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Guisgard
31-08-2009, 01.44.07
Questo racconto, come tutti quelli che amo narrare, proviene dalle tradizioni e dal folklore della mia nobile terra. Chi a suo tempo mi raccontò questa storia giurò che ogni cosa in essa contenuta è vera e che ancora oggi le sue meraviglie sono visibili a chi frequenta i luoghi che ospitarono tali eventi.
Da parte mia, sperando che molti ne trovino diletto, continuerò a raccontarla su queste pagine fino a quando ci sarà qualcuno che leggerà ed apprezzerà.

ARDEA DE' TADDEI

I

"Nato non era, l'audace e bell'eroe,
per oziare in quell'accademia, destinato
invece, per volontà del fato, a immortali
imprese ed alle gioie d'Amore."
(L'Imp, libro I)

La giovinezza è simile alla primavera.
Entrambe sono infatti le stagioni in cui la vita inizia a fiorire nelle sue infinite e meravigliose sfaccettature.
Come la primavera porta con sé i nuovi fiori ricchi di colori, profumi e suoni, così nella giovinezza nascono i nostri sogni più belli e i desideri più fantasiosi.
Ma proprio come la primavera, così breve seppur intensa, anche la giovinezza è di effimera durata.
A cavallo tra il freddo inverno e l’afosa estate, la primavera consuma presto i suoi teneri ed intensi giorni, come la giovinezza stessa, rapido intermezzo tra la fanciullezza e l’età matura, come viva fiamma brucia rapida l’ardore del suo tempo.
E con essa smarriamo anche la volontà di rincorrere quei sogni mai realizzati e quei desideri mai sufficientemente cercati, ritrovandoci a vivere con rimpianti che assumono presto l’immagine di eterni fantasmi.
Se l’uomo avesse, assieme alla forza e la vitalità, anche la saggezza per poter godere a pieno di quel grande dono che è la giovinezza, egli sarebbe davvero il re del creato come l’Altissimo l’ha da sempre designato.
Proprio come Ardea, che alla vigilia della sua primavera, era pronto a conoscere e dominare il mondo.
La povertà del piccolo borgo Saggese non consentiva di coltivare nei cuori dei suoi abitanti i frutti dello slancio e dell’ambizione.
In uno sperduto angolo del regno di Afragolignone, lontano dai giochi di potere che scuotevano il paese, il piccolo borgo, asilo di contadini e pastori, era scandito da una statica e mediocre quotidianità che col tempo, come avviene quando le stanche ed oziose abitudini prendono il sopravvento, finiva per rendere arido ed appassito lo spirito di chi vi abitava.
Ma non per Ardea.
Il bambino infatti aveva un’insolita vitalità e un fuoco dentro che gli divampava dal cuore e rendeva ardente il suo animo.
Nonostante l’eroismo e la gloria fossero estranei in quel borgo quanto la villania in una corte, in quel bambino uno strano valore si era impossessato del suo animo che pareva nato apposta per ospitarne l’essenza: la cavalleria.
I suoi passatempi infatti erano, quando non giocava con i suoi amici impersonando paladini e crociati, tuffarsi in uno dei suoi vecchi libri o in qualcuno di quelli conservati nell’antica chiesa del borgo, dove non mancavano mai storie di valenti ed invincibili cavalieri, oppure ascoltare sognante i cantastorie che, vagabondi, arrivando nel borgo durante una delle annuali fiere o per qualche festa religiosa, recitavano a memoria i versi di favolosi poemi cavallereschi.
Era quindi imbevuto, il fanciullo, di nobili ideali ed eroici propositi e la più alta immagine che egli aveva di tutto ciò era la bellissima statua dell’Arcangelo Michele, nella vecchia chiesa del borgo, davanti alla quale Ardea passava ore immaginando e sognando cavalieri non troppo diversi dal fiero principe delle Milizie Celesti.
Ma in quel pomeriggio di Aprile la vita nel borgo sembrava essersi destata, grazie ad uno di quegli avvenimenti capaci di scuotere il perenne torpore di quelle terre: la Santa Pasqua.
Sua nonna aveva imbastito tutto per preparare i tradizionali cibi, senza i quali le festività non sembravano tali. Taralli all’arancia, rustici di sugna e salumi, torte all’uovo e di grano.
La casa di Ardea era povera, ma in questi momenti dell’anno assecondare la tradizione era un po’ come pregare e qualche sacrificio poteva essere fatto senza starci a pensare troppo su.
Così il fanciullo andò, secondo la volontà della nonna, al vecchio mulino nel bosco, proprio per comprare una razione di grano. Con lui c’era l’inseparabile Karim, un ragazzotto curioso nell’animo e nell’aspetto ma che come nessun altro capace di ammirare le virtù di Ardea.
“Perché abbiamo imboccato questo sentiero?” Chiese Karim. “Di qua si passa per il vecchio querceto!”
“Quando attraverso il bosco amo passare presso il querceto!” Rispose Ardea, spezzando da un albero un ramo e strappandone poi le foglie.
“Sai che nel querceto giuravano gli antichi guerrieri celti? E’ un luogo carico di significati!” Aggiunse, agitando a mo di spada quel ramo appena spezzato.
“Più che il vecchio querceto” ribatte Karim guardandosi intorno “io penso a quello strano posto che gli sta accanto…”
“Parli del cimitero abbandonato?”
“Abbandonato e sconsacrato!” Precisò Karim.
“Anche quello è appartenuto ai celti!”
“Ed ora ci fanno i loro riti le streghe…”
E proprio in quel momento i due furono nei pressi del querceto. Però in quell’istante qualcosa destò l’attenzione dei due ragazzi.
Un poderoso e deciso rumore di cavalli proveniente dal cuore del bosco. E prima che i due amici potessero dirsi qualcosa, avvistarono una mezza dozzina di soldati a cavallo e armati di tutto punto.
“Che i tuoi celti siano usciti dalle loro tombe?” Sussurrò intimorito Karim.
“Più che la vendetta dei morti, dovremmo temere l’odio dei vivi!” Rispose ironico Ardea, fissando con attenzione quegli uomini giunti a pochi passi da loro.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4f/Boucher_pastorale.jpg

Continua...

Guisgard
01-09-2009, 01.13.03
ARDEA DE' TADDEI

II

"Quell'immagine, ferma nella penombra,
mi fissava con tenere sorriso, come se non
avessi più nulla da temere. Poi, vistomi scattare,
svanì, come etereo sogno alla prima luce del giorno."
(I racc d Pall Lun d Sett, III, 11)


In breve quegli uomini armati raggiunsero i due ragazzi.
Avevano tutti la stessa uniforme, una lunga giubba che copriva la cotta di maglia con un elmo senza visiera, tranne colui che li guidava e che sembrava esserne il capo.
L’uomo aveva ricoperto il corpo da una dura cotta di maglia e sulle spalle, braccia e lungo le ginocchia, da una pesante armatura. Il capo era celato da un possente elmo ornato di un pennacchio rossastro e consumato.
“Avete visto passare da queste parti un uomo in fuga e ferito?” Esordì il cavaliere con tono solenne. “Si tratta di un traditore della corona ed è molto pericoloso!”
Ardea nell’ascoltarlo ne scrutò con attenzione l’aspetto e lo sguardo.
Karim invece era troppo spaventato per dire o anche solamente pensare qualcosa.
“I villani sono stupidi sin dalla fanciullezza!” Disse sprezzante il cavaliere voltandosi verso i suoi.
Poi, spazientito quanto scortese, tuonò ai due ragazzi:
“Per la barba del demonio! Capite la lingua in cui vi parlo o siete solo semplicemente tonti?”
“Messere, comprendiamo benissimo la vostra lingua ed i vostri modi e con essi il vostro rango.” Rispose fingendo soggezione Ardea.
“Allora parlate, maledetti bifolchi!”
“Perdonate, mio signore, ma le vostre parole hanno destato in noi grossi timori.”
“Non temete, miserabili! Se sapete qualcosa ditelo senza indugio così che quel maiale possa cadere presto nelle nostre mani!”
“In verità noi vedemmo un uomo in fuga passare oggi da qui” rispose Ardea “ma non comprendemmo che si trattasse di un simile reo.”
“Dove l’avete visto?” Chiese con rabbia il cavaliere.
“Verso l’inizio di questo sentiero, dove la campagna cede il passo al folto bosco.”
“E’ fuggito quindi verso il bosco, quel cane!” L’interruppe il cavaliere.
“No, messere” rispose lesto Ardea “egli vedendoci ha repentinamente cambiato strada. Solo ora ne comprendo il motivo.”
“E dove era diretto?”
“Verso le colline che aprono poi la via verso i monti.”
“Quel verme si è messo in trappola da solo! Sei sicuro che abbia preso quella direzione? Aveva con se un cavallo?”
“Si, signore, era proprio diretto verso la via per i monti e non aveva alcun cavallo con se.”
“Allora non potrà sfuggirci!”
“Messere, credete sia pericoloso? Qui vicino c’è il nostro borgo.” Chiese Ardea, fingendosi intimorito.
“Al diavolo! A voi villani è la peste o la carestia che vi farà marcire, non i traditori! E comunque, da quel che mi hai raccontato, quel maledetto ha preso tutt’altra via!”
Detto questo, il cavaliere fece cenno ai suoi e l’intera brigata si diresse verso la via indicatagli dal fanciullo.
Quando poi furono scomparsi tra la vegetazione e la polvere che avevano alzato i loro cavalli, Ardea scoppiò in una lunga risata che tradiva profonda soddisfazione.
“Folle e più folle io che ti vengo dietro! Cos’hai da ridere ora?” Esordì come intontito Karim.
“E’ stato un gioco da ragazzi sviarli verso quella solitaria via” rispose divertito Ardea “ora che è prossima la sera, si perderanno per bene, tra il buio e la loro insolenza!”
“Tu sei pazzo! Quelli sono cavalieri e se scoprono che li hai giocati torneranno a farci la pelle!”
“Non torneranno, tranquillo!” Sentenziò sicuro Ardea. “Ora affrettiamoci che è quasi buio e voglio passare prima presso il vecchio cimitero.
A quell’affermazione, Karim si sentì attraversare le membra da un brivido.
Ma il suo amico non se ne curò e raggiunse in breve l’austero luogo.
Ma appena giunti presso quelle antiche tombe, qualcosa scosse profondamente i due ragazzi.
Accanto ad una grossa croce di pietra che emergeva dal terreno, stava distesa, come addormentata o forse morta, una misteriosa figura.
A quella vista Karim scappò via. Il suo amico l’avrebbe senza dubbio seguito se non fosse stato vinto da una forte curiosità.
Così, dopo un attimo di incertezza, Ardea si avvicinò alla strana figura. La osservò da vicino, cercando di scrutarne il volto sotto il nero cappuccio che gli copriva il capo. Ma proprio in quel momento, con un rapido gesto, la figura afferrò per un braccio il ragazzo, che per la paura sentì la voce soffocarsi nel petto.
Mentre tutt'intorno il cielo iniziò ad essere attraversato dai sinistri sibili del vento.
http://www.artemotore.com/public/01_artisti/opere/589_2_4887785287.jpg

(Continua...)

Guisgard
03-09-2009, 01.32.49
Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.

Vivian
03-09-2009, 09.13.14
Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.

I vecchi racconti delle nostre terre sono sempre affascinanti. C'è però da dire che possono esser resi ancora più belli se narrati in una maniera tanto appassionata e avvincente. Insieme a voi ho camminato con Ardea e Karim nel querceto. Insieme a voi ho sentito il desiderio irresistibile di ingannare gli insolenti uomini a cavallo :p. E ora son qui, dietro una lapide, che tremo nel vedere il nostro protagonista alle prese con la misteriosa figura :eek:.
Ma non voglio distogliervi dal racconto, torno a sedermi sull'erba e attendo con infinita curiosità il seguito della storia :silence_shhh:.

Mentre tutt'intorno il cielo iniziò ad essere attraversato dai sinistri sibili del vento....

Hastatus77
03-09-2009, 13.43.16
Tengo a precisare, come ho detto, che questo racconto lo sto scrivendo sotto dettatura dei miei ricordi, o forse di una dolce musa che ora confondo con l'eco del vento della sera.
Ciò che in esso è narrato si è perso nella notte dei tempi, ma non nell'oblio del passato e facendo appunto leva su ciò che mi fu narrato da piccolo, oggi io lo canto a chi si fermerà ad ascoltarmi.
Questo racconto è frutto della memoria della mia nobile terra quindi e in nessun altro luogo potrete ascoltarlo se non qui, dalla mia penna e accompagnato dal suono della lira del mio fedele menestrello.
Messer Guisgard, grazie per la precisazione... ma vi prego, continuate, perchè la storia è interessante. :smile_wave:

llamrei
03-09-2009, 20.51.38
La vostra Terra è ricolma di animi nobili i quali hanno saputo, con gli anni, tramandare i racconti. Ben venga un bardo con il vostro diletto a narrare queste storie. Se non vi dispiace, io mi accomodo qui, messere, e non oso disturbare la vostra memoria. Mi lascio coccolare dai vostri ricordi.

Guisgard
04-09-2009, 00.23.50
Ringrazio tutti voi, amici ed amiche, per le lodi a questo racconto.
Il vostro diletto è per me motivo d'orgoglio, sperando che il seguito sia degno della vostra attenzione.

Guisgard
04-09-2009, 01.38.34
ARDEA DE' TADDEI

III

"L'attesro per un pò, con l'ansia per
quella gravosa impresa, fino a che l'uomo
detto il principe, attorniato da devoti compagni,
che ad un suo gesto avrebbero la fatal dama nera
seguito nell'Ade, apparve come un re tra loro."
(Le Geo, libro I)


Il Sole era ormai tramontato quasi del tutto e sul giorno morente stava ovunque scendendo l’infinito crepuscolo.
Le alte nubi nel cielo, per il contrasto tra gli ultimi bagliori di luce ed il primo buio della sera, sembravano le possenti onde di un mare burrascoso che dall’infinito pareva intenzionato a schiantarsi sulla terra per lavarne colpe e peccati.
Un asciutto vento si era levato e con una tenace insistenza soffiava senza sosta, diffondendo lamenti ed echi in quel tormentato paesaggio.
Ma Ardea sembrava insensibile a quello spettacolo della natura. L’unica cosa che sentiva era la forte morsa che gli stringeva il braccio.
Il sibilo del vento si fece più forte e profondo, come se trasportasse i lamenti dei dannati dall’Inferno.
Infine Ardea, vinto dal terrore, chiese pietoso:
“Non fatemi del male, vi prego!”
La figura non rispose e dal buio che copriva quel volto, celato dal cappuccio, si aprirono due fessure luminose che fissavano nel profondo degli occhi il povero ragazzo.
“Abbiate pietà di me, vi supplico!” gridò Ardea “San Michele mio, aiutami!”
“Vieni a destare i morti di questo luogo e ti aspetti la misericordia degli angeli?” Disse con voce austera e profonda quella figura.
“Pietà! Pietà!” Gridò il ragazzo.
“No! Tu oggi poserai qui la tua anima!”
Vinto dalla disperazione e dal terrore, sentendosi ormai perduto, l’indomito ragazzo tirò allora un calcio, con tutte le sue forze, nelle pieghe del mantello che avvolgeva quella nera figura.
Questa, sentendosi colpita, emise un gemito soffocato tra i denti e mollò finalmente quella presa che al ragazzo pareva d’acciaio.
Ardea allora, libero da quella morsa, fu sul punto di scappar via, ma il lamento di quella oscura figura lo fece arrestare.
Si voltò e vide quello che gli era parso un fantasma piegato su se stesso, tenendosi il fianco.
Restò alcuni istanti a fissare quell’immagine.
“Maledetto” sussurrò la misteriosa figura “fuggi o ti strapperò davvero l’anima!”
Ardea invece restò immobile a fissarla.
La figura allora, aggrappandosi a fatica sulla croce della tomba, si tirò su, respirando a fatica.
Ardea si avvicinò e vide, lungo la sua gamba, il sangue scorrere in grande abbondanza.
“Non temi né gli spiriti né la morte, dannato?” Disse affannando l’uomo incappucciato.
“Gli spiriti non perdono sangue…” Rispose Ardea con un tono che tradiva una paura ormai scacciata.
La figura allora aprì di scatto il mantello e con la mano destra, la sinistra la teneva stretta sul fianco ferito, impugnò un affilato pugnale.
“Oggi, io e te ci uniremo ai morti di questo luogo…” Disse fissando il ragazzo.
Questi, in quel momento, si ricordò degli uomini avvistati prima e di quel che dissero riguardo alla preda ferita a cui davano la caccia.
Inoltre, apertosi il mantello, Ardea poteva ora vedere meglio quella figura.
Aveva una cotta di maglia che gli copriva completamente il corpo e placche di ferro sulle braccia e sulle gambe. E al collo portava un antico e prezioso monile, su chi era incisa l’immagine di un gufo con una rosa tra gli artigli.
“Volete uccidermi per poi attendere qui i vostri carnefici?” Disse Ardea, fissando il buio del volto di quello che ormai si era rivelato essere un uomo mortale.
“In questo luogo c’è solo la giustizia dei morti!” Rispose quell’uomo.
“Per quella c’è tempo. Finche siamo in vita, si intende.”
L’uomo restò in silenzio a quelle parole di Ardea.
“Dovete fuggire, finche siete in tempo.” Aggiunse il ragazzo.
L’uomo si strinse alla croce e fissò il cielo ormai buio, dicendo:
“Anche il vento sembra portare lamenti di morte.”
“Può essere quella dei vostri nemici.”
“Sei ancora qui, dannato? Vattene via, se non vuoi morire anche tu!”
“Con quella ferita non andrete lontano. Cosa vi occorre?”
A quella richiesta l’uomo fissò Ardea e rispose:
“Un confessore o un cavallo!”
Ardea sorrise e scappò improvvisamente via. Poi voltatosi verso quel’uomo gridò:
“Attendete il mio ritorno. Vi porterò l’uno o l’altro!”
E sparì come rapito dalla foga del vento.
http://www.comune.casteldelpiano.gr.it/museo_civico/ingrandimenti/al_torrente.jpg

(Continua...)

Guisgard
07-09-2009, 01.20.02
ARDEA DE' TADDEI

IV

"Il nemico, con rapaci sguardi, scrutava che
non lo raggiungessero nè aiuto, nè ristoro.
La morte lenta e senza onore avrebbe mostrato
a tutti l'odio del terribile scolarca. Ma poi, con
armi e corazza, l'amico gli venne in aiuto,
sottraendolo allo scempio e alla furia di
quell'inumano guerriero."
(Le Geo, libro III)


Ardea, quasi sospinto dal vento, tagliò il bosco in due, come solo chi conosceva quei luoghi poteva fare e raggiunse il vecchio mulino.
Scrutò la situazione e si rese conto, colpa del tempo che sembrava diffondere maledizioni attraverso la furia del vento, che il mugnaio e sua moglie si erano ben chiusi in casa.
Raggiunse così la stalla e, coperto dal forte sibilo del vento, portò via l’unico cavallo in essa custodito.
Di lì a poco fu di nuovo al vecchio cimitero e trovò fermo sulla sua croce quel misterioso uomo.
Questi nel vedere il ragazzo, non solo ritornato, ma anche accompagnato da un cavallo, restò come allibito.
Raccolse allora le ultime forze e si sollevò, aggrappandosi alla croce, da terra.
“Ho avuto solo il tempo di prendere le redini per condurlo qui” disse il ragazzo “per la sella dovrete arrangiarvi.”
L’uomo si avvicinò al cavallo e strinse per bene le redini poi, nonostante la ferita e l’assenza di sella e staffe, montò in groppa con una disinvoltura che tradiva il suo status.
“Avrete il vantaggio di una notte sui vostri nemici” riprese a dire Ardea “seguite il sentiero e per domattina sarete fuori dal bosco e lontano dalle grinfie dei vostri inseguitori.”
“Come fai a dirlo?” Chiese l’uomo.
“Essi sono ora in balia del vento e della notte, sulla incerta via che conduce ai monti!”
“Come sai tutto ciò?”
“Perché fui io a sviarli da queste vie.”
“Perché fai tutto questo?”
“Perché dagli abiti mi sembrate un cavaliere!”
“E lo sono. Ma anche coloro che mi inseguono sono cavalieri.”
“Non lo sono. Non loro!”
“Come puoi dirlo?”
“Erano tanti contro un uomo solo e ferito. Questa è una vergogna per la cavalleria!”
L’uomo si accorse che lo sguardo di quel ragazzo, mentre diceva queste cose, fu attraversato da una luce intensissima ed abbagliante.
Allora si tolse il cappuccio, mostrando il suo volto ad Ardea.
Questi rimase rapito da quell’immagine.
I lunghi capelli neri avvolgevano sudati un viso dai bei lineamenti, con occhi grandi di un intenso blu che spiccavano meravigliosamente sul chiarore di quel fiero volto. Mentre la bella barba non nascondeva la nobiltà e la luminosità della sua espressione.
“L’ho sempre saputo…” Sussurrò Ardea.
“Cosa?” Chiese quell’uomo.
“Che i veri cavalieri sono belli come un angelo di Dio.”
“Qual è il tuo nome ragazzo?”
“Ardea, signore.”
“Dove vivi?”
“Nel vecchio borgo di Saggese.”
Udite queste parole, il cavaliere spronò il cavallo e si diresse nella direzione indicatagli dal ragazzo.
Ma fatti pochi passi, si voltò e disse:
“Che Dio ti benedica e ti accompagni sempre, ragazzo mio.”
Poi sparì come inghiottito dal folto bosco, mentre ad Ardea come compagno restò solo il sibilo del vento.
http://www.ringsgeek.net/images/Aragorn%20with%20horse.jpg

(Continua...)

elisabeth
07-09-2009, 07.16.00
State scrivendo qualcosa di veramente bello, e la bellezza dei vostri ricordi rendono la storia cosi' vera che sembrate averla vissuta, continuate ...sono curiosa...:smile_clap:

Guisgard
07-09-2009, 16.51.10
Cara lady Elisabeth, spesso ciò che ricordiamo o che viviamo, si confonde con i nostri sogni e i nostri desideri.
Forse quando si narra una storia, per lontana ed estranea che possa essere, in essa riviviamo incontri, amori, amicizie vissute in passato.
O forse, più semplicemente, il canto della musa inebria i sensi e ci spinge a riflettere un pò di noi stessi in quello che scriviamo.
Chissà.
Restano però le vostre bellissime parole, indispensabili ad ogni poeta e cantore.
Grato di ciò, mia signora, vi prometto che le prossime gioie del nostro protagonista saranno dedicate a voi :smile:

elisabeth
07-09-2009, 21.23.19
Sir Guisgard vi ringrazio per il pensiero ne sono lusingata, credo che abbiate pienamente ragione i nostri scritti sono l'essenza di quello che siamo, sono gli incontri non casuali della nostra vita. Attendo allora il continuo della storia.................:silence_shhh:

llamrei
07-09-2009, 22.54.29
Forse quando si narra una storia, per lontana ed estranea che possa essere, in essa riviviamo incontri, amori, amicizie vissute in passato.
:smile:

E' vero. Una specie di legame che, senza saperlo, esiste e ci rende parteci oggi, seppur spettatori, di qualcosa che è stato. Non è negativo: tutt'altro. E' molto più emozionante perchè rende le emozioni più ricolme e complete.

Io attendo (sono impaziente Sir) il continuo:smile:

Guisgard
08-09-2009, 01.47.12
E' vero. Una specie di legame che, senza saperlo, esiste e ci rende parteci oggi, seppur spettatori, di qualcosa che è stato. Non è negativo: tutt'altro. E' molto più emozionante perchè rende le emozioni più ricolme e complete.

Io attendo (sono impaziente Sir) il continuo:smile:

Milady, come sempre le vostre parole sono ambasciatrici della vostra sensibilità e generosità d'animo.
Auguro al protagonista di questa storia, se riceverà la benedizione di Amore, di incontrare una donna che riassuma nella sua figura i vostri tratti e che, come voi, sia animata da cortesi e nobili sentimenti :smile:
Per stanotte ho lasciato la mia finestra aperta, affinchè la mia musa possa raggiungermi al più presto e rinvigorire la mia memoria per il continuo di questa storia ;)

Morris
08-09-2009, 11.22.26
Vi leggo..in silenzio..amico mio......non voglio disturbare la vostra magistrale ispirazione.......complimenti....continuate pure..........tutti quanti...attendono impazienti!

Sir Morris

Guisgard
09-09-2009, 00.57.30
Grazie, mio devoto e poetico amico.
Felice che questo antico racconto vi stia piacendo :smile:

Guisgard
09-09-2009, 02.33.45
ARDEA DE' TADDEI

V

"La Santa Rita scricchiolava sotto il peso
dei mortai e delle provviste, mentre il mare
avvolgeva ogni cosa fino a confondersi con
il cielo infinito. Il fillibustiere era solo e sconsolato,
ma poi finalmente vide dal molo l'amico correre
verso la nave, Insieme sarebbero salpati per
un'avventura sognata da sempre."
(I pir di Capom, 1,7)


Passarono inesorabili i giorni, poi i mesi e poi gli anni, tre in tutto, ma la vita continuò a scorrere come sempre era stato nel vecchio borgo Saggese.
Nemmeno le lotte scoppiate intorno alla successione al trono, che insanguinarono il paese, sembravano aver scosso il perenne torpore del borgo.
Era infatti accaduto che il re morendo aveva imposto come suo erede, non il figlio legittimo, ritenuto avido e venale, ma suo nipote, figlio di sua sorella andata in sposa al re di un vicino reame.
Così, attorno alla successione, scoppiò lo scontro tra i due cugini che ambivano alla corona.
I nobili si divisero tra i due contendenti ed alla fine il nipote del re ebbe la meglio e fu proclamato sovrano di Afragolignone.
Così, dopo sette anni di violenti scontri, la pace era tornata finalmente nel reame.
Ma, come detto, quasi nulla di tutto ciò era stato avvertito nel vecchio borgo, fatta eccezione per quanto era accaduto proprio in quella lontana sera di Aprile.
E proprio quella sera non era stata dimenticata da Ardea.
Il ragazzo non riusciva e non voleva dimenticare quel misterioso cavaliere che aiutò a fuggire dai suoi nemici.
Come una visione senza tempo, quella scena vissuta anni prima, ritornava costante, come un’ossessione, nei sogni di Ardea.
E in quella visione rivedeva il suo cavaliere in mille vesti; ricoperto dalla sua lucente armatura mentre abbatteva i suoi avversari, o al galoppo con armi e stendardo, o ancora nell’atto di uccidere un drago.
E sempre, in questi suoi ricorrenti sogni, il ragazzo vedeva il medaglione indossato quella sera dal cavaliere, quello raffigurante il gufo e la rosa.
A nessuno aveva raccontato però di quella sera. Per quanto lo riguardava infatti, avrebbe portato con sé quel segreto nella tomba.
Solo Karim era stato con lui durante quell’episodio, ma come ricorderanno i lettori era fuggito via prima che succedesse tutto.
Probabilmente ancora oggi il povero Karim viveva convinto di aver visto un fantasma quella sera al vecchio cimitero celtico.
In realtà Ardea aveva cercato, più volte, di raccontare tutto al suo migliore amico, ma Karim non aveva mai preso sul serio il suo racconto, credendo che il suo amico volesse solo prendersi beffe di lui e dello spavento che si era preso quella sera.
E così, alla fine, restavano solo i ricordi ed i sogni a condividere con Ardea ciò che era accaduto in quella lontana sera.
Ma la vita trova proprio negli incontri che facciamo la sua linfa vitale e nulla di ciò che accade avviene per
caso.
E talvolta il passato torna a chiedere conto delle nostre azioni.
Così, durante una soleggiata mattinata di Marzo, in una luminosa radura irregolare, ai limiti del bosco, Ardea ed altri ragazzi, come spesso facevano, trascorrevano il tempo ad immaginare di essere cavalieri e tiranni, correndo e nascondendosi tra la verde vegetazione.
E mentre Ardea era nascosto in un vecchio tronco cavo, in attesa che qualcuno dei suoi amici riuscisse a trovarlo, udì un rumore di passi.
Scrutando tra il folto fogliame selvatico vide passare una nobile compagnia di uomini a cavallo.
La misteriosa brigata era formata da una decina di uomini ed era guidata da due personalità di lignaggio apparentemente molto alto.
Uno, da come era abbigliato, sembrava in tutto e per tutto un chierico.
Mentre guardando l’altro non era difficile capire che apparteneva al rango di cavaliere.
L’andamento della compagnia era lento e austero e la direzione che aveva intrapresa portava senza dubbio al borgo Saggese.
Ardea lì seguì per un po’ con lo sguardo, poi, quando scomparvero lungo la via, uscì dal suo nascondiglio e chiamò a se gli altri.
“Avete sentito quei passi? Disse agli altri ragazzi. “ Sembra che un gruppo di cavalieri sia diretto verso il borgo.”
“Cavalieri? Al borgo? Impossibile!” Rispose lesto Karim.
“Li ho visti io un attimo fa! Ora torno al borgo per vedere cosa accade.”
“Tempesta avrebbero dovuto chiamarti!” Sbottò spazientito ancora Karim. “Possibile che tu non riesca ad aver giudizio?”
Ardea lo fissò scuotendo il capo.
“Se davvero sono diretti al borgo, potrebbero esserci presto dei guai per noi che vi abitiamo. Meglio restarcene qui ad aspettare.” Continuò Karim.
“Fa come credi. Io invece vado! Se qualcuno vuol seguirmi sa che direzione prendo!”
Detto questo, Ardea corse via verso il borgo.
Giuntovi, si accorse che c’era un’insolita agitazione nel borgo e tutti parlavano di quella compagnia appena arrivata e cosa potesse mai cercare in quel posto.
Poi con sua grande meraviglia gli venne detto che quegli uomini avevano chiesto proprio di casa sua.
Ardea in un momento la raggiunse, trovando nel cortile gli uomini di quella compagnia.
Entrato in casa trovò ad attenderlo i suoi nonni e i due uomini, il chierico ed il cavaliere, visti nel bosco.
“E’ lui il ragazzo?” Chiese il cavaliere fissandolo.
“Si, è lui.” Rispose la nonna, raggiungendo il nipote e baciandolo sulla fronte.
Una strana inquietudine scese allora nell’animo di Ardea, che non capiva cosa stesse accadendo, mentre la luce di quella luminosa mattinata si diffondeva raggiante in tutta la stanza.
http://www.avalonworld.de/artus_parzival.jpg

(Continua...)

elisabeth
09-09-2009, 07.34.49
Fantastico Sir Guisgard, come le anime si cercano nel tempo, il cavaliere sconosciuto, ha visto nell'animo del giovane Ardea l'essenza del cavaliere ...siamo come antenne nel mondo se abbiamo l'animo predisposto tendiamo ad incontrarci......

Guisgard
09-09-2009, 14.14.22
Avete ragione, damigella.
Da sempre le anime simili, animate dalle stesse passioni, alla fine sono destinate ad incontrarsi.
Ed attraverso questi incontri si realizza il destino di ognuno di noi :smile:

KingArthur
09-09-2009, 14.53.21
Vi porgo i miei complimenti Sir Guisgard il vostro racconto è un opera degna di merito!

Guisgard
10-09-2009, 00.50.30
Sire, di voi ho sempre sentito parlar bene.
E giunto qui a Camelot ho potuto vedere con i miei occhi che quanto udito corrisponde al vero.
La vostra nobiltà si manifesta nel modo in cui vi rivolgete ai vostri sudditi e come lodate la loro fedeltà a questo reame.
Sono felice che il mio racconto vi stia piacendo!

Guisgard
11-09-2009, 02.30.14
ARDEA DE' TADDEI

VI

"Monello e scanzonato, l'indomito
ragazzo, nei polverosi libri i grandi cavalieri
cercava, sognando crociate e il Santo Graal.
Ma sempre lui sapeva che nella vecchia
casa l'amore familiare ad attenderlo trovava."
(Le Geo, libro I)


Ardea si accorse che il viso di sua nonna, mentre lo baciava, era bagnato da lacrime.
Il cavaliere si avvicinò al ragazzo fissandolo attentamente.
“Il tuo nome è Ardea, vero?”
“Si, milord.”
“Tua nonna ci ha raccontato che hai molti libri. Sono una mercanzia rara di questi tempi. Io ne ho veduti solo nei monasteri ed in qualche castello.”
Ardea annuì.
“Mi piacerebbe vederli. Vuoi avere la cortesia di mostrarmeli?”
“Si, certo. Seguitemi, signore.”
Così Ardea condusse con se il cavaliere in una piccola stanza, che rappresentava per il giovane gran parte del suo mondo.
Qui vi erano conservati un buon numero di libri, forse più di quanti ce ne fossero nell’intero borgo Saggese.
Il cavaliere ne sfogliò qualcuno sotto lo sguardo attento di Ardea.
“L’abate Petrillus, il sant’uomo che mi accompagna, dice che chi legge molto aspira ad essere chierico o poeta.”
“Non saprei, milord.” Rispose Ardea.
“Tu quindi non ambisci a nessuna delle due cose?”
“No signore.”
“A quanto pare allora” rispose divertito il cavaliere “l’abate si è sbagliato.”
“Non saprei, milord.”
“Tu allora cosa vorresti farne della vita, visto che ritieni, a quanto sembra, poco allettanti l’arte della poesia e la missione del chierico?”
“Milord, non disprezzo nulla di ciò che dite” rispose lesto il giovane “dico solo che non ne sarei capace.”
“Perché mai?”
“Per essere uomo di chiesa occorre la vocazione, mentre per comporre versi una musa che ti ispiri.”
“Arguto!” Ribatte il cavaliere. “E di cosa ti ritieni invece più degno?”
Ardea abbassò per un momento il capo e poi arrossì.
“Cos’hai? Vergogna o timore?” Chiese il cavaliere.
“Io sogno di essere cavaliere!” Disse di getto Ardea.
L’uomo in armi sorrise.
“Comprendo il vostro riso…in questo luogo non vi è né valore per aspirare a tanto, né nobiltà che lo possa riconoscere…”
“Lancillotto e Parsifal furono presto orfani di padre, eppure divennero della cavalleria la massima espressione.” Disse il cavaliere.
“Si, ma loro ebbero il merito di essere alla corte di re Artù. Io come corte posso solo aspirare al folto bosco e l’unico sovrano che vi regna è il mitico Oberon, ma non credo abbia bisogno di cavalieri.”
“Rimpiangi quindi i tuoi poveri natali?”
“No, milord, mai!” Rispose con decisione il giovane. “Solo le leggi di questo mondo che premiano il sangue anziché il valore!”
Il cavaliere restò stupito dall’ardore di quella risposta. E disse:
“Il fato da a tutti una possibilità per essere grandi.”
Poi, rimesso a posto uno dei libri che aveva sfogliato, il cavaliere s’accorse che dalle pagine era caduto un foglietto spiegazzato.
Aprendolo vide disegnato uno schizzo. Era il gufo con la rosa che Ardea vide sul ciondolo del cavaliere incontrato anni prima.
“Cos’è questo?” Chiese il cavaliere.
“Un disegno che feci tempo fa.”
“Cosa rappresenta?”
“Il simbolo di un cavaliere.”
“Come lo conosci?”
“E’ una lunga storia, ma non credo vi possa interessare.”
“Io credo di si.”
E detto questo, tirò fuori dal mantello un ciondolo in tutto simile a quello che Ardea vide anni prima.
“Il gufo con lo rosa!” Gridò il giovane. “Come fate ad averlo, milord?”
“Come ti ho detto, il fato da a tutti la possibilità di essere grandi.” Rispose il cavaliere. “E questo ciondolo, se ne sarai degno, sarà la tua possibilità!”
Ardea restò attonito e confuso, mentre l’immagine del fiero gufo con la bella rosa scintillava nei suoi occhi.
http://www.let.kumamoto-u.ac.jp/literature/lin/hikakubungaku/Parzival.jpg


(Continua...)

llamrei
11-09-2009, 09.31.39
Io continuo a farmi coccolare dai vostri racconti...Non fatevi pregare ulteriormente: continuate l'avventura

Vivian
11-09-2009, 11.45.39
Mi associo alla richiesta di Lady Llamrei: continuate Sir Guisgard, il vostro racconto è sempre più avvincente. :silenced_misspeak:

Guisgard
11-09-2009, 13.52.57
Mie dilette dame, ho piacere che questo racconto vi stia piacendo.
Chiederò alla musa di continuare ad accarezzare i miei ricordi :smile:

Guisgard
14-09-2009, 01.20.28
ARDEA DE' TADDEI

VII

"Il più semplice diventerà
un eroe e il più superbo
sarà scudiero; il caldo sfocerà
nel freddo e la notte si tramuterà
nel giorno. Allora il mio destino
sarà compiuto."
(Antica canzone normanna)


Ardea osservava confuso e stupito il volto di quel cavaliere, che a sua volta lo guardava come colui che dispensa doni a chi nulla possiede.
“A quanto pare conosci questo stemma.”
“Si, milord.” Disse il ragazzo. “Ma voi chi siete e perché possedete quel ciondolo?”
“Visto che ami tanto le storie dei cavalieri” rispose con un sorriso quel cavaliere “te ne racconterò una io ora.”
Ardea lo ascoltava sempre più stupito.
“Tempo fa uno dei più forti cavalieri del regno, mentre combatteva per il suo futuro re, cadde in un’imboscata dove i suoi uomini furono uccisi e lui ferito.” Iniziò a raccontare il cavaliere.
“Senza cavallo e quasi senza forze, si ritrovò in questi luoghi, presso un antico cimitero. Solo, stremato e ferito, attendeva la morte che gli avrebbero di sicuro dato i suoi inseguitori se non fosse accaduta una cosa tanto imprevista quanto benigna.”
Il cavaliere fece una pausa e poi continuò:
“Accadde che un fanciullo, inviatogli certo dal cielo, lo soccorse. Sviò i suoi inseguitori e gli procurò un cavallo per fuggire.”
“Milord…chi era quel cavaliere? Sono anni che me lo chiedo, interrogando i miei sogni senza aver risposta!” L’interruppe Ardea.
“Il cavaliere che salvasti, ragazzo mio, era il duca Taddeo d’Altavilla. Dopo quella notte, egli riuscì a tornare nelle sue terre e fu tra gli artefici della vittoria del re.”
Ardea restò senza parole, ma con una gran gioia nel cuore. Ora finalmente sapeva il nome del suo cavaliere.
“Io sono Vico d’Antò, suo cavaliere e vassallo, col compito di portare a te oggi le sue parole.” Disse il cavaliere.
“Il duca non ha dimenticato il tuo gesto.” Aggiunse. “Il cielo non gli ha concesso la grazia di avere un figlio ed egli ha espresso il desiderio che tu possa diventare questo per lui.”
Ardea credette di sognare.
“Sta a te decidere, ragazzo mio.” Concluse Vico.
Descrivere ora cosa provò nel cuore Ardea ad udire quelle parole non è facile.
Gli stati d’animo degli uomini, come i loro sentimenti del resto, sono un miscuglio di sensazioni e reazioni che non è facile decifrare.
Da sempre Ardea aveva sognato di poter un giorno divenire cavaliere. Ma comprendeva che tale cosa era difficile a realizzarsi poiché egli non aveva sangue nobile nelle vene.
E comunque fino a quando fosse vissuto nel borgo tali aspirazioni sarebbero rimaste solo utopie.
Ora però si stava concretizzando ciò che nemmeno nei suoi sogni più belli aveva mai osato sperare.
Il destino sembrava davvero aver bussato con vigore alla sua porta, per concedergli un’occasione mai nemmeno concepita.
In un momento tutto sembrò prendere senso, compiersi, come se qualcuno, da un luogo posto al di sopra dell’intelletto umano, avesse scritto tutto ciò.
Il cuore gli batteva come un ossesso e per un attimo credette di sognare.
Ma poi, all’improvviso, qualcosa sembrò destarlo da tutto ciò: i suoi amati nonni.
Come avrebbe potuto abbandonarli così?
Egli era il bastone della loro vecchiaia e l’unica gioia che possedevano.
Erano soli, fiaccati dalla vecchiaia e dalla povertà. Erano stati da sempre la sua unica ed amata famiglia.
Lasciarli per un sogno, per grande che potesse essere, ad Ardea sembrò un imperdonabile peccato.
“I miei nonni…” Sussurrò.
“Noi partiremo nel primo pomeriggio. Rifletti bene su cosa decidere.” Sentenziò Vico.
Ardea tornò in casa dai suoi nonni.
Lì trovò uno accanto all’altro, abbracciati senza dirsi nulla.
Neanche lui disse nulla e corse a stringersi a loro.
Forse quel momento sarebbe durato per sempre se non fosse stato interrotto dalla nonna:
“Non far attendere questi nobili signori. Corri a prepararti, altrimenti non potrai più partire.”
“Non posso lasciarvi” rispose Ardea “il mio cuore è qui, con voi.”
“Ardea, figlio mio” disse la nonna “la vita altro non è che una continua ricerca della perfezione. Tu non sei fatto per vivere qui. Ho sempre saputo, nel mio cuore, che un giorno saresti andato via. Ora quel momento è giunto.”
“Ma resterete soli…”
“Ti abbiamo cresciuto come un figlio, giurando di darti sempre il meglio. Se ora non ti permettessimo di andare verremmo meno a quel giuramento.”
“Potrò mai sdebitarmi con il cielo per avermi donato una famiglia come voi?”
“Si. Diventa un gran cavaliere” intervenne il nonno “e fa che la tua fama giunga fino a quaggiù, ragazzo mio!”
Di nuovo i tre si unirono in un tenero e commosso abbracciò.
All’ora stabilita per la partenza, la compagnia fu pronta e Ardea era con loro.
Usciti dalla casa trovarono un buffo ragazzotto, con l’aria smarrita, nel cortile ad attendere notizie. Era Karim.
Ardea lo prese in un angolo e i due parlarono per un pò. Poi un forte e sentito abbraccio sancì quella non meno dolorosa separazione.
L’ultimo sguardo fu per i suoi nonni, come i suoi sospiri e le sue lacrime solo a stento contenute, mentre abbandonava quel nido dove era cresciuto, fino ad allora, come tenero uccello.
http://1.bp.blogspot.com/_k-bPNZiL84A/SaWF88Qa9VI/AAAAAAAAAkg/5epNkOgM3-U/s320/Parzival2.jpg

(Continua...)

