Il figlio delle Orcadi
Su Agravaine : D
Menzione di incesto. Questo è l'unico avvertimento. Niente slash, questa volta! <b>Il figlio delle Orcadi</b> "So cosa state cercando di fare." Quella era la frase che sembrava ripercorrere la vita di sir Agravaine, sempre, passo dopo passo. So cosa stai tentando di fare. So cosa vuoi. So cosa è meglio per te. "E cosa starei cercando di fare, mia regina?" domandò il cavaliere nipote di Artù alla sua signora e regina Ginevra. La regina era alta e maestosa dove l'uomo sembrava ancora un ragazzo, più basso di lei, identico a sua madre. "So cosa volete," continuò la regina, senza nemmeno alzarsi dalla propria sedia eppure torreggiando su Agravaine. "Vi ripeto che non capisco." "Cos'è? Vendetta? O è un'idea di vostra madre?" "Di mia madre? Di mia madre, dite? Pensate forse che io non abbia idee mie?" Ginevra batté un pugno sul piccolo tavolino ricolmo di seta e lana, accanto a lei. "Tacete, serpe, ora e per sempre. Voglio che smettiate di infamare il mio nome e quello di Lancillotto con le vostre insinuazioni." "Insinuazioni, mia signora? Mi sembra la verità e nient'altro. Non è quello che vuole il nostro re Artù da noi? Lealtà e verità." La regina si alzò e a grandi passi giunse davanti all'uomo che era il figlio di Morgause ed era identico a lei. "Menzogne. E' la vostra parola contro la mia." Il sorriso che aveva teso il volto sempre rilassato di Agravaine si spense. La regina aveva ragione, lui non aveva prove da portare ad Artù del tradimento amoroso tra Ginevra e Lancillotto. "Tornate a rintanarvi da vostra madre, tornate nelle Orcadi." Lo vorrei tanto, pensò Agravaine, ma Gawain regna alle Orcadi. Con un rigido inchino, Agravaine prese la frase della regina come un congedo e lasciò la stanza. "Sir Agravaine," lo chiamò Laurel, dama di Ginevra, accelerando i suoi piccoli passi per raggiungerlo. Agravaine non fece nulla per aiutarla. "Sir, vi prego, ascoltatemi, dovete capire che la regina-" "Non devo capire nulla!" si voltò il cavaliere, spaventando la fanciulla, prima di uscire definitivamente dall'ala del palazzo riservata a Ginevra. Uscì all'aria aperta ed ordinò al suo scudiero di sellargli un cavallo. Sir Kay tentò di fermarlo, più per obbligo che per affetto e simpatia ma Agravaine lo ignorò. Per il pomeriggio fu fuori dalle mura di Camelot, fuori dagli intrighi del palazzo, dai sotterfugi e dalle donne. C'era qualcosa in lui che temeva ed odiava le donne. Ogni volta che era attratto da una di loro, queste facevano qualcosa, qualcosa di terribile, e lui non riusciva più a toccarla. Dietro al sorriso di una donna c'era sempre qualcosa. E spesso quel qualcosa era il volto di Morgause. Morgause era colei che lo aveva creato e distrutto e di nuovo plasmato. Lui non era altro che terra bruciata nelle mani di Anne Morgause, sorellastra del re. Eppure Morgause non appariva in molti dei suoi ricordi d'infanzia. Fin dal suo primo momento, Agravaine era sempre stato con la sua nutrice Gwendolyn o con i suoi fratelli maggiori Gaheris e Gawain ma mai aveva visto propria madre. Agravaine aveva sette anni quando per la prima volta incontrò Anne Morgause. Gwendolyn venne da lui, una mattina, lo lavò quasi ferocemente, arrosandogli la pelle (Agravaine adorava andare a giocare con i cani e spesso tornava a casa, ricoperto di fango) e ignorando i suoi lamenti. Gli tagliò i capelli troppo lunghi e gli ammonì di stare fermo perché avrebbe incontrato presto sua madre, la regina delle Orcadi. Gawain