di quello di Uther.
"Il tuo servo è tornato," sorrise Severinus, continuando a rivolgersi a Kai e trascinandolo verso la propria spalla. Kai lasciò fare, appoggiando la fronte sull'altro, ignorando la mano di Severinus che circondava ora il suo collo.
"Non è un servo," mormorò Kai, le parole attaccate tra di loro.
"Lascialo."
"Noioso. Abbiamo già vissuto questa situazione," replicò Severinus.
"Sì, e sappiamo come è andata a finire."
Solo in quel momento Artù notò i due uomini visti la sera prima ed ora appoggiati al muro mentre lo stavano fissando.
"Sei in casa mia, ragazzo," rispose quello che aveva versato il vino su Kai, "e gradirei che tu te ne andassi."
"Non senza Kai."
"Non senza Kai?" ripeté Severinus. "Kai, vuoi rimanere qui con noi o andare con il tuo servo?"
"Rimanere."
"Bene, ed ora fuori di qui, ragazzino," intervenne nuovamente il padrone della casa, avvicinandosi.
Merlino aveva insegnato molte cose ad Artù. E tra queste ovviamente il suo maestro aveva voluto necessariamente comprendere alcuni trucchi, più o meno gentili, per difendersi in caso la spada o il pugnale fossero distanti o non necessari.
Nel momento in cui la mano dell'uomo si fermò sull'avambraccio di Artù, il giovane principe si ritrovò ad agire in automatico. Sentì il proprio corpo che portava in avanti il braccio, sorprendendo e sbilanciando l'avversario mentre il ginocchio si alzava a colpirlo in una zona ben poco piacevole.
L'uomo crollò a terra con uno sbuffo di dolore, rannicchiandosi su se stesso.
"Severinus, ti lascerò meno di un minuto per decidere cosa fare."
Severinus sembrò decidere ancora più in fretta. Né lui né i suoi amici erano guerrieri, erano cresciuti con lo scopo di diventare signori delle proprie ville, non di difenderle da orde di sassoni.
"Sono un uomo potente," sibilò Severinus, lasciando Kai ed alzandosi. Si allontanò di un passo quando Artù avanzò rispondendo: "Io lo sono ancora di più, credimi."
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