Guisgard
15-09-2009, 01.59.59
ARDEA DE' TADDEI

VIII

"E da lontano, oltre gli aspri monti,
appariva, come faro illuminante ai
navigatori speranzosi di un'accogliente
terra, Imperias, superba dimora degli
ultimi eroi conosciuti."
(L'Imp, libro I)


In breve la nobile compagnia attraversò la ridente campagna che circondava il borgo Saggese e si trovò sul lungo sentiero che tagliava in due il folto bosco, oltrepassato il quale sarebbero giunti nelle terre del signore d’Altavilla.
“Sei triste, ragazzo?” Disse Vico d’Antò osservando Ardea avvolto in un profondo silenzio.
“Si, milord” rispose Ardea “e vi confesso che se fossi da solo piangerei come un bambino.”
“Mi sembra naturale tutto ciò.”
“Piangere non è da uomini, milord. E tantomeno da cavalieri.”
“Non credo sia vero.”
“Nessun cavaliere ha mai pianto, signore!”
“Forse dovresti ricrederti.” Rispose con un sorriso Vico.
“Gigia” gridò poi rivolto verso il suo seguito “vieni qui e racconta al nostro tenero ragazzo come anche i più grandi cavalieri hanno versato lacrime!”
Il menestrello chiamato dal cavaliere si fece avanti, abbandonando gli uomini che seguivano ed iniziò a recitare:

“Storie di cavalier non son rare
bagnate da molte lacrime amare!
Tristano non pianse forse per la bella Isotta?
Come Lancillotto per Ginevra a voce rotta!
Ed Orlando che di Angelica bramava l’amor
non era certo pari ai lamenti del Cid Campeador?
E molti altri versarono sospiri e lacrime,
facendo del dolor l’ideale delle loro anime!”

Finite le sue rime, Gigia fece un profondo inchino e tornò nei ranghi da dove era venuto.
“Visto?” Disse Vico. “Se vuoi piangere e alleggerirti il cuore sei in buona compagnia!”
Ardea sorrise e si sentì un po’ più sollevato, grazie alla sensibilità di quel cavaliere, oltre che ai virtuosismi lirici di Gigia.
Il viaggio intanto continuava e la compagnia era ormai giunta in una vasta terra, delineata da una verdeggiante e superba brughiera.
“Questa che vedi, ragazzo mio” Disse Vico d’Antò “è la terra detta Delle Cinque Vie. Qui sono i domini del duca d’Altavilla.
“Perché questo curioso nome, milord?” Chiese Ardea.
“Perché quando anticamente questi luoghi vennero conquistati, la prime cose ad essere costruite furono proprio cinque strade, attraverso le quali la civiltà potè giungere in queste terre.”
“E questa terra appartiene tutta al duca?”
“Tutta. I suoi antenati la conquistarono ed egli ne ha ampliato, con il suo valore, i confini. Inoltre il diritto di possesso e trasmissione lo guadagnò anche con le sue campagne volte a liberare questi luoghi dagli eretici che le abitavano.”
“Ed ora gli eretici non vi suono più in queste terre? Chiese Ardea.
“Per Grazia di Dio non più!” Rispose Vico.
“Liberaci dal male, o Signore!” Esclamò l’abate Petrillus, segnandosi tre volte.
Ad un certo punto, finalmente, la compagnia avvistò un maestoso castello in lontananza.
Circondato da una possente cinta muraria e racchiuso da sette alte torri, il maniero dominava l’intero paesaggio come un gigante addormentato.
“Quello è il castello del duca, ragazzo!” Indicò Vico.
Ardea al solo vederlo sentì una forte emozione nascergli dal cuore.
Giunti in prossimità del castello, Vico fece suonare il corno da uno dei suoi uomini, per annunciare al duca il loro ritorno.
http://www.alnwickguide.co.uk/gallery/page/1.jpg

(Continua...)

Guisgard
16-09-2009, 02.09.32
Questo racconto l'ho udito diverse volte durante la mia infanzia, ma sempre nel medesimo periodo dell'anno: quello che va da Settembre fino alla Quaresima ed alla Santa Pasqua.
In pratica dalla vigilia dell'Autunno fino all'inizio della Priomavera.
Tutto ciò perchè tale periodo rappresenta un momento importante, che nelle mie terre è detto "della civetta".
La civetta infatti (insieme al gufo) è il simbolo della mia terra.
E vedere questo rapace nel periodo che ho indicato (soprattutto quello invernale) simboleggia buoni auspici e fortuna.
Questo racconto nasce quindi sotto il segno del fiero rapace protettore della mia nobile terra.
Ma vi è anche un altro motivo che lo rende a me molto caro.
Infatti, questo racconto, cela un segreto, che rivelerò alla fine della storia a chi avrà voluto seguirmi in questa antica avventura.
http://2.bp.blogspot.com/_WUvdHc6kAV8/SQNYqArkJeI/AAAAAAAAAfw/rVZbcGsFLmk/s400/2004_civetta.jpg

Guisgard
17-09-2009, 01.39.30
ARDEA DE' TADDEI

IX

“Pasciuti maiali e teneri capretti
il gran re fece squartare e cucinare
per la sua magnifica corte. Poi, tra gli
sguardi di tutti, fece cenno ad Icaro
di avvicinarsi.”
(L’Imp, libro I)


Il suono del corno si diffuse nell’aria e l’eco sembrò destare quella brughiera come da un lungo sonno.
La compagnia si diresse quindi verso la fortezza del duca, giungendo in un borgo, parzialmente fortificato, arroccato tutt’intorno alla cinta muraria del castello.
La gente del posto accoglieva con saluti ossequiosi e rispettosi inchini la nobile compagnia mentre attraversava quelle strade.
Ma lo stupore e la curiosità di quella gente era tutta per il giovane Ardea.
Alla fine della grande strada centrale che tagliava il borgo, la compagnia si trovò davanti al grande ponte levatoio che dava l’accesso all’interno del maniero.
Un canglore si diffuse solenne nell’aria e il pesante ponte iniziò a scendere: la compagnia potè così entrare all’interno.
In un momento, come se fossero attesi da secoli, servi e paggi attorniarono gli uomini della compagnia, aiutandoli a smontare da cavallo ed accogliendoli come si conveniva in simili circostanze.
Ardea non sapeva se tutto ciò stesse davvero accadendo.
I castelli lui li aveva solo immaginati leggendo i racconti dei suoi libri o sognando nell’udire i versi dei cantastorie.
Ora, come per incanto, si trovava in un vero castello e tutto gli sembrava un sogno.
Si guardò attorno nel grande cortile e quell’incredibile spettacolo quasi lo convinse che il tutto era solamente frutto della sua fantasia.
Il Sole era alto nel cielo ed attraverso le ampie finestre merlate che si aprivano lungo le alte mura proiettava i suoi luminosi raggi, generando giochi di luci ed ombre di strabiliante effetto.
Le slanciate torri sembravano quasi sfiorare il cielo, che sopra di esse pareva roteare e scorrere come un mare di impetuosa potenza.
Le secolari e massicce pietre del castello, sotto i colpi del caldo Sole, sembravano come arse da dardi incandescenti e forgiati dal perenne soffio del vento, che temprava quella ciclopica costruzione.
“Nessuno potrebbe mai prendere o solo pensare di assediare questo castello.” Pensò tra se Ardea.
“Andiamo Ardea. Il duca ci attende.” Disse Vico, destando il giovane dai suoi sogni.
Così Vico, l’abate ed Ardea furono accompagnati da tre servitori, attraverso un lungo corridoio, fino ad una grande sala.
Armi e corazze guarnivano gli angoli e le pareti della sala, mentre un lungo tappeto di fattura orientale ne ricopriva il solido pavimento.
Ovunque c’erano animali impagliati nelle pose più disparate, a tradire la grande passione del duca per la caccia.
Al centro della sala vi era un lungo tavolo rettangolare con massicci seggi tutt’intorno e diverse porte si aprivano lungo le pareti, che permettevano di raggiungere, dalla sala, altri locali adiacenti.
Ardea osservava ammirato tutto ciò, ma quello che lo meravigliò più di tutto, fu il grande drappo purpureo inchiodato alla parete più lontana, su quale faceva superba mostra il fiero gufo con la rosa tra gli artigli.
In quell’istante la porta che si trovava sulla parete dove era esposto il drappo si aprì all’improvviso ed un’austera figura fece il suo ingresso.
Era accompagnata da un servo e da quattro levrieri di magnifico portamento.
L’andatura era fiera e tradiva un lignaggio non comune. La luce che invadeva la stanza però non permetteva di riconoscerne bene i lineamenti.
Ardea restò meravigliato da quell’immagine, ma anche colpito da un particolare: quell’uomo, alto e robusto, dal superbo portamento, camminava accompagnato da un bastone.
Raggiunta la testa del tavolo, l’uomo si sedette.
Subito i suoi cani si accucciarono attorno al suo seggio.
“Venite avanti, signori” esordì con un voce grossa quell’uomo “e conducete qui il ragazzo!”
Vico e l’abate si avvicinarono al tavolo, seguiti a rispettosa distanza da Ardea.
Il ragazzo si sentiva leggero come l’aria e intimorito da tutto questo.
Eppure un’irrefrenabile gioia aveva invaso il suo cuore, facendolo sentire come il protagonista di uno dei suoi libri o di qualche storia udita dai bardi nel suo borgo.
“Milord” iniziò a parlare Vico “questi è il ragazzo del quale cercavate notizie.”
Poi fece cenno ad Ardea di venire avanti.
Il giovane era emozionato come mai prima d’ora e un fortissimo senso di soggezione si era impadronito di lui.
Poi, alzato lo sguardo, vide il volto di quell’uomo che gli stava davanti.
Riconobbe così quegli occhi e quei lineamenti, nonostante il tempo trascorso.
Il fiero sguardo era lo stesso, come uguale appariva l’austera espressione.
Ardea aveva riconosciuto nel duca quel cavaliere incontrato anni prima.
http://farm3.static.flickr.com/2392/2305808396_5da285ff33.jpg

(Continua...)

Vivian
17-09-2009, 11.17.51
Sir Guisgard, vi prego, non impiegate troppo tempo a continuare il racconto...come farò ad attendere ore, forse giorni, prima di sapere come prosegue? Siete assai abile a lasciare il lettore con una voglia sconvolgente di sapere quale sorte attende i protagonisti.
Le frasi con cui interrompete il racconto di volta in volta mi lasciano sempre con uno strano senso di agitazione...

Guisgard
17-09-2009, 19.09.37
Lady Vivian ho picere nel vedere che ascoltate con partecipazione questo antico racconto.
E visto che siete l'unica ascoltatrice ancora rimasta ad attenderne il seguito, vi prometto che i sospiri del cuore del nostro Ardea, quando matureranno per lui i fiori di Amore, saranno dedicati a voi :smile:

llamrei
17-09-2009, 19.58.22
E visto che siete l'unica ascoltatrice ancora rimasta ad attenderne il seguito,

....questo mi offende....Perchè mi/ci escludete? Non pretendo che "i sospiri del cuore di Ardea" vengano dedicati anche a me...ci mancherebbe...ma almeno che il vostro pensiero, quando li scrivete, sia rivolto ad un pubblico più esteso:neutral_think:

zaffiro
17-09-2009, 22.24.53
Buonasera Sir Guisgard,sembra siate in cerca di supporto morale nella vostra mirabile e raffinata impresa,quale fragile personalità si cela dietro una 'sì sfavillante corazza. E' con compiacimento che posso apprezzare il vero cavaliere far sfoggio della sua nobiltà anche quando abbandona l'armatura non solo mentre si accinge al riposo.Eppure le figlie di Mnemosine non sembrano far cenno a volervi lasciar inerme,e se Calliope e Clio si rendessero capricciose al vostro richiamo,i Camelottiani sapranno porgervi una preziosa ghirlanda d'edera intrecciata con accurata supervisione di Talia,perchè non nutriate un solo attimo il desiderio di posare la penna.
Quanto all'aura di silenzio che circonda il flessuoso racconto delle vostre antiche memorie,è tut'altro che disinteresse,piuttosto riflessione interiore e desiderio di compiacervi dando spazio alle emozioni vostre che ne fluiscono dalle righe languidamente,di volta in volta,sempre più sentitamente offerte.

elisabeth
17-09-2009, 23.16.00
Sir Gisgard, non dovete pensare che il silenzio sia dovuto allo scarso interesse per la vostra storia, tutt'altro.....tutte le dame di camelot erano sedute in cerchio, ansiose di scoprire quale segreto si cela in questa stupenda opera

Guisgard
18-09-2009, 01.36.52
Per lady Ilamrei: Mia signora, sapete bene che nessuna parola, nessun gesto o pensiero partito dal mio cuore potrebbe aver l'intento di offendervi :smile:
E non dimenticate che augurai al giovane Ardea, se avesse mai incontrato una dama degna del suo cuore, che questa somigliasse a voi ;)
Se ho scelto di raccontare qui questa storia è perchè mi è caro questo reame e dilettare il suo pubblico è il mio intento :misc_write:

Per lady Zaffiro: Dolce e poetica dama, le vostre parole vi descrivono alla mia fantasia come una novella Saffo, ma pur se belle ed avvolgenti non dicono il vero.
La mia corazza oltre ade essere scintillante è anche forte e poderosa, proprio come il mio spirito.
Non cerco quindi nè consensi nè vanagloria.
Ma è umano mettersi in gioco e chiedersi se quel che si fa valga o meno :smile:
Fortunatamente, come anche voi dite, Calliope, la musa della poesia epica, è sempre stata generosa con me ;)

Per lady Elisabeth: Milady, un artista ha bisogno solo di due cose per riuscire; una musa che dalla quale essere ispirato ed una platea.
Se poi questa è formata da tutte voi, bellissime e leggiadre dame, lo scenario acquista tutt'altra luce ;)

llamrei
18-09-2009, 15.39.47
Mio caro Amico, voi ben sapete quanto vi son grata per la vostra presenza in momenti meno felici. Se vi dico che nulla potrà intaccare la nostra amicizia, tantomeno la non-menzione mia e quella di altre dame (:D ) da parte vostra come attente spettatrici del vostro operato.....Vi ricorderete, mio buon Amico, in futuro, che se non fiatiamo è perchè voi ci avete tolto ogni parola raccontando la bellezza di questi antichi racconti?;)

Guisgard
18-09-2009, 17.49.46
Se vi dico che nulla potrà intaccare la nostra amicizia, tantomeno la non-menzione mia e quella di altre dame (:D ) da parte vostra come attente spettatrici del vostro operato.....

Milady, siete ingiusta verso di me :smile:
Sapete benissimo che ogni mio pensiero ed ogni mio gesto è dedicato a tutte voi, nobilissime dame di Camelot.
Fù l'eco dei vostri sospiri a guidarmi qui ;)

zaffiro
18-09-2009, 19.46.17
Per lady Zaffiro: Dolce e poetica dama, le vostre parole vi descrivono alla mia fantasia come una novella Saffo, ma pur se belle ed avvolgenti non dicono il vero.
La mia corazza oltre ade essere scintillante è anche forte e poderosa, proprio come il mio spirito.
Non cerco quindi nè consensi nè vanagloria.
Ma è umano mettersi in gioco e chiedersi se quel che si fa valga o meno :smile:
Fortunatamente, come anche voi dite, Calliope, la musa della poesia epica, è sempre stata generosa con me ;)



Guisgard,mi lusingate profondamente.Ma sono indegna di tale apprezzamento,seppur suggeritovi dalla fantasia. Per quanto nel mio immaginario molte volte mi sia portata a giacere tra le eteree bellezze in vesti di velo che,cingendosi il capo di ghirlande di fiori,si apprestano al culto di Afrodite nel tiaso della poetessa di Ereso,non ebbi in dono dalla Dea nè bellezza nè arte poetica,nè mai potei godere di favore alcuno detenuto solo in suo potere.Fu Amore da ella,creatura sublime,magistralmente cantato,innalzato al livelllo del valore guerresco,che ancora fa sì che come per la Dea,io conduca me al culto dell'ineguagliabile cantatrice di versi immortali che mai troveranno eguali,neppure nell'estro di intento a volervi rivaleggiare, non tra donne mortali.
Non teme di essere frainteso per chi è in cerca di vanagloria chi,come voi,gode del favore delle muse,non esitate,pertanto,a bramare allori ed interesse plateale,non vi sarà imputata avarizia alcuna,reclamate,invece,a piene facoltà, quanto giustamente vi compete, e degnamente meritate e,se talvolta,tra la platea scorgeste una donna disattenta ai vostri racconti,sappiate che è solo incentrata a dissetarsi dei valori cavallereschi che trasudano da voi più di quanto possa cercare di placar la propria sete con parole fluenti che come sorgente limpida e dolce sgorga dalla vostra bocca.
Vi incito,pertanto,seppur confinando ogni elogio nella mia mutezza,a non lasciar che la mano sia mai stanca di impugnare la penna,nè la mente pigra a rievocare i ricordi,ed ancor meno la lingua asciutta a pronunciar poetiche parole.

llamrei
18-09-2009, 21.41.13
Sapete benissimo che ogni mio pensiero ed ogni mio gesto è dedicato a tutte voi, nobilissime dame di Camelot.


Sono lieta che il vostro precedente pensiero

Lady Vivian .....E visto che siete l'unica ascoltatrice ancora rimasta ad attenderne il seguito, vi prometto che i sospiri del cuore del nostro Ardea, quando matureranno per lui i fiori di Amore, saranno dedicati a voi :smile:

ora avvolga con un tiepido abbraccio tutte noi, Dame di Camelot. In fondo, mio caro Amico, ce lo meritiamo. Vi pare?:p

Guisgard
19-09-2009, 03.30.23
Per lady Zaffiro: Milady, la vostra maestria con le parole è superba, degna di Medea, che sapeva incantare e sublimare come nessun'altra.
Potreste tener testa ad un dio, senza rischiare l'ingloriosa fine del superbo Marsia.
In voi infatti, a quanto vedo, dominano virtù come la modestia e l'umiltà.
E perdonatemi se dico di non credere alle vostre parole: una dama come voi, capace di simili pensieri e parole, ignote alla maggior parte dei mortali, deve possedere una bellezza fuori dal comune.
Fate attenzione, mia signora, le dee, come voi sicuramente sapete, sono gelose verso le donne mortali dotate di simili doni ;)

Per lady Ilamrei: Amica mia carissima, meglio di chiunque altro voi sapete che ogni mio pensiero abbraccia sempre tutte le bellissime e cortesi dame di questo reame.
E dite il vero quando affermate che tali dame meritano il meglio. A volte vorrei essere un artista vero, un sublime cantore e non solo il primo e più valoroso dei cavalieri, per poter dedicare a tutte voi opere degne dei più ispirati poeti :misc_write:

zaffiro
19-09-2009, 11.57.58
Messere,quanta premura nel vostro mettermi in guardia.Sebbene sia vano il timore di poter suscitare invidia in divinità alcuna per mancanza di ogni presupposto,vi dico che temo gli Dei esattamente quanto ne ebbe timore la fanciulla Psyche,che,pur avendo ricevuto ordine da un Dio,non ebbe pudore di trasgredirlo per contemplare il suo sposo mentre giaceva in sonno,e quale fu la ricompensa a tale trasgressione..stupore per gli occhi e per la mente.
Sarei ben felice di recare arti divinitorie quali il giovane Marsia,seppur reo di suscitare invidie tra i suoi superbi,e ritengo che vinse comunque,seppur in sorte ebbe la scarificazione del suo stesso corpo,talvolta gli Dei osano farsi beffa degli uomini per puro capriccio,ma non vince chi bara,mai,seppur consegua indiscutibile vittoria.E neppure di questo ho motivo alcuno di preoccupazione,non serbo arte,nè maestria,nè mi apparterranno.
Quanto a Medea,sono una donna,non mi permetterei mai di giudicare una mia simile,seppur una maga,che ha nutrito amore,anche se l'epiligo fu l'infelicità per l'amato e se stessa,macchiandosi del delitto più infame.

Ma,quanto al vostro desiderio di volerci dedicare scritti degni di un grande poeta,sappiate che non sono gli scritti che fanno grande un uomo,nè l'emulo di grandi maestri,quanto il suo pensiero originale e,abbiate fede in me,smuove le membra più una sola parola pronunciata a lingua incerta ma originata dal cuore di quanto non faccia un elegante e raffinato poema di mirabile fattura.
Tutto quanto chiediamo,è emozionarci con semplici parole,null'altro di quanto non stiate già facendo.

elisabeth
20-09-2009, 23.17.02
Carissimo Sir Guisgard, vorrei leggere la fine del racconto prima di divenire una vecchia dama.........sapete la vista..........siate clemente....sono curiosa.....

Guisgard
21-09-2009, 00.05.36
Per Lady Zaffiro: Sentirvi parlare mi fa capire cosa provò Ulisse nell'udire l'inebriante canto delle sirene.
Tuttavia, per quanto simili al fresco e delicato nettare del Parnaso, le vostre parole non mi faranno ricredere su quanto mi mostra invece la mia immaginazione di voi ;)

Per Lady Elisabeth: Non temete milady; il mio cantastorie mi parla spesso delle "isole felici", ideale dimora dove la giovinezza è eterna. Ma non credo che la mia musa voglia spingerci a tanto pur di farci conoscere la conclusione delle vicende di Ardea :smile:

Guisgard
21-09-2009, 03.35.43
ARDEA DE' TADDEI

X

"Ma si, ce n'è, mammina, se permetti,
ce n'è mammina, cavalier son detti.
E io, mammina, voglio andar con loro,
e aver vesti di ferro e sproni d'oro."
(Breus, II, 9)


“Allora?” iniziò a parlare il duca. “Ti ricordi di me?”
“Si…si, milord.” Rispose con un filo di voce Ardea. “Come avrei potuto dimenticarvi.”
“E come mi trovi?”
“Il vostro volto è uguale a quella sera e qualche filo d’argento nei capelli e nella barba vi rende ancor più nobile e gentile.”
“Del resto il tempo passa per tutti.”
“Si, verissimo, milord.”
“Ma tu non puoi saperlo” disse con tono severo il duca “sei ancora troppo giovane.”
“Quindi…non mi trovi cambiato, a quanto dici.” Continuò il duca dopo un attimo di silenzio.
“Affatto, mio signore.” Ma mentre diede questa risposta, lo sguardo di Ardea cadde sul bastone che il duca aveva accanto a se.
“Dici il vero?” Tuonò il duca. “Oppure appartieni alla categoria di coloro troppo educati e timorosi per essere sinceri?”
“Dico sempre il vero, milord.” Rispose pronto Ardea.
“Perché fissavi allora il mio bastone?”
“In vero” rispose con pudore il giovane “mi chiedevo cosa mai vi fosse capitato.”
“Una vecchia ferita mal curata. Allora?” Chiese, cambiando discorso, ancora il duca. “Sei felice di venire a stare qui al castello?”
“E’ per me una gioia immensa! Mio signore, io non so come ringraziarvi, né mai potrei sdebitarmi!”
“Il Cielo non ha voluto concedermi la gioia di avere dei figli. Ma quello che tu facesti quella notte per me va oltre la pietà di un figlio.”
Poi, rivolgendosi ai suoi servitori, comandò:
“Accompagnate il ragazzo nella sua stanza e fatelo riposare. Il viaggio è stato lungo.”
Il ragazzo salutò i presenti e seguì i servi verso la stanza che il duca aveva fatto preparare per lui.
Rimasto solo con l’abate e Vico d’Antò, il duca chiese:
“Allora, cosa ne pensate del ragazzo?”
“Milord, devo essere sincero” rispose Vico “credo che il ragazzo abbia doti non comuni.”
“Lo penso anche io.” Rispose il duca.
“Nel suo sguardo” continuò Vico “ho scorto un ardore ed una nobiltà raramente visti in altri occhi. Credo sarà un grande cavaliere.”
“E’ quello il mio intento.” Intervenne ancora il duca. “E voi, eccellenza, condividete il parere di ser Vico?”
“Pienamente, milord!” Rispose Petrillus. “Conversando con i suoi nonni, ho saputo che il giovane è animato da alti valori religiosi e questo rende ancor più eccellente il suo animo.”
“Ser Vico” disse il duca con il suo solito tono “ovviamente mi affiancherete nel compito di educare il giovane alle regole della cavalleria. Nelle mie condizioni non posso più eccellere negli esercizi fisici.”
Vico rispose con un profondo inchino.
Nella sua stanza intanto, Ardea riposò pochissimo, eccitato com’era dalla sua nuova vita.
Non che la sua stanza fosse inospitale.
Era invece riccamente arredata, abbellita da splenditi teli raffiguranti scene di tornei cavallereschi e di caccia. Dalla stanza poi, attraverso una finestra, si poteva ammirare l’affascinante spettacolo della brughiera afragolignonese.
Ma, come detto, il giovane aveva l’argento vivo fin dentro il cuore e di riposare non ne sentiva alcun bisogno.
Chiese così di essere condotto ancora dal duca, dal quale per troppo tempo ne fu separato.
I due trovarono, nell’uno e nell’altro, reciproca compagnia e l’austero cuore del duca conobbe in quel ragazzo un motivo di gioia ed affetto.
Il momento della timidezza e del pudore passò presto, come se ci fosse davvero un filo, di fatale origine, che univa quei due animi. Giorno dopo giorno e poi mese dopo mese, Ardea sentiva sempre più il castello come la sua nuova casa e il duca come suo vero padre.
Così, con la tenera severità di un padre e la giusta intransigenza del maestro, il duca Taddeo iniziò ad impartire le supreme regole della cavalleria, insieme a quelle non meno nobili della cortesia, a quel giovane che ormai amava come un figlio.
Ed Ardea, con il suo affetto ed i suoi insegnamenti, crebbe forte nel fisico e saldo nello spirito.
http://imagecache5.art.com/p/LRG/15/1557/W26DD00Z/howard-johnson-king-arthur-and-sir-lancelot.jpg

(Continua...)

Vivian
21-09-2009, 17.26.31
Sir Guisgard, noto che tra le dame di Camelot la vostra attenzione è assai ambita. Vorrei aggiungere, e qui perdonate la mia malizia, che sapete molto bene come accendere gli animi delle fanciulle che vi si avvicinano ;). Come amica vi consiglio però di stare molto attento a distribuire in giuste dosi la vostra galanteria o rischiate di perdere il vostro seguito di ascoltatrici fedeli.
Penso che la vostra abilità nel comporre versi e narrare storie avvincenti sia, almeno in parte, dettata dalla quantità e, soprattutto, dalla qualità delle muse che vi ispirano. Con tanta bellissima "concorrenza" non posso che essere lieta della vostra promessa.
Ma continuate col vostro racconto, vi prego, ora sono doppiamente curiosa di conoscere quale sarà il destino del nostro Ardea.

zaffiro
21-09-2009, 22.41.29
Nessuna "concorrenza",milady.La bellezza è uno stato di pensieri che a me non appartiene in alcun modo da molto tempo,oramai.E quanto più inquieti e turbati sono i pensieri,tanto più i lineamenti del volto deformati,lo sguardo appannato e la pelle solcata.

A voi ,messere,dico che nulla rende più libero l'uomo se non la piena facoltà della sua immaginazione,non c'è verità che possa contenerla,neppure se vi mostrassi l'evidenza,nessuno può,in vece nostra,quanto noi stessi possiamo a noi stessi servendoci di perdurate fantasie,perdonate il gioco di parole.
Ritornando in tema,la tendenza alla perfezione cui viene proiettato il vostro Ardea,il coraggio delle scelte sostenute,talvolta con dolore,ma mai dettate da rimpianti,sono incitamento ed insegnamento a nutrire i sogni ed ad investire nelle responsabilità che si vanno assumendo sebbene non si perda la salda connessione con la dimensione reale,quanto di più auspicabile a chi ha abbandonato l'ingenuità propria solo della fanciullezza.Fortunati quanti sapranno credere in un destino,molto plasmato a quattro mani,come ha saputo crederci il vostro giovane ed audace personaggio per mano vostra.

Guisgard
22-09-2009, 02.32.25
Per Lady Vivian: Milady, voi mi lusingate. Se davvero sapessi accendere gli animi di tutte voi, allora sarei di certo infinitamente più ricco del leggendario Conte di Montecristo, poichè questo dono rappresenta da sempre il sogno più ambito di ogni mortale.
Non temete, mia diletta amica, in voi non c'è malizia e permettetemi di dedicarvi un pensiero dell'immortale Lord Byron, proprio inerente all'ambito tesoro di cui parlavo:
"Il cuore di un uomo può conquistare il mondo intero, ma solo il cuore di una donna può conquistare quello di un uomo."
E chi conquisterà il vostro cuore, milady, troverà un tesoro inestimabile, capace di acquistare la merce più rara e preziosa: la felicità. Quella vera ;)

Per Lady Zaffiro: Come sempre accade, le vostre parole ed i vostri pensieri mi ammaliano.
Voi lodate la mia immaginazione ed io vi ringrazio. Ma possiamo davvero dire dove arriva e termina la fantasia di un uomo?
Si dice che il grande artista Fidia immaginò da sè la dea Atena prima di scolpirla nella sua più famosa immagine.
Ma la sua perfezione e la sua bellezza spinsero molti uomini a credere che davvero Fidia avesse visto, forse in sogno, la mitica dea.
Tornando al nostro Ardea, egli deve seguire un destino in parte già scritto, ma come tutti noi, ad un certo punto, viene posto davanti a delle scelte.
E da queste scelte dipenderà tutta la sua vita.
Gli antichi greci affermavano che l'essere aristocratico non era un privilegio ma un onere. Apparire quindi migliore dei propri simili non può limitarsi all'effimera vanagloria, ma deve essere il mezzo attraverso il quale si compiono imprese immortali.
Vedremo se Ardea sarà degno di tutto ciò :smile:

Vivian
22-09-2009, 14.34.04
Nessuna "concorrenza",milady.La bellezza è uno stato di pensieri che a me non appartiene in alcun modo da molto tempo,oramai.E quanto più inquieti e turbati sono i pensieri,tanto più i lineamenti del volto deformati,lo sguardo appannato e la pelle solcata.


Milady, il mio era un commento scherzoso rivolto al nostro sir Guisgard. La bellezza vi appartiene Lady Zaffiro, io posso immaginarvi. Vi vedo mentre state seduta a scrivere le meravigliose parole che solo voi, in tutta Camelot, sapete rendere tanto profonde e delicate. Ogni imperfezione del vostro volto vi rende assolutamente unica, i vostri occhi brillano di una luce simile a quella delle creature celestiali e la vostra pelle, pur solcata dai turbamenti e dai pensieri inquieti, è morbida al tatto. Siete affascinante, rassicurante, un bellissimo frutto maturo e succoso su un albero di frutti ancora un pò acerbi.


@Sir Guisgard: Siete troppo modesto, ma vi assicuro che voi sapete trovare sempre le giuste parole per attirare l'attenzione di una dama.
Riguardo al mio cuore posso dirvi che esso non è poi così prezioso come dite, ma sicuramente non opporrò alcuna resistenza nel donarlo interamente a colui che saprà apprezzarlo nella sua semplicità.

Guisgard
23-09-2009, 02.35.36
ARDEA DE' TADDEI

XI

“_Perché domandi del mio re?_ Chiese Ruko.
_Perché il fato mi ha imposto di seguirlo!_
Rispose Icaro.”
(L’Imp, libro I)


Gli allenamenti per irrobustire il corpo erano duri, quanto i sacrifici che Ardea doveva affrontare per temprare il suo spirito.
“Cavalieri è un modo di essere, non di vivere!” Gli ripeteva costantemente suo padre. “Devi saper rinunciare a tutto, fosse anche al mondo intero! Un giorno la cavalleria potrebbe chiederti la vita e tu devi essere pronto a concedergliela!”
Così Ardea, in anni di infaticabili lezioni, atte ha mutarlo in un nuovo essere, un cavaliere appunto, apprese l’uso di ogni sorta di arma, la dimestichezza con le lingue della nobiltà, l’afronormanno, il latino ed il greco e non da ultime le regole della cortesia.
Elegante nella figura, snella ed asciutta, gradevole nei lineamenti e dal regale portamento, Ardea era giunto così alle soglie dell’età adulta.
Il coraggio e la generosità non gli facevano difetto, come del resto la nobiltà d’animo e la Fede nel Signore.
I lunghi capelli bruni, la pelle bianca e gli occhi chiari, caratterizzavano il suo bell’aspetto, tipico della nobiltà afragolignonese.
E nel vederlo, suo padre sentiva forte nel cuore un misto di gioia, orgoglio ed amore.
“Sarà il più grande cavaliere mai nato.” Pensava spesso. “E da lui sorgerà una grande stirpe, che darà nuovo lustro al regno e forza alla Chiesa!”
Nei momenti di riposo dai duri allenamenti, Taddeo ed Ardea viaggiavano spesso tra il castello ed alcuni possedimenti del ducato.
E così vassalli e sudditi avevano iniziato ad ammirare ed amare il giovane figlio del duca, bello e virtuoso, sicuro vanto della futura cavalleria.
Ma più di ogni altro luogo, Ardea amava passeggiare con suo padre nelle sale e nelle torri del castello.
Ed in questo vi era un luogo, che sin dalla prima volta aveva suscitato la curiosità nel cuore di Ardea.
Era la cappella del castello.
Qui ogni giorno padre e figlio prendevano messa e, dopo essersi confessati, partecipavano al banchetto eucaristico.
L’abside con il Cristo Benedicente dominava l’intera navatella, mentre sui lati si trovavano due dipinti, uno con la Santa Vergine ed il bambino, l’altro con i tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele.
Ma ciò che incuriosiva Ardea era una piccola ara in pietra, posta davanti all’altare, con incise scene del Vecchio Testamento lungo il bordo e immagini della vita di Cristo sulla lastra, sempre in pietra, che la copriva.
Ardea aveva provato a chiedere al duca cosa contenesse quell’arca, ma Taddeo aveva risposto in modo molto vago.
“Contiene un oggetto appartenente da anni alla nostra stirpe.”
Di più Ardea non osò chiedere, forgiato com’era alle gentili regole della cortesia.
Una sera di fine estate, il duca volle avere ospiti ser Vico d’Antò e l’abate Petrillus alla sua tavola.
Aveva fatto cacciare dai suoi servitori cervi, lepri e cinghiali, che avrebbero imbandito la sua tavola con la più fresca frutta di stagione e i dolciumi più deliziosi. Il tutto innaffiato da buon vino di vecchia data e pregiata fama.
“Signori” esordì durante la cena il duca Taddeo “stasera è una serata particolare. Ecco perché ho voluto circondarmi di tanta nobile e gentile compagnia.”
“Cosa ricorre stasera, milord?” Chiese Vico.
“Un momento doloroso quanto improrogabile, amici miei!” Rispose con tono grave il duca.
“Un evento spiacevole, vostra grazia?” Chiese preoccupato l’abate.
“Cosa è accaduto, padre?” Chiese Ardea.
“Figlio mio” iniziò a dire il duca “sai quanto mi sei caro e sai che darei la vita per te.”
“E’ lo stesso per me, padre mio.”
“Ma arriva, nella vita di un padre, il momento in cui dovrà vedere suo figlio partire.”
“Io non vado in nessun luogo, padre mio. Non senza di voi.”
“Figlio mio, io avevo un impegno con il Cielo…renderti un cavaliere. E credo di aver ben svolto tale missione. Ora però, non avendo più nulla da insegnarti, resta l’ultimo atto da compiere. E solo dopo questo potrai definirti un vero cavaliere.”
“Che atto?” Chiese il giovane.
“La tua investitura a cavaliere, figlio mio. E quella spetta al re ed a lui solo.”
“L’investitura…” Sussurrò Ardea.
“Si. Fra tre giorni partirai per la corte, dove sarai ricevuto dalla nobiltà e dal re in persona. Mostra il tuo valore ed egli ti proclamerà cavaliere. Ed allora potrai tornare da me, figlio mio.”
Quelle parole echeggiarono a lungo nella mente e nel cuore del giovane.
Il re, la corte e l’investitura a cavaliere: Ardea capì che il suo destino stava per compiersi.
http://www.sapere.it/tca/minisite/scuola/insegnanti/arte_falco/imgs/Caccia.jpg

(Continua...)

Vivian
23-09-2009, 10.16.20
Ardea parte e diventa cavaliere!
:yar:Sono commossa...

llamrei
23-09-2009, 13.53.53
:smile_lol: Mie care amiche,
chiedo scusa ma parto da dove ho, ahimè, lasciato. Ho avuto problemi con questo "mezzo" di informazione e ora sto cercando di rimettermi alla pari con i vostri interventi e con la narrazione della storia.
Mi ha fatto molto sorridere l'arguzia di lady Vivian nello descrivere il nostro buon trovatore sir Guisgard. Geniale interpretazione milady.:D Sir Guisgard: non me ne vogliate. Voi ben sapete che le dame sono attratte dall'intelligenza del cavaliere -e a Sir Guisgard non manca di certo questo particolare- nonchè dalla capacità di relazione -neppure questa, di certo-.
Ora sta a voi, mio caro Amico, a saper usare la giusta misura per ciascuna in quanto, come voi ben sapete, noi dame...sappiamo contare molto molto bene :D

Guisgard
24-09-2009, 02.43.20
Lady Ilamrei, nessuna delle virtù di voi dame può essere ignota o sconosciuta.
Ognuna di voi meriterebbe un racconto in cui essere la protagonista e la principale eroina.
Racconti esotici, avventurosi, in terre lontane e misteriose, avvolte da atmosfere incantate, ricche di fascino e senza tempo.
E un giorno forse, grazie all'aiuto di una generosa musa scesa dal Parnaso nel mio palazzo per ispirarmi, riuscirò in questa impresa.
Per ora, nel continuare a raccontarvi del valoroso Ardea, troverò, tra le sue gesta, i suoi sogni ed i suoi sospiri, un dono da dedicare ad ognuna di voi :smile:
http://www.baltimoresun.com/media/photo/2009-01/44653465.jpg

elisabeth
24-09-2009, 13.42.41
Vi vedo Sir Guisgard, lo sguardo perso nel vuoto, nella mente una melodia conciliante, mentre dalla vostra penna volatile gocce di inchiostro macchiano la sfrigolante pergamena.....lo scrittoio e' posto d'avanti alla finestra, e la leggera brezza fa' tremolare la fiamma della candela......nulla vi distrae, troppo assorto a scrivere la storia di un giovane cavaliere........vi esorto Sir a proseguire, e' talmente bella che si vorrebbe leggere tutta d'un fiato........