non era più al castello da un anno, partito per diventare cavaliere a Camelot, e Gaheris era in visita dalla zia Morgana, a Gorre. Agravaine si ritrovò solo, senza sapere a chi chiedere informazioni su quella donna che tutti sembravano temere ed adorare. “Non dite nulla di sciocco, siate cortese e gentile e vi prego, non piangete. Inchinatevi come vi ho insegnato e andrà tutto bene.” Il bambino annuì ed annuì, troppo distratto dall’agitazione che stava nascendo dentro di lui per mostrarsi più attento. Gwendolyn era già pronta a continuare quando la porta si aprì, lasciando entrare una fanciulla dall’aria scialba ed i capelli biondi. Era noto a tutti che Morgause sceglieva solo dame senza bellezza per sé, anche se Agravaine non aveva capito ancora il perché. Dopo di lei entrò una donna alta, fasciata in un lungo abito rosso cupo e dorato. I capelli neri erano identici a quelli di Agravaine, della stessa tonalità, gli occhi scuri e fermi. “Gwendolyn, Lynette, ci potete lasciare,” ordinò la donna e la sua voce era roca e sgradevole. Le dame eseguirono ed Agravaine si affrettò in un inchino. “Agravaine, il mio figlio più giovane,” sospirò la donna portandosi il pollice sul labbro. “Figlio di Lot o figlio di Morgause?” sorrise. “Madre, sono figlio di tutti e due,” provò il bambino con voce sottile. “Certo, certo,” annuì Morgause, volteggiando una mano in aria come per scacciare una mosca. “Tuo fratello è inutile, assolutamente inutile. Per la dea, che razza di figlio.” “Mio fratello?” “Gawain. E Gaheris è figlio di Lot. Ma non parliamo di loro.” Agravaine avrebbe voluto chiedere se essere figlio di Lot fosse una cattiva cosa o come stesse Gawain ma Morgause iniziò a scrutarlo, a toccargli i capelli e girargli attorno. Gli alzò le braccia e lo tastò, come quegli stallieri che considerano i cavalli zoppi prima di decidere di ucciderli. “Hai le lentiggini,” commentò la donna, alzandogli il viso tra le mani, “e gli occhi troppo grandi.” Il bambino stava per lasciarsi fuggire delle scuse ma la madre gli afferrò le guance, deformandogli la bocca. “Hai il mento sporco. Domani arriverà Costantio. Viene dalla Bretagna e ti insegnerà tutto ciò che dovrai sapere. Il latino, il francese e le arti militari. Voglio che tu sia educato e intelligente.” Agravaine riuscì ad annuire, chiedendosi se anche la madre del suo amico Rufus, giù alle stalle, fosse una Morgause. Terribile e feroce. Morgause annuì a sua volta e lo lasciò. “Re Lot non starà qui per molto tempo. E’ una fortuna.” Agravaine non capì bene perché fosse una fortuna. Re Lot, re del Lothian e delle Orcadi, avute in dote da Morgause, era in guerra contro re Artù. Non si sapeva molto di Artù alle Orcadi se non che era un re crudele che aveva costretto Morgause a rinunciare al suo secondo figlio. Gwendolyn aveva raccontato ad Agravaine che una notte di cinque anni prima, Merlino in persona, il vecchio e crudele mago di corte e spia del re, era venuto alle Orcadi a prendere il figlio appena nato della regina e di Lot e lo aveva portato via per ucciderlo. Mordred era il fratello che Agravaine non aveva mai avuto e il bambino odiava il re per questo. “Sì, madre,” rispose, senza capire. Morgause lo osservò divertita e gli combinò i capelli. “Agravaine, Agravaine, sarai il mio piccolo orgoglio, vedrai. Camelot un giorno sarà tutta tua.” Costantio non arrivò il giorno dopo bensì un mese dopo. Il vecchio uomo aveva incontrato delle difficoltà ad attraversare la Cornovaglia di re