Cittadino di Camelot
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Romanzo affascinante,equibrato,si legge con scorrevolezza senza la minima percezione di scene che appesantiscono.
"Ambrosine"(come amava chiamarlo il piccolo Romolo Augusto)è la figura portante,di spessore e carattere insieme che fa da bilanciere nei due eventi,la prigionia e la fuga.Egli,infatti,colma l'introspezione dei due personaggi in antitesi,il piccolo Romolo e Aurelio,entrambi riversati in un taciturno silenzio nascondendo,dietro lo sguardo perso,tutti i pensieri che li attraversano,laddove le meditazioni,la saggezza,i racconti di Ambrosine sembrano riuscire a colmare e comprendere quei pensieri taciuti.
Superba Flavia Serena,moglie e madre combattuta,ma regale nel suo contegno,bella e spietata,tanto che anche il suo disprezzo,espresso per la figura di Odoacre, cattura e conturba.
Non ho molto gradito(ma è una questione di gusti),sinceramente,la figura di Livia Prisca.Femminile pur nelle sue vesti di guerriera,è troppo"conduttrice e dominatrice"degli eventi che si susseguono nella vicenda.
Ma di quest'ultima ho apprezzato un momento di tenerezza che ha lasciato trasparire quei sentimenti che rendono fragile una donna,alludo a quando Aurelio,ritrovati i suoi compagni,si abbandona con loro a discorsi che li affratellano,E Livia rimane a guardare con la curiosità di chi fa una nuova scoperta,quel mondo di "sensazioni maschili"a lei ignoto.
Riporto questo breve scorcio al quale ho fatto riferimento:
<<Riposare?>>Disse Battiato.<<Stai scherzando,ragazza,abbiamo troppe cose da raccontarci.Dico,hai idea di chi siamo noi?Di quante ne abbiamo passate insieme?Dei del cielo,non ci posso credere.(...)Datemi un cazzotto,che se sogno mi voglio svegliare>>
Vetreno gli diede davvero un gran colpo sulla testa.<<Lo vedi che sei sveglio?Va tutto bene,uomo nero!Ce l'abbiamo fatta.(...)>>
Aurelio scoppiò a ridere e poi tutti gli altri,in una risata fragorosa e gorgogliante a volte simile a un singhiozzo,una risata liberatoria come il pianto di un bambino che è stato a lungo nella morsa della paura.
Livia li guardava senza parlare.Il cameratismo virile era una manifestazione che l'affascinava,vi vedeva concentrate tutte le virtù migliori dell'uomo:l'amicizia,la solidarietà,lo spirito di sacrificio,l'entusiasmo.Persino il loro torpiloquio castrense ,cui non era certo abituta,non la infastidiva in quella situazione.
Poi,d'un tratto,cala il silenzio:il silenzio dei ricordi,dei rimpianti,il silenzio della memoria comune di uomini che avevano affrontato gli stessi pericoli e sofferto gli stessi dolori e le stesse fatiche per anni con unico conforto dell'amicizia,della stima e della fede degli uni negli altri.Il silenzio della commozione e della gioia incredula del ritrovarsi contro ogni aspettativa,contro i colpi del destino più avverso.Si potevano quasi vedere i pensieri che passavano nei loro sguardi,negli occhi umidi,nelle fronti scavate,;si poteva leggerel a loro storia nelle mani callose,nelle braccia piene di cicatrici,nelle spalle segnate dal peso delle armi.(...)>>
Queste elucubrazioni affascinano Livia,una donna,una guarriera che li sta osservando in un momento di quiete,coglie la paura negli occhi dei suoi compagni(tra i più valorosi guerrieri Romani) e si compiace nel vederli intenti nel tentativo di esorcizzarla con un fare beffardo tipicamente mascolino.
Valerio Massimo Manfredi è comunque un archeologo,insinuarsi nella storia raccontata anche attraverso la singola pietra posta nella costruzione dei luoghi che avrebbero accolto i protagonisti è una linea conduttrice non trascurabile dell'intera opera.
Credo che meriti sia per i contenuti,sia per le capacità dell'autore di interloquire col lettore,senza deluderne,a mio avviso,le aspettative.
Ultima modifica di Chantal : 01-08-2011 alle ore 10.41.22.
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