Guisgard
24-09-2009, 19.25.45
Milady, le vostre parole hanno per me lo stesso effetto di quelle di una musa.
Cos'altro è in fondo l'ispirazione per chi scrive, se non lo slancio che, sollecitato da un qualcosa di straordinario, viene dal cuore e permette di dar vita a ciò che è racchiuso in fondo al nostro animo.
http://hearteng.110mb.com/shakespeare/joseph-fiennes.jpg

Guisgard
25-09-2009, 02.22.58
ARDEA DE' TADDEI

XII

“Io la vidi quella spada e nulla
di mortale possedeva, se non il
dono di rendere un mortale un
eroe.”
(Inni Eroici, II, III)


Quella notizia ovviamente scosse gli invitati alla cena.
Sul cuore di Ardea scese un velo di intensa quanto prevedibile tristezza, nonostante diventare cavaliere era da sempre il suo sogno più grande.
Ma l’idea di separarsi, anche se per un tempo limitato, da suo padre, lo rendeva malinconico ed inquieto.
Il duca, accortosi che l’atmosfera non era più gaia a tavola, chiamò a gran voce i musici.
“Avanti” ordinò il duca a questi “ fateci sentire qualche audace verso di qualche nobile impresa, sfaccendati che non siete altro!”
E subito nella sala musica e rime si diffusero liete, alleggerendo, per quanto possibile, la tristezza dei presenti.
Alla fine della cena però avvenne una singolare scena.
Tre servitori, senza essere chiamati, passarono in processione, portando ciascuno un misterioso oggetto.
Il primo aveva con se un candelabro d’oro sul quale ardeva una candela rossa; il secondo invece recava con se un grosso gufo reale impagliato con le ali spiegate; il terzo infine reggeva su un cuscino purpureo, bordato da drappi dorati, una magnifica e pesante spada, riccamente adornata di luccicanti pietre preziose.
Nessuno dei presenti sembrò dar peso a quelle singolare scena. Nessuno tranne Ardea.
Il giovane restò molto stupito da quella processione, ma ancor più lo fu del silenzio del duca e dei suoi ospiti.
Allora, vinto dalla curiosità, Ardea decise di chiedere cosa rappresentasse quella scena appena svoltasi nella sala.
“Padre mio” esordì, ardendo di viva curiosità “quale significato è celato in quella processione fatta dai servi?”
Il duca, ad udire quelle parole, lanciò uno rapido sguardo ai due nobili ospiti seduti a quella tavola, per poi continuare a mangiare come se niente fosse.
Anche gli ospiti, alla domanda posta dal giovane, scambiarono un fugace sguardo con il duca.
Poi, anch’essi con tutta la naturalezza del mondo, ripresero a mangiare.
“Uno degli oggetti che hai veduto” inizio a dire il duca senza smettere di mangiare e senza sollevare lo sguardo dal piatto e dalla sua coppa “è contenuto nell’arca di pietra custodita nella cappella del castello.”
“In effetti ognuno di quegli oggetti poteva essere contenuto nell’arca della cappella.” Pensò Ardea.
“Secondo te di quale si tratta?” Chiese il duca, con un tono di singolare non curanza.
“In verità non saprei.” Rispose Ardea.
In quel preciso momento di nuovo i servi passarono in processione con quei misteriosi oggetti, per poi sparire in una delle porte della sala.
Ardea restò sempre più confuso e stupito da quella scena.
E dopo un po’, ancora quei servi comparvero nella sala, recando stavolta con loro proprio l’arca della cappella.
Poi, giunti davanti ad una pedana rialzata, vi posarono sopra l’arca e si ritirarono.
“Sono anni” iniziò a dire il duca “che quell’arca ti incuriosisce. Ogni giorno passi presso la cappella chiedendoti cosa contenga. Stasera, ti è concesso saperlo.”
“Cosa devo fare, padre?”
“Avvicinati, aprila e guardaci dentro.” Disse con un tono deciso il duca, guardando fisso il giovane negli occhi. “Altro non puoi fare se davvero vuoi scoprire cosa contiene.”
Ardea non se lo fece ripetere due volte e si avvicinò all’arca per svelare quel mistero che lo ossessionava da anni.
Sollevò così il solido e pesante coperchio di pietra e guardò dentro il misterioso contenitore.
E con suo grande stupore trovò custodita in quell’arca la splendida e massiccia spada vista nella mistica processione avvenuta pochi momenti prima.
“Prendila e portala qui!” Ordinò il duca.
Il primo pensiero di Ardea fu quello di non riuscire a sollevarla. La spada infatti era massiccia e poderosa, tanto da sembrare pesante quanto un macigno.
Tuttavia Ardea, che non era tra quelli che lasciano intentato un proposito, afferrò la superba arma e la sollevò di colpo.
Incredibilmente, quella spada, a tenerla fra le mani, sembrava leggera come l’aria.
Passato qualche attimo ad ammirarne la mirabile fattura, Ardea portò la spada al duca.
“Hai osservato con che maestria” disse il duca, tenendo fra le mani la spada “è stata costruita questa straordinaria arma?”
Infatti quella spada era, non solo superba e magnifica come arma, ma stupendamente intarsiata di gemme e pietre preziose.
L’elsa era rivestita da fili dorati che l’avvolgevano fino al pomo, il quale era stato ricavato da un grande diamante.
“Ogni parte di questa spada ha un suo significato.” Disse il duca ad Ardea.
La lunga lama d’acciaio vedeva poi incisa alla sua base una scritta in latino antico.
Ardea, che durante il suo apprendistato presso il duca aveva potuto imparare tale lingua, riuscì subito a decifrarla:

“Sono Parusia la magnifica, forgiata dal fuoco dei cieli
e temprata dai venti dell’empireo. Temi dunque la mia lama,
bagnata nel sangue maledetto degli angeli ribelli.”

“Parusia…” Disse Ardea dopo aver letto quella scritta.
“Si, Parusia è il nome di questa favolosa spada.” Intervenne il duca. “Essa fu forgiata nei cieli ed utilizzata dagli angeli buoni per scacciare dalla Divina Dimora gli angeli ribelli. E quando cadde sulla terra, fu custodita dalla nostra nobile stirpe.”
“Una spada che ha dunque origine divina!” Rispose Ardea.
“Si. E chi la impugna non può conoscere sconfitta. Scruta bene il suo aspetto e leggerai la storia della nostra razza. Questa rubino rappresenta l’origine divina dei nostri antenati. Questo smeraldo invece simboleggia la nostra devozione all’Onnipotente. Queste paste vitree colorate evocano poi ciascuna le imprese che svolsero i membri della nostra stirpe. Questo disco di giada invece è il simbolo della nostra alleanza con la Chiesa di Roma.” Spiegò il duca.
Poi, alzatosi da tavola, ripose Parusia nell’arca e richiuse il pesante contenitore.
“Quando tornerai da me, con il titolo di cavaliere, Parasia sarà tua, figlio mio.”
Quella notte Ardea ripensò e sognò, come in una mistica visione, quella meravigliosa spada, come glorioso presagio della sua futura fama di cavaliere.
http://www.hermetics.org/stavish/images/Edwin_Howland_Blashfield-The_Angel_with_The_Flaming_Sword_1893.jpg

(Continua...)

Guisgard
28-09-2009, 00.02.39
ARDEA DE' TADDEI

XIII

“Assaporo la tenera terra della
mia casa. Stringo le redini, monto
la sella e sistemo le staffe, ma come
è dolorosa la partenza!”
(Racc Pesc, III, 7)


Il terzo giorno dopo quella sera, fu quello del doloro saluto.
L’autunno aveva già soffiato con il suo alito sulle Cinque Vie e quella mattina il cielo appariva colmo di alte e dense nuvole.
Un freddo vento secco, come sorto dall’inquieta terra, attraversava in lungo e in largo la verde brughiera, come a voler far sfiorire in anticipo i fiori sopravvissuti alla calda stagione.
“Meglio mettersi in viaggio presto” disse il duca scrutando il cielo grigio “il tempo non promette niente di buono, oggi.”
Ardea controllava la sella, il suo equipaggiamento e le cose che aveva con se. Ripetè questa operazione due, tre, forse quattro volte, sempre con il medesimo esito.
“Gli stallieri sanno fare bene il loro lavoro, non credi?” Esclamò il duca osservando suo figlio.
“E’ così.” Rispose Ardea senza voltarsi.
“Quindi è inutile che controlli ancora il tuo cavallo.”
Ma le raccomandazioni del duca erano inutili.
Ardea infatti cercava di distrarsi in ogni modo, pur di rinviare anche solo per qualche altro istante il momento del saluto.
Ma anche questo, come tutte le cose necessarie, arrivò e chiese udienza.
“E’ tutto pronto, milord” disse Vico d’Antò, che avrebbe accompagnato Ardea fino alla capitale, al duca.
“E’ l’ora, ragazzo mio.” Disse il duca, mostrando forse per la prima volta incertezza nella sua voce orgogliosa.
Ardea sentì una morsa stringergli lo stomaco e poi il cuore. I suoi occhi si inumidirono e una profonda tristezza scese nel suo animo.
“Padre mio” disse stringendo forte il duca “abbiate cura di voi!”
“Quando tornerai” rispose il duca commosso “mi troverai qui ad aspettarti.”
“Che Dio vi assista!” Disse Ardea piangendo.
“Che Dio ti benedica!” Rispose il duca con la voce rotta.
Vico osservava con rispetto quella pietosa scena. In tanti anni mai aveva visto il duca commuoversi. Anzi, in realtà, era sempre stato convinto che quell’uomo non fosse capace di piangere.
In molte battaglie era stato al suo fianco e l’aveva visto sfidare nemici di ogni genere; da folli e visionari eretici, schiavi del demone dell'illusione, ad orde di selvaggi pagani, fino a cimentarsi con più avversari alla volta. Mai la paura aveva albergato nei suoi occhi durante battaglie e duelli, come ignota era anche la pietà al suo cuore davanti a traditori e malvagi cospiratori.
Con i suoi occhi, Vico, aveva visto una volta il duca ferito sul campo di battaglia, con una punta di lancia piantata in una gamba, senza però indietreggiare davanti ai nemici.
Quell’uomo, era convinto Vico, avrebbe dato la caccia anche al demonio. E fino all’Inferno!
Eppure oggi, quello stesso uomo, campione di incredibili avventure e vittorie, era la, davanti ai suoi occhi, a commuoversi per la partenza di un ragazzo che egli amava come un figlio.
Il suo cuore sanguinava ed i suoi occhi si inumidivano durante quel triste e sentito congedo.
E per pudore e rispetto verso quell’uomo che ammirava più di ogni altro, Vico si allontanò,lasciandolo solo nelle braccia di chi più gli era caro.
“E sia. Ora basta però!” Disse il duca, dopo alcuni istanti passati a stringere a se il caro figlio, con il tono di chi voleva apparire più duro di quanto in realtà non fosse. “Abbiamo già troppo rinviato questa partenza! Come ho detto, il tempo volge al peggio e non è saggio attraversare la brughiera durante una tempesta. Vico, dove siete?” Chiamò poi il suo più fedele cavaliere. “Non vorrete certo far ritardare ulteriormente la partenza, spero!”
“Eccomi, milord!” Rispose prontamente il cavaliere. “Tutti gli uomini sono pronti.”
La brigata, composta da Vico, Ardea e undici uomini, tra paggi e guardie ducali, dopo un ultimo saluto, partì dal castello delle Cinque Vie.
Ardea in cuor suo non sapeva quanto tempo sarebbe trascorso prima del suo ritorno a casa.
Egli in quel momento non aveva più certezze né sapeva cosa l’attendeva. Sarebbe stato degno e capace di essere nominato cavaliere dal re? Sarebbe riuscito a mostrare il suo vero valore alla corte di Afragolignone?
Ma ora il ragazzo non aveva nessuna risposta a queste domande.
L’unica cosa che sentiva era un sordo dolore nel profondo del suo cuore.
http://www.libercogitatio.org/wp-content/uploads/image/storia/enea.jpg

(Continua...)

llamrei
29-09-2009, 21.53.00
........partire con la tristezza nel cuore....credo sia una cosa dolorosissima.....chissà se riuscirà a trovare una risposta alle sue domande....Vi riuscirà, Guisgard?

Guisgard
30-09-2009, 01.38.49
........partire con la tristezza nel cuore....credo sia una cosa dolorosissima.....chissà se riuscirà a trovare una risposta alle sue domande....Vi riuscirà, Guisgard?

Milady, ciò che mi domandate è custodito nelle parole della musa, che ci svelerà ciò che nemmeno lo scorrere del tempo ha potuto inaridire :smile:

Guisgard
30-09-2009, 02.15.04
ARDEA DE' TADDEI

XIV

“Capomazda, santuario del
divino Arcangelo Michele,
bellicosa dimora di uomini e
cavalli che gioiscono al ferro.”
(Inni Eroici, III, XIII)


Il vento, che era aumentato di intensità, soffiava con vigore nella vasta campagna, spazzando via le foglie e piegando le cime degli alberi, che sotto quei fieri aliti sembravano come inchinarsi davanti alle indomite e selvagge forze della natura.
L’aria, resa asciutta dal forte vento, mostrava con chiarezza il paesaggio circostante.
Alte ed azzurre montagne si ergevano lungo l’orizzonte infinito, a fare da cornice a quell’irrequieto scenario.
Le nuvole, alte e grige, attraversavano veloci il cielo, come l’impetuoso corso di un fiume in piena.
Di tanto in tanto, cercando qualche spiraglio in quel chiuso cielo, i raggi del sole parevano voler squarciare il manto di nuvole, ma l’impetuosa massa grigia chiudeva inesorabile ogni varco.
La compagnia percorreva quell’agitato scenario in un profondo silenzio, rotto di tanto in tanto dal motteggiare di qualcuna delle guardie oppure da uno dei paggi con la musica del proprio strumento.
Del resto a tenere banco vi era il forte ed incessante sibilo del vento, che a tratti sembrava portare con se i lamenti di persone lontane.
Verso il primo pomeriggio, la compagnia avvistò le torri della capitale.
Queste si ergevano alte e maestose verso il grigio cielo, dominando l’intera campagna circostante.
“Ecco” disse Vico ad Ardea “quella è Afragolignone!”
Il ragazzo restò colpito e meravigliato da quella superba visione.
Mai infatti aveva visto una grande città in vita sue ed oggi, non solo questo era avvenuto ma aveva avuto anche il privilegio di vedere la grande capitale del regno, dove aveva sede la corte e dove le più importanti decisioni venivano prese.
Disseminata di torri alte e slanciate, bianche cupole di maestose chiese e un’infinità di case, grandi e piccole, rozze e lussuose, la splendida città gettava ovunque le sue braccia nella verde e lussureggiante campagna che la ospitava.
Man mano che la compagnia si avvicinava alle imprendibili mura che racchiudevano Afragolignone, si udivano sempre più i suoni che da essa si diffondevano.
Ma a coprirli tutti vi erano i rintocchi di diverse campane, che quasi annunciavano una nuova era per la città, mentre ad Ardea questo sembrò una sorta di saluto che Afragolignone gli porgeva.
In breve la compagnia, raggiunta una delle porte della città, la Porta Verde, si trovò all’interno della capitale.
Mai Ardea aveva visto una simile moltitudine di genti.
Queste affollavano ogni strada ed ogni angolo della grande città. Un pullulare incessante e chiassoso diffondeva ovunque la vitalità che emanava quell’immenso agglomerato urbano.
La compagnia seguendo la strada principale, tagliò in due la città e giunse nella sua parte più alta, detta acropoli, dalla quale sorgeva e dominava il palazzo reale.
L’immensa e sfarzosa struttura era circondata da guardie, a piedi ed a cavallo, e da ben tredici torri pentagonali che notte e giorno osservavano e scrutavano tutti coloro che entravano ed uscivano da quell’edificio.
Un ‘infinità di stendardi sventolavano al vento, dalle torri, dal camminamento delle mura, dalle finestre e dalle lunghe aste che sporgevano dal palazzo.
Vico d’Antò si fece riconoscere ed annunciare da uno dei capitani della guardia reale e subito l’intera compagnia fu fatta entrare nel palazzo.
Ed poco dopo, Vico ed Ardea, furono ricevuti nella grande sala del trono.
Qui vi erano i più importanti e nobili baroni del regno e tutti resero omaggio a Vico, in quanto rappresentante del duca Taddeo d’Altavilla.
E ad un certo punto il lieto brusio diffuso nella sala cessò all’istante. Una grande porta si aprì ed un araldo annunciò l’ingresso del re.
Tutti salutarono il grande sovrano, ma questi, avvertito dell’arrivo di una compagnia dalle Cinque Vie, volle subito ricevere gli uomini che la componevano.
Vico rese omaggio al re, portò i saluti del suo padrone e le scuse per la sua assenza, dovuta a circostanze non dipendenti dalla sua volontà.
Mostrò poi alcuni doni che il duca aveva inviato al sovrano ed infine presentò Ardea all’intera corte.
“Costui è il figlio del duca, maestà!” Disse Vico. “Ed è volontà del mio padrone e vostro servitore, che il giovane renda omaggio al suo re ed all’intera corte del reame.”
“Non sapevamo che il duca avesse un figlio.” Rispose il re. “Conducetelo al nostro cospetto.”
Vico fece un cenno ad Ardea e questi si inchinò davanti al trono.
“Tuo padre è il nostro più valente cavaliere. Tu gli somigli, ragazzo?”
“Maestà, si dice che il sangue sia ereditario e trasmetta le virtù da padre a figlio. Ma il nome di mio padre è tanto grande che, in casa sua, anche i servi sono virtuosi. Quanto a me, sarei soddisfatto se un giorno si potesse dire che il mio valore sia stato la metà di quello di mio padre.”
Il re lodò le parole del giovane e tutti restarono meravigliati dalla sua nobiltà d’animo.
Ed una gran gioia sorse in quel momento nel cuore di Ardea.
http://www.esoterya.com/wp-content/uploads/2009/03/avalon.jpg


(Continua...)

Guisgard
02-10-2009, 00.43.42
ARDEA DE' TADDEI

XV

“Una bufera si può prevenire
scrutando il cielo ad Occidente,
come dalla tempesta vi si trova
riparo in un capanno. Ma dall’ardore
di un giovane cuore non vi è scampo.”
(Il Predicatore, IV, 7)


In breve Ardea, con la sua nobiltà e le sue virtù, conquistò tutta la corte.
Il re vedeva in quel giovane un valente rampollo di quella grande nobiltà che reggeva le sorti di Afragolignone.
Ardea eccelleva in diverse arti, come la musica, la poesia e la pittura. Conosceva inoltre i grandi classici antichi, sia i trattati scientifici, sia quelli letterari.
Il suo lignaggio sembrava non avere pari, anche in mezzo alla più antica nobiltà esistente.
Anche negli esercizi fisici teneva testa ai migliori giovani del reame.
E diverse dame a corte lodavano la bellezza del suo aspetto.
Ardea scriveva spessissimo a suo padre, raccontandogli le sue giornate a corte e quanto tutti ne lodavano il carattere.
Tuttavia un assillo aveva nel cuore: si chiedeva spesso quando il re, che pure ne decantava continuamente il valore, l’avesse investito a cavaliere.
Scrisse di questo anche a suo padre, ricevendo come risposta un invito alla calma e a non farsi vincere dall’ardore.
Ma il giovane era impetuoso e bramava quell’investitura.
Anche perché si avvicinava una ricorrenza molto particolare: il grande torneo di Capo degli Orafi, che con la sua conclusione sanciva l’iniziò delle festività per il Santo Natale.
I migliori cavalieri avrebbero partecipato a quell’evento e solo chi trionfava in quel torneo poteva dirsi il migliore fra tutti.
Ardea desiderava ardentemente parteciparvi, ma non essendo cavaliere ciò era impossibile.
Aveva manifestato la sua impazienza anche a Vico d’Antò, ma questi, come suo padre, gli aveva consigliato di attendere con umiltà.
Ma Ardea riteneva ingiusto tutto ciò.
Si sentiva il migliore fra i cavalieri presenti e voleva dimostrare il suo valore davanti al re.
Ma spesso la foga e l’ardore, se mal gestiti, possono nuocere all’animo ardimentoso di un giovane.
Un pensiero si impossessò di Ardea e giorno dopo giorno, seppur ardito, egli lo sosteneva e nutriva, come il contadino fa con la giovane ed acerba vigna, sperando che un giorno possa ricambiarlo con i suoi frutti.
E in suo aiuto sarebbe corso un giovane che Ardea aveva conosciuto proprio a corte: Biago, il figlio del maniscalco del re.
Il ragazzo aveva ereditato il talento di suo padre e sapeva costruire armi e corazze con tale maestria che il suo stesso genitore spesso usava i suoi lavori per soddisfare i clienti.
Ardea, che aveva sin dal suo arrivo a corte stretto amicizia con Biago, decise di chiedere aiuto al suo amico.
Così, in un soleggiato pomeriggio di inizio Novembre, mentre si trovavano a passeggio nel bosco, Ardea iniziò a dire:
“Ormai il torneo è alle porte.”
“Già. E anche quest’anno sarà grandioso. Credimi, vedremo il meglio della cavalleria!” Rispose Biago.
“Darei qualsiasi cosa per parteciparvi!”
“Non essere impaziente” rispose Biago “presto, con il tuo valore, sarai cavaliere e potrai mostrare a tutti la tua abilità. Anzi, sono pronto a scommettere che già il prossimo anno, a Dio piacendo, vi potrai partecipare.”
“Ma io mi sento pronto ora!” Replicò impaziente Ardea.
“Spetta a sua maestà decidere quando sarai pronto.”
“Il re è troppo impegnato con la conduzione del regno. Non segue costantemente ciò che accade a corte. Io meriterei già di essere cavaliere!”
“Amico mio, io ti ammiro più di ogni altro. Vorrei emularti e assomigliare anche soltanto un po’ a te. Ma queste tue parole tradiscono ciò che pensa probabilmente il re.”
“Cioè?” Chiese Ardea.
“Che sei ancora acerbo e troppo irruento!”
Ardea fece qualche passo, alzando lo sguardo verso il cielo e sentendo la brezza accarezzargli il volto.
“Biago, amico mio” disse senza voltarsi verso l’amico “sono anni che mi sottopongo ad allenamenti durissimi ed a privazioni impensabili. Ho accettato tutto per un unico e solo ideale…la cavalleria! Mi sento pronto e non voglio attendere oltre!”
“Capisco cosa provi” rispose Biago “ma…”
“Non credo tu possa capirlo, Biago!” Lo interruppe bruscamente Ardea.
“Credi?” Rispose Biago. “Perché? Perché sono il figlio di un semplice maniscalco? Perché non sarò mai un cavaliere? O forse solo perché non ho il sangue blu come te?”
Ardea lo prese per un braccio e lo fissò diritto negli occhi con un ardore che quasi intimorì Biago.
“Credi questo di me?” Disse con un espressione di chi si sente colpito fin dentro il cuore. “Se lo credi davvero, allora va via, poiché io non posso insegnarti nulla allora!”
Biago, che si era subito pentito di ciò che aveva appena detto, rispose:
“Scusami, non volevo…”
“Il mio spirito non è diverso dal tuo” riprese a dire Ardea “ed il mio cuore ospita i tuoi stessi sentimenti e stati d’animo. Credi che la nobiltà venga dal sangue? Sei davvero convinto che possa esistere a questo mondo qualcosa di più puro, sacro e nobile di ciò che sinceramente pulsa dal cuore di un uomo? Se davvero pensi che il divenire cavaliere sia per me solamente un privilegio proveniente dal mio lignaggio, allora non indugiare oltre in mia compagnia, poiché sarei incapace di insegnarti qualsiasi cosa.”
Biago, mortificato, gli diede una pacca sulla spalla e lo scosse, come a voler fargli scivolare da dosso quel brutto momento.
“Come ti ho detto” gli disse “sono convinto che tu sia il più degno di tutti a divenire cavaliere. E so per certo che, quando lo sarai diventato, nessuno ti sarà pari.”
“Credi davvero in me?”
“Si, più di qualsiasi altro!”
“Allora aiutami!”
“E come? Io non posso esserti di nessun aiuto in questo!”
“Biago” disse Ardea fissandolo negli occhi “procurami un’armatura e delle armi!”
“Tu sei folle!”
“No, solo impaziente!”
“Non è l’equipaggiamento che fa il cavaliere!”
“Infatti. Ed io, pur non avendo nulla, mi sento tale!”
“Anche se sarai armato, non potresti comunque partecipare al torneo!”
“Si, invece.” Rispose convinto Ardea. “Tu procurami quanto ti ho chiesto ed io mi guadagnerò l’investitura!”
“Sei pazzo!”
“Achille non andò contro gli dei pur di vendicare l’amico Patroclo? E Ser Galeotto non rischiò forse tutto per aiutare il suo amico Lancillotto?”
“No, ti prego” intervenne Biago “non confondermi con le tue storie!”
“Aiutami e sarai partecipe delle mie gesta!”
“Il re sarà molto contrariato.”
“Egli è un grande uomo!” Rispose lesto Ardea. “Vedrai che saprà riconoscere la nostra audacia!”
Detto questo, Ardea, sorrise al suo amico e questi lo fissò con occhi incerti.
Poi una stretta di mano, sancì quell’ardito patto tra i due giovani.
http://www.thecinemasource.com/moviesdb/images/Tristan_and_Isolde%20-%2015%20-%20James_Franco.jpg


(Continua...)

llamrei
02-10-2009, 14.51.32
“ Credi che la nobiltà venga dal sangue? Sei davvero convinto che possa esistere a questo mondo qualcosa di più puro, sacro e nobile di ciò che sinceramente pulsa dal cuore di un uomo? Se davvero pensi che il divenire cavaliere sia per me solamente un privilegio proveniente dal mio lignaggio, allora non indugiare oltre in mia compagnia, poiché sarei incapace di insegnarti qualsiasi cosa.”



Dopo un pensiero cosi profondo.... Ardea dovrebbe essere insignito del titolo di Cavaliere all'instante!;) Sono impanziente quanto lui!

Guisgard: qualche altro capitolo di questa storia?;) suvvia, non lasciateci in sospeso a lungo

Guisgard
03-10-2009, 00.39.54
Milady, ho piacere nel trovarvi attenta e compiaciuta lettrice delle avventure del nostro Ardea :smile:
Fate bene a lodare la sua nobiltà d'animo.
Da questa, come dalla sua Fede e dal suo valore, dovrà trarre la forza per superare le imprese che lo attendono :Swords-Shield-KI-ic

Guisgard
05-10-2009, 00.29.26
ARDEA DE' TADDEI

XVI

“Gli araldi smettono di cavalcare in su e in giù,
e ora squillano alte le trombe e le chiarine.
Altro non c’è da dire, ma a ovest ed est vanno
le lance tristemente in resta, affonda nel fianco
l’aguzzo sperone.”
(I racconti di Canterbury, “Il racconto del Cavaliere”)


Madonna Amicizia è liberale, si sa, non facendo distinzione tra il censo, il sangue e le ricchezze degli uomini.
Essa dispensa i suoi favori non curandosi delle idee e delle miserie umane, che spesso appaiono come le cose più innaturali del mondo.
I suoi prediletti, in nome suo, farebbero di tutto, anche a costo dei propri interessi.
Si dice che i più alti privilegi di messer Amore siano per pochi fortunati, mentre i servigi di madonna Amicizia sono invece donati a tutti coloro muniti di animo generoso.
Così Biago, nonostante l’audacia dell’idea di Ardea, decise di affiancarlo in quella che a molti sarebbe parsa come follia.
Approfittando dell’assenza di suo padre, impegnato per alcuni lavori in un borgo vicino, Biago raccolse quanto poteva nella bottega paterna per esaudire le richieste del suo ardimentoso amico.
“Il talento di un cavaliere sta nel suo animo” ripeteva fra se “ma anche ser Lancillotto senza una buona spada ed una forte corazza perirebbe in battaglia.”
E questi pensieri chiariscono perfettamente al lettore in quale modo il nostro Biago si sentisse parte in causa in questa impresa.
Il ragazzo così, raccogliendo materiale vario nella bottega di suo padre, iniziò a lavorare sulle armi per Ardea.
Mancava poco al torneo ormai ed il giovane maniscalco lavorò notte e giorno pur di terminare il tutto per l’inizio di quell’atteso evento.
Con tutta la sua maestria ed arte, Biago forgiò la dura ma leggera lega aversese, conosciuta dai migliori artigiani d’armi, per realizzare una corazza impenetrabile.
Con ferro e ottone plasmò un superbo scudo, alla maniera dei fabbri longobardi del sannio, veri artisti in questo genere di opere.
E con acciaio purissimo, arricchito da ferro e stagno, realizzò una scintillante spada, che diffondeva ovunque il suo splendore.
Rivestì infine un duro legno di quercia con ferro e bronzo, per ottenere una lancia che guidasse adeguatamente il suo amico nel difficile torneo.
Così, alla vigilia del torneo tutta l’attrezzatura per Ardea era pronta.
“Amico mio” disse Ardea “non dimenticherò ciò che hai fatto per me oggi.”
“Fatti onore e guadagnati la tua investitura.” Rispose Biago.
Un tenero e sentito abbracciò sancì quel momento di forte amicizia.
Venne così il giorno dell’ambito torneo di Capo degli Orafi.
La celebrazione di una solenne messa e una processione sancirono l’apertura dell’evento.
Al cospetto del re e della più alta nobiltà del regno si presentarono i migliori cavalieri, non solo delle terre afragolignonesi, ma anche di diversi reami vicini.
Lucenti elmi piumati e scintillanti aste facevano superba mostra di quei valenti campioni di cavalleria, mentre al vento diffondevano il loro splendore variopinti stendardi, aristocratici simboli degli ardimentosi cavalieri.
I paggi sventolavano i loro colorati vessilli e bellissime dame prendevano posto sulle vaste tribune che circondavano il campo in cui si sarebbe svolta l’attesa giostra.
I suoni dei corni salivano fino in cielo, accompagnando con il loro suono l’attesa della folla per quei giochi.
Ed ecco passare in rassegna i migliori cavalieri.
Memmo detto il Mussuto, Ghinetto il Cerrano, Saltore il Sommese, Vico d’Antò ed il grande favorito Cesco della Salice.
Ma molti altri audaci e nobili tentarono quest’impresa, per un totale di centosettanta cavalieri.
I marescialli di campo raccolsero i nominativi di tutti i partecipanti e si apprestavano a chiudere le liste, quando un nitrito destò l’attenzione del pubblico e dei partecipanti.
Un cavaliere, con un’armatura cromata e arricchita da bagliori violacei, stava ritto e fiero sul suo cavallo. A scortarlo vi era uno scudiero che portava il capo coperto da un nero cappuccio.
“Qual è il vostro nome, cavaliere?” Chiese uno dei marescialli di campo.
“Il mio padrone” disse prendendo la parola la scudiero “ha fatto voto di tacere il suo nome al torneo. Egli lo rivelerà soltanto alla fine dei giochi.”
A queste parole un brusio si levò dalle tribune ed anche sul palco reale molti restarono sorpresi dalla volontà di quel misterioso cavaliere.
Questi intanto aveva già preso posto e si accingeva a buttarsi nella mischia, mentre gli altri partecipanti ne scrutavano con attenzione il misterioso aspetto.
http://mmimagessmall.moviemail-online.co.uk/ivanhoe-x-26550_1.jpg

(Continua...)

Vivian
05-10-2009, 09.49.03
Ecco che finalmente lo spirito impetuoso dell'Ardea che avevamo conosciuto all'inizio del racconto torna a galla...mi stavo un pò preoccupando: era diventato un fanciullo troppo diligente! ;)

Continuate sir Guisgard, ora più che mai desidero sapere quali saranno le conseguenze del comportamento del nostro protagonista.

Guisgard
05-10-2009, 18.06.52
Milady, dovete sapere che gli uomini nelle cui venne scorre sangue normanno, non restano mai diligenti per troppo tempo.
Sono impetuosi, audaci, temerari e valorosi: un pò guasconi insomma.
Amano l'avventura e le belle donne, come odiano la falsità e le regole troppo rigide.
Incotrarne uno è come conoscere un Cyranò col volto di Cristiano, o un Paride con l'animo di un Cuor di Leone.
Sarebbero i perfetti modelli per un'opera di Apollonio Rodio, di Chretien de Troyes, o di Shakespeare.
Per la loro la vita è come un grande libro: e il nostro Ardea, come tutti loro, è un perfetto eroe da romanzo ;)
E vi posso assicurare che egli è felice di sapervi lettrice tanto appassionata delle sue avventure :smile:

Guisgard
07-10-2009, 01.41.14
ARDEA DE' TADDEI

XVII

“Tieni la lancia alta, come lo sguardo,
senza abbassarli mai. Se ciò accadesse
il tuo avversario farebbe scempio di te.”
(Il buono e il cattivo amministratore, IV, 29)


I corni iniziarono a suonare e con essi le trombe ed i tamburi.
L’applauso e le urla di gioia del pubblico segnarono l’ingresso nell’arena dei contendenti.
I marescialli di campo diedero il segnale ed i giochi furono aperti.
I migliori cavalieri della zona si ritrovarono così a giostrare tra loro, per dimostrare chi fra essi poteva dirsi il migliore.
In breve si alzò e si diffuse una tal quantità di polvere nell’aria, sotto il poderoso galoppo dei fieri cavalli, sui quali montavano gli audaci pretendenti, che dalle tribune fu quasi impossibile distinguere i vincitori dagli sconfitti.
Le lunghe e forti lance si spezzavano e si frantumavano contro i solidi scudi, mentre più di un eroe si ritrovò disarcionato e nella polvere.
Più di uno dei robusti e superbi cavalli presenti fu ferito o azzoppato e diversi furono i cavalieri impossibilitati a continuare o usciti mutilati dalla contesa.
L’ardore infatti era forte, come la posta in palio: essere riconosciuto il migliore fra i cavalieri.
I più famosi ed attesi dei presenti rispettarono i pronostici e superarono con successo la prima parte del torneo.
Chi invece stupì, perché sconosciuto e quindi inatteso, fu il cavaliere senza nome che, dal colore dell’armatura e per facilitare il lettore, chiameremo cavaliere Violaceo.
Egli infatti disarcionò gli avversari che la sorte gli aveva imposto e nessuno scudo fu in grado di resistere all’impatto dei suoi attacchi.
Con abilità, sicurezza ed eleganza portava i suoi attacchi, che per velocità e precisione non sembravano aver avversari.
“Per Belzebù” gridò il re “chi sarà mai quel cavaliere?”
“Nasconde il suo nome ma non il suo valore, a quanto pare.” Rispose uno dei suoi dignitari.
“Siamo curiosi di vederlo contro i favoriti!” Aggiunse il re.
“E non dovrete attendere più di tanto, maestà!” Rispose un dei baroni. “La sorte gli ha riservato ser Vico D’Antò!”
Tutti erano trepidanti per quello scontro.
Ser Vico era tra i migliori del reame e partiva con i favori del pronostico.
In un momento ambedue gli sfidanti lanciarono i cavalli l’uno contro l’altro. Il galoppo era poderoso e maestoso e la polvere sollevata alta e densa.
L’incedere era deciso e l’impatto ormai imminente. Alto lo scudo e tesa la lancia portavano entrambi i cavalieri.
In quel momento le urla e gli incitamenti della folla cessarono di colpo. Un boato segnò lo scontro tra i due.
Entrambe le lance si frantumarono come creta e gli scudi si deformarono sotto il duro impatto.
Il cavaliere Violaceo restò saldo in sella, sebbene lo scontro l’aveva leggermente intontito.
Ser Vico invece era nella polvere, disarcionato dal preciso colpo del suo avversario.
La caduta però gli fu fatale per l’esito dello scontro. Infatti, cadendo, un braccio gli si era rotto sotto il peso della corazza, dovendosi quindi dichiarare sconfitto.
Il pubblico salutò con festa la vittoria di quel suo nuovo beniamino.
Questo scontro sancì la fine del primo giorno del torneo.
Rientrato nella sua tenda, il cavaliere Violaceo, aiutato dal suo scudiero, si spogliò della corazza e delle armi e potè riposarsi.
“Mi sento le ossa a pezzi!” Disse Ardea.
“Sei ferito?” Chiese preoccupato Biago.
“Nemmeno un graffio! E’ solo stanchezza, domani sarò come un grillo!”
“Domani sarà la giornata più difficile!” Disse Biago. “Dovrai affrontare i vincitori della giornata di oggi.”
“Battere ser Vico non è stato facile!” Disse Ardea lavandosi il viso. “Il suo colpo mi ha scosso così tanto che sento ancora il ferro della mia corazza vibrare.”
“Era tra i favoriti e l’hai sconfitto!” Esclamò eccitato Biago. “Sei stato grande!”
“Anche se il difficile comincia ora.” Aggiunse poi con una leggera preoccupazione.
“Tranquillo, non temo nessuno dei miei avversari!”
“Forse dovresti…”
“Ora mangiamo, così che potremmo riposarci per domani.” Esclamò Ardea.
E finito di cenare, i due si stesero ciascuno sul proprio giaciglio: su un piccolo letto Ardea e su una panca Biago, che mise prudentemente di traverso sull’entrata per sbarrare il passaggio nella tenda.
http://www.br3nn0s.org/albertodagiussano/imgmedio/joust.jpg


(Continua...)