Mark, alleata con Artù, e aveva dovuto viaggiare per nave più a lungo di ciò che aveva pensato. Costantio era un uomo paziente, dai lunghi capelli ormai grigi e gli occhi stanchi. Visse nelle Orcadi per quattro anni, fino all’anno della sua morte, e insegnò ad Agravaine il francese, il latino e qualcosa che Morgause non avrebbe mai immaginato: i segreti delle erbe. Le erbe curative, quelle che uccidevano e quelle che servivano alle donne per uccidere i loro figli. Agravaine crebbe molto, allenandosi con Rufus e studiando, senza avere nemmeno un attimo libero per interrogarsi sulle visite sempre più rare e poi la scomparsa del padre Lot, che non aveva mai visto molto, o quella di Gaheris e Gawain. Furono anni felici. Morgause, una volta al mese, incontrava il figlio e assisteva alle sue lezioni, pronta a correggerlo e indirizzarlo sulla strada giusta. In quegli anni nacque Gareth, un bambino biondissimo e delicato, che, secondo Gwendolyn, era la copia identica della loro nonna Igraine. Gareth rubò Gwendolyn ad Agravaine ma il ragazzo ormai aveva altro a cui pensare che alla propria balia, anzi, considerava il passaggio come un ulteriore passo verso la sua strada di uomo. Infine Costantio si ammalò e Lot morì. La notizia giunse a cavallo, per mano di un messaggero che nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere. Gawain tornò alle Orcadi. “Tuo fratello è qui,” lo avvertì Gwendolyn, con il piccolo Gareth appollaiato su un braccio. Agravaine si affrettò verso la sala del trono, stanza in cui Morgause gli aveva proibito l’accesso (lei non voleva che lui vedesse gli squallidi cavalieri di Lot e la loro forza bruta, senza intelligenza), e trovò la madre sul posto di Lot, con la corona dorata in testa. Davanti a lei un uomo biondo, alto e possente, vestito di bianco e rosso. Agravaine non riconobbe il fratello finché non sentì la sua voce. “Madre, re Lot, tuo marito, è morto. Artù chiede al regno delle Orcadi e del Lothian l’alleanza e l’amicizia.” “La sottomissione, intendi,” sorrise Morgause, freddamente. “Come re delle Orcadi e del Lothian io dono la mia sottomissione al Grande Sovrano di Britannia.” “Tu? Re? Io sono la regina delle Orcadi,” replicò la donna, nervosamente. “Non secondo le leggi di Britannia.” “Leggi del sud, leggi nuove e inutili. Una donna può ereditare il trono nelle antiche leggi del nord. Le Orcadi sono mie. E tu torna a strisciare dal tuo re ed a baciare la barba di quel mago pazzo.” Gawain non si scompose e Agravaine riconobbe l’armatura del fratello. Era un’armatura fatta di silenzi e di dolore, una difesa contro le parole della madre e una difesa che da anni anche Agravaine aveva imparato a costruirsi. “Lot ha perso la guerra e il trono delle Orcadi è di Artù e lui mette me su quel trono.” “Artù, Artù! Giurerei che ti sei innamorato di lui!” rise Morgause, alzandosi maestosamente in piedi. Gawain arrossì, per la vergogna che quelle parole gettavano sul suo onore e sulla sua pura fedeltà. “E cosa vuoi fare di tua madre? Dei tuoi fratelli?” “Potrete vivere alle Orcadi ma prima dovrete viaggiare fino a Camelot e giurare fedeltà al re.” Morgause non rispose e Gawain distolse lo sguardo, continuando. “Gaheris è diventato lo scudiero di Bedivere e presto diverrà cavaliere di Artù. Quando Agravaine e Gareth cresceranno dovrai portarli a Camelot, a scegliere la strada dei cavalieri della Tavola Rotonda.” “Uomini!” urlò Morgause, voltandosi e dando un calcio al trono, “uomini ed i loro giochi! Tavole rotonde e cavalieri. Stupidi! Tutti! Non mi porterai via Agravaine, non lui.” Suo malgrado, Agravaine arrossì di gioia alla possessività della madre. Ma Gawain sorrise, prima di continuare. “Il re si è sposato con una principessa celta di nome Ginevra. Avranno un figlio e nessuno di noi- nessuno dei tuoi figli regnerà mai sul grande trono.” “Agravaine è mio. E’ mio. Lui regnerà. E tu, Gawain, il più nobile,” sputò la parola come se scottasse, “sedotto da una spada e una lancia. Vattene, non voglio più vederti.” “Il mio drappello è qui fuori. La nave è pronta e voglio che lo siate anche voi prima di una settimana.” Con queste ultime parole, il figlio rinnegato si inchinò per non vedere il volto sconvolto ed abbruttito dalla sorpresa della bella madre. “Vattene.” E Gawain eseguì. Appena il portone fu chiuso, una molla sembrò vibrare dentro la donna e questa si girò verso Gwendolyn e Agravaine. “Prepara le cose per Gareth, fra una settimana lo porterai a Camelot.” La dama si inchinò e se ne andò, lasciando che lo sguardo, ora bruciante, della regina senza regno si posasse sull’altro figlio. “Agravaine, andiamo a Camelot, figlio mio. Ma prima devi dirmi una cosa. Mia madre non ha voluto insegnarmi ciò che le chiesi ma so che Costantio ti ha dato un erbario o qualcosa di simile. Dammelo, fammelo vedere.” Per la prima volta in vita sua, Agravaine pensò che la madre fosse anziana, rugosa, e vide la nota di follia che saltava da un’iride all’altro. “Io- non so se posso… non me l’ha dato, è suo.” “Non essere sciocco, ormai Costantio è come se fosse morto. Questa notte portami l’erbario.” Il bambino fece per correre via, ad eseguire o a nascondersi, ma Morgause lo afferrò per un braccio, forte. “Non voglio che tu vada a cercare Gawain. Te lo proibisco.” |
Era ormai notte fonda quando Agravaine, avvolto nel suo mantello più caldo, bussò alle porte delle stanze della madre. Non vi era mai stato e dentro di sé era terrorizzato.
Gli altri bambini del castello credevano fermamente che la loro regina fosse una strega e pensavano che nella sua stanza ci fossero dei mostri o delle creature magiche. Le voci erano arrivate anche ad Agravaine e il ragazzo aveva bisogno di ripetersi che i bambini sono stupidi per potersi convincere che non c’era nulla di terrificante là dentro. Morgause era sola. Aveva un’aria stanca e gli occhi gonfi. I capelli neri erano, per una vota, sciolti e le arrivavano abbondantemente a metà schiena. Con un cenno della mano guantata, la madre lo fece entrare e, con sollievo, Agravaine poté vedere che la stanza era una semplice camera lussuosa con un grosso camino. Non aveva nulla di sospetto né di spaventoso. “Sei nell’antro della strega, adesso,” gli sussurrò Morgause, come se avesse letto nei suoi pensieri e poi rise del sussulto del figlio. “Non essere sciocco, Agravaine, vieni qua a sederti con me,” lo invitò, sedendosi lei per prima su un divanetto di velluto verde. “Hai il libro?” “Sì, madre.” “Bene, lascialo lì sul tavolo e vieni qua.” Agravaine obbedì e sussultò ancora, sorpreso, quando la madre gli mise un braccio attorno alle spalle. “Piccolo mio, hai capito cosa sta facendo Artù?” “No, madre, mi dispiace.” “Fa lo stesso, non puoi capire tutto ed io sono qui apposta per spiegartelo e per proteggerti. Artù vuole tutto quanto e per farlo ha bisogno anche del mio regno. Per questo, con la magia e l’inganno, ha convinto Gaheris e Gawain ad allearsi con lui. Ricordati, Agravaine, io posso darti tutto. Dimmi