Guisgard
09-10-2009, 01.02.25
ARDEA DE' TADDEI

XVIII

“Questo cavaliere, che non portava
alcun emblema sullo scudo, aveva
mostrato fino ad allora ben poco
interesse per le sorti dello scontro,
limitandosi a sconfiggere con apparente
facilità coloro che lo assalivano, ma senza
approfittare del vantaggio e senza attaccare
a sua volta alcun avversario.”
(Ivanhoe, XII)


Il giorno seguente ripartì il torneo, tra l’esultanza della folla in attesa di vedere i migliori contendersi l’ambito premio.
E di nuovo quella possente danza di cavalieri e destrieri, ferro ed acciaio, polvere e bagliori si aprì per la gioia dei presenti.
I migliori erano in campo e gli scontri furono tutti di grandissima qualità.
Di nuovo le lance scalfirono gli scudi e le corazze vibrarono sotto i duri colpi.
E fra tutti i cavalieri, due furono i più apprezzati: ser Cesco della Salice e il misterioso cavaliere violaceo.
E furono proprio costoro che, dopo aver sconfitto tutti i loro avversari, si guadagnarono l’onore di scontrarsi nel duello finale.
E questo scontro si sarebbe tenuto nel terzo ed ultimo giorno del torneo.
Così Ardea e Biago, al sicuro nella loro tenda, impossibilitati ad uscire per poter celare le loro identità, si ristorarono e riposarono per la sfida del giorno seguente.
Ovviamente Ardea, nelle vesti del cavaliere violaceo, fu costretto a declinare l’invito del re per cenare con i nobili ed i due sfidanti rimasti.
“Singolare personaggio” disse il re a tavola “questo misterioso cavaliere violaceo che declina il nostro invito.”
“Sarà forse uno sfigurato o un deforme” iniziò a dire uno dei presenti alla nobile cena “costretto a nascondere non solo il nome ma anche il volto?”
“Sarebbe una disdetta” aggiunse un altro degli invitati “se tanto valore ed abilità fossero racchiusi in un corpo storpio.”
“Sciocchezze!” Intervenne il re. “E’sano e forte! Altro che storpio! Altrimenti non avrebbe disarcionato tanti forti avversari.”
“Ma chi sarà mai?” Chiese uno dei baroni.
“Voi l’avete incontrato, messere” chiese il re a Vico d’Antò “che idea vi siete fatto?”
“Se devo essere sincero” rispose Vico “la sua tecnica non mi è nuova. Ha uno stile versatile ed efficace. Sa sempre come e dove colpire.”
“Non vi è nuova tale tecnica?” Chiese il re.
“Affatto, maestà. L’ho vista utilizzata solo da un altro cavaliere. E con i medesimi risultati.”
“Chi?” Chiese il re.
“Il duca Taddeo d’Altavilla!”
“Credete quindi possa essere lui?” Chiese meravigliato ma nello stesso tempo esaltato il re.
“Impossibile, sire!” Sentenziò Vico. “Il duca ha un malanno fisico che lo renderebbe impossibilitato a cavalcare anche solo con passo svelto il suo cavallo.”
“Inoltre” continuò Vico “il duca è più alto e robusto del nostro misterioso ed abile cavaliere violaceo!”
“Comunque” intervenne nel discorso Cesco della Salice, fino ad allora in silenzio “fosse anche il diavolo in persona io domani lo batterò!”
“Non siate troppo sicuro di voi, messere.” Disse divertito il re.
“E perché non dovrei esserlo?”
“Quel cavaliere è abile e veloce. Sbagliereste a sottovalutarlo.” Intervenne Vico.
“Messere” gli rispose Cesco “Non vorrei apparirvi irriguardoso, ma partirei sconfitto già da ora se accettassi i consigli di chi è stato appena sconfitto dallo stesso avversario verso il quale vuol mettermi in guardia!”
Vico sentì forte la collera salirgli fino al volto, ma per via del braccio rotto e del rispetto alla nobile compagnia, decise di ignorare l’arroganza di Cesco.
“I miei non erano consigli” gli rispose “ma considerazioni. Del resto voi sapete come comportarvi nell’arena.”
“Brindiamo ai presenti” Intervenne il re alzando la coppa “ed anche al misterioso cavaliere violaceo! Che possa regalarci, con l’aiuto di messer Cesco, un’avvincente scontro per domani!”
Tutti parteciparono al brindisi, compreso messer Cesco che, attraverso il riflessi ottonati della sua coppa, guardava con disprezzo ser Vico.
Questi per un attimo rispose con lo sguardo agli occhi infuocati dell’arrogante cavaliere. Poi, alzatosi, chiese un altro brindisi:
“Al migliore, che possa trionfare domani! Che il valore possa soggiogare l’arroganza!”
Tutti risposero a quell’invito, tranne Cesco che accostò le labbra alla coppa, fingendo solamente di bere.
http://www.ciaranhinds.eu/image14/ivanhoe/iv7.jpg

(Continua...)

llamrei
09-10-2009, 13.52.22
....qualcosa mi dice che domani tiferò il Cavalier Violaceo....anzi, di più, domani mi vestirò color porpora;)

Guisgard
10-10-2009, 01.53.32
Lady Ilamrei, il celebre poeta Esiodo scriveva che "un eroe è spinto a combattere per molte cause. Ma niente da più forza e fama che combattere per due begli occhi."
Sono sicuro che il nostro cavalier Violaceo, sapendovi sua sostenitrice, raddoppierà le sue forze, pur di vincere e ben figurare ai vostri occhi ;)

llamrei
10-10-2009, 12.52.21
E' un Onore per me poter sostenere codesto Cavaliere;)

Guisgard
12-10-2009, 01.56.34
ARDEA DE' TADDEI

XIX

“Vuoi davvero conoscere il
mio volto? Ebbene sappi che
non differisce dal tuo. Per ideali
e valori siamo assai simili. Nel mio
volto mireresti la grandezza di
questa tua città.”
(L’Imp, libro I)


Il terzo ed ultimo giorno del torneo tutto era pronto per il gran finale.
Una folla ancora più numerosa delle giornate precedenti aveva preso posto nelle alte tribune e tutti attendevano trepidanti l’inizio dell’ultimo scontro.
Cesco della Salice, in groppa al suo stallone caivanese e bardato della sua lucente corazza, era sceso nell’arena e scalpitante attendeva il suo avversario.
Ad un tratto ci fù il boato del pubblico ed il cavaliere detto violaceo apparve nella lizza.
Il piumato elmo, sotto i raggi del Sole, emanava forti bagliori, mentre i riflessi della sua splendida corazza diffondevano ovunque un intenso alone.
I marescialli di campo fecero i controlli di rito e subito dopo diedero il via alla giostra.
In un attimo i due sauri che conducevano i valenti sfidanti si lanciarono, in una nuvola di polvere, l’uno contro l’altro.
La terra e le impalcature delle tribune tremavano ed oscillavano sotto l’incedere di quelle possenti cavalcate.
La terra che separava i due contendenti fù in breve divorata dal quel terrificante galoppo, mentre i cavalieri tenevano ben tese le lunghe lance in attesa del fatale impatto e gli scudi alti per proteggersi dal forte scontro.
L’impatto fù immane e un forte boato si diffuse nell’aria.
Le lance andarono in mille pezzi contro i pesanti scudi, i quali però non tennero quei duri colpi.
Così lo scudo di Cesco fu perforato e si lacerò in due, mentre quello del cavaliere misterioso, sotto il colpo subito, si accartocciò attorno a ciò che restava della lancia del suo avversario.
Ma l’effetto di quell’impatto non fu nocivo solo alle armi, ma anche a chi le impugnava.
Infatti entrambi i cavalieri furono disarcionati.
Tutti i presenti balzarono in piedi.
In un attimo e con agilità i due però furono subito in piedi e raccolsero le armi che ciascuno degli scudieri condusse loro.
Cesco fendeva l’aria con una solida scure, mentre il suo avversario brandiva un’agile spada.
Con rapido scatto Cesco raggiunse il suo nemico e lo colpì con tale forza che quasi la spada del cavaliere violaceo, usata di piatto per parare il colpo, si incrinò.
Ancora Cesco tirò uno, due, tre, quattro colpi all’avversario che, sotto la forza del rivale, indietreggiava con difficoltà.
Allora, facendo leva sulla sua velocità, il cavaliere violaceo schivò l’ennesimo attacco e con rapido movimento raggirò Cesco, trovandosi alle sue spalle.
Menò allora un fendente contro il suo elmo prima e sulla sua spalla sinistra poi, facendo barcollare l’avversario.
Questi si chinò nella polvere come intontito, mentre il cavaliere misterioso gli fu sopra intimandogli:
“Ti ritieni sconfitto cavaliere? Ti ritieni sconfitto?”
Cesco in un primo momento non rispose nulla.
Ancora l’avversario gridò:
“Ti ritieni sconfitto cavaliere?”
“Si” rispose finalmente Cesco, mentre la testa gli sanguinava abbondantemente “sono alla tua mercè!”
Ci fu allora il tripudio del pubblico che esultante salutò il vincitore.
Il cavaliere violaceo allora avanzò verso il palco reale e salutò con un inchino.
Tutti erano rimasti colpiti dal valore e dall’abilità di quel misterioso cavaliere. Ed ora ne invocavano ad alta voce il nome.
Ma, coperto dalle urla della folla, rapido come un serpente, Cesco si rialzò dalla polvere nella quale l’aveva gettato il suo avversario e impugnando la sua scure si avventò contro di lui.
E tra i canti e il tripudio generale, come un eco, il cavaliere udì la voce del suo scudiero.
“Attento!”
Ma non fece in tempo a voltarsi che Cesco lo colpì con forza sull’elmo spaccandoglielo in due.
Quell’attacco fu tanto forte quanto subdolo e gettò a terra il cavaliere senza nome.
Cesco allora, gonfio d’ira, gli si gettò sopra per finirlo, ma il cavaliere violaceo ebbe il tempo di raccogliere la sua spada e trafiggergli un costato.
Cesco cadde così, ferito, di nuovo nella polvere. E questa volta non si sarebbe rialzato con le sue gambe.
Il pubblico salutò con un boato, dopo lo spavento, la grandezza di quel cavaliere, ma l’attenzione generale si posò presto sul suo volto ormai scoperto.
E tra lo stupore, la meraviglia e l’esaltazione generale fu svelata l’identità di quello straordinario cavaliere.
http://www.victorarte.it/rame/g_rame/giostramediev.jpg


(Continua...)

llamrei
12-10-2009, 21.06.46
...svelato.:confused_nervous_sh Ha vinto:smile_clap:

Guisgard
14-10-2009, 01.32.22
ARDEA DE' TADDEI

XX

"Molto egli oprò co l'senno e con la mano,
molto soffrì nel glorioso acquisto;
e in van l'Inferno vi si oppose, e in vano
s'armò d'Asia e di Libia il popolo misto."
(La Gerusalemme Liberata, I, 3)


I lunghi capelli bruni sudati, il bel volto provato per la fatica, lo sguardo stanco ma fiero ed orgoglioso.
Stava la, davanti a tutti, con la spada ancora in pugno, ansimando per lo sforzo ma con la consapevolezza di aver mostrato il suo valore.
Mentre il pubblico a gran voce acclamava:
“Violaceo! Violaceo!”
Il re e tutti i nobili che occupavano la tribuna reale, saltarono in piedi davanti a quel volto.
Ma prima che qualcuno potesse dire qualcosa, Ardea si avvicinò al nobile palco e si inginocchiò.
“Mio re” cominciò a dire “e voi tutti, nobili baroni e graziose dame. Perdonate la mia audacia e la mia imprudenza, ma la volontà di mostrare il mio valore e la mia fedeltà al re ha reso impaziente ogni proposito imposto dal protocollo e dalle gerarchie.”
“Fai silenzio!” Lo interruppe adirato il re. “Ciò che hai fatto oggi è contrario ad ogni regola nobiliare e cavalleresca!”
Ardea chinò il capo in segno di rispetto e mortificazione.
“Hai ingannato questa nobile compagnia e questo prestigioso torneo!” Continuò il re. “Ti sei spacciato per cavaliere quando invece fino a ieri eri un poco più di un valletto! Ti sei confrontato con i migliori con l’inganno e la menzogna! Se non fossi il figlio di colui a cui dobbiamo gran parte del benessere di questo paese, saresti già stato bannato da queste terre! Ora prendi la tua roba e lascia il palazzo!”
Un silenzio tanto profondo quanto irreale, nell’arena, aveva ascoltato le parole del re ed a quella dura sentenza si levò un mormorio generale.
“Sire” disse Ardea prendendo la parola “la vostra sentenza, benché dura, accetterò senza esitare. Ma sappiate che non ritengo disonorevole il mio operato. Volevo mostrarvi il mio valore per donarvi i miei servigi. Il giovane falco non si lascia forse andare quando già tende fiero le fresche ali? Ecco, mio signore, io ero pronto a spiccare il balzo verso la cavalleria!”
Il re non commentò quelle parole e fece cenno ai marescialli di campo di condurre via quel giovane troppo ardito.
Poi uno dei baroni, prendendo la parola, disse:
“Sire, data l’inevitabile squalifica del vincitore, occorre ora proclamarne un altro.”
“Concordo, maestà” intervenne uno dei dignitari di corte “ma chi? Cesco della Salice si è macchiato di fellonia con il suo gesto verso il cavaliere che l’ha vinto!”
“Allora decideremo con calma!” Rispose il re. “Per ora ritiriamoci.”
Intanto Ardea e Biago, nella loro tenda erano intenti a raccogliere le proprie cose e lasciare i padiglioni che ospitavano i partecipanti al torneo.
“Cosa farai ora?” Chiese Biago.
“Tornerò a casa da mio padre.” Rispose Ardea, mentre raccoglieva le sue cose.
“E la cavalleria?”
Ardea non rispose nulla e continuò a prepararsi.
Poi, dopo alcuni istanti, chiese:
“E tuo padre invece che dirà a te?”
“Mi punirà severamente!” Rispose con fare guascone Biago.
“Scusami, amico mio.” Disse Ardea con lo sguardo mesto.
Biago l’abbracciò forte.
“Sei un grande cavaliere! Sono certo che troverai una nobile spada che ti investirà di tale onore!”
“Credimi” gli rispose Ardea “la tua amicizia non la baratterei neanche per l’armatura di un Orlando o di un Tristano!”
Poi per un momento ripensò a suo padre ed al gran dispiacere che il suo gesto avventato gli avrebbe procurato.
Allora, nel suo cuore, insieme alla tristezza, scese anche un sordo dolore.
http://img124.imageshack.us/img124/1742/kingdom4ee6.png

(Continua...)

llamrei
14-10-2009, 13.38.54
..............dopo tutto questo? Ha dimostrato di essere il più forte, il più valoroso......davanti a tutti.....non può mollare tutto....deve continuare a seguire il suo sogno...e suo padre ne andrebbe fiero....e poi...mi sono comperata e ho indossato un bellissimo abito color porpora per l'occasione....

Guisgard
14-10-2009, 13.45.47
Ehm, milady...gli uomini come il nostro Ardea sono troppo sensibili al fascino femminile...e voi con quell'abito color porpora siete troppo sensuale...
Così rischiate di distrarre il nostro eroe...:o

llamrei
14-10-2009, 13.55.13
......come volete, caro amico. Mi ricompongo...però, vi prego, continuate...

Guisgard
15-10-2009, 02.29.06
ARDEA DE' TADDEI

XXI

“Credi a me e non dubitare delle mie
parole quando ti dico che ogni regno
ha un suo Santo, un suo re ed un suo eroe.
Come ogni uomo non possiede altro che una
donna, un nemico e la propria Fede.”
(Antico Lai)


Intanto, nella sala del trono, il re, alcuni baroni ed i marescialli di campo decidevano sull’esito del torneo.
“In realtà” disse uno dei baroni “nessuno degli sconfitti potrebbe vantar pretese sulla vittoria finale!”
“Concordo!” aggiunse uno dei marescialli di campo.
“Ma il torneo non può chiudersi senza un vincitore!” Intervenne il re.
“In realtà, vostra maestà sa bene che il campo ha espresso il suo verdetto…”
“Cosa intendete dire, ser Torio?” Chiese stupito il re. “Sapete bene che il risultato della giostra è viziato!”
“Maestà” aggiunse il nobile barone “viziato si, ma nella forma, non nella sostanza.”
Il re lo guardò con aria turbata.
Ma sapeva bene di avere davanti uno dei più nobili e saggi baroni del reame.
Infatti, Ser Torio delle Taverne da sempre aveva svolto, in modo onorevole e brillante, il ruolo di consigliere della corona.
La sua parola aveva a corte un peso ed un valore superiore a tutti gli altri ministri del re.
E quelle parole, dette proprio da quell’uomo, suonavano pesanti alle orecchie del re.
“Ritenete quindi” chiese questi “che il premio debba andare a quell’irriverente ragazzo?”
“Non irriverente, mio signore” rispose ser Torio “ma direi audace ed ardimentoso!”
“Ha partecipato con l’inganno alla giostra!”
“Perché mai, mio signore?”
“E ce lo domandate?” Chiese contrariato il re. “Si è spacciato per cavaliere, mentre invece non lo era!”
“Maestà, io in realtà ho visto solo forti cavalieri contendersi il premio.” Rispose ser Torio. “Quindi non comprendo il vostro disappunto.”
“Vi fate beffe di noi?” Sbottò il re. “Nessuno ha proclamato cavaliere quel ragazzo!”
“Sire, cosa fa di un uomo un cavaliere?” Chiese ser Torio. “Non è forse la forza? Ed il valore? Non sono il coraggio e l’audacia le sue virtù?”
“Anche la lealtà!” Lo interruppe il re. “Ed invece quel ragazzo si è infiltrato nei ranghi con l’inganno!”
“L’inganno è fratello alla menzogna e questa del tradimento è la compagna!” Rispose ser Torio. “In quel ragazzo invece ho scorto solo arguzia ed una notevole forza di volontà!”
“Con voi è impossibile discutere!” Tagliò corto il re. “Avete in simpatia quel ragazzo e ne prendete con ardore le difese!”
“Mio signore” rispose con tono pacato e rispettoso il nobile barone “ho simpatia per chi è ardimentoso e coraggioso. Chi non teme di affermare se stesso ed i suoi ideali. Chi conosce il proprio valore e su questo tutto punta. Queste sono le virtù che vorrei vedere nei nostri cavalieri!”
Il re si lasciò cadere sul trono e fissò a lungo il suo consigliere.
“Ma possiamo davvero fidarci di un simile suddito?” Chiese con tono infastidito. “Un suddito che pur di riuscire, è pronto ad andare contro ogni regola e norma?”
“Vostra maestà ben ricorda il padre di quel ragazzo.”
“Il duca Taddeo? Certo, ma cosa centra ora?” Chiese il re. “ Siamo sicuri che, quando verrà a saperlo, resterà molto contrariato dal comportamento di suo figlio!”
“Vostra maestà sta parlando proprio del duca Taddeo?” Chiese con un leggero sorriso ser Tonio. “Quello stesso cavaliere che disubbidì agli ordini ricevuti, durante la battaglia del Passo dei Meli, assediando di sua spontanea volontà, con un i suoi fedelissimi, la fortezza Bottegale dove erano rintanate le milizie di vostro cugino l’usurpatore? Quel impavido guerriero che, nonostante tutti fossero contrari, voi compreso, attaccò e sbaragliò la retroguardia del traditore sulla via di San Marco?”
Il re non rispose.
“Maestà, furono proprio quelle azioni che ci permisero di sconfiggere vostro cugino ed i suoi soldati.” Continuò ser Tonio. “Così era il duca Taddeo. E così sembra essere anche il suo degno figlio.”
“Ser Tonio” Rispose a testa bassa il re “che il diavolo vi porti!”
Poi chiamò a se i marescialli di campo e diede loro delle precise istruzioni.
Ardea intanto era a discutere con ser Vico d’Antò, che lo rimproverava per la sua sconsideratezza.
“L’obbedienza è una delle regole fondamentali della cavalleria!” Diceva il cavaliere al ragazzo. “Il rispetto delle gerarchie è una norma sacra per un cavaliere!”
“Milord” rispose sconsolato il ragazzo “mi sentivo e mi sento tutt’ora pronto per essere un cavaliere. La mia unica colpa è quella di aver desiderato troppo quell’investitura. Tuttavia, in cuor mio, credo di essermela guadagnata.”
Ma i loro discorsi vennero all’improvviso interrotti dall’arrivo dei marescialli di campo, che recavano ordini del re.
“Ardea d’Altavilla” cominciò a dire uno di loro “il re vi comanda di recarvi alla cappella di palazzo e lì prendere la santa messa, per poi rinchiudervi fino all’indomani nella vostra stanza.”
Anche se incuriosito da quegli ordini, Ardea, salutato ser Vico, si recò alla cappella secondo la volontà del re, dove avrebbe assistito alla santa messa prima di raggiungere la sua stanza per trascorrervi una notte che si preannunciava lunga ed inquieta.
http://media-2.web.britannica.com/eb-media/54/42754-004-AEFF7055.jpg


(Continua...)

llamrei
15-10-2009, 10.54.11
La veglia prima dell'investitura.....è così vero?:o

Guisgard
15-10-2009, 19.18.48
Come potrei non rispondere a ciò che domanda una lettrice tanto appassionata come voi, lady Llamrei?
Ma meglio di me saprà fare la musa.
La invoco quindi affinchè, visitandomi stanotte, possa raccontarmi il seguito di questa storia...
http://www.visions.it/Foto/Esiodo.jpg

Guisgard
16-10-2009, 01.55.13
ARDEA DE' TADDEI

XXII

“Questo potere ti viene dato
dal Cielo, attraverso le mie mani.
Ti sarò per questo sempre signore
e duce. Ricordalo, Lorenzo.”
(Il buono e il cattivo amministratore, I, 28)


Celebrata la santa messa, Ardea raggiunse la sua stanza e lì vi trascorse la notte.
Dormì pochissimo ed una marea di pensieri, dubbi e timori invasero la sua mente ed il suo cuore.
La notte era illuminata dalla pallida Luna piena, solo di tanto in tanto attraversata dalle alte nuvole che sotto la sua luce si gonfiavano e si illuminavano, assomigliando ad irrequiete onde di un mare infinito.
I suoni e gli echi di quella notte penetrarono nella stanza, aumentando l’inquietudine del giovane.
Dopo aver cercato invano di domare quei pensieri, vinto, decise di arrendersi al loro corso.
E l’unico conforto per il suo stato d’animo afflitto lo trovò nella preghiera.
Così fino all’alba pregò con una intensità ed una pietà mai avute prima.
Il canto del gallo lo destò dalle sue orazioni e i primi raggi del giorno nascente iniziarono a squarciare il buio di quella stanza.
Dopo un po’, un rumore di passi attirò la sua attenzione.
Nella stanza entrarono alcuni paggi e portarono un nuovo abito ad Ardea.
“Il re vi attende.” Gli annunciò uno di loro.
Condotto nella sala del trono, Ardea fu subito colpito della presenza di tanti baroni e dame. Era presente anche ser Vico, mentre il re, sul suo regale seggio, conversava con ser Torio delle Taverne.
Ma appena il giovane giunse al suo cospetto, il re iniziò a fissare il ragazzo, che per la soggezione abbassò lo sguardo e si inchinò a terra.
“Come è trascorsa la notte?” Chiese il re.
“Pensierosa, mio sovrano.”
Il re fece allora cenno ad Ardea di avvicinarsi. E quando gli fu davanti, il sovrano lo colpì sulla guancia sinistra.
“Questo è l’ultimo colpo che ricevi senza reagire!” Disse il re. “Ora inchinati.”
Allora battè con la sua spada su ciascuna delle spalle del ragazzo, pronunciando la solenne formula:
“In nome di San Giorgio e San Michele noi vi armiamo cavaliere!”
In quel momento si alzò spontaneo nella sala un vigoroso e lungo applauso ed Ardea credette di sognare.
“Mio signore e mio re…” Disse con un filo di voce.
“Ardea de Taddei” Disse il re “oggi siete un nuovo cavaliere del reame. Ricordate che i vostri compiti sono quelli di difendere la Fede e la Chiesa, il regno ed il vostro re, i deboli e gli oppressi!”
Poi baciò sulla guancia il nuovo cavaliere e invitò tutti i presenti a salutarlo ed omaggiarlo.
La giornata fu gioiosa e lunga, con ricchi pranzi accompagnati da musica, canti e balli.
Essendosi ora tutto risolto e regolato, fu possibile concludere il torneo di Capo degli Orafi con la solenne premiazione del vincitore.
Tutti poterono così lodare il valore di quel cavaliere che ora aveva finalmente un nome.
Il vessillo raffigurante il gufo e la rosa, simbolo del casato del duca Taddeo d’Altavilla, fu issato sulla torre più alta del palazzo e tutte le campane della città suonarono a festa.
Inoltre i nobili della corte recarono doni, ricchi e sfarzosi, al cospetto del nuovo cavaliere, omaggiando così il suo nobile lignaggio.
Quando la giornata fu conclusa, Ardea potè riposarsi, anche se la forte eccitazione per quell’incredibile dono della sorte gli impedì di dormire.
Ma anche se fosse stato stanco e senza forze, non avrebbe potuto comunque chiudere occhio. Non prima di aver scritto una lettera a suo padre, per raccontargli di essere finalmente diventato cavaliere.
http://6.media.tumblr.com/tumblr_konl4swpXy1qa01u8o1_400.jpg

(Continua...)

llamrei
16-10-2009, 09.47.14
EVVAIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!! :smile_clap::smile_clap::smile_clap:
CAVALIERE!!!!!!!!!!:smile_wub::smile_wub:

zaffiro
16-10-2009, 18.35.21
Mi permetto di intercalare un commento in questa narrazione perchè ancora sento il desiderio di lodare la vostra fantasia,Guisgard,ed attraverso essa,il mirabile lavoro che la Musa sta ispirando alla vostra mente,perchè essa vi guidi ancora ma solo per porre ordine e fluidità nelle idee che sono già in vostro possesso.Sono certa che l'Ardea di cui narrate è parte di voi,dell'animo vostro,ma che ne stia venendo fuori solo una infinitesima parte dell'ardore,dei valori,dei sentimenti che,invece,vi albergano nel cuore e che sono la natura del vostro essere uomo,seppur stiate cercando di riversare con naturalezza ed audacia tutto su un personaggio generato dalla fantasia.Le fantasie innalzano l'uomo,è vero,sorprendono,regalano mondi immaginari,li aprono ai pensieri ed insieme ad essi accendono ogni nostro desiderio sopperendo alle mancanze della vita quotidiana che poche ore ci concede di giorno al culto dei sogni sì da agonizzare,sin la mattino, il buio,il silenzio e la quiete dello spirito conseguibili col calar della notte,pur di nutrirli con avidità.E le fantasie ci arricchiscono indicibilmente,ma ho sempre ritenuto,e riterrò e sosterrò fino al giorno in cui scorgerò la morte con i miei occhi,che la realtà superi di gran lunga la fantasia.La fantasia è il foglio immacolato che permette di narrare di eroi strepitosamente valorosi,nobili d'animo,coraggiosi e dotati di ricchezze e bellezze interiori ed esteriori,e di principesse e fate che donano in nome di amore il loro bene ai sudditi,al ricco e al povero del reame senza riserva alcuna,tutto descritto minuziosamente con abile ed intraprendente penna sotto la guida della Musa perchè trovino memorie perenni nei romanzi piccoli e grandi che l'intelletto dei maestri detta alla Musa stessa perchè questa ne conferisca ad essi forme raffinate.Eppure vi dico che ci sono eroi reali a questo mondo che sono più valorosi,più coraggiosi,più dotati di molteplici bellezze in ogni parte di questa terra reale,e come si narra di Santi che compiono piccoli e grandi miracoli e ne sono venerati,ogni giorno ci sono Santi in cammino per le vie delle città a compiere prodigi più grandi di quelli narrati dalla Santa Chiesa.Attraverso questi uomini e donne reali,più divini di quanto la più affinata fantasia possa divinizzare,più nobili di quanto essa possa nobilizzare con corretta narrazione,più eroi dei valorosi eroi dell'epica di tutti i tempi,c'è una realtà che ai miei occhi è celata,ad appannaggio solo dei puri di cuore,che io non sono capace di scorgere in questo mondo e ne soffro la perdita perchè la mia vita è impoverita a causa della mia cecità di cuore.
Lodo voi,signore,attraverso le fantasie che vi attraversano l'animo,come una infinitesima parte di voi stesso,perchè mi sento scossa dai sentimenti che la lettura mi apre ai pensieri,e tanto vi lodo perchè proseguiate a narrare sempre e solo le bellezze della vita,quanto chiedo,con umiltà,a Dio,che mi apra gli occhi,il cuore e la mente perchè io possa guardare,vedere e sentire questi eroi moderni in carne ed ossa incamminati per le vie del mondo,perchè tutto quanto la mia miseria,il mio malcontento,e le mie sofferenze hanno saputo farmi scorgere è solo miseria,malcontento e sofferenze riversate sugli altri da una distorsione della realtà della quale sono artefice io stessa.

Guisgard
17-10-2009, 01.29.07
Lady Zaffiro, come sempre accade, mi perdo dolcemente nelle vostre parole e nei vostri pensieri.
Le considerazioni che fate sono affascinanti e leggervi è sempre un piacere.
In primis vi ringrazio per ciò che dite di me.
Io credo che quando scriviamo qualcosa, inevitabilmente finiamo per proiettare un pò di noi stessi in queste opere.
Forse perchè alla fine si scrive solo di ciò che conosciamo ed amiamo veramente.
Io la penso esattamente come voi: c'è più meraviglia, magia e splendore nella vita reale che in qualsiasi romanzo o film.
Ed è per questo che ho scelto di raccontare a voi tutti la storia di Ardea.
Ho scelto questa storia perchè in essa vi sono descritti tutti i momenti e tutte le stagioni della vita di un uomo.
Quando la musa mi chiese di cosa avrei voluto scrivere, io non ebbi dubbi:
"Voglio scrivere di come la vita può essere degna di un romanzo!"
Una vita che assuma i tratti dell'Iliade, delle Argonuautiche o del Cavaliere della Carretta.
Perchè anche gli uomini reali possano vivere come un Ulisse, un Perseo o un Erec.
Poichè, nulla è più magico del nascere e del morire. E nel mezzo, vivere come un vero uomo.

zaffiro
17-10-2009, 09.47.12
Non ringraziatemi,Guisgard,è doveroso che lo faccia io con voi.Molte cose rendono misero l'essere umano,tra queste la lettura fatta passivamente,leggere ogni singola parola,sia esso un romanzo,una lettera,un articolo,e realizzare di essere giunti al punto finale senza essere entrati tra le righe,senza essersi un po' emozionati per il sentirsi coinvolti,e non perchè l'autore non sia bravo,l'amico non ci abbia scritto bei pensieri,il giornalista non abbia saputo comunicare il messaggio all'interlocutore,ma perchè la mente è rigida,assente,o distratta,è una constatazione infelice.Emozionarsi è cosa assai difficile,sentirsi toccati da un personaggio come quello di Ardea smuove i sentimenti irrigiditi da questo freddo che talvolta cala sul cuore,e questo arricchisce il nostro essere.I personaggi di cui dite,epici o mitici o romanzeschi,sono radicati nell'uomo seppur questo ne ignori le gesta e l'esistenza,se sia il filo dei sogni o dell'amore o dei sentimenti ad ancorare il reale al surreale,non mi è dato saperlo,ma un filo lega cuori,pensieri ed azioni col magnetismo della calamita col ferro,e questo filo lega esseri affini,e se l'uomo ha occhi per realizzarlo,la vita assume sfumature inimmaginabili che ben possono ampliare,fino all'infinito,i classificabili sette colori dell'iride.Che il romanzo di Ardea continui ad illuminarci,allora,perchè tutti noi impariamo a sentirci parte di una vita romanzesca.

Guisgard
17-10-2009, 17.41.10
Grazie ancora, milady.
Spero vivamente che la storia di Ardea sia degna della sensibilità vostra e di tutti i lettori di Camelot.

Guisgard
19-10-2009, 01.47.21
ARDEA DE' TADDEI

XXIII

“Stolti! che osaro violare i sacri
Al Sole Iperion candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.”
(Odissea, I, 11)


Nello scrivere quella lettera, come sempre accadeva, Ardea sentì il viso bagnarsi per le lacrime.
Il ricordo e la nostalgia per suo padre erano sempre vivi in lui e quando gli scriveva questa mancanza diventava quasi insostenibile.
Nella lettera Ardea raccontò ogni cosa, compreso lo stratagemma del cavaliere violaceo, fino alla felice conclusione che sancì la sua investitura a cavaliere.
La lettera poi si concludeva con il desiderio di ritornare a casa al più presto, appena il re gli avesse concesso il permesso.
Ma il re espresse, sentitamente, il desiderio che il nuovo cavaliere si trattenesse ancora ad Afragolignone.
Inizialmente il sovrano volle tenerlo con se almeno fino alle festività del Santo Natale.
Poi fino alla quaresima ed alla Santa Pasqua.
In estate si tennero poi feste tradizionali, che videro giungere a corte molti nobili cavalieri e leggiadre fanciulle e ad Ardea parve scortese partire dalla capitale proprio durante tali cortesi eventi.
Con l’arrivo dell’Autunno poi iniziarono i preparativi per il nuovo torneo di Capo degli Orafi e tutti chiesero ad Ardea, in veste di campione uscente, di difendere il suo titolo.
E così avvenne ed Ardea di nuovo uscì vincitore da quella tradizionale giostra.
Insomma, in un modo o nell’altro, tra feste religiose e tradizionali, tra giostre ed eventi, il momento della partenza slittava costantemente.
La corte era un luogo in cui il corpo e lo spirito si cullano di quel candore che pare rendere la vita un costante sogno, trovando diletto tra la bellezza delle donne e la nobiltà degli uomini.
Gare, giochi e deliziosi incontri non mancavano per inebriare i cuori e far dimenticare preoccupazioni e pensieri.
Ed Ardea, nella sua nuova veste di cavaliere, si trovava a meraviglia in quell’incantato contesto e la sua forzata, diciamo così, permanenza a corte trascorse in modo assai gradevole.
In breve il suo desiderio di ritornare a casa iniziò ad ammansirsi e il rinvio all’indomani divenne una costante del suo modo di pensare.
Quell’effimero domani, che avrebbe segnato la sua partenza dalla corte, divenne sempre più incerto e lontano nel tempo.
Così passarono diversi domani.
E quei domani divennero settimane, poi mesi e poi anni. Tre lunghi anni.
Anni in cui anche le lettere scritte a suo padre, come la voglia di far ritorno a casa, iniziarono a mancare.
Le piacevoli distrazioni della corte, le gare con gli altri cavalieri e la compagnia di deliziose dame, occuparono sempre più i pensieri ed il cuore del nostro cavaliere.
Così quella nostalgia per suo padre e la malinconia per i luoghi dove era cresciuto, iniziarono a dissiparsi come la nebbia ai primi raggi del Sole mattutino.
Così i raggi splendidi e fastosi della corte fecero svanire in breve la voglia ed il desiderio di far ritorno nella sua casa.
E con essi anche il bisogno di scrivere a suo padre.
http://www.roma-gourmet.net/sito/wp-content/uploads/2008/08/waterhouse_decameron_1.jpg

(Continua...)

llamrei
19-10-2009, 20.11.59
Il detto "lontano dagli occhi...lontano dal cuore" può essere fatto suo anche ad Ardea.....Ma si ravvederà il nostro buon amico...almeno una missiva al padre....che dite Guisgard? Cosa suggerisce la vostra musa?

Guisgard
20-10-2009, 01.52.05
Milady, anche i legami più forti, qualche volta, possono soffrire lontananza e subire distrazioni. E solo se sono veri e profondi possono resistere a tutto ciò.
Vedremo quanto è genuino l'amore che Ardea ha per suo padre.
La musa, qui accanto a me, sorride maliziosa e non sembra intenzionata a rivelarci nulla sui prossimi eventi che vedranno protagonista il nostro cavaliere.
Io, in attesa, inizio a preparare la penna...:misc_write:

Guisgard
21-10-2009, 02.22.22
ARDEA DE' TADDEI

XXIV

“Laggiù vedrai gli altri mortali che
offesero empi un dio o un ospite
o i propri genitori, patire ciascuno
castigo adeguato a giustizia. Ade è
giudice grande degli uomini sottoterra,
e tutto sorveglia nelle tavolette della
sua mente.”
(Orestea, III)


La nobiltà del cuore è propria dello spirito e l’uomo che ne fa sfoggio brandisce i più alti ideali e valori come arma.
Non sempre il sangue è portatore di virtù, come invece avviene da un animo nobile.
Il leone può generare una pecora e il gufo una serpe, ma un cucciolo allattato dal sangue della lupa presto leverà alto il suo ululato.
Ma il cucciolo d’uomo, tornato nel mondo incantato e dorato, sembra aver smarrito la via verso casa, ma ignora che tra i suoni e i canti della vita gioiosa vi è sempre una zona oscura, dove si annida la tentazione.
Le lodi dei suoi pari e gli sguardi ammalianti delle donne riempivano il suo cuore di effimera gioia e pagano orgoglio, mentre un velo come sonno calava sul suo animo.
Tra le risa e le musiche della corte, nessuno sembrava prestare attenzione al sibilo del vento, che come un lamento lontano pareva annunciare una furiosa burrasca.
Ma l’uomo maledice la sua follia solo quando ha perso tutto e nulla è più doloroso del rimpiangere la gioia mentre si vive nella tristezza.
Quel caldo mattino d’Agosto in tutta Afragolignone si udivano ovunque le campane delle chiese suonare a festa, mentre le strade erano invase dal giubilo della gente.
Anche a corte la gioia regnava sovrana e tutti i suoi nobili ospiti s’apprestavano a vivere quell’inebriante evento.
Era infatti il giorno dell’Assunta e dopo la celebrazione della messa, gare d’armi, di versi e di musiche avrebbero scandito quella solenne festività.
In uno dei lussureggianti giardini del palazzo reale, fra l’attenzione delle dame e l’abilità dei cavalieri, si stava tenendo una gara di tiro con l’arco.
“Fermati e poniti sul capo quella mela!” Gridò ser Francesco detto il codino al suo irriverente scudiero.
“Le mie gote son rosse e tonde” rispose questi “ma badate di non confonderle con la mela!”
“Zitto e resta fermo, sciagurato!” Gridò il cavaliere.
Poi tese l’arco e scoccò la freccia.
Questa avrebbe senza dubbio portato via un occhio a quello scudiero, se questi, lesto, non avesse schivato il dardo.
“Alla mela dovevate mirare, milord!” Gridò il loquace scudiero. “Non alla mia testa!”
“I musici mi confondono.” Rispose imbarazzato ser Francesco.
“Mettete via l’arco, amico mio” intervenne Ardea “che gli scudieri non crescono sugli alberi come le mele.”
“Sapreste far di meglio, voi?” Chiese indispettito ser Francesco.
“Scommetto che spaccherò quella mela prima di voi.”
“Allora scommettete davvero, messere!” Disse una delle dame presenti.
“Quello che volete, lady Veronica!” Rispose Ardea.
“Non saprei…”
“Allora un bacio.” Disse con fare guascone Ardea.
“E sia..” Rispose arrossendo la damigella.
“Rimettiti in testa la mela, scudiero!” Ordinò deciso Ardea.
Poi tese l’arco e scoccò sicuro la freccia, colpendo e spaccando in due la mela.
Tutti applaudirono.
“Ora” gridò allegro Biago “riscuoti il tuo credito, cavaliere!”
La damigella arrossì abbassando lo sguardo ed Ardea si chinò a cogliere il frutto della sua impresa.
E tutti lodarono l’audacia del cavaliere, non solo bravo a tirare con l’arco.
Ma in quel momento un paggio recò un biglietto ad Ardea.
Appartatosi, il giovane lesse il biglietto ed il suo triste contenuto:

“Cavaliere, il vostro pietoso padre, il duca Taddeo d’Altavilla,
forse a causa di una vecchia ferita o forse per la lunga solitudine,
è caduto gravemente malato e disperiamo che possa vivere ancora
a lungo. Egli ha espresso il desiderio, prima di ritornare alla casa del
suo Signore e nostro Dio, di rivedervi un’ultima volta.”

Il doloroso biglietto recava la firma del medico personale del duca.
In un attimo il cuore del giovane fu preda del più profondo e lacerante dolore mai provato.
E insopportabile, come questo immenso dolore, fu il senso di colpa che in breve attanagliò il suo animo.
Le lacrime rigarono il suo bel viso ed il cuore si schiantava sotto il rimorso, mentre stringeva fra le mani quel funesto biglietto.
E in quel dolore malediceva se stesso.
http://www.summagallicana.it/lessico/e/Eumenidi%20e%20Oreste.jpg


(Continua...)

llamrei
21-10-2009, 13.56.11
...................Vai Ardea! Prima che sia troppo tardi!

Guisgard
23-10-2009, 02.43.59
ARDEA DE' TADDEI

XXV

“Keu, che aveva servito le tavole,
sedeva a desinare insieme ai
contestabili, quando giunse a
corte un cavaliere sfarzosamente
equipaggiato per la battaglia, armato
di tutte le armi.”
(Lancillotto o il Cavaliere della Carretta)


Il Sole quel giorno, come tradizione, splendeva alto e forte, in un cielo terso e sgombro da nuvole.
La solennità dell’Assunzione in Cielo di Nostra Signora era da sempre considerata l’ultima festa religiosa dell’estate e per l’occasione tutta la nobiltà afragolignonese si riuniva al cospetto del re per celebrare i giochi che chiudevano appunto tale periodo dell’anno.
Nel palazzo ovunque, nonostante il caldo afoso, vi era un intenso via vai, che vedeva protagonisti servi, valletti, paggi, stallieri, araldi, tutti impegnati nei preparativi che la tradizione richiedeva per quel santo giorno.
La giornata infatti si era aperta con la messa solenne, alla quale il re e tutta la corte avevano partecipato.
Poi c’erano stati i giochi d’arme, come le corse coi cavalli, la lotta dei sacchi e, come abbiamo raccontato, la gara con l’arco.
Dopo il pranzo di mezza giornata, il tutto sarebbe continuato con la celebrazione detta delle Cento Croci e delle Cento Ave o Maria.
Un antichissima preghiera, composta da invocazioni e litanie, capace di scacciare il male ed i pericoli.
Ma appena tale mistico e sentito rito fu concluso, un’improvvisa e singolare visita giunse al palazzo reale.
Un nano, di severo e brutto aspetto, con modi da villano, si presentò a corte.
“Maestà, nobili signori” iniziò a dire con la sua rauca e sgradevole voce “in questo santo giorno non sarà solo il caldo a portarvi noie! Sappiate che per voi oggi qui riuniti al diavolo son state tolte le catene!”
“Chi sei, villano” chiese adirato il re “che ti presenti a noi qui oggi, con i tuoi deplorevoli modi? La natura ti ha fatto quindi sgradevole anche nell’animo, oltre che nel corpo!”
“Maestà” rispose lesto il nano “anche se siete re, pesate bene le vostre parole, poiché non vi è nel vostro regno un cavaliere degno di poterne rispondere per voi!”
“Scarto della natura, hai dunque tanto veleno sulla tua lingua!” Gridò il re visibilmente alterato. “Sei tanto folle, oltre che storpio, da voler quindi sfidare i nostri cavalieri?”
“Non io, mio signore, ma il mio padrone!”
“E chi sarebbe il tuo padrone?”
“Il più grande cavaliere mai armato!”
“Dubitiamo che sia tanto valente” rispose il re “se si accompagna ad un villano e fellone come te!”
“Vi avevo avvertito di misurare le parole” disse con tono grave il nano “ora questa compagnia ne pagherà le conseguenze!”
“La tua villania ti costerà cara!”
“Vedremo.” Rispose il nano.
Poi continuò:
“Il mio padrone ogni anno, in questo santo giorno, ha fatto solenne voto alla Vergine di annientare e disonorare tutti i cavalieri indegni! Ed oggi è il turno di questa corte.”
A quelle indegne parole, tutti iniziarono a mostrare fastidio, sdegno ed inquietudine.
“Dove si trova ora il tuo malvagio padrone?” Chiese il re.
“Malvagio?” Esclamò il nano. “E perché mai? Perché odia a tal punto la debolezza e l’ignavia da fare scempio di chi ne soffre? Un cavaliere indegno non ha diritto di vivere. Ed egli oggi lo dimostrerà, essendo in attesa, fuori al palazzo, di essere annunciato.
“Che sia fatto entrare allora!” Ordinò il re.
E subito nella sala giunse un maestoso e fiero cavaliere.
Alto e robusto, bardato di una corazza cromata e lucidissima, coperta sul busto da una tunica verde bordata di nero.
Il suo passo era deciso ed il portamento autoritario e nel vederlo passare tutti furono colti da uno strano timore.
Il cavaliere giunse al cospetto del re e si inginocchiò per salutarlo.
“Onore a voi, maestà!”
“Qual è il vostro nome, cavaliere?” Chiese il re.
“Ve lo rivelerò solo quando avrò ucciso tutti i vostri cavalieri, essendo costoro indegni di saperlo.”
Un mormorio di protesta si levò nella sala.
“Sire, dobbiamo subire le ingiurie di un fellone?” Gridò ser Mimino dal breve piede.
“No, vi darò subito soddisfazione!” Rispose il cavaliere senza nome.
Così avvenne il primo duello.
Ma nonostante le accuse e le minaccia tra i due contendenti, lo scontro fu breve e ser Mimino ebbe la peggio.
Tutti vollero allora confrontarsi con quell’arrogante cavaliere ed in breve ci furono tutta una serie di duelli.
E bastò poco più della metà del pomeriggio, al cavaliere senza nome, per vincerli tutti.
I suoi avversari ne uscirono feriti nell’orgoglio e nel corpo. Diversi infatti furono feriti a tal punto da restare storpi.
E quando non ci furono più avversari per quel misterioso cavaliere, il re spazientito ordinò:
“Presto, chiamate ser Ardea de’Taddei e conducetelo qui!”
http://www.john-howe.com/portfolio/gallery/data/media/36/0523-Lancelot-port.jpg

(Continua...)

elisabeth
24-10-2009, 20.52.54
Quante prove deve subire il povero Ardea, un lungo percorso iniziatico per forgiare il suo animo di cavaliere........:smile_clap:.......vi seguo in silenzio....per non disturbare....

Guisgard
25-10-2009, 02.25.59
La vita di un uomo, che sia un comune mortale o un eroe, è sempre rappresentata da un viaggio. Ed il viaggio altro non è che la più autentica metafora di un percorso iniziatico, attraverso il quale si giunge ad un livello superiore di conoscenza.
Il viaggio di Giasone, quello di Ulisse, quello di Enea; il viaggio che condusse Ercole a superare le Dodici Fatiche, fino ad arrivare al viaggio di Parsifal e a quello di Gawain, altro non sono che percorsi, alla fine dei quali si giunge alla purificazione delle proprie colpe e alla conoscenza più alta.
Ed anche il nostro Ardea dovrà prima purificarsi e poi potrà ambire a conoscere se stesso e quindi il vero senso della vita.

elisabeth
25-10-2009, 16.07.11
Devo essere sincera, credo che il periodo di iniziazione non finisca mai, il viaggio e la ricerca del se e' lungo una vita.....e quando questa finisce, ne' comincera' un'altra dove il viaggio continua.......

zaffiro
25-10-2009, 16.47.31
Devo essere sincera, credo che il periodo di iniziazione non finisca mai, il viaggio e la ricerca del se e' lungo una vita.....e quando questa finisce, ne' comincera' un'altra dove il viaggio continua.......

E' molto profondo questo pensiero,lady Elisabeth.

Eppure io credo che la vita non sia avvolta tutta intorno ad un solo periodo,l'iniziazione è il principio di ogni periodo diverso seguito da un rallentamento di moto che permette di assaporare l'equilibrio conseguito.Ora sta a chi è più capace di mantenersi in equilibrio più a lungo e a chi,invece,è più fragile nella sua sensibilità dal vacillare anche per la più semplice causa da battersi,ma credo,quanto più sia affinata l'intelligenza tanto più si soffre e si diviene fragili e sensibili alla vita.Intendo dire che chi vive in semplicità,non cerca una spiegazione logica in tutte le cose,con molta probabilità assapora più a lungo le gioie della vita,perchè si ferma un attimo ad afferrare con le mani quanto da altri o da se stesso seminato,e ne gode.
Credo che Ardea appartenga a quella schiera che,conseguita una vittoria se ne prefigge subito una nuova,e questo,da un lato esalta perchè più si è desiderosi dell'ignoto,più si affina l'intelligenza,ma dall'altro,nega gioie,perchè non sente neppure l'odore dell'alloro che sul capo gli è stato apposto,sebbene i sacrifici siano stati innumerevoli,appariranno poca cosa in confronto a quello verso cui si sta propiettando nuovamente,ma,intanto,i profumi dell'alloro svaniranno con l'appassire della ghirlanda.E non li avrà vissuti appieno.
Mi piace molto anche il pensiero di Guisgard,quando scrive che il percorso iniziatico conduce a un livello superiore di conoscenza.La conoscenza non si estinguerà mai,non per chi la ricerca,però,non ne avremo mai conseguito a sufficienza dal poterci fermare un attimo e desiderare di godersi quanto appreso e conseguito come frutto di esperienze di vita,di studi o di rapporti umani,e questo rende gli esseri umani,a mio avviso,sempre piccoli,ingenui,studenti fino alla morte,e chi per indole è desideroso di spingersi sempre oltre le sue conoscenze,fosse anche un uomo di scienza,non si sentirà mai a livelli tali da potersi fermare e realizzare di essere cresciuto,divenuto uomo e magari invecchiato,si sentirà sempre uno scolaro desideroso di carpire quanto più si può dall'universo,e quando si fermerà a gioire,ad assaporare il suo traguardo,lo farà per poco,ma sarà l'unico modo di desiderare la morte quando,oramai all'ultimo respiro,avrà compreso che non ha visto,letto,studiato,scoperto e conosciuto tutto ciò che avrebbe desiderato nella sua fugace vita,ed in cuor suo ne soffrirà un istante.

E' molto bella la sensibilità a cui sta muovendo il racconto di questo cavaliere de' Taddei che si sta mostrando con naturalezza nel suo nobile cuore e nelle sue debolezze di uomo ingenuo e genuino.

Guisgard
25-10-2009, 23.52.27
Mie coretesi dame, i vostri interventi sono molto intriganti.
Ognuno infatti esprime concetti particolarissimi, sebbene palesino due diverse visioni della vita.
Io credo che la vita, come dice Lady Elisabeth, sia un perenne cammino che termina solo quando avviene il passaggio in un altro "quando" ed in un altro "dove".
Tuttavia, credo, esiste un altro viaggio.
Una sorta di viaggio nel viaggio.
Ed è quello che ci porta a conoscere noi stessi. Solo così potremmo affrontare quel grande cammino iniziatico che conduce alla conoscenza della vita in tutta la sua essenza.
Lady Zaffiro raccontava che uomo sia il nostro Ardea.
Io credo che egli sia un uomo che vive con passionalità tutte le cose.
E come tutti i suoi simili è alla perenne ricerca delle gioie e della felicità della vita.
Tuttavia, vi sono alcuni valori che sono comuni ad ogni uomo, al di là del credo e della cultura.
E senza questi valori non vi è gioia.
Il nostro eroe sembra aver smarrito la via che conduce ad essi.
E ritrovarla richiederà immani sacrifici e sofferenze.

Guisgard
26-10-2009, 02.52.23
ARDEA DE' TADDEI

XXVI

“Allor le palme il misero gli stese,
e questi profferì pietosi accenti:
Mio diletto figliuolo, Ettore mio,
deh lontano da’ tuoi da solo a solo
non affrontar costui che di fortezza
d'assai t'è sopra.”
(Iliade, XXII, 45)


Ardea intanto, ignaro dei clamori e delle tensioni della corte, era occupato a preparare le sue cose, prossimo ormai a far ritorno nella sua terra.
Una stanchezza che lo affliggeva fin nei meandri dell’anima ed una tristezza senza fine erano le sue compagne in quel triste momento.
Un profondo senso di colpa si era impossessato del suo cuore e non accennava a svanire.
L’immagine di suo padre, ora malato e solo, come uno spettro lo tormentava senza sosta.
Nonostante fosse occupato a prepararsi, quasi costantemente, il pensiero di ciò che aveva fatto, dimenticandosi dell’affetto di suo padre e della nostalgia per la sua casa, lo assaliva in maniera più intensa, quasi insopportabile.
L’unica cosa che ora chiedeva, come un’ossessione, era di ritornare al più presto da suo padre e chiedere il suo perdono.
Ma questi assillanti e laceranti pensieri furono bruscamente interrotti dall’arrivo di due valletti.
“Milord, presto” esordì agitato ed impaurito uno di questi “il re chiede la vostra presenza nella sala del trono!”
“Cosa è accaduto?” Chiese Ardea reso ansioso dall’espressione quasi sconvolta dei due.
“Una sciagura messere!” Rispose ancor più agitato del suo compagno l’altro valletto. “Recatevi dal re!”
Ardea allora lasciò ogni cosa e corse veloce fuori dalla stanza.
Prossimo ormai alla sala del trono, vide fuori di questa una folla irrequieta ed intimorita.
“Ardea fermati!” Gridò Biago, anche lui confuso in quella folla.
“Cosa accade qui?” Gli chiese Ardea.
“Prendi le tue cose e parti ora!” Rispose Biago. “Fallo subito o non rivedrai più tuo padre!”
“Sei impazzito?” Gridò confuso ed infastidito Ardea. “Cosa diavolo sta succedendo? Rispondi!”
“Il re ti reclama per mandarti a morte certa!” Gli disse ancora Biago. “Vattene ora! Avvertirò io che tu eri già partito un’ora fa!”
“Il re chiama ed io dovrei fuggire?”
“Non è il re che ti reclama, ma la morte!”
“Sei pazzo o solo stolto?”
Biago esitò a raccontargli la verità. Infatti, ben conoscendo il suo amico, sapeva che mai avrebbe rifiutato un duello ad un cavaliere che l’avesse sfidato.
“Lasciami entrare allora!” gli intimò Ardea “Se non vuoi dirmi che accade lo scoprirò da solo!”
“Aspetta” gli disse Biago afferrandolo per un braccio “se entri dovrai batterti.”
“Con chi? Tutti ben sapevano che oggi non avrei preso parte a giostre e tornei!”
“Non si tratta di giochi” disse Biago fissandolo con uno sguardo indescrivibile “ma di una singolar tenzone.”
“E con chi?”
“Stamani, a corte, nel bel mezzo della festa” iniziò a dire Biago “si è presentato un misterioso cavaliere scortato da un nano storpio e screanzato.”
“Che cavaliere?”
“Nessuno lo conosce.” Continuò Biago. “Tutti i migliori lo hanno sfidato, ma egli ne ha avuto facilmente la meglio. Ha infangato il buon nome della corte e della nostra compagnia. Ora il re ti chiede di lavare l’onta.”
Ardea senza dir nulla si diresse verso la porta che dava alla sala del trono.
“Ardea” chiamò Biago “non è un cavaliere normale! Sotto quell’armatura vi è un demonio!”
Ardea lo fissò per qualche istante e poi senza rispondere niente entrò nella sala.
Appena lo vide il re si ridestò.
“Eccolo, è giunto!” Gridò alla corte.
Poi, al cavaliere accompagnato dal nano:
“Ora vi confronterete con il primo dei nostri cavalieri!”
“Non chiedo di meglio!” Rispose alla sfida del re quel cavaliere senza nome.
E sfoderò la sua possente e lucente spada, con la quale aveva abbattuto i migliori eroi del reame, disonorandoli e schernendo tutti i presenti.
“Fino alla morte!” Aggiunse fissando Ardea, come se già pregustasse la vittoria per se e l’onta per il suo avversario.
http://www.previdi.it/giorgio/cavaliere.jpg

(Continua...)

Morris
26-10-2009, 21.18.11
[quote=zaffiro;11531] Credo, quanto più sia affinata l'intelligenza tanto più si soffre e si diviene fragili e sensibili alla vita.Intendo dire che chi vive in semplicità,non cerca una spiegazione logica in tutte le cose,con molta probabilità assapora più a lungo le gioie della vita,perchè si ferma un attimo ad afferrare con le mani quanto da altri o da se stesso seminato,e ne gode.
Chi per indole è desideroso di spingersi sempre oltre le sue conoscenze, fosse anche un uomo di scienza,non si sentirà mai a livelli tali da potersi fermare e realizzare di essere cresciuto,divenuto uomo e magari invecchiato, si sentirà sempre uno scolaro desideroso di carpire quanto più si può dall'universo,e quando si fermerà a gioire,ad assaporare il suo traguardo,lo farà per poco,ma sarà l'unico modo di desiderare la morte quando,oramai all'ultimo respiro,avrà compreso che non ha visto,letto,studiato,scoperto e conosciuto tutto ciò che avrebbe desiderato nella sua fugace vita,ed in cuor suo ne soffrirà un istante. quote]

Molto bene lady Zaffiro..molto bene veramente!
La vostra sensibilità, in queste vostre parole da me umilmente quotate, è oltremodo sublime ed evidente!

Sir Morris

llamrei
26-10-2009, 21.30.10
Ardea è buono nell'amino ma terribilmente orgoglioso....Affronterà il cavaliere misterioso..non può tirarsi indietro....in cuor mio so che Ardea combatterà lealmente. Attendo di leggere il racconto descrittivo della singolar tenzone....grazie bardo d'eccellenza ;)

Guisgard
27-10-2009, 01.37.11
ARDEA DE' TADDEI

XXVII

“Proteggeteci voi, angeli e
ministri della grazia! Sii tu un
benigno spirito o un folletto,
scendan con te soffi celesti o
raffiche d’inferno, intenti buoni
oppur malvagi, tu t’avvicini in
modo ch’io ti voglio interrogare.”
(Amleto, I, IV)


Nella corte scese un irreale silenzio e tutti aspettavano di conoscere l’esito di quel mortale duello.
Il re aveva già fatto preparare la corazza e le armi del suo campione, quando Ardea prese la parola:
“Vostra maestà. Nobili baroni. Io, da cavaliere devoto e fedele alla corona, accetto di buon grado la sfida, pronto a lavare l’onta che l’arroganza di costui ha portato su di noi.”
“E sia!” Proclamò il re.
“Ma non ora, maestà!”
A quelle parole di Ardea l’intera corte fu scossa da agitazione ed inquietudine.
Tutti si levarono in piedi ed iniziarono a biasimare le parole di Ardea, inveendo contro di lui.
Il re però, conoscendo il valore ed il coraggio del suo cavaliere, zittì i presenti e prese la parola:
“Cavaliere, che storia è questa?”
“Maestà” rispose Ardea “sapete bene che non temo la morte più di quanto non mi disgusti la viltà. Accetto la sfida del mio avversario, ma non ora.”
Di nuovo i presenti protestarono a quelle parole.
“Cosa vi impedisce” chiese turbato il re “di combattere oggi?”
“Sire” rispose con voce rotta Ardea “ho ricevuto proprio oggi un funesto messaggio.”
“Che messaggio?” Chiese il re.
Ardea mostrò il biglietto al re, che appena l’ebbe letto cadde come tramortito sul suo regale seggio.
“Si, maestà” disse Ardea “il duca, padre mio e vostro alfiere, è prossimo a ricongiungersi all’Onnipotente. In fin di vita chiede di rivedermi. Vi prego di acconsentire che io parta subito.”
“Nulla in questa corte” iniziò a dire il re dopo un momento di smarrimento, causato da quel biglietto “vi tratterrà. Tuttavia le regole della cavalleria vi impongono, per rinviare il duello, di chiedere il consenso al vostro avversario.”
“Giammai, che io sia dannato!” Tuonò con arroganza ed ira il cavaliere senza nome. “Questa è solo una meschina scusa per salvarsi dalla mia collera!”
“Mettete quindi in discussione la parola e l’onore di un nostro cavaliere?” Gridò alterato il re.
“Certo!” Rispose il cavaliere. “E con forza!”
“Cavaliere” intervenne Ardea “benché sembrate alieno ad ogni regola di cortesia ed onore, non potete ignorare la pietà di un figlio verso il padre morente.”
“Sciocchezze!” Rispose il cavaliere. “La meschinità umana non ha fine, come non hanno fine le menzogne che può inventare!”
“Non vi curate dunque del mio dramma, marrano?”
“Per niente!” Rispose quasi ridendo il cavaliere. “In voi non c’è né pietà né amore. Come in tutti gli uomini. E se davvero avete un padre sul punto di morte, vorrà dire che morirà da solo, come ha vissuto fino ad ora, visto che non ha un degno figlio!”
Benchè quelle parole suonavano infamanti e provocatorie, tanto da offendere tutti i presenti, Ardea non rispose nulla.
In cuor suo infatti sapeva che quel cavaliere diceva la verità.
Egli si era dimostrato un figlio indegno, senza amore né onore e meritava il veleno di quelle accuse.
Tuttavia, il desiderio di rivedere e dire addio al caro padre, erano troppo forti.
“Cavaliere” iniziò a dire “quella è la mia corazza ed accanto sono riposte le mie armi. Se volete cominciare il duello fate pure, ma sappiate che io non le adopererò. Combatterete quindi con un nemico inerme.”
“Fate leva sulla pietà, gaglioffo?”
“Ciò che più mi preme è rivedere mio padre.” Rispose Ardea. “Altro non chiedo. Anzi, se voi oggi qui mi uccideste, mi fareste senza dubbio un gran favore, facendomi congiungere molto prima con colui che amo più di ogni altro.”
“E chi mi dice che il vostro non sia un inganno per salvarvi?”
“Avete la mia parola” rispose Ardea “qui, davanti al mio re. Se accettate di lasciarmi partire, vi giuro che da qui a un mese ci ritroveremo, proprio in questa sala, per il nostro duello.”
“E sia” disse il cavaliere senza nome “recatevi da vostro padre. Il nostro duello avverrà però tra un anno esatto da oggi, nel giorno dell’Assunta. E non qui, ma sul monte che gli afragolignonesi ritengono sacro, nella Cappella dell’apparizione di San Michele Arcangelo.”
“Con questo gesto” rispose Ardea “dimostrate onore e generosità. Tra un anno mi troverete ad attendervi in quel santo asilo che avete scelto.”
“Ma badate bene, cavaliere” intimò con tono gravoso quel cavaliere senza nome “che se mancherete al nostro appuntamento io verrò a cercarvi! E statene certo che vi troverò!”
Detto questo, scortato dall’irriverente nano, quel misterioso cavaliere abbandonò la corte, lasciando su tutti i presenti un’inquietudine ed un senso di smarrimento mai provati prima.
http://static.desktopnexus.com/wallpapers/45149-bigthumbnail.jpg

(Continua...)

zaffiro
27-10-2009, 15.03.10
[Egli si era dimostrato un figlio indegno, senza amore né onore ...]

Sono espressioni infelici di uno stato d'animo inquieto e tormentato.Ardea non merita di provare questi sentimenti,non merita di essere così severo con se stesso.
Questo pensiero tormenta ogni uomo che ha dato valore alla vita e ha preso coscienza dei suoi errori,ma neppure il più vile tra gli uomini merita di condannare se stesso con tanta austerità.


A Morris.Grazie,ma questa sensibilità di cui dite mi ha precluso l'ultima possibilità di poter continuare a credere in un sogno per il quale mi sono battuta lungamente,oggi mi rimane il rincrescimento dell'aver permesso a qualcuno di leggere nei miei occhi e "giudicarmi" solo attraverso di essi,decidendo le mie sorti future attraverso la mia carriera di studente.
Perdonate questo inciso OT

Guisgard
27-10-2009, 18.25.27
Lady Zaffiro, la vostra pietà per il nostro Ardea è tanto nobile quanto condivisibile.
Ma purtroppo, come le grandi storie ci insegnano, ci sono alcuni valori, universali e naturali, che se smarriti causano immani tragedie.
Cavalieri come Rinaldo, Lancillotto e Parsifal ne sono testimonianza con le loro storie.
Io credo che le gioie ed i dolori nella vita di un uomo derivino solo ed esclusivamente dal suo comportamento.
Come ci insegna la storia di Ardea, una volta commessa qualche colpa si perde la Grazia Divina e con essa la benevolenza della sorte.
E allora, come scoprirà lo stesso Ardea, possiamo solo confidare nella Misericordia più alta ed assoluta.

Guisgard
28-10-2009, 01.55.47
ARDEA DE' TADDEI

XXVIII

“<<Volesse Dio>> disse poi Fitzurse a
De Bracy, <<che qualcosa potesse
ridarlo a lui, il coraggio! Il solo nome
di suo fratello è per lui un tormento.
Infelici i consiglieri del principe che
pretende pari forza d’animo e perseveranza
nel bene e nel male!>>”
(Ivanhoe. XIV)


Uscito quell’oscuro cavaliere, l’intera corte fu colta da agitazione e timore.
Tutti si chiedevano chi si nascondesse veramente sotto quell’elmo.
“Mai ho veduto un simile cavaliere!”
“E nessuno altro l’ha veduto!”
“Non è un uomo che si cela sotto quella corazza, ma un demonio!”
“Nel vederlo battersi, ho davvero creduto si trattasse di un Ercole redivivo o del mitico Orlando tornato da Roncisvalle!”
“Forse quel cavaliere è uno spirito giunto per tormentarci!”
Queste ed altre mille frasi simili si rincorrevano confuse nella corte.
Lo scempio compiuto da quel cavaliere sui migliori guerrieri di Afragolignone, aveva gettato tutti nella paura e nello sconforto.
“Dieci come lui” disse il re “ed il regno sarebbe perduto! Nemmeno un esercito potrebbe fermali!”
Ardea ascoltava senza rispondere nulla.
“Apparite pensieroso, messere” gli domandò il re “siete già pentito per aver accettato la sfida?”
“No, maestà” rispose Ardea “mi chiedevo solo chi sia veramente e cosa l’abbia spinto qui oggi.”
Nella sala, in quel momento, entrò un vecchio monaco, da tutti ritenuto un santo eremita, che viveva nel bosco e solo di tanto in tanto veniva in città.
“Vi chiedete chi sia?” iniziò a dire ai presenti. “Un angelo o un demonio? E che differenza farebbe per voi saperlo?”
“Perché vieni a tormentarci, monaco?” Chiese il re, come destato da quelle parole da un qualche profondo pensiero.
“Non io e nemmeno quel cavaliere” rispose il monaco “ma le vostre colpe vi tormentano!”
“Cosa ne sai tu delle nostre colpe?” Gridò uno dei baroni presenti.
“Per mettere alla prova Giobbe” continuò il monaco “Iddio non liberò forse il demonio per tentarlo?”
“E l’angelo della morte” aggiunse voltandosi verso il trono “non fu mandato dall’Onnipotente per punire gli egizi, uccidendo loro i primogeniti?”
“Tu sei pazzo!” Gli gridò il re.
“Angelo o demone” disse il monaco guardando il cielo “non fa alcuna differenza! Egli è per voi un castigo divino!”
“E di cosa si sarebbe macchiata questa corte?” Chiese indispettito il re.
Il monaco sorrise amaro e, appoggiandosi al bastone, si avvicinò al trono.
“Un re” iniziò a dire “conosce la fedeltà dei suoi uomini e la loro abilità con le armi, ma non cosa cela il cuore di ognuno di loro.”
Detto questo, iniziò a recitare alcune orazioni, poi si incamminò verso l’uscita e sparì dalla corte.
Le parole del monaco suscitarono nei presenti un angoscia che andò a sommarsi all’inquietudine che albergava già precedentemente nella sala, rendendo l’atmosfera ancora più cupa.
In Ardea però quelle parole avevano ridestato un pensiero che ormai da ore l’affliggeva.
Così decise di partire all’istante.
Salutò tutti a corte ed omaggiò il suo re. Poi, preparata ogni cosa, lasciò prima il palazzo reale e poi la città, per fare ritorno alle Cinque Vie.
Sul sentiero che, attraversando il bosco, conduceva verso le sue terre, fu assalito da innumerevoli pensieri.
L’immagine di suo padre solo e malato l’affliggeva, come una lama che gli lacerava le carni.
I mesi passati senza scrivergli ora gli sembravano come un lungo periodo di perdizione, in cui aveva maturato vizi e pensieri che minavano i suoi valori ed ideali più alti.
Più si avvicinava a casa, più il senso di inquietudine cresceva.
Il suo animo si tormentava, afflitto dal rimorso e dal rimpianto.
Tutto ciò che prima gli dava gioia, tutti i suoi sogni, le aspettative per il futuro, il suo destino di cavaliere, ora gli apparivano senza senso e valore.
Così, come a volersi liberare da questi rimorsi, da queste inquietudine, lanciò in un furioso galoppo il suo cavallo, affondando nel ventre del veloce animale, i suoi speroni lucenti.
Le briglie tirò forte e con la voce incitò il suo destriero a divorare la via che lo separava dal suo amato padre.
Così, lanciato in quella furiosa corsa, come a voler fendere l’aria, in breve avvistò il castello delle Cinque Vie.
Un mare di ricordi lo raggiunse in quel momento.
E mentre una fresca brezza gli accarezzava i capelli, il suo viso fu rigato da amare lacrime.
http://www.corradoleoni.altervista.org/immagini/l%27isola_dei_morti600x332.jpg

(Continua...)

llamrei
28-10-2009, 21.46.29
....ero certa che in cuor suo...avrebbe voluto fortemente tornare dal padre...aveva bisogno solo di un incitamento...bravo Ardea

elisabeth
28-10-2009, 22.40.15
Ardea sta crescendo, ora il cavaliere sta imparando a conoscere la voce dell'anima...........e umilmente le lacrime gl solcano il viso, bravo ...sta costruendo il suo tempio interno........

Guisgard
28-10-2009, 23.33.58
Lady Llamrei, Ardea ha commesso un grande peccato.
Ma non ha mai smesso di amare suo padre. Tra loro c'è un legame che va oltre ogni cosa. Anche io non ho mai dubitato che sarebbe tornato dal suo amato padre.

Lady Elisabeth, diventare un uomo è forse la cosa più difficile.
Ma Ardea cela nel suo cuore un immane peccato. E similmente ad altri uomini come lui, il prezzo da pagare, quando si pecca, è molto più alto.
A volte, durante la notte, lo sento vagare dove nessuno può dargli conforto.
Dove non troverà una spalla su cui piangere o qualcuno che gli tenda la mano.
Ardea deve avere coraggio e dimostrare di essere forte.
Se lo sarà veramente, il suo cuore rappresenterà la "Pietra Angolare" per erigere il suo tempio interno.

elisabeth
28-10-2009, 23.39.15
Ardea ha fatto il primo passo.....e trovera' il coraggio di confessare il proprio peccato......lo ha gia' fatto con se stesso, la consapevolezza lo rendera' forte, l'umilta' vincitore

Guisgard
30-10-2009, 00.51.14
ARDEA DE' TADDEI

XXIX

“O padre, padre sventurato,
con quale gesto o con quale parola
potrei riuscire ad inviarti da lontano un prospero vento
là dove ti tiene il tuo giaciglio?
Alla tenebra è opposta la luce;
sono anche un pianto datore di gloria
i rendimenti di grazie
per gli Atridi sepolti davanti al palazzo.”
(Orestea, II)


Giunto al castello sentì forte un’atmosfera di oppressione e un profondo senso di vuoto.
Il cielo era grigio, coperto da gonfie nuvole scure che sembravano sul punto di vomitare sulla terra una collera senza fine. Di tanto i tanto i bagliori dei lampi squarciavano il cielo ed in lontananza si udivano i boati dei tuoni, segno che la tempesta era ormai vicina.
Un forte vento, asciutto e freddo, soffiava tra le alte torri del castello, diffondendo nell’aria un suono simile ad un sofferto gemito.
Sceso da cavallo, alcuni servitori gli andarono incontro, per accoglierlo come si conveniva.
E sulla porta Ardea vide, avvolto in un nero mantello, Vico d’Antò che lo fissava.
“Sei giunto, finalmente.” Disse il cavaliere.
“Come sta mio padre?”
Vico non rispose ed abbassò il capo.
“Dov’è? Rispondetemi!” Gridò Ardea.
Vico lo fissò e scosse la testa.
Poi si incamminò fino ad un cancello di ferro battuto che dava ad un giardino posto dietro il cortile del castello.
Ardea lo seguì e i due giunsero su una tomba di pietra che sorgeva tra gli sterpi.
Sulla croce della tomba era posto il ciondolo con il gufo e la rosa.
Ardea si gettò sulla nuda pietra di quella tomba e cominciò a piangere ed a gridare.
Intanto i boati e le folgori erano sempre più minacciose e dal cielo sembrava sul punto di cadere una pioggia incandescente.
Il vento soffiava forte, percorrendo in lungo e in largo la campagna, per finire poi contro le alte mura del castello.
“Ha atteso il tuo ritorno fino allo stremo delle forze.” Iniziò a dire Vico. “Poi, alla fine, la malattia lo ha vinto.”
Ardea intanto non smetteva quel pianto doloroso e sul viso, poggiato alla base della tomba, le lacrime si mischiavano al fango.
Poi, alzato il volto al cielo, iniziò ad inveire contro se stesso e contro la sua follia, fino a quando, vinto dal dolore e dal rimorso, iniziò a sbattere il capo contro la croce di pietra della tomba.
Occorsero Vico e tre servitori per fermarlo e portarlo in casa a forza.
Ardea scacciava ed insultava quegli uomini, posseduto com’era dalla disperazione più profonda.
Ma alla fine, con il capo sanguinante e senza più forze, cadde vinto ed addormentato.
Dormì tre, forse quattro giorni, nei quali sognò sempre suo padre.
Quell’immagine gli appariva come una visione, uno spettro, che dall’aldilà, con il solo sguardo, lo tormentava.
Quando si svegliò, il dolore fu ancor più intenso.
Passarono così altri giorni, densi di dolore ed amarezza, dove Ardea ormai appariva come un vuoto sepolcro, senza ambizioni o scopi.
Trascorreva il tempo stando accovacciato sulla tomba di suo padre o fissando l’orizzonte sterminato da una delle torri.
E un giorno, mentre era presso la tomba, Vico lo raggiunse.
“Non ti crucciare oltre” disse “o presto lo raggiungerai.”
Ardea non rispose.
“Egli ti volle qui” continuò Vico “perché tu potessi prendere un giorno il suo posto. E quel giorno è giunto.”
“Io non sono degno di essere suo figlio” rispose Ardea “e meno ancora il suo successore.”
“E’ il dolore che ti spinge a dire questo.”
“No, è l’immagine che ho di me a farmi dire questo.”
“Anni di sacrifici e allenamenti” disse Vico “gettati quindi al vento!”
“Si” rispose Ardea “al vento. E proprio dal vento vorrei farmi portar via l’anima.”
“Quindi tutto questo è destinato a perire?”
“Perirebbe se io diventassi duca.”
“Tuo padre è morto solo e povero” disse Vico “non togliergli anche l’onore!”
“Povero?” Chiese sorpreso Ardea.
“Si, povero. Poverissimo.”
“Cosa dite mai?”
“Ciò che gli è rimasto” rispose Vico indicando il castello “è solo questo.”
“Siete pazzo? O forse sono io che ho perso il senno?”
“Il duca ormai da due anni non riscuoteva più i tributi dalle sue terre. Malato e stanco non ha potuto più richiedere ciò che gli spettava ai suoi vassalli.”
“E non vi era nessuno” chiese sconvolto Ardea “che potesse, in nome suo, riscuotere i tributi?”
“Nessuno qui era capace di tali imprese.” Rispose Vico. “Solo lui era in grado di risolvere queste che amava chiamare Questioni.”
“Questioni?”
“Si” rispose Vico “e sperava che tu, una volta ritornato, le avresti risolte al suo posto. Ma il giorno del tuo ritorno egli non ha potuto vederlo, morendo così solo e impoverito.”
In quel momento il vento soffiò ancora più forte, mentre ormai l’oscurità dal cielo era scesa sulla terra, avvolgendo ogni cosa come un manto spettrale.
http://www.lucatarlazzi.com/public/celti071.jpg

(Continua...)

Guisgard
02-11-2009, 00.35.18
ARDEA DE' TADDEI

XXX

“E sventurato anche Esone: meglio
sarebbe stato per lui se già prima,
avvolto dentro un sudario, giacesse
sottoterra e non sapesse di questa
orribile impresa.”
(Le Argonautiche, I, 253)


Ardea fissava sconvolto Vico, quasi incredulo a ciò che udiva.
“Sventurato padre mio” disse con un filo di voce “morto povero e solo.”
Poi si lasciò cadere, pesantemente, ai piedi della tomba.
“Non vi sono più uomini al servizio del duca.” Disse Vico. “Io sono l’ultimo rimasto.”
“Fuggiti?” Chiese Ardea senza alzare mai lo sguardo da terra.
“Fuggiti o morti.”
“Morti?”
“Si.” Rispose Vico. “Una squadriglia di suoi fedelissimi fu inviata a riscuotere i tributi, viste le cattive condizioni del duca. Ma quegli uomini non fecero mai più ritorno.”
“Cosa accade loro?”
“Nessuno lo sa.” Rispose Vico. “L’unica cosa certa è che qualcosa di oscuro si cela nelle sette contrade che formano le terre Delle Cinque Vie!”
“Qualcosa di oscuro? Che cosa intendete dire?”
“Quello che ho detto.” Rispose vico, fissandolo negli occhi. “Il male ormai dimora in queste terre!”
“Siete pazzo!”
“Guardati intorno” disse Vico, indicandogli tutto ciò che li circondava “in questo castello ci siamo solo io, te e qualche vecchio servitore. Gli altri sono morti o fuggiti, al soldo di chi fosse in grado di pagare i loro servigi.”
Ardea si accasciò sulla tomba e cominciò ad accarezzare quella nuda pietra, sotto la quale riposava l’amato padre.
“Io stesso” riprese a dire Vico “implorai più volte il duca di inviarmi a riscuotere i tributi. Ma egli non volle mai affidarmi tale compito. Diceva che presto saresti tornato e che solo tu eri in grado di risolvere quelle che egli chiamava Questioni.”
Il vento in quel momento iniziò a soffiare più forte, rendendo limpido e stellato l’infinito cielo della sera.
Ardea allora, come destato da un improvviso impulso, baciò il medaglione del gufo con la rosa che pendeva dalla croce della tomba e si alzò di scatto.
“Vico” disse voltandosi verso quel cavaliere “per domani fatemi avere una mappa delle Cinque Vie, con tutte le contrade che ne fanno parte.”
“Cosa hai mente di fare?”
“Quello che mio padre si aspettava da me.”
“Non puoi partire per una simile impresa” gli intimò Vico “non ci sono più uomini che possano scortarti!”
“Non ne ho bisogno.” Rispose sicuro Ardea. “Questo è un compito per me solo!”
“E’ follia!”
“Se valgo almeno la metà di mio padre” sentenziò Ardea “allora riuscirò in questa impresa!”
“Guardati” gli disse Vico “sei stanco, confuso, stravolto fin dentro l’anima! Non sei in grado di partire per questa missione!”
“Vico” rispose Ardea “negli ultimi tre anni ho combattuto in giostre, duelli e tornei. Il mio dardo aveva come bersaglio lo sguardo di qualche bella dama e la mia spada non ha bevuto altro che frigidi onori e illusori consensi.”
“Ardea, non capisci…”
“No, Vico” l’interruppe Ardea. “Non comprendete le mie parole. Io fui armato cavaliere per compiere grandi e nobili gesta. Non per fare bella mostra in una corte, per conquistare l’ammirazione dei miei pari e stappare un si ad una bella dama!”
“Ardea, capisco cosa provi” disse Vico “ma parli così solo a causa del dolore che ora ti affligge.”
“No, Vico” riprese a dire Ardea “non potete comprendere cosa provo. Solo mio padre, se fosse vivo, potrebbe capirlo. E' per lui che faccio tutto questo.”
“Perché? Ormai egli è morto.”
“Perché non si dica che sia morto povero e senza più il controllo sulle sue terre. Ha perduto un figlio, ma non perderà l’onore!”
“Sei quindi deciso…”
“Si, lo sono. E ho un anno di tempo per risolvere tutte e sette le Questioni.”
“Un anno?” Chiese stupito Vico.
“Si, un anno…”
A quelle parole, sul volto di Ardea, calò un’ombra che oscurò il suo luminoso sguardo. Mentre in lontananza, il soffio del vento sembrava preannunciare ostili ed infausti auspici.
http://www.1st-art-gallery.com/thumbnail/172225/1/Hamlet-The-Churchyard-Scene.jpg

(Continua...)

Guisgard
04-11-2009, 01.07.53
ARDEA DE' TADDEI

XXXI

“Marcello
Orazio dice ch’è una nostra ubbìa
e non vuol lasciarsi prendere dall’orrida
apparenza che abbiamo scorto già due volte.
L’ho pregato perciò di starsene con noi stanotte,
in modo che se l’apparizione tornasse egli possa
parlarle e credere infine ai nostri occhi.”
(Amleto, I, 1)


L’oscurità avvolgeva, densa e spessa, l’alta torre.
Le nuvole, dominate dal forte vento, si gonfiavano e si rincorrevano in un infinto vortice.
La torre sembrava quasi voler arrivare in cielo, tanto era alta.
Ma quel cielo, tormentato dalle inquiete nuvole e dal poderoso vento, pareva voler respingere sulla terra la maestosa costruzione.
E su quella torre Ardea era solo, a fissare l’orizzonte sterminato e buio.
Intorno a lui vi era solo un profondo silenzio, attraversato dall’impetuoso e tumultuoso soffio del vento.
Ad un tratto udì delle grida.
Provenivano camminamento di ronda. Si voltò per capire cosa stesse accadendo, ma fu raggiunto da due guardie che recavano torce ed armi con loro.
“Milord” disse una di quelle “dovete rientrare, non è prudente stare qui in quest’ora.”
“Che ora è mai questa?” Chiese Ardea.
“L’ora in cui gli spiriti vagano per tormentare i vivi!” Rispose l’altra guardia.
“Devo finire il mio giro d’ispezione!”
“Ma, signore, non capite! Non è prudente restare qui!”
“Non seccatemi!” Rispose irritato Ardea. “Ritornate ai vostri posti, è un ordine!”
Le guardie, senza esitare, obbedirono a quel comando.
Restato solo però, Ardea s’accorse che il vento era diventato di colpo più freddo.
Sentì quindi il bisogno di stringersi il mantello sulle spalle, per cercare tepore da quell’improvviso gelo.
Alla fine, vinto dal freddo, decise di rientrare.
Ma un rumore di passi attirò la sua attenzione. Si voltò di scatto ma non vide nessuno.
Una profonda inquietudine si impossessò di lui.
Il sibilo del vento si fece simile ad un sinistro lamento.
Udì in quel momento il canto del gufo che proveniva dall’oscurità che avvolgeva l’alta torre.
Cercò di riconoscerlo tra il buio della notte, ma non vide niente.
Ma ad un tratto, alzando gli occhi verso la sua destra, notò una figura alta e delicata, dai tratti spettrali e circondata da un pallido alone.
“Chi è là?” Gridò Ardea,
La figura non rispose.
“Chi è che si nasconde nell’oscurità?” Gridò ancora Ardea. “Annunciati o assaggerai la mia spada!”
La figura continuò a restare in silenzio e iniziò ad avvicinarsi ad Ardea.
“Fermati!” Intimò il ragazzo. “Un altro passo e ti infilzerò!”
Ma la figura, silenziosa, muta continuava ad avvicinarsi.
Il vento cessò all’improvviso e con esso il suo lamento.
Ardea estrasse rapido la spada.
“Fermati, chiunque tu sia!” Gridò a quella misteriosa immagine.
In quel momento un lontano ma straziante gemito si udì diffondersi nell’aria.
Ardea avvertì un sordo dolore nel suo cuore.
E improvvisamente, dalla porta che dava alle scale della torre, si sentirono dei passi.
Passi pesanti, stanchi, che però echeggiavano tanto forte da far vibrare la porta dietro la quale provenivano.
Ardea voleva aprire quella porta e scoprire chi stesse arrivando, ma temeva di dare le spalle alla spettrale figura bianca.
I passi si facevano sempre più vicini e forti, tanto da far scricchiolare la porta di legno.
Ardea si voltò verso la misteriosa figura simile ad un spettro, ma non c’era più.
Allora corse verso il bordo della torre dove si trovava fino ad un momento prima e guardò in basso.
E nel giardino sottostante vide la tomba di pietra sotto quale riposava suo padre.
In quel momento un tonfo tentò di sfondare la porta di legno alle sue spalle.
Un secondo colpo, ancor più vigoroso, riuscì a spaccare le cerniere che la fissavano alla parete di pietra.
E da quella porta di nuovo si udì quel delirante gemito udito poco prima.
Dalla soglia buia allora prese forma una ciclopica e nera figura, ricoperta da una spessa corazza.
Ardea riconobbe il misterioso cavaliere comparso a corte e con il quale, tra un anno, l’attendeva un mortale duello.
Immobile ed incredulo, il ragazzo non ebbe il tempo di capire che il cavaliere lo stava assalendo e solo all’ultimo, con uno scatto, riuscì ad evitare il fendente della sua spada.
Ma quel passo all’indietro gli fu fatale. Perse l’equilibrio e dal bordo cadde nel vuoto.
Si alzò di scatto e gridò.
Il sudore gli copriva il viso e sentiva il cuore battergli come impazzito.
“Era…era solo un sogno…” Disse fra se, mentre i primi raggi dell’alba iniziavano a dissolvere il buio della sua stanza.
http://farm4.static.flickr.com/3189/2287405379_5c9012c8bc_o.jpghttp://farm4.static.flickr.com/3189/2287405379_5c9012c8bc_o.jpghttp://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/38/John_Gilbert_-_Hamlet_in_the_Presence_of_His_Father%27s_Ghost.JP G

(Continua...)
http://farm4.static.flickr.com/3189/2287405379_5c9012c8bc_o.jpg

llamrei
04-11-2009, 11.08.17
E' inquietante.....:eek:....per fortuna era stato solo un sogno.....