solo cosa vuoi e io te lo darò. Promettimi che quando sarai a Camelot non ti venderai a lui.” “Mai, madre, io sono vostro.” Morgause rise seccamente: “Oh sì, Agravaine, sei mio. Quanto sono migliori i bambini degli uomini. Molto più semplici. E ora portami il libro.” “Che cosa volete farci?” “Nulla che ti debba interessante e nulla di male.” Fu un anno dopo che Agravaine scoprì le intenzioni della madre: impedire che un qualche erede potesse nascere a Camelot. Meno di un mese dall’arrivo di Gawain, metà della corte, compresa la regina ed i figli, partì per nave per arrivare a Camelot. La corte di Camelot era, suo malgrado, tutto ciò che Agravaine aveva sempre sognato. Un luogo ordinato, caldo, riparato dal gelo delle isole, elegante e colto. Il castello era pieno di biblioteche e i cavalieri si addestravano come un esercito e non come un’orda di barbari. Artù ricevette Morgause come una regina e si inchinò davanti a lei ma mai la guardò negli occhi. Dopodiché salutò il piccolo Gareth e Agravaine. “Nipote, sono felice che siate giunto a Camelot. E’ un onore avervi qui.” Agravaine balbettò dei ringraziamenti, tra il timore di arrabbiare il sovrano che aveva ucciso il suo fratellino Mordred e la paura di far credere alla madre che Artù l’aveva conquistato. Un cavaliere dai capelli rossi e il volto pieno di lentiggini scoppiò a ridere dei suoi balbettii. “Sir Kay, vi prego, è solo un ragazzo,” lo ammonì Artù. “Spero bene che diventi anche un uomo, un giorno, allora,” ribatté sir Kay. Agravaine iniziò il suo addestramento di cavaliere la settimana successiva, quando fu fatto scudiero di sir Sagramore. Morgause, ancora a corte, andava da lui ogni sera, lo coccolava, lo faceva sentire importante per la prima volta in vita sua. Ma arrivò presto il giorno in cui Ginevra abortì il suo primo figlio e poi anche il secondo, finché corse la voce che una strega avesse gettato un incantesimo su di lei. La regina, pallida e tremante, accusò apertamente Morgause, l’unica che potrebbe aver avuto un vantaggio nella morte di un erede al trono. Agravaine tremò e pianse, nella sua stanza, quando Morgause annunciò che non sarebbe stata oltre a farsi insultare e lasciò Camelot. La notte prima di andarsene, la signora delle Orcadi salutò Agravaine, rinnovando la promessa di fedeltà. “Ricordati, ti voglio bene, piccolo mio.” Lo baciò e Agravaine la abbracciò a lungo. “Sei diventato un uomo, ormai,” sorrise Morgause, accarezzandogli il volto. “Ti scriverò appena arriverò da mia sorella, a Gorre.” Quella fu la prima e l’ultima volta che Morgause lo abbracciò. Le stagioni si susseguirono in fretta, l’una dopo l’altra. Lucius, imperatore romano, decise che era tornato il momento di ricevere i propri tributi dalla Britannia ed Artù fu costretto a scendere in guerra. In quell’anno, Agravaine venne fatto cavaliere e partì per la sua prima guerra contro i predoni irlandesi, mentre il suo re combatteva in Bretagna con Lancillotto e Gawain. Lo stesso Agravaine si era rifiutato di seguire il suo sovrano in Bretagna. Per lui era difficile resistere al fascino carismatico e quasi ingenuo del re. Preferiva non cadere in tentazione ed andarsene prima che il proprio animo iniziasse a provare affetto per lo zio. Le lettere della madre lo cullavano in un amore che non aveva mai pensato di poter ricevere prima ed il cavaliere aspettava con ansia un suo futuro ritorno. Mio campione. Diceva nelle sue lettere. Agravaine aveva appena compiuto ventidue quando