Guisgard
04-11-2009, 19.56.14
Milady, quando si porta nel cuore una colpa tanto opprimente e lacerante, anche i sogni, solitamente eterea dimora dei nostri desideri e pensieri più intimi, diventano dimora dei nostri tormenti.
Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, diceva: "Strane ed arcane forze, benigne o maligne che siano, ruotano attorno ad ogni uomo, influenzandone la condotta, i giudizi ed i pregiudizi."

Guisgard
05-11-2009, 00.54.26
ARDEA DE' TADDEI

XXXII

“Così bolliva sempre di quell’angoscia
storica, il figlio diHealfdene. Né il saggio
eroe riusciva a schermare la pena: troppo
forte il conflitto toccato alla sua terra, troppo
odioso e durevole: oppressione, violenza, astio
feroce, grave piaga notturna.”
(Beowulf, III, 189)


Per tutto il giorno l’inquietudine, frutto di quell’arcano sogno, lo accompagnò costantemente.
Il tempo era grigio e sembrava diffondere nell’aria una velata apatia.
Il vento dei giorni scorsi si era fermato e tutto il paesaggio che circondava il castello pareva assumere i contorni di una visione incantata, quasi irreale.
Ardea era, come quasi sempre, presso la tomba di suo padre.
Ad un tratto lo raggiunse Vico.
“Stamani il gallo per te ha cantato presto.” Disse ad Ardea.
“Ormai per me” rispose Ardea senza voltarsi verso Vico “le notti sono solo lunghi tormenti.”
“Spero ti abbia portato consiglio però questa notte.”
“Consiglio…”
“Si” disse Vico “per abbandonare il tuo folle proposito.”
“La follia” rispose Ardea, scrutando il cielo, quasi a volerlo interrogare “mi ha accompagnato negli ultimi quattro anni.”
Vico gli si avvicinò.
“La vita è tua, ragazzo mio.” Gli disse portandogli una mano sulla spalla.
“Mi avete preparato ciò che vi ho chiesto?” Chiese Ardea.
“Si, ecco la mappa delle Cinque Vie!”
Ardea srotolò la pergamena e cominciò a leggere ciò che su essa era inciso.
“Le Cinque Vie” cominciò a dire Vico “sono formate da sette contrade; la valle della Maddola, i Cancelli di San Felice, Caivania, Cardizia, Frattagrande, Casorre ed Acerna.”
“Ognuna è retta da un vassallo del duca è su tutte è imposto un tributo annuo.” Concluse Vico.
“Un tributo che però da due anni nessuno più paga.” Disse Ardea fissando Vico negli occhi.
“Già” rispose questi “e nessuno di noi ne conosce i motivi.”
“Probabilmente” disse Ardea “venuti a conoscenza della cattiva salute del duca, i suoi vassalli ne hanno approfittato per liberarsi dal tributo!”
“Lo escludo!” Rispose sicuro Vico. “Il duca nutriva la massima fiducia verso i suoi sottoposti. E questi gli sono sempre stati devoti e leali! E tu sai bene che il duca non era uno sciocco!”
“E’ nei momenti difficili” disse disilluso Ardea “che si vede la vera devozione e fedeltà.”
Vico, capendo che il ragazzo alludeva a se stesso, non rispose a quelle parole.
“Vico” riprese a dire Ardea dopo un momento di silenzio “tra tre giorni partirò per risolvere queste sette Questioni ed a riscuotere i tributi.”
“Sei quindi deciso…”
“Si” gli rispose “e so che posso contare sulla vostra lealtà verso il nome di mio padre.”
“Comanda ed io ti servirò!”
“Fra tre giorni fatemi avere tutto l’equipaggiamento necessario per questa impresa.”
“Ci penserò io.” Rispose Vico, che poi aggiunse: “Portami con te!”
“No” rispose Ardea “non possiamo lasciare incustodito il castello. E poi questo è un compito per me solo!”
“Ormai su questo castello” disse Vico “governano il vento e la solitudine. Qui sono inutile, mentre al tuo fianco ti aiuterei a risolvere le sette Questioni.”
“Vico” disse Ardea stringendogli la mano in segno di amicizia fraterna “io devo andare incontro al mio destino. Se morissi in questa impresa, almeno uno di noi resterebbe a difendere ciò che è rimasto.”
I due si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi si chinarono entrambi sulla tomba per pregare ed invocare dal Cielo la benedizione su quella disperata impresa.
http://graphics.ink19.com/magazine/screenReviews/kingdom1.jpeg

(Continua...)

Guisgard
06-11-2009, 01.14.24
ARDEA DE' TADDEI

XXXIII

“Con il ramoscello sferza la
groppa del cavallo che corre via:
senza inciampare, lo porta a grande
andatura nella foresta oscura.”
(Perceval o il Racconto del Graal)


La mattina del terzo giorno, quello che Ardea aveva fissato per la partenza, tutto era pronto.
Vico aveva preparato una delle armature che il duca aveva voluto per suo figlio quando sarebbe tornato col titolo di cavaliere.
Dalle scuderie condusse un magnifico cavallo dal pelo rossastro e dalla criniera che pareva d’argento.
“Questo formidabile destriero” disse ad Ardea “tuo padre voleva donartelo, come degna cavalcatura per un cavaliere. Non credo ne esista uno simile in tutta Afragolignone.”
“E’ magnifico.” Disse Ardea.
“Quando fu condotto al castello” aggiunse Vico “nessuno riuscì a domarlo. Il duca lo tenne per le redini, lo fissò negli occhi e, montatogli in sella, gli morse un orecchio fin quando questo fiero sauro ebbe la forza di scalciare. Alla fine cadde stremato, vinto dalla determinazione e dall’abilità del duca.”
“Lo domò per me…” Disse Ardea accarezzando quel cavallo.
“Si” rispose Vico “per te. Il suo nome è Arante!”
Per un istante Ardea restò in silenzio, osservando quel bellissimo cavallo. Poi destatosi dai suoi pensieri, preparò le ultime cose per la partenza.
“Qui vedo lo scudo, la lancia, la scure ma non la spada!” Disse osservando il suo equipaggiamento. “Non ci sono più spade?”
“Seguimi!” Gli disse Vico.
I due giunsero alla cappella di palazzo.
Entrarono e Vico si inginocchiò e si segnò con la croce. Ardea fece altrettanto.
Poi Vico raggiunse l’arca di pietra posta davanti all’altare e ne estrasse il contenuto.
“Ecco la tua spada, cavaliere.” Disse porgendogli l’arma contenuta nell’arca.
“No” rispose stupito Ardea “Parusia no!”
“Era la spada di tuo padre” disse Vico “e sono sicuro che egli avrebbe voluto che tu la portassi con te.”
“Non sono degno di questa magnifica arma!” Rispose Ardea rifiutandosi di toccarla.
“Non è un premio, Ardea, ma un aiuto in questa tua impresa.”
“E’ un’arma sacra! Non posso portarla con me!”
“E’ l’occasione giusta per adoperarla!” Affermò Vico “Sei da solo contro l’ignoto. Ella ti darà almeno una possibilità di riuscita.”
“Non ne sono degno!”
“La adopererai solo per risolvere le Questioni. Al tuo ritorno la deporremo di nuovo nell’arca.”
“E sia…mi auguro di non disonorarla.”
“Tuo padre” disse Vico “avrebbe voluto che tu un giorno potessi brandirla.”
In quel momento nella cappella entrò un monaco coperto da un cappuccio.
Salì sull’altare e cominciò a celebrare la santa messa.
Vico ed Ardea l’ascoltarono e parteciparono al banchetto Eucaristico.
Conclusa la mistica recitazione, Ardea si apprestò a partire.
Abbracciò forte Vico, senza che nessuno dei due disse nulla.
Poi, montato in sella ad Arante, commosso salutò il suo amico.
“Addio” disse “e che Dio ti protegga.”
“E faccia lo stesso con te.” Gli rispose Vico.
A quel punto nulla poteva più trattenerlo al castello.
Uscì quindi dal maniero e si apprestò a seguire il sentiero che conduceva nel folto e misterioso bosco.
Il cielo era luminoso ed un asciutto vento schiariva l’aria, disegnando perfettamente le forme dei monti che tutt’intorno racchiudevano quel paesaggio.
Percorse solo pochi passi, quando notò una lontana sagoma provenire dal bosco.
Era a cavallo e veniva verso il castello. Si accorse di Ardea e, dopo un attimo di titubanza, gli si avvicinò.
Canticchiava una canzone e sembrava che gli uccelli del bosco, con i loro melodici cinguettii, lo accompagnassero in quel suo curioso motivetto.
http://www.illusionsgallery.com/Parzival-L.jpg

(Continua...)

Guisgard
09-11-2009, 00.28.05
ARDEA DE' TADDEI

XXXIV

“<<In quanto a questo>> replicò Gurth
<<non tradirò mai un amico, nemmeno
se minacciano di scuoiarmi. Ho la pelle
dura, io, e sopporta il coltello e la frusta
quanto quella di un maiale del mio branco.>>”
(Ivanhoe, X)


“Chi vive?” Gridò Ardea.
“Io so chi sono” rispose la voce del viaggiatore mentre si avvicinava “voi piuttosto, chi siete?”
“Avanza ed annunciati, menestrello!” Intimò Ardea.
“Non sono un menestrello!” Rispose il viaggiatore.
“Ma questa voce…”
“Viva il re!” Gridò il viaggiatore.
“Non può essere….Biago!” Esclamò sorpreso Ardea.
“Proprio lui!” Rispose divertito Biago.
I due si raggiunsero e si abbracciarono.
“Cosa ti spinge quaggiù?” Chiese Ardea.
“A corte” rispose Biago “io e mio padre abbiamo finito di riparare le armature danneggiate dal tuo misterioso sfidante. Ormai lì, per me si batteva troppo la fiacca!”
Ardea rise di gusto.
“Tu piuttosto” chiese Biago “come te la passi?”
Ardea si incupì. Poi dopo alcuni istanti rispose:
“Purtroppo mio padre è morto. Non ho fatto in tempo neppure per salutarlo un’ultima volta.”
“Fatti forza, amico mio.” Gli disse abbracciandolo forte Biago.
“Mi spiace che non potrai trovare grande ospitalità al castello.” Disse Ardea. “Ormai è quasi disabitato. Su queste terre sembra essere calata madonna Miseria.”
“Non starci a pensare” rispose Biago “sai bene che non sono affatto abituato al lusso ed allo sfarzo. Mi basterà la tua compagnia.”
Mi spiace, mio buon amico” rispose sconsolato Ardea “sono in partenza.”
“E dove sei diretto?”
“Devo percorrere in lungo e in largo questo feudo.”
“Per quale motivo?”
“Sono ormai due anni che nessuno dei vassalli di mio padre versa più i tributi.”
“E vai a riscuoterli da solo, senza scorta?”
“Un manipolo di guardie fu già inviato dal duca a richiedere ciò che gli spettava” rispose Ardea “ma non fece più ritorno.”
“E tu vorresti riuscire da solo dove molti hanno fallito?”
“Ormai sono rimasto io solo per questo compito. Lo devo al nome di mio padre.”
Biago lo fissò per qualche istante, poi disse:
“Ho capito! Hai deciso di farti ammazzare prima di incontrare ancora il misterioso cavaliere apparso a corte nel giorno dell’Assunta!”
“Hai il pessimo difetto” rispose seccato Ardea “ti trasformare ogni situazione in una farsa comica.”
“Veramente chi dice cose assurde sei tu, mio buon amico.”
“Cosa puoi saperne tu!” rispose infastidito Ardea. “Con te perdo solo il mio tempo. Il castello è laggiù; lì troverai l’ultimo fedele di mio padre. Digli chi sei ed egli ti ospiterà. Addio.”
“Forse non sarò esperto di cavalleria come te” gridò Biago all’amico che gli aveva appena voltato le spalle per incamminarsi verso il bosco “ma posso vantarmi di conoscere bene le armi. E tu dovresti ben ricordarlo, se non erro!”
“Cosa vuoi da me?” Gli chiese Ardea voltandosi indietro.
“Voglio venire con te!”
“Sei pazzo!” Rispose ironico Ardea. “Non è lavoro per te, maniscalco!”
“Eppure, un giorno, venisti da me a chiedere il mio aiuto, ricordi?”
“Era una faccenda totalmente diversa!”
“Era un fatto d’armi” rispose Biago “come lo è ora. Né più, né meno!”
”Al torneo di Capo degli Orafi tu dovevi solo farmi da scudiero” disse Ardea “qui invece non so cosa mi aspetta in ognuna delle contrade di questo feudo che visiterò. Sarebbe troppo rischioso per te. Ed inoltre potresti essermi d’intralcio!”
“E se si dovessero danneggiare le tue armi?” Chiese Biago “Se la tua corazza avesse bisogno di riparazioni? Ad ogni cavaliere, per ogni impresa, occorre uno scudiero!”
“Non qui” rispose deciso Ardea “basto io da solo.”
“Un tempo” esclamò Biago “chiedesti il mio aiuto. Ed io, contro ogni logica ed ogni regola ti fui accanto. Ora ti chiedo di ripagare quel favore.”
“Quest’impresa potrebbe celare insidie terribili. Pericoli inimmaginabili…”
“Abbiamo sfidato la collera del re, ricordi?” Rispose Biago. “Cos’altro potrebbe spaventarci!”
Ardea fissò il suo amico, quasi convinto dall’ardore delle sue parole.
“E sia.” Disse Ardea. “Però dovrai giurare di obbedirmi sempre. In ogni occasione.”
“Sarò il più devoto e leale degli scudieri!”
“E in ogni pericolo dovrai farti da parte. Mi starai lontano di cento passi, ogni volta sarò impegnato in uno scontro!” Sentenziò Ardea.
“Lo giuro.” Rispose Biago.
Una stretta di mano sancì quel fraterno patto.
Poi i due si incamminarono lungo il sentiero, fino ad essere inghiottiti dal lussureggiante e misterioso bosco che, come la porta del destino, sembrava segnare il passo verso l’ignoto.
http://www.sfondocellulare.com/m_pictures/thumbs/rami-bosco.jpg

(Continua...)

llamrei
09-11-2009, 10.08.43
Vera Amicizia. Mi chiedo se sia possibile un tale sentimento anche nella vita di tutti i giorni. Senza inganni e a prescindere.
Ammiro questi due personaggi

elisabeth
09-11-2009, 12.00.58
Lady Llamrei, avete colpito nel segno....ho letto con attenzione tutta la storia, in essa si racchiudono tutte le vicissitudini che ci accompagnano nella vita, la gioia e il dolore sempre compagne.......e l' amicizia...il puro sentimento cio' che pensi e senti a "priscindere"......purtroppo non credo che nella maggior parte delle volte possa accadere........il sentimento e le belle parole......nell' amicizia e in qualsiasi altro rapporto.....ahime' sono sempre a " priscindere"...........

Guisgard
09-11-2009, 18.45.10
Mie delicate dame, ciò che dite è vero.
Madonna Amicizia e Messer Amore, sono i compagni migliori che un uomo possa chiedere a questo mondo.
Trovare il vero amore, come la vera amicizia, forse dipende più da un privilegio del Fato che dall'abilità dell'uomo.
L'immenso Laurence Olivier diceva spesso che la vita è come un grande film, capace di raccontare le storie più belle.
Ma le storie, per essere tali, hanno bisogno di grandi interpreti.
La ricerca del vero amore, come quello della vera amicizia, è un'eterna viaggio che ognuno di noi fa.
E i più fortunati troveranno questi degni interpreti, che faranno davvero della nostra vita la più grande storia mai raccontata.

Guisgard
10-11-2009, 01.45.37
ARDEA DE' TADDEI

XXXV

I° QUESTIONE: CAIVANIA, IL GREGGE DI TRAMANTO

“Sembrava quasi che gli spiriti del canto
non potessero concedere al loro protettore
un segno più amabile di gratitudine che questa
figlia, la quale possedeva tutto ciò che la più soave
immaginazione poté riunire in una tenera figura di
fanciulla.”
(Enrico di Ofterdingen, III)


Il lungo e solitario sentiero percorreva, tagliandolo da occidente, il folto bosco, fino a giungere nelle terre di Caivania.
Questa era la contrada più vicina ai territori del castello ducale. Racchiusa da questa densa e compatta macchia verde, Caivania sorgeva su terre assai fertili e da sempre aveva sostenuto un tributo per il duca.
Ma mentre erano ormai prossimi alla porta della contrada, Ardea e Biago furono colti dal crepuscolo.
“E’ inutile andare oltre” disse Ardea “sono posti sconosciuti per noi questi, meglio accamparci e riprendere il cammino domattina.”
All’improvviso però i due furono destati da un poderoso rumore di passi. Un attimo dopo una veloce e solida carrozza li raggiunse e li superò.
Il passo del veicolo era ben lanciato, ma non tanto da impedire ad Ardea di scrutarne l’interno.
E vide alcune donne. Ma solo su una cadde la sua attenzione.
Aveva un velo bianco attorno al collo, che incorniciava in maniera sublime un viso bellissimo e perfetto, dalla pelle come alabastro e dagli occhi chiarissimi.
Un cappello di stoffa annodata attorno al capo non teneva dietro tutta la sua bellissima chioma, nerissima come le piume di un corvo.
La corsa della carrozza permise solo per un breve istante questa paradisiaca visione ed Ardea ne fù completamente rapito.
“Io non so quanto potrò ancora vivere” pensò Ardea “se un giorno, un mese, un anno o cento. Però so che fino a quando il mio cuore pulserà e la mia anima mi apparterrà io non amerò altra donne che te!”
“Che fretta!” Esclamò Biago. “Per poco quella carrozza non ci travolgeva! Ma dove è diretta?”
“Non lo so” rispose Ardea “ma voglio scoprirlo!”
E si lanciò all’inseguimento, con Biago che lo seguì a ruota.
Dietro la corsa della carrozza, i due arrivarono in una radura buia ed irregolare. Al centro della quale sorgeva una piccola locanda.
Appena giunta, la carrozza fu fatta fermare dietro l’abitazione e lo steccato che racchiudeva quello spiazzo fu chiuso subito.
Ardea e Biago allora, impossibilitati ad avvicinarsi a coloro che scendevano da quella carrozza, legarono i cavalli fuori la locanda ed entrarono dentro.
Subito l’oste si avvicinò e li fece accomodare accanto al fuoco acceso, che rianimò con della legna secca.
Comandò poi ad un dei suoi figlioli di occuparsi dei cavalli dei nuovi clienti e servì a costoro del buon vino della casa.
“Una capra verde come insegna!” Disse ad alta voce Biago. “Come mai?”
“Capre e pecore” rispose l’oste mentre portava a tavola altro vino “se ne vedevano in abbondanza una volta da queste parti.”
“Ed ora invece?” Chiese Biago.
“Ora invece la terra di questi luoghi non da più buoni frutti come un tempo.”
“Carestia?” Chiese ancora Biago.
“Si…diciamo così.” Rispose l’oste. “I signori avranno fame, immagino. Mia moglie ha ancora sul fuoco uno sformato di carne e verdure davvero ottimo. Ve ne servo un po’?”
“Certo!” Rispose euforico Biago. “E innaffiatelo con altro vino, amico mio!”
“Sentito?”Disse Biago rivolto ad Ardea, “Sembra che qui ci sia una carestia.”
Ardea non fece caso a quelle parole. In realtà non aveva minimamente prestato attenzione alla conversazione del suo scudiero con l’oste.
Nei suoi pensieri vi era solo quel bellissimo volto visto poco prima in quella carrozza. E fremeva di sapere a chi appartenesse.
“Cos’hai?” Chiese Biago.
“Nulla…” Rispose assente Ardea.
“Sarà, ma mi sembri strano.”
“Non hai visto i passeggeri di quella carrozza che abbiamo incrociato nel bosco?”
“Incrociato?” Rispose lesto Biago. “Per poco non ci investiva!”
“Vi era una ragazza dentro.”
“E sei riuscito a vederla?” Chiese stupito Biago. “A quella velocità io a stento ho visto la carrozza!”
“Perché si sono fermati dietro la locanda?” Chiese Ardea.
“Chissà, forse sono di casa. O magari sono persone importanti.”
“Voglio chiederlo all’oste!”
“Lascia perdere!” Rispose Biago. “Mia nonna mi diceva sempre che la troppa curiosità chiama i guai!”
“Se i guai hanno il suo aspetto” disse Ardea “allora spero di incontrarne ogni giorno!”
In quel momento arrivò l’oste per servire la cena.
“Che profumino!” Esclamò Biago. “Amico mio, questo sformato canta!”
“A chi appartiene quella carrozza ferma dietro la locanda, dite?” Chiese Ardea.
“A certi gran signori, messere.” Rispose l’oste.
“Che signori?” Chiese Ardea, dominato dalla curiosità.
“Forestieri, credo. Sono di passaggio e pare non vogliano essere disturbati.”
Finito di cenare, Ardea uscì all’aperto.
Giunto dietro la locanda vi trovò un uomo addormentato di guardia alla carrozza.
Notò al piano superiore dell’edificio un luce provenire da una finestra.
Vinto dalla curiosità, l’indomito ragazzo, con fare ardito, si arrampicò sul capanno delle stalle e si accostò alla finestra.
Udì allora un rumore provenire dalla stanza e per prudenza saltò giù nello spiazzo.
Un momento dopo la finestra si aprì ed una donna si affacciò nel buio della sera.
http://www.idreamofhollywood.com/images/etparwen21.jpg

(Continua...)

Guisgard
12-11-2009, 02.45.51
ARDEA DE' TADDEI

XXXVI

“E cos’è l’amore, se non una pazzia
mite, un’amarezza che soffoca,una
dolcezza che da sollievo?”
(Romeo e Giulietta, I, I)


Quella donna con una lampada scrutò con fare sospettoso l’oscurità sottostante la finestra.
Era una donna pasciuta e dall’aspetto severo quella che si era appena affacciata.
“Mia signora” gridò Ardea dal buio dello spiazzo “sono qui!”
“Per l’amor del Cielo!” Esclamò la donna. “Chi siete e cosa volete a quest’ora?”
“Cercavo una damigella…”
“Una damigella?” Rispose seccata la donna “E la cercate qui, svegliando la gente che dorme?”
“Sono sicuro che è passata da queste parti, mia signora!”
“Non ci sono damigelle per voi qui” tuonò la donna “ora allontanatevi o chiamerò uno dei guardiani!”
“Lasciate che ve la descriva” implorò Ardea “forse davvero l’avete intravista.”
La donna sbuffò spazientita.
“E’ una bellissima fanciulla” continuò a dire Ardea “ha la pelle bianca come la porcellana e vellutata come una pesca. Gli occhi sono quelli di una colomba e i capelli più scuri di una limpida notte d’inverno senza Luna!”
“Siete forse un poeta?” Chiese sempre più irritata la donna.
“No, signora” rispose lesto Ardea “sono un cavaliere errante.”
“Comunque, come vi ho detto” disse la donna “qui non c’è nessuna damigella che vi sta attendendo. Quindi allontanatevi, di grazia!”
“Sono io che cerco lei!”
“Messere, volete che chiami i guardiani? Se siete un cavaliere, allora non dimenticate le buone regole della cortesia e lasciateci dormire!”
Detto questo, la donna rientrò e chiuse la finestra.
Ma da dietro la tendina della finestra si mostrò un volto di ragazza.
Questa guardò Ardea coprendosi il volto con un velo, lasciando scoperti solo i suoi bellissimi occhi.
E dopo alcuni istanti richiuse la tendina, sparendo nel buio della stanza.
Ardea l’aveva però riconosciuta: era la ragazza della carrozza.
“Allora ella è davvero in quella stanza!” Pensò tra sé.
“Oh cielo notturno…mi hai donato una delle tue scintillanti stelle! Ma come si raggiunge una stella? Gli uomini possono solo sfiorare con i loro desideri quelle cadenti!”
Poi andò a sedersi sotto un alto albero.
“E il Cielo ben conosce i miei desideri e ciò che più sogno in questa notte che pare incantata.”
Poi, dopo aver sospirato ancora un po’ sotto l’immensità del firmamento, rientrò nella sua stanza.
Biago dormiva pesantemente.
Ardea invece restò alla finestra, invocando presto il sonno, per sognare la sua bellissima ninfa.
Poco dopo, all’albeggiare Biago si svegliò.
Voltandosi vide il letto di Ardea vuoto.
Si alzò di scatto e si accorse che il suo amico era addormentato accanto alla finestra.
Gli si avvicinò e lo coprì con una coperta.
“La notte è stata umida.” Pensò fra se.
Ma Ardea, si destò in quello stesso istante.
“Buongiorno, amico mio!” Disse sorridente Biagio.
“Ho la schiena a pezzi…”
“Immagino” gli rispose Biago “quella nuda pietra sembra tutt’altro che comoda!”
“Già…” Rispose Ardea massaggiandosi la schiena.
“Perché hai dormito qui?”
“Il sonno…credo mi abbia colto alla sprovvista.”
“Succede sai” rispose ironico Biago “di notte soprattutto.”
“Beh, ieri sera non ne avevo molto di sonno.”
“Preoccupato?”
“No…innamorato!”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Biago.
“Oh, il diavolo non c’entra, mio buon amico!” disse Ardea. “L’amore viene solo dal Cielo.”
“Bel momento hai scelto per innamorarti!” Esclamò Biago.
A quelle parole Ardea fù come destato da un sogno.
“Hai ragione” rispose “forse è davvero opera del demonio…”
“Ora non esagerare!” Rispose Biago.
“Dimentichi questo nostro viaggio?” Disse Ardea. “Non sappiamo nemmeno cosa ci attenda!”
Poi dopo un momento di silenzio aggiunse:
“E poi…se anche risolvessimo tutte e sette le Questioni, tra meno di un anno mi attende un mortale duello con quel misterioso cavaliere.”
“Lo temi tanto dunque?”
“No…ma tu l’hai visto…sembra il diavolo bardato di armatura.” Rispose Ardea. “Con una simile spada di Damocle sulla testa quale promessa posso fare ad una fanciulla, se non quella, celata nel mio cuore, di amarla in silenzio per sempre.”
In quell’istante l’oste bussò alla porta.
“Lor signori quando vorranno” disse da dietro la porta “troveranno giù latte fresco e pane appena sfornato.”
Scesi, appresero dall’oste che la carrozza che aveva sostato alla taverna la sera precedente era partita poco prima dell’alba.
“Per dove?” Chiese Ardea.
“Hanno preso la strada per Acerna.” Rispose l’oste.
“Acerna, l’ultima contrada del feudo…” Pensò fra sé Ardea, mentre nel suo cuore una strana ansia si fece sempre più intensa.
http://www.thebiographychannel.co.uk/images/biographies/main/241_bio_homepage_main.jpg

(Continua...)

llamrei
14-11-2009, 12.54.21
^__^ ah l'Amore....quindi Ardea conferma di avere un lato tenero:smile:

Guisgard
16-11-2009, 01.52.12
ARDEA DE' TADDEI

XXXVII

“L’aria era infestata dal fetido e dagli
ingrati grugniti dei maiali. Nella melma
e nel fango i docili servi attendevano
l’arrivo del padrone, che avrebbe scelto
l’animale più grasso.”
(I Racconti della Pallida Luna di Settembre, VII)


“Dove siete diretti, signori?” Chiese l’oste.
“A Caivania.” Rispose Biago.
“Eh, fossi in voi cambierei i miei piani.”
“E perché mai?” Chiese incuriosito Biago.
“Caivania non è un buon posto per voi, miei signori.” Rispose quasi addolorato l’oste.
“Un oste tanto enigmatico non l’ho mai incontrato…” Disse ironico Biago.
“Miei signori” riprese a dire l’oste “Caivania è ormai da tempo dimenticata da Dio. Sarebbe bene che la dimenticassero anche gli uomini.”
“Di cosa parlate?” Chiese Ardea.
“Ogni cosa esistente in natura” rispose l’oste “da frutti solo se è benedetta dal Cielo. E Caivania invece sembra aver perso la Grazia Divina. Come tutti i suoi sfortunati e miserabili abitanti.”
“Ma insomma” sbottò Biago “cosa c’è a Caivania? Una rivoluzione? Una pestilenza? O una carestia?”
L’oste osservò i due e dopo un momento di silenzio rispose:
“A Caivania è giunto il male...”
Ardea e Biago si scambiarono un rapido sguardo.
“Noi abbiamo affari importanti da svolgere in quella contrada” iniziò a dire Ardea “dobbiamo recarci assolutamente in quel luogo.”
“Capisco” rispose mestamente l’oste “anche se non capisco cosa può ancora dare quella terra maledetta.”
Pagato il loro pernottamento, i due, poco dopo, si rimisero in viaggio.
Di nuovo attraversarono il bosco, seguendo l’irregolare sentiero, fino ad avvistare Caivania.
Il Sole era alto e la campagna ridente.
Eppure una strana atmosfera dominava quel luogo.
Come un senso di apatia.
Ad un tratto, prossimi alla meta, Ardea e Biago iniziarono a sentire un maleodorante odore diffuso nell’aria.
Un fetido che sembrava penetrare fin dentro i polmoni, rendendo impossibile respirare.
Più si avvicinavano al centro abitato più l’aria risultava infestata da quel disgustoso e nauseabondo odore.
“Dove siamo giunti?” Chiese disgustato Biago. “Sembra che in questo luogo tutto stia marcendo, appestando l’aria!”
“Si” rispose Ardea “è quasi impossibile respirare.”
Anche i loro cavalli accusavano quest’aria ammorbante.
Strapparono allora alcuni lembi dai loro mantelli e li usarono per coprirsi la bocca ed il naso.
“In questo luogo non troveremo più nessuno” disse Biago “saranno tutti fuggiti. E’ impossibile sopravvivere a questo fetore!”
A stento i loro cavalli riuscivano a proseguire, mentre l’aria tutt’intorno si addensava sempre più di quell’appestante tanfo.
“Ma cosa può mai generare tanta puzza?” Chiese Biago.
“Solo arrivando a Caivania potremo saperlo!” Rispose Ardea.
E poco dopo i due giunsero finalmente a Caivania.
Le strade erano deserte e tutte le case avevano porte e finestre inchiodate o barricate.
Nemmeno un cane osava attraversare le vie di quel luogo.
“Questo posto è morto!” Disse Biago, contenendo a stento un fortissimo senso di nausea.
Tutto infatti sembrava aver abbandonato Caivania. Persino il vento era assente.
E ciò rendeva ancor più densa e pesante quella fetida aria.
http://farm3.static.flickr.com/2415/2367088255_5ac83992fe.jpg

(Continua...)

Guisgard
18-11-2009, 01.45.14
ARDEA DE' TADDEI

XXXVIII

“Desolata ed infelice terra,
vergine di eroismi e generosità,
solo quando il tempo frantumerà
queste tue mura, per mano dei
liberatori, i tuoi figli torneranno
a cantare alla luce del Sole.”
(Le Geometriche, libro V)


Biago, accortosi di una fontana proprio al centro di una piazzetta, preso dal senso di sete, si avvicinò per bere e pulirsi la bocca che il fetido dell’aria sembrava aver reso amara e vischiosa.
L’acqua però era opaca, densa e aveva un odore disgustoso.
“Anche l’acqua è marcia in questo infelice luogo!” Gridò ad Ardea.
Ardea si avvicinò per controllare quell’acqua. Infatti nemmeno i cavalli osavano berla.
Ad un tratto si udirono delle grida.
Un momento dopo un uomo, grassoccio e di bassa statura, giunse correndo ed ansimando nella piazzetta.
Appena arrivato a pochi passi dalla fetida fontana, cadde a terra, rotolandosi nella polvere e nel terreno.
Subito da una delle abitazioni che si affacciavano sulla piazzetta uscì disperata e fuori di sé una donna.
“Giuspo! Giuspo!” Gridò la donna. “Figlio mio, come stai?”
Lo raggiunse e lo abbracciò forte. Dopo alcuni istanti, come tante pecore, uno dopo l’altro, iniziarono ad uscire dalle loro case gli altri abitanti della contrada.
La donna stringeva a se quell’ometto ancora steso nella polvere.
“Giuspo! Come stai?” Chiedeva in lacrime la donna.
Tutti gli altri restavano muti e quasi assenti davanti a quella scena.
Giuspo affannava e non riusciva a parlare, mentre quella donna lo scuoteva e lo chiamava per nome, come a volerlo destare da un grande spavento.
“Sto…sto bene, madre…” Rispose con un fil di voce all’ennesima invocazione della donna.
Questa guardò la fontana e disse:
“Aspetta, ti prendo dell’acqua.”
“Quell’acqua è marcia.” Intervenne Ardea che aveva osservato da vicino quella confusa scena. “Prendete questa che è invece pura e limpida.”
La donna ringrazio con un cenno del capo per quel nobile gesto e passò la borraccia del cavaliere al suo malridotto figliolo.
In quel momento uno dei presenti chiese:
“Allora, come è andata, Giuspo?”
L’ometto buttò giù, avidamente, diversi sorsi di quell’acqua pura, fino a prosciugare l’intera borraccia.
Bevve tanto velocemente da essere colto da una profonda tosse quando finalmente staccò la bocca dalla borraccia.
“Dicci Giuspo, come è andata?” Chiese ancora quell’uomo.
Giuspo lo fissò, con la bocca bagnata dall’acqua appena bevuta e gli occhi rossi, fuori dalle orbite, come se stessero per esplodere.
“Come vuoi che sia andata?” Rispose scuotendo la testa. “Ero a circa cento passi da una delle pecore, quando quel suo mostruoso cane mi ha visto, cominciando ad abbagliare e ad inseguirmi!”
“Perché ti sei avvicinato tanto, figlio mio?” Chiese sua madre.
“Madre…” rispose Giuspo “eravamo io e Plino. Ormai Caivania è ridotta alla fame e quest’aria infestata finirà per ucciderci tutti. Non potevamo restare a guardare…”
“Plino?” L’interruppe una delle donne presenti. “C’era anche lui? Dov’è ora? Non l’ho vedo da stamani!”
Giuspo la guardò per qualche istante. Poi, senza dir nulla abbassò il capo.
“Dov’è Plino?” Chiese ancora la donna. “E’ mio marito! Dovete dirmi dove sta! Ditemelo, maledetti! Maledetti!”
“Era con me…” iniziò a dire Giuspo “…quando quel cane infernale ci ha inseguiti…fuggivamo ma poi Plino è caduto…non ho avuto il coraggio di fermarmi… mi sono salvato perché…perché quella belva si è fermata a fare scempio del corpo di Plino...”
La donna gridò ed inveì contro tutti e tutto. Si strappò i vestiti ed iniziò a graffiarsi. Ci vollero quattro persone per evitare che si strappasse lei stessa le carni per la disperazione.
Sentendo quel racconto, la madre di Giuspo strinse ancor più forte il proprio figlio a sé.
Pian piano poi, tutti rientrarono nelle proprie case.
La madre di Giuspo, fermatasi sulla soglia della porta, si voltò verso Ardea e Biago dicendo:
“Non restate all’aperto, miei signori, o quest’aria imputridita vi avvelenerà i polmoni. Vi prego, entrate dentro.”
Ardea e Biago accettarono senza nessuna esitazione quel cortese invito, bramosi com’erano di trovare riparo da quel fetido infernale che dominava ovunque nell’aria.
http://www.hobbystar.com/fanexpo2008/scifi/images/guests/astin.jpg

(Continua...)

Guisgard
20-11-2009, 02.51.26
ARDEA DE' TADDEI

XXXIX

“Quando Tristano senza terra arriva
in Cornovaglia, subito apprende una
notizia che gli è molto sgradita: dall’Irlanda
è giunto il potente Moroldo che sotto la minaccia
delle armi esige da Marco il tributo delle due terre
di Cornovaglia e d’Inghilterra.”
(Tristano, 10)


Il tiepido fuoco del camino creava lievi aloni nella penombra della stanza.
La luce, tenuta a freno dalle porte chiuse e sprangate, era quasi del tutto relegata all’esterno, permettendo al buio di dominare ogni angolo di quella casa.
La legna secca si frantumava con fischi e schiocchi al contatto col fuoco.
Quell’odore nauseabondo, a differenza della luce, non trovava ostacoli a penetrare ed aveva ormai impregnato ogni cosa si trovasse in quella vecchia abitazione.
La donna mise una vecchia pentola, unta e grassa, sul fuoco del camino. In breve la brodaglia che conteneva iniziò a bollire.
“Come è possibile mangiare con una simile aria?” Si chiedeva Biago mentre osservava quella donna intenta a preparare la cena.
Giuspo era seduto accanto al fuoco e pian piano sembrava riprendersi dallo spavento che aveva vissuto poche ore prima.
Ardea invece stava in piedi, accanto al fuoco. Ne osservava le fiammate, causate dalla legna troppo secca, perdendosi di tanto in tanto a fissare le strane ombra che il chiarore del camino proiettava sulle pareti.
“E’ quasi pronto, miei signori” disse la donna “non è un granché, ma di questi tempi è già tanto.”
“Cos’è accaduto oggi, Giuspo?” Chiese all’improvviso Ardea.
Giuspo lo fissòl senza dire nulla.
“Miei signori, questa terra è maledetta!” Intervenne la donna.
“Se una terra è maledetta” disse Ardea “è perché qualcuno vi ha imposto una maledizione!”
“Tutto sembra averci abbandonato” disse la donna “la fertilità della nostra terra, la protezione del duca e la misericordia di Dio!”
“Il duca non vi ha abbandonato e come lui la Divina Misericordia!” Esclamò Ardea. “Il duca sa sempre cosa accade sulle sue terre!”
“Sono ormai due anni che non passa più nessuno dei suoi a Caivania” disse la donna “mentre qui noi moriamo poco a poco.”
“Raccontatemi tutto.” Disse Ardea.
La donna smise di mescolare il contenuto della pentola e si sedette accanto al fuoco. Lo fissò per alcuni istanti, poi cominciò a raccontare:
“La terra di Caivania è sempre riuscita a sfamare i suoi abitanti. Dai nostri raccolti abbiamo sempre ricavato il necessario per noi ed il tributo per il duca. Ma un anno e mezzo fa tutto è cambiato.”
“Cosa è accaduto?” Chiese Biago.
“Non sappiamo né da dove, né perché, ma il male giunse un giorno in mezzo a noi…” Sospirò con le lacrime agli occhi la donna.
“Il male?” Chiese Biago.
“Dal lontano nord un essere terrificante e potente decise di fare di Caivania il suo sacrilego asilo.” Disse la donna. “Egli prese possesso di tutta la nostra terra e ne fece l’immondo pascolo per il suo gregge.”
“Chi è costui di cui ci parlate?” Chiese Ardea.
“Un essere tanto malvagio quanto orrendo.” Rispose la donna. “Tramanto è il suo nome ed il suo aspetto suscita paura e disperazione!”
“E’ gigantesco e grottesco nella persona, vile e rozzo nei modi, violento e sanguinario nell’indole.” Continuò la donna.
“E nessuno di voi ha potuto opporsi?” Chiese Ardea.
La donna lo fissò quasi come se fosse suo figlio.
“Mio dolce signore” rispose “noi siamo contadini ed artigiani. Tra noi non vi sono guerrieri. E per tener testa a quel mostro occorrerebbe un esercito di cavalieri.”
Ardea e Biago si scambiarono una rapida occhiata.
“Inoltre quel maledetto ha posto a guardia del suo gregge un mostruoso cane.” Aggiunse la donna. “Ucante è il nome di quella feroce fiera e sbrana tutti coloro che tentano di avvicinarsi al gregge del suo terrificante padrone.”
“Oggi io ed il mio amico Plino” intervenne Giuspo “abbiamo tentato di rapire una di quelle pecore. Avrebbe sfamato i nostri figli e le nostre donne. Ma sapete poi come è finita per il povero Plino…”
“Quel cane sembra essere stato generato dal medesimo parto che diede la vita al suo padrone!” Esclamò la donna. “E’ grosso quanto un toro, veloce come un rapace e feroce quanto un lupo!”
“E questo immane tanfo” chiese Biago “da dove arriva?”
“Sono gli escrementi del gregge di Tramanto.” Rispose la donna “Quelle bestie pascolano sulla nostra terra, facendone scempio, sia nei frutti che nell’aria.”
La brodaglia della pentola iniziò a bollire più intensamente e per un momento il suo profumo sembrò coprire il fetido dell’aria.
“Ma voi chi siete, nobili signori?” Chiese Giuspo.
“Costui è…” Cominciò a dire Biago.
“Io sono un cavaliere errante.” Lo interruppe prontamente Ardea. “E questi è il mio scudiero. Siamo forestieri e capitammo per caso in questa desolata terra.”
“E avete un nome, cavaliere?” Chiese Giuspo.
“Ho combattuto in Terrasanta” rispose Ardea “e feci voto, per annullare la mia superbia, di non rivelare mai il mio nome ad alcuno.”
“Un voto?” Chiese Giuspo. “Avete qualche colpa da estirpare, mio signore?”
“Si” rispose Ardea “ecco perché il soprannome che ho scelto è cavaliere Ripudiato.”
Madre e figlio restarono colpiti dal soprannome scelto da quel cavaliere. Il suo portamento ed il suo aspetto tradivano valore e bellezza e quel curioso epiteto sembrava fuori luogo.
Tuttavia non chiesero altro.
Intanto la cena era pronta e tutti si sedettero a tavola per consumare quell’ingrato pasto, mentre le lunghe ombre proiettate dal fuoco del camino sulle pareti sembravano disegnare inquiete ed arcane figure, animate dalla paura e dal terrore di quella infelice terra.
http://lasca.files.wordpress.com/2007/12/fuoco.jpg

(Continua...)

llamrei
20-11-2009, 11.26.04
Inquietante:eek:

Guisgard
23-11-2009, 02.59.42
ARDEA DE' TADDEI

XL

“Fermati a pregare in questo
cimitero di pietra, perché è
l’ultima cosa santa che vedrai
prima di attraversare la valle
dell’Ade.”
(Il sogno funesto, III)


Dopo la cena, la pia donna pregò i suoi ospiti di restare a dormire.
“Non vorremo recare disturbo” disse Ardea “abbiamo già approfittato abbastanza della vostra cortesia. Piuttosto, indicateci una locanda per trascorrervi la notte.”
“Non vi sono più locande, né osterie né null’altro che possa dare ospitalità e riparo qui a Caivania.” Intervenne Giuspo fissando quasi ammaliato i giochi di fuoco del suo camino.
“Mio figlio ha ragione, miei signori” disse la donna “la tragedia che stiamo vivendo ha spinto chiunque ne avesse le possibilità a fuggir via.”
Ardea e Biago si fissarono per alcuni istanti.
“Allora non ci resta che accettare la vostra ospitalità.” Disse poi Ardea.
La notte trascorse lunga ed inquieta. Almeno per Ardea.
Biago, nonostante si fosse lamentato pesantemente del fetido dell’aria e di come gli impedisse di chiudere occhio, appena fu su un discreto giaciglio cadde in un sonno profondo.
Il cavaliere invece si rigirava nel letto, tra ansie, preoccupazioni ed un singolare senso di impotenza.
“Ecco perché questi miserabili non pagano più il tributo” pensava “sono delle tristi vittime di un fato atroce!”
“Cosa farebbe mio padre al posto mio?” Si chiedeva continuamente.
Ad un certo punto, seguendo il tenue bagliore della luce lunare che entrava dalla finestrella, posò lo sguardo su Parusia, poggiata a capo del suo letto.
La Luna la illuminava, generando straordinari giochi di luce colorati, frutto delle preziosissime pietre che intarsiavano quella favolosa spada.
In un momento il cuore di Ardea fu invaso dai ricordi.
Gli insegnamenti di suo padre, le loro chiacchierate, le passeggiate lungo la campagna delle Cinque Vie.
E poi il sogno di diventare cavaliere e mostrare il suo valore a quell’uomo che dal nulla lo aveva chiamato ad un destino di gloria.
Le ultime parole che Ardea udì da suo padre, il giorno della partenza verso Afragolignone, echeggiavano ora nella sua mente.
Si alzò allora dal letto, vinto dagli insopportabili pensieri ed afferrò Parusia.
La sfoderò e la mirò con attenzione.
La solida e luminosa lama sembrava risplendere di luce propria in quella inquieta notte.
“Questa spada è tutto ciò che mi resta di mio padre” disse “giuro che la onorerò a costo della mia vita!”
E così tra mille pensieri trascorse quella lenta notte.
Il gallo salutò l’albeggiare e di nuovo il Sole sorse su Caivania.
Giuspo quella mattina annunciò a sua madre che sarebbe andato allo Spiazzo delle Pietre.
Era questo un posto situato tra l’abitato di Caivania e la sua campagna.
Incuriositi, anche Ardea e Biago chiesero di vedere quel luogo.
Appena giunti, Giuspo mostrò loro dei piccoli tumoli di pietrisco posti l’uno accanto all’altro.
Ad occhio se ne potevano contare più di un centinaio.
“Cosa sono questi tumoli?” Chiese Ardea.
“Sono ciò resta dei martiri di Caivania.”
“Ciò che resta?” Ripetè stupito Biago.
“Si” rispose Giuspo. “Non abbiamo tombe su cui piangere i nostri morti. E questi tumoli furono eretti in loro ricordo. Tramanto può toglierci tutto, compresa la vita, ma non il ricordo dei nostri cari.”
“E non vi è un luogo in cui giacciono i corpi dei vostri morti?” Chiese Biago.
“Non su questa terra.” Rispose Plino. “Essi marciscono nelle immonde viscere della feroce belva di quel mostro.”
Detto ciò, Plino si chinò a terra e con delle pietre formò un altro piccolo tumolo, in memoria del suo amico Plino.
I tre, in quel doloroso luogo, vivevano stati d’animo differenti: disperazione, paura, rabbia. E così fu per gran parte di quel giorno che trascorsero tra quelle anonime pietre.
Ma quando il giorno morente iniziò a cedere il posto al crepuscolo, il silenzio di quell’austero luogo fu squarciato da un terrificante e delirante ululato.
Giuspo nell’udirlo si portò le mani sulla testa e iniziò a piangere di rabbia e disperazione.
“Quale aborto della natura può generare un simile verso?” Gridò Biago.
Ma tutti e tre conoscevano bene la risposta a quella domanda.
E per un momento il perenne fetido dell’aria fu coperto da un intenso odore di sangue e di morte.
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(Continua...)

Guisgard
25-11-2009, 01.16.27
ARDEA DE' TADDEI

XLI

“Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso di eterno consiglio,
tu sei colei che l’umana natura
nobilitasti si, che ‘l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”
(La Divina Commedia, XXXIII, 1)


Nulla seguì l’eco di quel delirante ululato.
La Luna, che timida e meravigliosa si era affacciata dalle alte nuvole, in un momento rientrò nel suo giaciglio e pian piano il buio della sera ricoprì ogni cosa.
I tre tornarono a casa.
Nessuno di loro però toccò cibo.
Ardea era in piedi accanto al camino, assorto nei suoi pensieri e forse tormentato dai suoi antichi demoni, che sembravano voler prendere vita dalle mistiche forme che assumeva il fuoco del focolare.
Ma ora vi era un demone ben più reale.
Che non tormentava solamente il suo cuore, ma la vita di innumerevoli persone.
Un demone giunto da un lontano Inferno con l’unico scopo di perseguitare i vivi e spingerli nella disperazione più cupa.
Perché, come gli ripeteva spesso l’abate Petrillus, suo maestro spirituale, il demonio ha come unica arma quella di portare alla resa l’uomo attraverso la disperazione.
All’improvviso, Ardea uscì fuori.
Passeggiò da solo nello spiazzo.
Scrutava il cielo, reso opaco dall’aria sporca e pesante e cercava risposte ai suoi dubbi.
Risposte che in realtà sapeva bene erano celate solo in fondo al suo cuore.
“Se mio padre fosse vivo” pensò tra un impeto di viva rabbia “avrebbe già liberato questo sfortunato luogo dal suo flagello! E se io valgo anche solo la metà di quel grande uomo, allora Tramanto conoscerà davvero cos’è l’Inferno!”
Dopo alcune ore, vista la prolungata assenza, Biago uscì in strada e trovò il suo amico seduto sotto un olmo.
“Così ti seccheranno i polmoni!” Disse appena ebbe raggiunto il cavaliere. “Questo tanfo è malefico!”
“Domani affronterò quel maledetto che tiene sotto il suo giogo questa gente!” Disse all’improvviso Ardea.
“Non puoi farlo!” Esclamò Biago. “Tramanto ha reso cibo per il suo cane tutti coloro che hanno osato avvicinarsi ai suoi pascoli! E’ una follia!”
“Devo farlo per mio padre!”
“No, tu devi dare una discendenza al ducato, non farti ammazzare come uno sciocco!”
“Discendenza?” Disse Ardea “Un figlio che porti nel suo cuore e sul suo onore l’onta di suo padre?”
“Non c’è peccato in te, Ardea.”
“Si, invece! E solo riassestando il feudo di mio padre potrò tentare di porvi rimedio!”
“Ti prego, desisti!”
“E per cosa?” Chiese Ardea. “Per vivere come un vigliacco ed un ignavo?”
“Sei un nobile cavaliere, vivi come tale.”
“Tra meno di un anno potrei essere già morto. Rammenti il duello con il cavaliere misterioso?”
Biago non rispose nulla.
“E’ deciso” disse Ardea “domani affronterò Tramanto.”
Poco dopo, i due rientrarono in casa.
Ardea chiese alla pia donna dove fosse una chiesa.
Giuspo si offrì di accompagnarlo.
Così giunsero in una bella chiesa posta al centro di Caivania.
Nell’abside dominava un meraviglioso dipinto della Santissima Madre di Dio.
“E’ la Madonna di Campiglione.” Spiegò Giuspo. “Da secoli dispensa grazie straordinarie al popolo caivanese.”
Ardea allora recitò con pietà e devozione i Divini Misteri del Santo Rosario.
Ad un certo punto, un prete salì sull’altare ed iniziò ad invocare, con una mistica litania, gli appellativi della Santa Madre di Dio.
“Vergine Prudentissima…Vergine Venerabile…Vergine degna di lode…Regina della Speranza…Regina della Fede…”
Ed ogni invocazione di quella misericordiosa litania sembrava scandire, come un inesorabile conto alla rovescia, l’avvicinarsi del momento in cui Ardea avrebbe affrontato il malvagio Tramanto.
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(Continua...)

Guisgard
27-11-2009, 03.00.03
ARDEA DE' TADDEI

XLII

“Perché dovrei temere? La mia vita
per me non val più di uno spillo. E
quanto all’anima, che male potrà farmi,
s’essa è immortale come lui? Ma ancora
mi fa cenno. Io lo seguo.”
(Amleto, I, IV)


Il giorno seguente Ardea all’albeggiare era già in piedi.
Con cura preparava il suo equipaggiamento, sistemandosi la corazza e indossando le armi.
Per qualche istante strinse fra le mani Parusia. Né baciò la fredda e lucente lama, per poi legarla stretta al cinturone.
In quel momento Biago rientrò in casa.
“Ho sellato i cavalli” disse “quando vuoi possiamo andare.”
“Grazie Biago” rispose Ardea visibilmente teso “ma tu resterai qui.”
“Perché mai?”
“E’ troppo pericoloso e non voglio altre colpe sulla mia coscienza.”
“Io sono il tuo scudiero, ricordi?” Esclamò Biago. “Non sono qui per un pellegrinaggio, ma per assisterti!”
“Ricordi la tua promessa, quando ti permisi di seguirmi?” Gli ricordò Ardea. “Dicesti che mi avresti obbedito sempre.”
“Si, nel servirti! Ma così mi escludi dai tuoi ordini.”
Ma la discussione tra i due fu interrotta dall’arrivo della madre di Giuspo.
La donna non disse nulla e posò sulla brace spenta del camino alcuni rami secchi.
“Oggi sembra farà più freddo” cominciò a dire dopo qualche istante “meglio preparare il fuoco.”
Ardea riprese i suoi preparativi senza rispondere nulla.
“Siete in partenza, messere?” Chiese la donna.
“Si” rispose Ardea “affari urgenti mi impongono di andare. Vi sarò sempre grato per la vostra ospitalità.”
“La donna si avvicinò al cavaliere, fissandolo con profonda tenerezza e dolcezza.
“Ragazzo mio” disse accarezzandogli il volto “potrei essere vostra madre. E una madre e non baratterebbe la vostra vita con niente e nessuno. Perché fate tutto questo?”
Ardea restò stupito.
“Perché altri non possono?” Disse ancora la donna. “Quella corazza non può imporvi ciò che non potete compiere.”
“Mia signora” rispose Ardea “le colpe si lavano in un solo modo…col sacrificio!”
“A costo della vita?” Chiese la donna.
“Una vita unta dal peccato non è più vita, ma solo una costante agonia.”
Giuspo, che aveva origliato tutto da dietro la porta, entrò e disse:
“Cavaliere, voi state sfidando l’impossibile! Desistete e vivete la vostra vita altrove, che è ancora lunga e gioiosa.”
“Mio tenero amico” rispose Ardea “tra meno di un anno ho un appuntamento simile con un nemico non meno terribile del vostro Tramanto. Questa di oggi è solo una tappa che mi condurrà, se dovessi uscirne vincitore, verso quell’improrogabile impegno.”
“Io non so niente di queste cose, mio signore” disse Giuspo “sono solo un contadino. Ignoro i fatti d’onore e di armi di voi cavalieri. Ma so che la vita è sacra per tutti, nobili e servi, fedeli e infedeli, cavalieri e villani.”
“E infatti” rispose Ardea “è per la sacralità della vita che faccio tutto questo.”
Poi, preso il suo elmo, aggiunse:
“Uno di voi mi indichi la via dove quel fellone fa pascolare il suo immondo gregge.”
“Vi ci condurrò io.” Disse Giuspo.
“Ed io vi scorterò” intervenne Biago “almeno voi non mi scaccerete.”
Giuspo sorrise.
Di lì a poco i tre partirono.
L’aria era umida e una velata nebbia copriva i contorni di quell’irreale scenario.
Appena intrapreso uno stretto sentiero l’aria si fece ancor più irrespirabile, quasi a far perdere i sensi.
Ad un certo punto un feroce ed allucinante ululato si diffuse nell’aria.
“E’ quella bestia! Ha avvertito l’odore del nostro sangue!” Disse Giuspo.
I tre avanzarono ancora lungo il sentiero, tra quella incantata nebbia e l’immondo fetido dell’aria.
Ed ancora si udì quel delirante ululato. Stavolta più forte e vigoroso.
“Si è avvicinato!” Esclamò Biago. “Temo che quella bestia sia vicina.”
“Quella fiera non vi permetterà di avvicinarvi al suo padrone.” Disse Giuspo ad Ardea.
“Occorrerebbe un modo per liberarsi di quella maledetta bestia!” Disse Biago.
Poi, giunti davanti ad una fitta fila di grossi alberi, Giuspo iniziò a dire:
“Dietro questi alberi, ai piedi della collina, vi è il gregge di Tramanto. Mentre la grotta dove egli ha trovato rifugio è posta sulla cima di quella collina.”
I tre allora si accostarono presso degli alberi, posti tra il sentiero i piedi della collina.
Qui poterono finalmente scorgere il gregge di Tramanto, composto da grasse e belanti pecore, ricoperte da bianchissima e soffice lana.
Ce ne erano tante che era impossibile contarle tutte senza confondersi.
E con il loro letame avevano insozzato tutta la vegetazione.
Il tanfo che quel luogo emanava era insopportabile e quasi appannava la vista, mentre la nebbia, divenuta fittissima, sembrava avvolgere e separare quel posto dal resto del mondo.
http://static.blogo.it/ecoblog/pecore.jpg

(Continua...)

Guisgard
30-11-2009, 00.58.22
ARDEA DE' TADDEI

XLIII

“Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole carinamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.”
(La Divina Commedia, VI, 13)


I tre si nascosero tra gli alti alberi che racchiudevano quel piccolo fondovalle, nel quale pascolavano le pecore del marrano.
“Lì, in cima” disse Ardea “intravedo una grotta…”
“E’ la tana di quel maledetto!” Disse Giuspo, con un tono che tradiva paura e rabbia insieme.
“Devo raggiungere quella grotta!” Disse Ardea.
“Appena tenterete di avvicinarvi” esclamò Giuspo “il suo feroce cane vi assalirà!”
“Dopotutto è solo un cane…” Disse Biago.
“Anche Cerbero lo è” intervenne Giuspo “eppure nessun dannato dell’inferno penserebbe mai di fuggire!”
“Infatti noi non lo attaccheremo!” Rispose lesto Biago.
“Cos’hai in mente?” Gli chiese Ardea.
“Di liberarci di quella dannata bestia” rispose Biago “così che tu possa raggiungere quel fellone!”
“E’ utopia credere di poter far fuggire quel cane!” Disse Giuspo.
“Vedremo…”
“Insomma, cos’hai in mente?” Chiese spazientito Ardea.
“Una volta” cominciò a dire Biago “sua maestà aveva un bellissimo alano. Era robusto e fiero e nessun altro cane poteva stargli alla pari. Ma un giorno il cane accusò dei strani sintomi. Come se uno strano morbo l’avesse contagiato, rendendolo furioso e feroce. Gli stallieri decisero di abbatterlo, ma il piccolo principe, amando tantissimo quel cane, se ne rattristò molto.”
“Arriva al punto, maledizione!” Esclamò impaziente Ardea.
“Il re allora” riprese a raccontare Biago “ordinò che il cane fosse allontanato, ma non ucciso a corte. Allora uno degli stallieri adoperò un sistema adattissimo in queste situazioni, che disse di aver imparato dai nobili cacciatori normanni.”
“Quale sistema?” Chiese sempre più impaziente Ardea.
“Di fissare tra loro, tramite un foro su ciascuna” rispose Biago “due piastre di bronzo, per poi legarle sulla coda del cane! Le due piastre formano un aggeggio chiamato, in lingua normanna, Lamiera.”
“Che curioso stratagemma!” Esclamò Giuspo.
“Curioso ma efficacissimo!” Rispose Biago. “Io ero presente quando, proprio con l’utilizzo di questa Lamiera, dalla corte fu fatto fuggire l’alano del re.”
“Si, ma in che consiste questo metodo?” Chiese Ardea.
“Una volta legata la Lamiera” rispose Biago “il cane tenterà di liberarsene. Ma i movimenti della bestia faranno si che le due piastre di bronzo facciano rumore l’una contro l’altra. Allora il cane inizierà a fuggire spaventato. Il rumore renderà il cane pazzo, facendo si che non smetta mai di correre. Fino a quando, stremato, il cuore gli scoppierà.”
“Ma niente riuscirà a spaventare il cane di Tramanto!” Esclamò Giuspo.
“Quando gli avremmo legato la Lamiera alla coda allora vedrai come tenterà di tutto pur di liberarsene!” Rispose sicuro di sé Biago.
“Vi è del buono in quel che dici” esclamò Ardea “val la pena tentare!”
“Dobbiamo solo escogitare come legare la Lamiera alla coda di quella belva feroce!” Disse Biago.
“Questo sarà compito mio.” Disse Ardea. “Tu pensa come costruire la Lamiera.”
“Qui vicino vi è un vecchio mulino abbandonato” disse Giuspo “li troveremo del bronzo.”
Biago e Giuspo allora si recarono al mulino abbandonato, mentre Ardea si allontanò, prendendo la via verso il cuore del bosco.
Qui catturò un capriolo. Lo squartò e ritornò presso il luogo in cui pascolavano le pecore di Tramanto.
Dopo un po’ lo raggiunsero Biago e Giuspo.
“Abbiamo fuso le lamine di bronzo che rafforzavano le pale del vecchio mulino” disse Biago. “Ecco le nostre piastre. Credo dovrebbero fare al caso nostro.”
Allora legarono una lunga e robusta corda alla Lamiera. Poi, con prudenza, Biago e Giuspo legarono ad un albero il capriolo a testa in giù.
“L’aria fetida domina ovunque” disse Biago “spero che almeno un pò dell’odore di questo capriolo arrivi a quel dannato cane!”
Ad un certo punto, da dietro alcuni spuntoni di roccia, emerse una nera e spaventosa figura.
Era tutta ricoperta da un pelo nero e folto. Era grosso come un toro ed aveva il collo tozzo. L’aspetto ricordava quello di un grottesco cane, ma era quattro volte più grosso.
Appena annusato l’odore del sangue del capriolo, l’orrida fiera si avvicinò all’albero dove era stato appeso.
Ma, con un gesto preciso e fulmineo, Ardea lanciò la corda che si strinse con forza attorno alla coda del mostruoso Ucante.
La belva, sentitasi toccata si voltò tre volte su stessa. E a questi violenti movimenti, le due piastre della Lamiera iniziarono a far rumore.
L’orrendo Ucante tentò di scrollarsi da dosso quell’aggeggio, ma l’impeto e la rabbia, causati da quello snervante rumore, non permettevano a quella bestia di essere lucida.
E più aumentava l’agitazione e la rabbia di quella fiera, più la Lamiera faceva fracasso.
Allora Ucante iniziò a correre per la radura.
Era una corsa folle la sua; sfrenata, senza sosta. Correva in circolo nella piccola radura, spaventando il gregge e disperdendolo.
Più correva, più schiumava e ringhiava.
E quella corsa si faceva sempre più incontrollata, sempre più irrefrenabile.
Alla fine, come vinta dalla rabbia e dalla disperazione, l’orrenda fiera presa la via del bosco e corse via.
Ardea, nel vedere la bestia fuggire via, lanciò un urlo di gioia.
“Non credo ai miei occhi!” Gridò Giuspo.
“A funzionato! A funzionato!” Esultò Biago.
“Ma dove arriverà ora quel cane?” Chiese Giuspo.
“Correrà fino a quando gli scoppierà il cuore nel petto!” Rispose esaltato Biago.
“Presto” disse Ardea ai due compagni “radunate le pecore e conducetele a Caivania.”
I due annuirono.
“Io farò sì che il padrone raggiunga presto il suo cane all’Inferno!” Aggiunse Ardea fissando la cima della collina, mentre la nebbia si era fatta più fitta e l’umidità più pesante, come a voler arrugginire il ferro della sua corazza.
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(Continua...)

Guisgard
02-12-2009, 00.51.18
ARDEA DE' TADDEI

XLIV

"Dalla voce al rimbombo, ed all'orrenda
Faccia del mostro, ci s'infranse il core."
(Odissea, IX, 324)


“Ardea…” Lo chiamò Biago.
I due si fissarono negli occhi per alcuni interminabili istanti senza dirsi nulla.
Poi, montato in sella al fedele Arante, Ardea cominciò a salire la collina, semiavvolta dalla fitta nebbia.
La via che conduceva in cima era stretta e dissestata.
Tra il manto di quella densa nebbia alti e incantati alberi di ulivo emergevano, quasi a simboleggiare la volontà della natura di liberarsi da quell’atmosfera maledetta.
Il cielo era simile ad una tela opaca e di tanto in tanto il Sole, come un disco di tiepida luce, si intravedeva nell’atto di attraversare quell’irreale orizzonte.
Giunto quasi in cima, Ardea vi trovò una vecchia nicchia abbandonata.
In essa era custodito un quadro della Santa Vergine di Campiglione con il Bambino.
“Ormai nessuno più mette piede su questa collina.” pensò Ardea.
E sceso da cavallo, iniziò a pregare davanti a quella nicchia.
“Vergine Santa” sussurro “veglia su di me come quando accompagnasti il tuo Figlio sul Calvario.”
Poi, strappato un ramoscello di ulivo, lo pose accanto a quella sacra immagine.
E rimessosi in sella, continuò la scalata verso la cima.
L’aria era immobile e pesante e la collina non era abbastanza alta da permettere all’umidità di asciugarsi.
Il ferro della corazza era ricoperto da un alone di goccioline e la tunica che la ricopriva era completamente bagnata.
Poi finalmente, Ardea intravide uno spiazzo. Era la cima di quella desolata Collina.
Qui la vegetazione era folta e verde e contornava alcuni spuntoni di roccia.
E tra questi si apriva l’ingresso di una grotta: era l’antro di Tramanto.
Ardea legò ad un albero il suo cavallo Arante.
Poi si incamminò verso la grotta.
L’ingresso sembrava un’enorme voragine scavata nella nuda roccia.
Le pareti erano tutte annerite dal fumo del fuoco.
Infatti, al centro della grotta, bruciavano grossi tronchi d’albero.
Ed accanto a questa brace vi erano sparsi ovunque formaggi, salumi e casse ricolme di frutta.
Mentre sulle pareti erano appesi diversi arnesi ed armi.
Tutto era al di la della misura umana, come se tutto ciò presente in quella grotta fosse adoperato da un gigante.
Ardea si avvicinò al rozzo tavolo, seminascosto da una rientranza della roccia, sul quale vi era una coppa riempita a metà con del vino rosso.
La coppa era grossa come quei tipici calderoni bretoni, che i druidi adoperavano per i loro riti.
Un uomo a fatica sarebbe riuscita a sollevarla.
Ardea si fermò, quasi distrattamente, a fissare quel vino rosso e scuro.
All’improvviso qualcosa lo destò dai suoi pensieri.
Velate increspature iniziarono a formarsi nella coppa.
Sempre più profonde nascevano dal centro e si spegnevano lungo i bordi.
Poi tutti gli arnesi appesi alle pareti iniziarono a vibrare.
Prima in modo impercettibile poi in maniera sempre più evidente.
Ad un certo punto la grotta iniziò a scuotersi.
Come se la terra stesse iniziando a tremare.
Sordi boati si susseguivano, quasi ad intervalli regolari.
Ardea, quasi temendo che la grotta potesse franare, corse verso l’uscita.
E qui vide un’orribile e grottesco spettacolo.
Un uomo alto almeno il doppio di uno comune, ritornava in quella grotta.
Aveva i capelli folti e nerissimi, la pelle solcata da profonde rughe ed il corpo ricoperto da un’irregolare peluria.
Aveva delle pelli come abiti e calzava dei sandali legati fino alle ginocchia.
Sulle spalle portava due grossi e robusti cervi, che costituivano il suo avido pasto.
E dalla cintura che gli stringeva le pelli lungo la vita, legata da una robusta catena, pendeva una grossa scure, ancora intrisa dal sangue vivo delle sue prede.
http://www.uweb.ucsb.edu/%7Etracyavila/Sir_Gawain_and_the_Green_Knight.jpg

(Continua...)

Guisgard
04-12-2009, 01.30.06
ARDEA DE' TADDEI

XLV


Appena giunto d’avanti all’antro della sua grotta, la grottesca figura gettò uno sguardo alle pendici della collina.
Gettò di istinto la sua cacciagione sul pietra levigata, che adoperava solitamente per scuoiare le sue prede, e si portò le mani fra i nerissimi e folti capelli.
“Il mio gregge!” Gridò disperato. “Quella maledetta bestia non ha saputo custodirlo!”
E per la rabbia sdradicò quasi un albero con un calcio.
“Se il mio gregge si è disperso” continuò a gridare, mentre inveiva e bestemmiava “batterò a sangue quella maledetta bestia! E se le mie pecore sono state rubate da quei vermi che abitano la contrada allora per loro sarà lutto e pianto!”
Detto questo, l’orrendo Tramanto, si accinse a scendere dalla collina.
“Ehi!” Urlò Ardea, saltando da uno spuntone di roccia, dietro il quale si era nascosto.
Tramanto si voltò di scatto.
“Il tuo gregge non è stato disperso dagli uomini della contrada” gli gridò Ardea “ma da me!”
“Chi sei tu?” Chiese stupito Tramanto. “Perché hai fatto questo? Cosa ti ho mai fatto di male?”
“Sei giunto come un predone su queste lande” rispose Ardea “lasciando le tue immonde bestie a pascolare e ad insozzare tutta la terra! Ora dovrai risponderne al padrone di questo luogo!”
“Ora questa terra è mia!” Tuonò il gigante.
“Un essere come te non possiede nulla” rispose Ardea “nemmeno l’anima! E ora la renderai, dannandoti per sempre!”
Ma all’improvviso, come risposta a quelle parole, Tramanto sfoderò la sua immane scure e lanciò un fendente verso il cavaliere.
Solo la sua rapidità permise ad Ardea di evitare, per pochissimo, quel colpo mortale.
Lesto ed agile, il cavaliere si rotolò nella polvere fino a giungere a delle rocce, che gli offrirono un momentaneo riparo.
Tramanto in tanto continuava a fendere l’aria e a tranciare alberi con i suoi fendenti, nell’intento di colpire quel cavaliere.
“Maledetto” gridava “vieni nella mia casa, disperdi il mio gregge e mi minacci! Farò orrendo scempio del tuo misero corpo!”
Ardea si guardava intorno. Sapeva che quel riparo non avrebbe potuto difenderlo a lungo dalla furia di quel mostro.
Allora, rapido, si lanciò lontano da quelle rocce ed attese il suo nemico nel piccolo spiazzo che dava al sentiero che scendeva dalla collina.
Con un grido attirò l’attenzione di Tramanto. Lo attendeva imbracciando il suo lucente scudo e impugnando la favolosa Parusia.
Il gigante, nel vederlo d’avanti a se, gli si lanciò contro, gridando e bestemmiando.
Gli sferrò un colpo così rapido e forte che Ardea non ebbe il tempo di scansarlo.
Affidò così le sue difese allo scudo che imbracciava.
Ma quel fendente fu così possente che deformò lo scudo e gettò a terra il cavaliere.
Tramanto allora, vedendolo nella polvere, colpì ancora il suo avversario.
Stavolta lo scudo non resse il nuovo colpo e si spaccò in due.
La violenza di quell’impatto aveva fatto compiere un movimento innaturale al braccio di Ardea.
Intontito e indolenzito da quell’assalto, Ardea tentò di sottrarsi dagli attacchi del suo orrendo nemico, ma il dolore al braccio era intenso e la sua corazza sembrava pesare dieci volte di più.
Allora, impossibilitato a fuggire, tentò di parare il nuovo fendente del mostro.
La scure di Tramanto si abbatté con inaudita violenza su di lui, che riuscì però a bloccare quel colpo opponendosi con Parusia.
La forza di Tramanto era tre volte quella di un uomo normale e la sua scure poteva frantumare con facilità la nuda pietra.
E solo la straordinaria resistenza di Parusia fece si che il colpo del gigante non arrivasse a perforare la corazza di Ardea ed a lacerarne le carni.
La pesante scure premeva sulla divina spada, facendola scricchiolare.
Le due armi a contatto, strofinandosi, generavano intense scintille che andavano a spegnersi sulla corazza inumidita di Ardea.
Tramanto allora, sentendo il suo nemico allo stremo delle forze, sollevò le braccia e si preparò ad un nuovo colpo, che stavolta sarebbe stato definitivo.
“Ora o mai più!” Pensò Ardea.
Tirò allora un fendente nelle viscere del gigante, causandogli un taglio profondissimo.
Tramanto lanciò un urlo disumano e lasciò cadere la scure dietro di se.
Questa, legata alla sua cintura da una robusta catena, gli scivolò lungo la schiena, avvolgendogli il collo.
Allora Ardea si lanciò dietro il suo nemico e incastrando Parusia tra gli anelli della catena, iniziò a farla girare come se fosse un perno.
La catena allora iniziò a stringersi sempre di più attorno al collo del gigante.
Questi, sentendosi la mortale morsa al collo, tentò di liberarsene, ma il sangue che fuoriusciva dalla ferita gli toglieva pian piano ogni forza.
Ardea con tutte le sue forze faceva girare Parusia tra gli anelli della catena, stringendo sempre più il tozzo collo del suo nemico.
Questi aveva gli occhi rossi, intrisi di sangue e le orbite come se volessero esplodere, mentre una delirante smorfia gli deformava l’orrendo volto.
All’improvviso getti di sangue iniziarono a fuoriuscirgli dalla bocca e lentamente iniziava a scemare ogni sua resistenza.
Ardea teneva ferma Parusia nella catena con tutta la sua forza, fino a quando non sentì più la resistenza del mostruoso Tramanto.
Lasciò allora Parusia e l’orrendo mostro, senza vita, cadde pesantemente al suolo.
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(Continua...)

Guisgard
07-12-2009, 01.07.06
ARDEA DE' TADDEI

XLVI

“Ma tu, Signore, sei mia difesa,
tu sei mia gloria e sollevi il mio capo.
Al Signore innalzo la mia voce e mi
risponde dal suo monte santo.”
(Libro dei Salmi, 4 e 5)


Ardea restò a terra per alcuni istanti. Fino a quando sentì un caldo raggio di Sole, che iniziava a squarciare le alte nubi del cielo, riscaldargli il sudato volto.
Si alzò ed iniziò a pregare.
“Gloria a Te, mio Signore e mio Dio.”.
Estrasse poi Parusia dalla catena e liberò il collo del gigante.
E con un colpo solo lo decapitò.
Pulì poi la lama di Parusia dal sangue di Tramanto e la baciò.
“Grazie, amica mia…”. Sussurrò tenendola fra le mani.
Dietro la grotta vi era un limpido ruscello, che scorreva attorno alla cima della collina.
E in quell’acqua fresca e pura, che sembrava non contaminata dal fetido di quel luogo, lavò con cura il suo bel viso.
Bastarono quei pochi istanti per portargli sollievo e ridargli un po’ delle forze spese nell’immane battaglia.
Poi, osservando il corso di quel ruscello, si accorse che il malvagio Tramanto ne aveva deviato il corso, issando alcune pareti di legno lungo l’argine.
Il ruscello in precedenza scendeva dalla collina fino al piccolo fondovalle. Ora, quella struttura in legno ne impediva il normale corso.
Corse allora all’interno della grotta e con uno grosso martello appartenuto all’orrido gigante iniziò a colpire la parete di legno, fino a quando, sotto quei poderosi colpi, si spaccò, permettendo al ruscello di ripercorrere il suo corso naturale.
L’acqua così scese fino al fondovalle ripulendo la terra dagli escrementi del gregge di quell’infernale mostro.
Intanto a Caivania, Biago e Giuspo avevano condotto le pecore del marrano, precedentemente radunate.
La gente era incredula, stupita e felice nel vedere una simile cosa.
“Sono in pena per il mio amico.” Disse Biago a Giuspo.
“Si, anche io…” Rispose questi.
“Io ritorno alle pendici della collina!” Aggiunse deciso Biago.
Ma all’improvviso in lontananza, dalle lunghe ombre del bosco, emerse una figura a cavallo.
Tutti si voltarono verso di essa.
Poi dopo qualche istante Biago gli corse intorno.
Correva con tutte le sue forze, mentre il cuore gli batteva forte nel petto.
La figura a cavallo, nel vederlo, spronò il destriero che aumentò subito la sua andatura.
“Dio sia benedetto in eterno!” Esclamò Biago.
Ardea sorrise.
E appena lo ebbero riconosciuto, tutti gli abitanti di Caivania lo raggiunsero, cantando e ballando attorno a lui.
“Siete il nostro liberatore! Vi manda a noi l’Onnipotente!” Gridavano in un delirio di esultanza.
Ardea allora scese dal suo fedele Arante.
Recava con se un grosso sacco e la scure che era appartenuta a Tramanto.
Con gesto deciso aprì il sacco e rivoltò in terra il suo contenuto.
Era la testa del grottesco gigante, intrisa di sangue e con un’espressione che sembrava raccontare la dannazione, a cui era destinato, che aveva visto quel mostro nel suo ultimo istante di vita.
A quello spettacolo tutti esultarono e cominciarono a sfogare tutta la sofferenza patita fino ad allora facendo scempio di quell’orrenda testa.
Ardea allora saltò su un carro e cominciò a gridare:
“Uomini e donne di Caivania, da oggi il miserabile giogo impostovi dalle forze del male è cessato per sempre!”
Tutti esultarono a quelle parole.
“Sappiate” continuò a dire Ardea “che chi vi ha liberato fu inviato dal vostro signore, il duca Taddeo d’Altavilla! A lui quindi resterete per sempre grati e fedeli!”
“Viva il duca! Viva il nostro signore!” Gridava festosa quella gente.
“In ricordo a questo evento, il primo Venerdì di ogni mese celebrerete una solenne messa come ringraziamento all’Onnipotente!” Disse Ardea.
“E come tributo al vostro duca” aggiunse “un terzo di queste pecore lo invierete nella sua nobile dimora alle Cinque Vie! Così sarà saldato anche ogni arretrato!”
Tutti gridarono per la gioia e benedicevano il nome dell’Altissimo, invocando ogni bene sul casato del duca.
“Io stesso mi occuperò di condurre le pecore dal duca nostro signore!” Gridò Giuspo.
Quella sera ci fu un grosso banchetto per festeggiare la liberazione di Caivania.
Tutti fecero festa, fino alle prime luci dell’Alba.
A Caivania la luce era ritornata a dominare l’oscurità ed un nuovo tempo, di pace e prosperità, avrebbe avvolto i suoi abitanti.
Tutto ciò grazie alla Fede ed al coraggio di colui che tutti conoscevano come il cavaliere Ripudiato.
http://www.museicapitolini.org/var/museicivici/storage/images/musei/musei_capitolini/mostre_ed_eventi/mostre/officina_emiliana/9526-3-ita-IT/officina_emiliana_large.jpg

(Continua...)