Morgause tornò a corte. Nessuno seppe come la donna fosse riuscita ad ottenere la fine dell’esilio in cui Artù l’aveva silenziosamente messa e lei non aveva accennato nulla del suo ritorno nelle lettere ad Agravaine. Semplicemente, un giorno di febbraio, un araldo annunciò l’arrivo della signora delle Orcadi, Morgause. Artù l’accolse con dignità, come la prima volta, ma c’era un’espressione di nervosismo e pallore sul suo volto. Agravaine, tra i cavalieri seduti alla tavola del re, attendeva trepidante. L’emozione della visita era troppo forte per lasciare spazio a qualsiasi altra cosa. Anne Morgause era invecchiata ma sapeva di essere ancora abbastanza bella da conquistare un uomo con un semplice sorriso. Vestiva di nero, come faceva sempre la sorella Morgana, a Gorre. Oltre alla sua scorta vi era anche un uomo ad accompagnarla. La teneva a braccetto e fu lui a portarla davanti al re. I mormorii si alzarono fra i cavalieri perché non era uso che una dama non sposata si facesse accompagnare da uomini e Agravaine arrossì di rabbia e di gelosia a quelle insinuazioni. “Sire,” si inchinò Morgause, sorridendo soddisfatta. Anche lo sconosciuto si inchinò ma i occhi scuri però non lasciarono mai quelli del re. I giorni successivi si mormorò molto sul nuovo arrivato ma, poiché non era stato presentato, i cavalieri e le dame decisero di aspettare la parola del re prima di congetturare sul nulla. Agravaine aspettò invano che la madre andasse da lui ma quando per tre giorni non accadde nulla, maledicendosi per la propria impazienza, si fece portare nelle stanze di Morgause. La madre e lo sconosciuto sedevano su un divanetto e parlavano sommessamente. Entrambi alzarono lo sguardo, allo stesso modo, lo stesso sguardo, quando lui entrò. “Caro, temo che il nostro incontro finisca qui, almeno fino all’ora di cena,” esclamò allegramente Morgause, baciando l’uomo su una guancia. “Agravaine,” salutò lo sconosciuto, prima di andarsene. “Madre, vi ho aspettato.” “Mi hai aspettato? E per cosa?” “Pensavo che voi voleste- io credevo-” La madre rise, senza alzarsi dal suo comodo divano ma senza invitare il figlio a sedersi. Agravaine conosceva abbastanza la propria famiglia per sapere che non esistevano inviti sottointesi. “Agravaine, non devi pensare. Fai solo quello che ti ordinano di fare. Non è forse quello che fate meglio voi cavalieri?” Sentendosi ferito, il cavaliere non resis***** e lasciò che le sue buone maniere venissero dimenticate, almeno per una volta. “Mi avete messo voi qui! Me l’avete chiesto voi e ora non volete più che io sia un cavaliere?” “Ma no, che dici. Rimani così, fai ciò che vuoi.” “Chi era lui? Il vostro amante?” Morgause inarcò le sopracciglia, sorpresa. “Amante? Pensi questo? Non è nemmeno bello. E’ troppo alto ed ha dei lineamenti squadrati che non apprezzo particolarmente e, forse non l’hai notato, ma è leggermente strabico.” “Ed allora chi è?” “Oh, Agravaine, caro, sei geloso. Sei un uomo come tutti gli altri, alla fine. O peggio.” La madre si alzò e camminò senza fretta fino a trovarsi di fronte al figlio. Nonostante lui fosse ormai un uomo adulto, Morgause rimaneva più alta. “Per gli déi, Agravaine, non sarai geloso di tua madre.” Il figlio, pietrificato per la confusione, sussultò e retrocedette di un passo abbondante quando Morgause iniziò ad accarezzargli la guancia. “Non mi toccate, basta, non mi toccate.” “Sciocco, che cosa ti ho insegnato in tutti questi anni? Hai guardato bene il suo profilo, i suoi occhi? E’ il figlio di Artù.” “Cosa- cosa ci fa con voi suo figlio?” “Mi hanno condannata ad avere solo figli stupidi.” Agravaine arrossì, muovendosi nervosamente un pollice sul labbro. “Madre, non capisco.” “Ovvio, non capisci mai nulla. Merlino voleva il bambino perché era il figlio mio e di Artù. Voleva ucciderlo perché era il concepimento di un abominio, nato da incesto. Ora capisci?” “Mordred, è mio fratello Mordred.” “Esattamente. E Artù sarà presto costretto a riconoscerlo come figlio.” “E’ per questo che vi ha fatta tornare, per lui. E lui sarà l’erede del grande re,” realizzò finalmente Agravaine. “E di me cosa ne sarà? Cosa sarò io?” “Non sei adatto per essere il grande re ma se vuoi ci puoi aiutare. Aiutaci, caro, ed avrai per te le Orcadi appena Artù sarà stato sconfitto.” “Non voglio le Orcadi,” riuscì a sussurrare Agravaine. Tutto, tutto perduto. Tutto. Quelle erano le uniche parole che vagavano nella sua mente. Tutto perduto, sua madre era perduta, anzi, lui non aveva mai avuto sua madre. Tutto finito. “No, non lo farò. Sono stanco di essere usato. Avrei dovuto ascoltare Gawain e Gaheris, avrei dovuto ignorarvi.” “Adesso non fare i capricci, Agravaine. Sei più infantile di Gareth e Gaheris messi assieme.” “Non farò più niente per voi,” singhiozzò il cavaliere e le parole di Gwendolyn gli tornarono alla memoria. Non dite nulla di sciocco, siate cortese e gentile e vi prego, non piangete. Inchinatevi come vi ho insegnato e andrà tutto bene. E lui aveva fatto tutto quello che andava fatto ma ancora nulla andava bene. “Non trovi sospetto anche tu il rapporto fra Lancillotto e Ginevra?” cambiò argomento la madre. “No,” replicò Agravaine, con voce roca. “Me ne vado.” “Non ti muovere. Visto che sei qui alla corte fai almeno qualcosa di utile. Voglio che tu scopra se la regina tradisce Artù.” “Siete pazza.” “Non più di te.” Agravaine era uscito dalla sua stanza e si era ripromesso che mai, mai più, avrebbe visto la madre né avrebbe fatto ciò che lei gli ordinava. Eppure era stato lui a mettere in giro le voci sulla regina perché ancora, un’illusa parte di sé, sperava che Morgause, vedendolo, potesse dire che era di nuovo fiera di lui e che non aveva voluto buttarlo via, come un vestito passato di moda. Ma non era accaduto. E ora, sul suo cavallo nero, poco fuori dalle mura di Camelot, Agravaine capì che non sarebbe mai accaduto e compatì Mordred, tormentato dai veleni di Morgause e dalla colpa del padre. Compatì Morgause stessa e tutto il suo odio verso il mondo. E compatì se stesso per essere ciò che era. Agravaine, figlio di Lot e dello spirito stesso delle Orcadi tradite, girò il cavallo, per tornare a corte e sentì dietro di sé gli zoccoli di un altro uomo a cavallo. Girando lo sguardo verso ovest, il cavaliere notò che si trattava di un messaggero, con gli abiti blu e gialli dei regni di Scozia. Con velocità ed agilità che il cavallo di Agravaine non aveva, il messaggero lo sorpassò senza nemmeno vederlo e corse verso la città di re Artù. Agravaine portò il suo cavallo al trotto e lo seguì lentamente. Ancora non sapeva che il messaggero portava l’annuncio della morte di Anne Morgause, assassinata nel suo letto dall’amante Lamorak. |
Fra tutti i vostri racconti che ho letto finora, questo è quello che mi piace di più.
Rinnovo sempre i miei complimenti per il vostro lavoro :smile_clap: |
Vi ringrazio <3 è anche quello che mi sono divertita di più a scrivere.
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