Guisgard
21-12-2009, 01.14.55
ARDEA DE' TADDEI

LXVII

SECONDA QUESTIONE: CARDIZIA, LE DAME DELL'INCERTOCUORE

"Amore stravolge ed abbatte
solo ciò che è di ostacolo alla
felicità degli uomini."
(Anonimo)


Il giorno dopo, salutati da tutta Caivania, Ardea e Biago lasciarono quella contrada per riprendere il loro viaggio.
La felicità e la spensieratezza, frutto dei colori e della musica della notte precedente, cederono presto il posto ad una velata e sottile inquietudine.
L’effimera gioia che quell’impresa aveva dato ad Ardea svanì appena ripresero il loro viaggio.
Quella perenne ombra che Ardea portava sul cuore, scese di nuovo ad offuscare i pensieri di quel cavaliere.
Quando il passato ritorna avvolto dai ricordi di un vita che oggi appare solo un’eterea illusione, allora tutto assume le immagini di uno spettrale e desolato deserto.
Un deserto sterile di speranza, di sogni e di fiducia.
Ovunque, in questo deserto, l’orizzonte appare come un’infinita distesa aliena del susseguirsi delle stagioni e la vita diventa un arido e buio istante di un giorno senza tempo.
La primavera vissuta nelle Cinque Vie, con i suoi verdeggianti prati, l’azzurro dei monti lontani, il cielo terso e luminoso, era svanita come neve al Sole.
La calda e vivace estate della corte di Afragolignone, con la spensieratezza e le promesse che solo madonna Giovinezza sa sospirare, sembrava essere stata spazzata via da un forte ed impetuoso vento.
Un vento che al suo passaggio aveva lasciato sinistri lamenti nel cuore di Ardea.
Una vita senza slanci, un domani senza speranze rendono arido di vita il cuore di un uomo.
Ardea lottava contro i suoi demoni e contro un’esistenza che, se prima era ricamata d’oro e d’argento, oggi appare fredda ed impoverita.
Ciò che di bello vi era nella sua vita solo fino a pochi giorni prima, oggi sembrava aver ceduto il posto alla desolazione ed alla miseria più cupe.
E tutto ciò appariva ad Ardea come un’inesorabile punizione per le sue colpe.
Come un insopportabile anticipazione dell’Inferno.
“Ecco” disse all’improvviso BIago, destando Ardea dai suoi pensieri “qui inizia la via che conduce a Cardizia, la seconda contrada che incontreremo nel nostro viaggio.”
Ardea fermò il suo cavallo e cominciò a scrutare la zona.
“Si” disse “dovrebbe essere questa la strada giusta. Tra un po’ dovremmo trovarci nella zona detta I Verdi Pascoli.”
“Perché questo nome?” Chiese Biago.
“Per la fertilità della sua terra e per la qualità del latte dei suoi armenti.”
Ad un tratto, dai cespugli che affiancavano e racchiudevano quella via, uscì un contadino.
“Sai dirci se questa via conduce a I Verdi Pascoli?” Chiese Ardea.
“No, miei signori” rispose il rustico viandante “questa via conduce ad un luogo conosciuto come l’Incerto Pascolo.”
“Sei sicuro?” Chiese stupito Ardea. “Non è questa la via che conduce a Cardizia?”
“Si, mio signore.”
“Allora per forze di cose” disse Ardea “da qui si arriva al luogo detto I Verdi Pascoli!”
“No, mio signore.” Ribatté ancora il contadino. “Da qui giungerete all’Incerto Pascolo.”
Ardea e Biago si scambiarono uno sguardo confuso.
“Questa via è vecchia di secoli” disse Ardea “la percorrevo spesso con mio padre da fanciullo! E sono certo che conduce a I Verdi Pascoli!”
“Mio cavaliere” rispose il contadino “questa strada giunge a Cardizia e da tutti è conosciuta come l’Incerta Via. Ed è vecchia come il mondo!”
“Mondo illuso!” Tuonò Ardea. “Vecchia come il mondo? Ti prendi gioco di me, villano!”
“Non potrei, mio bel signore!” Rispose intimorito il contadino. “Vi giuro sui miei figli che questo è il nome di questa strada.”
“E da quando?” Chiese sempre più irritato Ardea.
“Da quando a Cardizia comanda una nuova stirpe di signori.”
“Che stirpe?” Chiese Ardea. “Noi veniamo dal palazzo di sua signoria il duca e nessuno ci ha parlato di nuovi vassalli a Cardizia.”
“Non mi meraviglierei di questo!” Rispose il contadino. “Sono ormai due lunghi anni che il duca non passa da queste parti. A Cardizia sono successe un bel po’ di cose nuove!”
“Che genere di cose nuove?”
“Nuovi signori e nuove leggi” rispose il villano “ed anche le strade e i fiumi hanno nuovi nomi. Così, questa strada è conosciuta come l’Incerta Via ed il luogo del quale mi domandavate è chiamato l’Incerto Pascolo.”
“Perché con nomi tanto singolari hanno battezzato questi luoghi?” Chiese sempre più turbato Ardea.
“Perché ormai a Cardizia è stato rovesciato l’ordine naturale di tutte le cose. Non mi meraviglierei se in quella contrada domani il Sole sorgesse ad Ovest e lo scirocco soffiasse da Nord!”
“E tu non sai da cosa dipendono questi strani cambiamenti?” Chiese ancora Ardea.
“Preferisco, come tutti gli altri qui intorno” rispose lesto il contadino “di tenermi lontano da quel turbolento asilo! E vi consiglio di fare lo stesso, miei signori!”
Ardea allora fissò Biago e un momento dopo spronò il fiero Arante.
Così i due si incamminarono lungo l’Incerta Via che li avrebbe condotti verso la misteriosa Cardizia.
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(Continua...)

Guisgard
23-12-2009, 00.24.58
ARDEA DE' TADDEI

LXVIII

“Bianche, via più che neve in giogo alpino,
avea la sopravveste, e la visiera
alta tenea dal volto; e sovra un’erta,
tutto quanto ella è grande era scoperta.”
(La Gerusalemme Liberata, canto IV)


La strada, detta dell’Incerata Via, tagliava in due la grande foresta che abbracciava tutt’intorno Cardizia.
Il canto degli uccelli sembrava un’inebriante inno alla gioia di vivere e la lussureggiante vegetazione dominava in ogni dove, come un vero e proprio trionfo della bellezza di Madre Natura.
Il Sole troneggiava nell’infinito cielo vestito di un azzurro sfolgorante ed in lontananza, come un delicato alone turchese, i monti sembravano avvolgere quel bellissimo paesaggio.
Quell’atmosfera pastorale ed idilliaca sembrava negare tutto ciò che aveva raccontato poco prima quel contadino.
Ardea e Biago, nell’attraversare quella strada che sembrava incantata, si sentivano accolti nel seno di una natura incontaminata e primordiale.
Una natura incapace di contenere la più piccola ombra.
Ad un tratto i due giunsero in una radura piccola ma accogliente.
Alte querce, che la racchiudevano come in un mistico anello, avevano intrecciato tra esse i nodosi rami, rendendo quella radura un fresco e riparato giaciglio dalla calura del mezzogiorno.
Li vicino poi scorreva un limpido e mite ruscello, che dai vicini colli raggiungeva la campagna sottostante.
L’acqua chiara e fresca sembrava accarezzare i levigati ciottoli che facevano da letto a quel trasparente corso d’acqua.
Così, i due viaggiatori, scesi dai loro cavalli, si diedero ristoro bagnandosi le mani ed il volto in quel brioso rio.
“Quest’angolo di foresta” prese a dire Biago totalmente rilassato da quel bucolico luogo “è la cosa più accogliente che abbiamo visitato da quando questo viaggio è cominciato!”
Ardea sorrise.
All’improvviso, tra i rigogliosi cespugli, due lepri fiondarono via.
“Per Diana!” Esclamò Biago. “In questo luogo non manca niente! E ora che ci penso il mio stomaco è vuoto come un otre e leggero come un sacco di piume!”
“Tranquillo” disse Ardea “Cardizia non è lontana. Quella laggiù è Verdi Pascoli!”
“Perché poi quel contadino affermava che ora è chiamata Incerto Pascolo?” Chiese Biago.
“Non ne ho idea.” Rispose Ardea. “Ma più di tutto mi preme conoscere chi siano i nuovi signori di Cardizia…e come mai al palazzo ducale nessuno ne sapeva niente!”
Ma in quello stesso momento un galoppare furioso quanto deciso sembrò rompere l’incanto di quel luogo.
Proprio dove il ruscello raggiungeva la campagna sottostante, alcuni cavalieri, ben armati e rivestiti di lucenti corazze, inseguivano due uomini a piedi, che tentavano di fuggire nella foresta.
In breve quei cavalieri raggiunsero i due fuggitivi e li immobilizzarono a terra.
Li disarmarono dei loro bastoni e li legarono per bene.
E quando i prigionieri furono ben saldi dietro i loro cavalli, li portarono via con loro.
Ardea e Biago, che avevano assistito dall’alto a tutta la scena, si scambiarono una rapida occhiata.
Lo scudiero era sul punto di dire qualcosa, ma Ardea lo zittì con un cenno.
Infatti due di quei cavalieri non avevano seguito il resto del drappello ed erano rimasti presso il ruscello.
E credendosi soli iniziarono a togliersi le pesanti e lucide corazze.
Mostrarono così una cascata di capelli, morbidi e luminosi.
I corpi, sebbene asciutti e ben levigati, tradivano una grazia ed una gentilezza aliene ad un maschile portamento.
Le forme, per quanto forgiate e sagomate dal peso di quelle e corazze e dall’utilizzo delle armi, erano vellutate e tenere.
“Che io sia dannato!” Esclamò Biago.
Ma subito Ardea lo zittì con una mano sulla bocca.
I due si fissarono per un momento.
“Si” sussurrò con un filo di voce Ardea “sono proprio due donne.”
Le due cavaliere si bagnarono nelle limpide e fresche acque del ruscello, liberandosi così dalla calura e dalla fatica imposta loro da quelle corazze.
Ardea e Biago le osservarono per tutto il tempo, fino a quando, asciugatesi e rivestitesi con le loro bardate armature, andarono via.
“Per Diana e per tutto l’Olimpo!” Esclamò Biago. “Mai visto donne indossare corazze!”
“E sono anche bellissime!” Aggiunse Ardea.
“Ma chi saranno?” Chiese Biago.
“Vorrei saperlo tanto anche io.” Disse Ardea. “Ma soprattutto mi chiedo perché stessero dando la caccia a quei due uomini…”
“Beh” disse Biago “non sono mai stato inseguito da una donna…mi chiedo che effetto faccia.”
“Voglio andare in fondo a questa storia!” Disse Ardea alzandosi in piedi. “Riprendiamo il cammino e raggiungiamo Cardizia. Sono sicuro che quella contrada è la chiave di tutto…”
Così, ripresa la via, attraversarono il luogo conosciuto ora come l’Incerto Pascolo e si diressero verso Cardizia.
In quel momento ad Ardea quel paesaggio, tanto idilliaco ed armonioso, apparve come una sorta di specchio riflesso di una realtà ben diversa.
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(Continua...)

Guisgard
28-12-2009, 01.41.38
ARDEA DE' TADDEI

LXIX

“Il padre gliele diceva; ed egli, avendolo udito, rimaneva contento e domandava d’un'altra. E
così domandando il figliuolo e il padre rispondendo, per avventura si scontrarono in una brigata di
belle giovani donne e ornate, che da un paio di nozze venieno; le quali come il giovane vide, così
domandò il padre che cosa quelle fossero.”
(Decamerone, IV giornata)


Quelli che un tempo erano chiamati Verdi Pascoli avevano conservato in pieno la loro verdeggiante e florida bellezza.
Il Sole sembrava concedere un privilegio del tutto particolare verso quella terra, baciandola con il suo caldo e vitale alito ogni giorno dell’anno.
Quella lieve brezza che soffiava dai vicini monti rendeva tiepida e mite l’aria, mentre l’orizzonte tutt’intorno, schiarito da quel benefico zeffiro, sembrava delicatamente ricamato nella straordinarietà di quel pastorale paesaggio.
L’azzurro sbiadito dei monti più lontani, con una sottile foschia simile ad un etereo manto, arrivava a toccare il brullo verdeggiare dei colli più vicini .
E quel trionfo di colori sapeva ridestare il cuore da ogni suo turbamento o pensiero.
Tuttavia, in quel paesaggio che sapeva di favola, Ardea non riusciva a dimenticare ciò che angustiava il suo cuore.
Qualcosa era cambiato a Cardizia. Forse era opera di quella nuova stirpe di signori che in essa dimorava.
Forse essi non avevano più intenzione di riconoscere il potere del duca su queste terre. Ecco perché non arrivavano più i tributi di Cardizia alle Cinque Vie.
Queste ed altre domande simili, come spine ardenti, laceravano la mente ed il cuore di Ardea.
“Se qui ora vi regna un nuovo casato” pensava “non basterà da sola la mia spada a imporre ai suoi membri di rendere omaggio al duca.”
Ad un tratto Ardea fu destato dai suoi pensieri. Aveva avuto la strana sensazione che qualcuno li stesse osservando attraverso il verde della foresta.
“Hai notato qualcosa?” Chiese a Biago.
“Non direi” rispose questo “ma da un luogo che viene chiamato l’Incerta Via mi attenderei qualsiasi cosa!”
Di nuovo quella sensazione.
Ardea si voltò di scatto e vide un’ombra sgattaiolare tra i cespugli.
“Sembra siamo osservati!” Disse fermando di colpo il suo fido Arante.
E all’improvviso con un gesto fulmineo lanciò il suo pugnale contro la corteccia di un albero.
“Aiuto!” Gridò una voce tra i rovi. “Non ho fatto niente di male!”
Era un ragazzo, con il colletto della sua giubba inchiodato dal pugnale di Ardea all’albero dal quale spiava i due forestieri.
“Aiuto! Liberatemi!” Gridava, mentre tentava di estrarre il pugnale dalla corteccia dell’albero.
Ardea e Biago gli si avvicinarono.
“Liberatemi! Non ho fatto nulla di male!”
“Spiare la gente è per te nulla di male?” Chiese Ardea.
“Non vi stavo spiando. Lo giuro!”
“Ci stava solo osservando.” Intervenne a dire con un filo di ironia Biago. “Del resto la differenza è abbastanza sottile tra i due concetti. Questo ragazzo diventerà un ottimo cortigiano!”
Ardea rise di gusto.
“Liberatemi o i miei compagni ve la faranno pagare!” Minacciò il ragazzo, sempre intento nel vano tentativo di liberarsi da quella scomoda posizione.
“Chi sono i tuoi compagni?” Chiese Ardea.
“E’ gente a cui non fanno paura quelli come voi!” Rispose il ragazzo.
“E sia” disse Ardea “non ti faremo nulla. Ti lasceremo qui e vedremo sei tuoi compagni ti troveranno prima di qualche animale affamato. Certo, ci perderò un bel pugnale, ma se sopravvivi puoi tenerlo, ragazzo.”
“Aspettate!” Gridò il ragazzo. “Non potete lasciarmi qui! Non potete!”
“Beh” disse Ardea “dipende da te. Chi sei e cosa ci fai qui?”
“Non facevo nulla di male…volevo solo…si, insomma, volevo solo vedere le donne!”
“Che donne?” Chiese Ardea.
“Quelle che vivono a Cardizia.” Rispose il ragazzo.
“E perché non vai a Cardizia a vederle?” Domandò ancora Ardea.
“Perché non vogliono che nessun uomo giunga lì.”
“Che storia è mai questa?” Chiese stupito Biago.
“E’ la verità!” Rispose di getto il ragazzo. “Hanno catturato stamani due dei nostri, dopo averli visti attorno alla contrada.”
Ardea strappò il pugnale da quell’albero e liberò il ragazzo.
Questi, vedendosi di nuovo in gradi di muoversi, scappò via, sparendo nella vegetazione circostante.
“Ehi, fermo!” Gli gridò Biago. “Quel ragazzino ci ha giocati!”
Ma Ardea non prestava attenzione a tutto ciò. Le parole di quel ragazzo avevano addensato nuove nubi nei suoi pensieri.
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(Continua...)

Guisgard
30-12-2009, 01.25.33
ARDEA DE' TADDEI

LXX

“Fresco e verde lettuccio, la gioiosa campagna
si lasciava ammansire dal docile rio, tra eriche
sempreverdi e profumate margherite e il soave
canto degli usignoli era musica per le orecchie
dei viandanti.”
(Pastorale)


“Quel ragazzo si è voluto prendere gioco di noi!” Sbottò Biago.
“Non credo.” Disse Ardea.
“Non vorrai credere a quella sua assurda storia?” Chiese Biago.
“Ricordi la scena di stamane? Le donne in armatura ed i due uomini che hanno catturato?”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Biago. “Ora che ci penso…”
“Già…” disse Ardea “…forse quel ragazzo non ci ha raccontato bugie.”
“Che pensi?” Chiese Biago.
“Non so.” Rispose Ardea. “Comunque è inutile star qui…ripartiamo verso Cardizia.”
“Sei impazzito?” Protestò Biago. “Non sappiamo nemmeno cosa si nasconda in quella contrada!”
“Da quando ti fanno paura le donne?” Chiese sarcastico Ardea.
“Mio padre mi diceva sempre di guardarmi prima dalle donne e poi dal demonio!” Rispose Biago.
“Tuo padre diceva così perché era un buon Cristiano e non aveva nulla da temere dal demonio.” Rispose Ardea. “Andiamo…Cardizia ci aspetta.”
Ripresero così la strada verso quella contrada, attraverso l’Incerta Via.
Poco dopo avvistarono la porta di Cardizia.
Arrestarono allora il loro cammino e cominciarono a decidere sul da farsi.
“Dobbiamo trovare un modo per entrare nella contrada.” Disse Ardea.
“La porta principale sarebbe un ingresso verso l’Inferno.” Ribatté Biago.
“Infatti” rispose Ardea “entreremo a Cardizia per un’altra via.”
“Ma quale?” Chiese dubbioso Biago.
Ardea si guardò intorno, cercando di scrutare il territorio circostante.
Fino a quando notò un piccolo corso d’acqua che penetrava nel sottosuolo.
“Da lì arriva l’acqua nella contrada.” Disse Ardea, indicando il corso d’acqua a Biago.
Così i due raggiunsero quel piccolo rio e attraverso un’apertura fangosa nel duro tufo scesero in una galleria sotterranea.
“Questo corso d’acqua” cominciò a dire Ardea “è probabilmente tutto ciò che resta di qualche antico acquedotto romano. Percorrendo questa galleria dovremmo giungere sotto la contrada.”
“Come fai ad esserne sicuro?” Chiese Biago.
“Perché gli acquedotti giungevano nel punto più alto della città” rispose Ardea “ da dove poi l’acqua veniva inviata nelle case e in altri edifici.”
Percorsero così quella semibuia ed umida galleria, fino a giungere ad una sorta di cava sotterranea.
Le pareti erano coperte da melma e rocce, mentre il fango sul terreno rendeva quasi impossibile camminare.
Ardea allora illuminò con la torcia ogni angolo di quel luogo, fino a quando notò qualcosa di strano sul soffitto.
“Sembrano incrostazioni.” Cominciò a dire.
Poi con il pugnale iniziò a tastare quel soffitto roccioso.
“Ecco!” Esclamò. “Qui c’è qualcosa!”
“Cosa?” Chiese Biago.
“Una lastra di ferro.” Rispose Ardea. “Deve trattarsi di una botola.”
Così i due forzarono quella porta e si issarono lungo quel passaggio.
A fatica risalirono lungo un’aspra e stretta galleria, fino a raggiungere una grata.
Spostatala, Ardea e Biago si ritrovarono in un’ampia anticamera.
Essa appariva di magnifico aspetto.
Preziosi e rari mobili di raffinato gusto bizantino ornavano quel luogo, mentre soffici tappeti, ricamati alla maniera persiana, erano stesi lungo i pavimenti.
Un gran numero di candele illuminavano quell’ambiente e le pareti erano rivestite da magnifici arazzi.
“Che posto è mai questo?” Chiese Biago.
Ma per tutta risposta si udirono dei passi provenire dal corridoio antistante.
“Siamo perduti…” Disse Biago.
Ardea non rispose nulla ed estrasse Parusia dal suo ricco fodero.
Intanto quel rumore di passi si era fatto più vicino, arrestandosi dall’altra parte della porta che dava a quell’anticamera.
Un attimo dopo la porta si aprì.
Ardea e Biago tennero il fiato sospeso, attendendo il verdetto di quella porta.
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(Continua...)

Guisgard
03-01-2010, 23.54.53
ARDEA DE' TADDEI

LXXI

“Ho visto la donna più bella che sia mai nata.
Ella è il desiderio che ho espresso.”
(Le Geometriche, libro V)


Nella sala entrò un uomo di mezza età.
Si muoveva con fare guardingo tra i lussuosi arredi di quell’ambiente.
Scrutava con i suoi grandi occhi dilatati ogni angolo della sala.
Era magro ed indossava una giubba chiara e sgualcita, mentre dei larghi pantaloni consumati gli scendevano a stento fino alle caviglie.
Ai piedi calzava dei vecchi sandali allacciati dietro i talloni.
Quell’uomo sembrava alla ricerca di qualcosa.
Forse era stato attirato dalle voci all’interno della stanza, o forse stava solo perlustrando quel luogo.
Questo pensava Ardea.
Lo strano uomo intanto sembrava davvero alla ricerca di qualcosa, visto che continuava a scrutare con maniacale attenzione ogni parte della sala.
E all’improvviso, con rapido e silenzioso movimento, Ardea sbucò da una tenda ed immobilizzò quel curioso visitatore.
“Una parola o un grido” minacciò Ardea “ed il mio pugnale ti aprirà da orecchio a orecchio!”
“Folli!” Disse quell’uomo. “Siete solo due folli!”
E una grottesca risata deformò il suo volto.
“Zitto, maledetto!” Gli intimò Ardea.
“La vostra sorte è segnata!” Delirava quell’uomo. “La sorte di noi tutti è segnata!”
E continuava a ridere, quasi insensibile alle minacce di Ardea.
“Costui è pazzo!” Esclamò Biago.
“Si” rispose l’uomo, sgranando ancor di più i suoi stralunati occhi “e presto lo sarete anche voi.”
E riprese a ridere.
Ardea allora lo zittì portandogli una mano sulla bocca, mentre con l’altra gli teneva stretto il collo.
“Ridi ancora, maledetto” intimò Ardea “e ti spezzo il collo con un colpo solo!”
L’uomo tentò ancora di ridere, mentre si divincolava dalla morsa del cavaliere.
Ardea lo tenne stretto fino a quando, come se si fosse sfogato, sembrò calmarsi.
“Che il diavolo ti porti!” Esclamò Ardea. “Giuro che stavo per ucciderti davvero!”
L’uomo fece una curiosa smorfia.
Sembrava davvero aver esaurito la sua delirante agitazione.
“Chi sei e che posto è questo?” Chiese Ardea.
“Uccidimi” disse quell’uomo ancora ansimando per l’agitazione “e sarò finalmente libero!”
“Sei dunque prigioniero in questo palazzo?” Chiese Ardea.
“No” rispose quell’uomo “sono rinchiuso in una prigione ben più salda ed imprendibile di questa!”
Biago fece un cenno ad Ardea come a dire “costui è pazzo”.
“Chi sei?” Chiese ancora Ardea.
“Non lo so più…e forse non ha nessuna importanza…presto anche voi sarete apatici alla vita ed al vostro destino!”
“Comincio a credere che tu sia davvero folle!” Esclamò Ardea.
“Si” rispose l’uomo “folle! Non ho più né un cuore, né un anima! Non ho più nulla! Ciò che vedete è solo il fantasma di quel che fui io!”
“L’unica cosa che hai davvero smarrito” disse Ardea “è il senno!”
“Parlate così” disse l’uomo lasciato libero da Ardea “perché non l’avete veduta! Ma quando la vedrete…anche voi smarrirete l’intelletto e la lucidità. E con essi le vostre anime!”
“Di chi parli?” Chiese incuriosito Ardea.
“Della donna più bella e sensuale che sia mai nata!” Rispose quell’uomo, con gli occhi che tornavano a manifestare delirio e fanatismo.
“Che donna?” Chiese Ardea.
“L’unica donna che valga la pena amare!” Gridò l’uomo. “Anche solo per una notte! Anche solo per un istante!”
“Non strillare, maledetto!” Intervenne Biago preoccupato.
“Di quale donna parli?” Chiese con insistenza Ardea.
“Il mio tormento e la mia estasi!” Vaneggiò l’uomo.
“Insomma, dannato, di chi parli?” Chiese quasi con rabbia Ardea.
“Il solo nominarla” disse l’uomo con un folle ghigno “e udire il suo nome, anche se non l’hai mai veduta, ti rende eccitato e nervoso!”
“Questo è tutto suonato!” Sbottò Biago.
“Di chi parli, dimmelo!” Intimò Ardea.
“Parlo di lei…Alaida…la regina di Cardizia!”
E rise come il più fanatico dei visionari.
In quell’istante nella sala giunsero delle donne, abbigliate solo con dei veli trasparenti.
Recavano delle candele che bruciando diffondevano nell’aria un aromatico profumo.
Un momento dopo, Ardea e Biago caddero a terra senza conoscenza.
http://image.forumcommunity.it/1/8/1/9/5/1/5/1238343818.jpg

(Continua...)

Guisgard
05-01-2010, 00.25.11
ARDEA DE' TADDEI

LXXII

“Il sogno è un incanto, frutto
dell’incontro tra il giorno e
la notte.”
(Novalis)


Il prato era di un verde vivissimo, reso ancor più brillante dall’intensa luminosità che il Sole diffondeva ovunque.
Il cielo, vestito di un azzurro imponente, sembrava riflettere come uno specchio le meraviglie di un mondo incantato, sito al di là dei sogni, su tutta la terra.
Ardea camminava accarezzando le alte foglie che crescevano selvagge su quella verdeggiante distesa.
Era senza la sua armatura e si sentiva leggero, fresco e libero.
Ma soprattutto si sentiva sereno.
Il suo cuore gli appariva come l’infinito orizzonte che si apriva davanti a lui: libero da nubi.
La vecchia e stretta via che tagliava quel prato, racchiusa da due fila di bianchi e levigati sassi, conduceva in un piccolo spiazzo, dove sorgeva una vecchia chiesetta.
Accanto cresceva un robusto ulivo, che sospinto dal vento, sembrava voler diffondere nell’aria il benefico influsso delle sue foglie.
Ardea avrebbe voluto entrare nella chiesetta, ma non lo fece.
La porta era chiusa e non si vedeva nessuno in giro.
Sul tetto, accanto al crocifisso di legno che cigolava sotto il soffio del vento, stavano appollaiate tre colombe bianchissime.
La calura però cominciava a farsi più intensa ed Ardea si sedette ai piedi dell’ulivo, cercando ristoro dal Sole sotto la tenue ombra di quell’albero.
All’improvviso, nello spiazzo, giunse un uomo.
Aveva indosso una lunga tunica nera. I capelli erano di un delicato grigio. Così come la sua barba.
“Di grazia, signore” prese a chiedere Ardea “sapete quando aprirà la chiesa?”
“Perché?” Chiese con tono severo quell’uomo.
“Volevo entrare per pregare.”
“Non aprirà oggi.”
“Una chiesa non può restare chiusa un giorno intero!”
“Se può restare chiuso il cuore di un uomo” rispose stizzito quell’uomo “allora può benissimo restare chiusa anche una chiesa.”
“Ma è mattino” disse Ardea “e durante il giorno deve pur essere celebrata una messa!”
“Oggi non verranno celebrate messe.”
“Ma non siamo nel Venerdì Santo!” Esclamò Ardea.
“Già” rispose l’uomo con uno sguardo inclemente “e questo è il tuo dramma!”
Ardea restò colpito e turbato da quelle parole.
L’uomo riprese a camminare, scomparendo dietro le mura della chiesetta.
Ardea intanto ritornò a sedersi ai piedi dell’ulivo, sentendo nel cuore una forte oppressione.
All’improvvisò udì un dolce riso.
Si voltò e vide una fanciulla intenta a raccogliere fiori nel campo accanto alla chiesetta.
Ardea le si avvicinò, mentre ella rideva e cantava una gentile canzone.
“Milady” prese a chiedere Ardea “sapete dirmi se questa chiesetta aprirà oggi?”
La ragazza smise di ridere e di cantare, senza però voltarsi verso Ardea.
Poi, dopo un attimo di silenzio, rispose:
“Non aprirà oggi.”
Intanto il Sole, proprio in quel momento, venne coperto da alte e scure nubi.
“Qual è il vostro pasto preferito, messere?” Chiese la ragazza.
“Le focacce con frutta e miele.” Rispose Ardea.
“C’è qualcuno che le prepari per voi?”
“No.” Rispose Ardea. “Non vi è nessuno.”
La gradevole brezza di qualche istante prima si mutò in un forte e gelido vento che cominciò a sibilare nell’aria.
La ragazza allora si alzò da terra e si voltò verso Ardea.
Era la bellissima ragazza che lui aveva visto quella notte a Caivania e alla quale aveva giurato eterno amore.
“Ora devo andare.” Disse con un filo di voce quella ragazza. “Mio padre mi attende ed ha bisogno di me.”
Detto questo, si coprì il capo con un velo nero.
“Non andate via.” Disse Ardea. “Non mi lasciate solo anche voi.”
La ragazza si voltò e lo fissò per alcuni istanti.
Ardea tentò di avvicinarsi a lei, come a volerla toccare, ma il vento in quel momento soffiò più forte.
Ardea si svegliò proprio in quell’istante.
La stanza era dominata da un penombra che sembrava camuffare ogni suo contorno.
Si accorse che era disteso su un soffice e profumato letto.
Ed accanto a lui riconobbe, nell’incerta luce della stanza, una donna che lo fissava in silenzio.
http://www.magicoveneto.it/Verona/Pressana/Villa-Querini-Stampalia_Chiesetta.jpg

(Continua...)

Guisgard
07-01-2010, 01.30.39
ARDEA DE' TADDEI

LXXIII

“La bellezza è il divino alone della creazione
che aleggia su tutte le cose.”
(Pindaro)


Ardea per qualche indefinito istante restò adagiato sul morbido cuscino, quasi rasserenato dall’eterea atmosfera di quel luogo.
Poi, fissando quella misteriosa donna che gli stava accanto, chiese:
“Dove sono?”
“Nel palazzo della regina Alaida.” Rispose la donna con una delicatezza ed una gentilezza che sembravano soffiare sull’animo di Ardea.
“Cosa è successo?” Chiese confuso Ardea. “Non ricordo…”
La donna si avvicinò al letto ed il sottile alone luminoso, tiepidamente diffuso nella stanza, si posò sui suoi occhi.
E quegli occhi, di un intenso verde, simile a gocce di quel mare vergine che accoglie e culla le bianche isole greche dell’Egeo, finalmente incontrarono gli occhi del cavaliere.
Ed egli ne restò rapito.
“Siete stato trovato all’interno del palazzo con il vostro compagno.”
“Biago!” Disse Ardea alzandosi di scatto. “Dov’è ora?”
La donna lo fermò posandogli una mano sul nudo petto.
Poi, delicatamente, lo spinse a stendersi di nuovo sul letto.
Quella mano, morbida e soave, quasi come una carezza si era posata sul suo petto, causandogli un intenso brivido.
“Dov’è Biago?” Chiese Ardea. “Voglio sapere dove si trova!”
La donna accese una candela che si trovava su un mobiletto accanto al letto.
E, quasi come un incanto, tutto intorno ad Ardea prese forma e colore.
Egli vide così il bellissimo volto di quella donna.
Il suo viso era morbido e soffice, tondo e perfettamente proporzionato.
La pelle era vellutata come una pesca e le sue labbra erano superbamente dipinte sul quel volto di classicheggiante splendore.
Una cascata di capelli ricci e luminosi, di un biondo leggiadro ed armonioso, simile al lucente oro di un rigoglioso campo di grano, incorniciavano ed impreziosivano quel miraggio di rara bellezza.
Ed un diadema, adornato di piccole ma preziose pietre colorate, teneva spinta all’indietro quella folta e luminosa chioma, conferendole riflessi aurei che sembravano aleggiare attorno a quella celestiale figura.
Quella donna era un inno alla bellezza più alta e più viva.
Un immagine di sensualità, fascino e piacere, privilegio per pochi eletti.
Ardea restò senza parole, mentre vigorosi brividi percorrevano il suo corpo.
“Il vostro compagno” rispose la donna con il suo delicato accento “sarà presto processato.”
“Processato?” Ripeté Ardea. “Per cosa?”
“Siete stati entrambi sorpresi nel palazzo” rispose la donna “ed il processo decreterà se il vostro compagno sia o meno una spia.”
“Ma c’ero anche io!” Disse Ardea. “Anche io dovrei essere processato!”
“La vostra sorte” rispose con un filo di voce quasi sussurrato quella donna “sarà deciso direttamente dalla regina.”
“Perché?” Chiese turbato Ardea.
“Perché questa è la volontà di Alaida.”
“Come può quella donna essere tanto potente?” Chiese Ardea. “Chi le ha conferito tale potere?”
La donna fissò per qualche istante Ardea con il suo luminoso sguardo.
“Solo il duca può investire qualcuno di un simile potere sulle sue terre” aggiunse Ardea “e di certo non lo ha fatto con quella donna!”
La misteriosa donna allora accostò il suo volto a quello di Ardea, quasi a sfiorarne le labbra.
“Cosa rende più forti, secondo voi?” Chiese la donna, mentre il suo alito accarezzava le labbra di Ardea. “Il potere o la bellezza?”
Ardea, come rapito ed incantato da quella donna, non rispose nulla.
Poi, dopo qualche istante,disse:
“Se la mia vita dipende da quella donna, allora voglio vederla!”
La misteriosa dama soffiò sulla candela, spegnendone la fiamma.
“La vedrete presto, non temete.” Rispose con una voce che sembrava vivere di sensuali sospiri.
Battè poi le mani ed un istante dopo si aprirono le porte di quella stanza.
Ed insieme alla luce, che invase ogni angolo di quell’ambiente, entrarono anche quattro donne, vestite come soldati ed armate di scintillanti ed alte lance.
http://rpg.justice-knights.com/females/N/c_nielsen1.jpg

(Continua...)

elisabeth
07-01-2010, 20.43.24
E' una storia appassionante Sir Guisgard, sapete descrivere ogni cosa in maniera reale e minuziosa, ogni particolare reca colore e sentimento e' un bellissimo racconto, leggo con passione ogni episodio...quindi vi esorto a continuare :smile_clap:

Guisgard
08-01-2010, 01.58.31
Vi ringrazio, milady.
Sono lieto che le vicende di Ardea vi appassionino tanto.
Ciò che mi fa amare questo racconto è che esso è un pò la storia di tutti noi: i sogni, la fama, l'illusione, il peccato, la sofferenza, il coraggio, l'amicizia e l'amore.
Tutte queste cose fanno parte della vita di ogni uomo.
L'eroe, la sua caduta nel baratro e la rinascita, tutto avvolto nelle nebbie del fato inesorabile: questo è il racconto di Ardea.

Guisgard
11-01-2010, 00.57.08
ARDEA DE' TADDEI

LXXIV

“Benvolio: <<Ahimè, perché Amore, di aspetto
così gentile è poi, alla prova, così aspro e tiranno?>>
Romeo: <<Ahimè, perché Amore, anche bendato,
deve vedere senza occhi il sentiero che
lo guidi ai suoi desideri.>>”
(Romeo e Giulietta, I, 1)


Quelle donne guerriere, abbigliate con tuniche rosse, fissate con piastre cromate che emanavano luccicanti bagliori, erano tutte bellissime.
Le loro corazze erano lavorate finemente ed aggraziate da incisioni di pregevole fattura.
Avevano il passo dei soldati, ma le movenze tradivano grazia e soavità, come nemmeno il mitico Paride poteva vantare.
Esse erano molto più simili alle leggendarie amazzoni e quel luogo appariva ad Ardea come un regno al di fuori del mondo.
Le quattro guerriere entrarono con passo deciso nella stanza e subito si inchinarono davanti alla misteriosa dama che Ardea aveva visto al suo risveglio.
“Comanda, mia regina!” Dissero in coro.
Ardea restò stupito e turbato, come poche volte gli era accaduto in vita sua.
“Date ordine” cominciò a dire Alaida “che domani cominci il processo ai tre prigionieri.”
“Sarà fatta la tua volontà.” Risposero in coro le quattro guerriere ed uscirono dalla stanza.
“Siete voi…Alaida, dunque?” Chiese Ardea sempre più sorpreso.
La donna lo fissò con un leggero sorriso.
Poi si avvicinò ad un piccolo tavolino di delicata fattura e prese le due coppe che vi erano poggiate sopra.
“Siete stupito?” Chiese la regina porgendo una delle due coppe ad Ardea.
“Poche donne mi hanno così sorpreso in vita mia…”
La regina sorrise.
“Voi uomini” cominciò a dire “non mancate mai occasione di rivelare come e quanto abbaiate amato nel vostro passato.”
“Voi donne invece?” Chiese Ardea.
“Noi amiamo e basta. Ed è questo che ci rende deboli.”
“Amore non rende deboli, ma solo felici.”
“Allora” sentenziò la donna” voi, come tutti gli uomini, non avete mai amato veramente!”
“Prima dicevate che amare rende deboli voi donne…” Disse Ardea.
“Si, è vero.” Rispose Alaida. “Fragili ed indifesi.”
“Amore rende forti, non indifesi.” Disse Ardea.
“Sembra che voi abbiate molta fiducia nell’amore.”
“E’ l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta.” Rispose Ardea.
“Vi sembro fragile, forse?” Chiese Alaida. “Avete l’impressione che io sia indifesa?”
Sorseggiò ancora la coppa e poi, facendo segno all’ambiente circostante, aggiunse:
“Tutto questo che vedete non è il dono di Amore! Il potere, la mia gloria e i cuori su cui governo non sono tributi di colui che ama tormentare gli altri con i suoi dardi incantati!”
“I dardi di Amore” rispose Ardea “colpendoci ci ricordano che siamo vivi!”
“La vostra sciocca devozione verso il più inutile dei sentimenti è patetica!” Sentenziò Alaida. “Siete stolto come tutti gli uomini!”
“Voi invece vi sentite forte, vero?” Chiese Ardea.
“E non lo sono forse?” Ribatté la regina. “Guardatevi intorno! Ho tutto…potere e bellezza! E con essi la felicità!”
“Se la vostra felicità” rispose Ardea “è come l’effimero potere che vantate di possedere, allora siete la donna più infelice del mondo!”
“Come osi parlarmi così, uomo!” Ribatté infastidita la regina.
“Questa contrada appartiene al duca!” Disse Ardea. “E presto dovrete rendere conto del vostro comportamento! Quanto alla felicità…se credete ad una sola delle parole che avete detto finora allora la mancanza di amore vi ha inaridito, assieme al cuore, anche l’intelletto!”
“Tu mi invidi, sciocco uomo!”
“Vi compiango, invece.” Rispose Ardea.
“Potrei farti mettere a morte in questo stesso momento!”
“E cosa vi impedisce di farlo?” Chiese Ardea.
La regina lo guardò senza rispondere.
“Ditemi piuttosto perché mi avete fatto portare qui, invece di attendere con il mio amico il vostro processo?”
“Chi ti dice che non sarai processato anche tu?” Rispose la regina voltandosi e fissando il luminoso cielo da una finestra della stanza.
Ma un istante dopo, con rapido scatto, Ardea la raggiunse e le portò una mano attorno al collo.
“Siamo soli” disse “e le guardie sono lontane…potrei torcervi il collo con un solo gesto!”
“E cosa ti impedisce di farlo?” Chiese la regina, voltandosi verso di lui e liberandosi dalla sua presa.
Ardea la fissò per qualche istante e poi la baciò con passione, stringendo il bellissimo corpo di lei contro il suo .
http://www.style.it/cont/photogallery/0707/0405/troy.asp10990img1.jpg

(Continua...)

cavaliere25
11-01-2010, 11.38.00
bellissimo sir interessante racconto mi sto sempre piu appassionado e spero di imparare sempre di piu su questo meravigoioso mondo :smile: i miei ossegui sir guisgard

Guisgard
11-01-2010, 21.57.41
Sono lieto che questo racconto vi stia appassionando, cavaliere.
Del resto, la vita di noi devoti alla cavalleria è un continuo richiamo alla perfezione.
Durante il cammino si può anche cadere, ma ciò che conta è sapersi rialzare.
Questo fa di un uomo un cavaliere :smile:

Guisgard
12-01-2010, 00.44.51
ARDEA DE' TADDEI

LXXV

“L’eroe giunse nel palazzo reale di Puteoli.
Ma tra mille tesori favolosi solo lo sguardo
di lei gli parve inestimabile.”
(L’Imperiade, libro V)


E dopo quell’intenso e passionale bacio, i due si persero nell’azzurro dei loro occhi.
La pelle rosea e vellutata di lei, come una carezza si era posata sul volto di lui, che ancora sentiva le sue dolci labbra sulla sua bocca.
Lei non disse nulla.
Lui la guardava, cercando di leggere cosa celasse il fondo dei suoi meravigliosi occhi, mentre la teneva ancora fra le sue braccia.
E quegli attimi sembrarono essere stati abbandonati dallo scorrere naturale del tempo.
“Potrei farti mettere a morte per questo…” Disse lei.
“I tuoi occhi non dicono questo…” Rispose lui.
Lei allora si staccò da lui.
“Non puoi leggere nei miei occhi.” Disse lei. “Nessun uomo può.”
“Lo credi davvero?”
“Ricordati, uomo” intimò lei “che come tutto ciò che si trova a Cardizia, anche tu sei una mia proprietà! E come tale dipendi dal mio umore!”
Poi si incamminò verso la porta. Si voltò indietro e poi uscì.
Ardea rimase solo e turbato.
“Perché mi ha condotto qui?” Pensava. “Perché non sono dove si trovano ora gli altri condannati?”
Resto allora da solo, in balia di dubbi e pensieri, a passeggiare in quella favolosa quanto misteriosa sala.
Ma in tutto ciò non riusciva a togliersi quella donna dalla mente.
E così trascorsero indefiniti attimi e momenti, senza che Ardea riuscisse a quantificarne lo scorrere.
Fino a quando nella sala entrarono due donne.
Erano abbigliate come ancelle, senza indossare quindi armi e corazze.
Lo fissavano con curiosità, apparendo quasi divertite.
Posarono su un seggio pregevolmente intarsiato alcune vesti.
Poi, sorridendo con fare infantile, uscirono.
Ardea, che indossava solo i suoi attillati pantaloni di pelle e niente più, si avvicinò a quel seggio e prese le vesti portate da quelle donne.
C’era una camicia di lino bianchissima e profumata., una tunica di velluto verde senza maniche e dei pantaloni larghi e trapuntati.
Dopo un po’, giunsero nella sala altre tre donne. Anch’elle vestite come ancelle.
Condussero ben sei vassoi d’argento ricolmi di cibi artisticamente preparati, di mille colori e profumi come se fossero giunti dalla lontana Persia.
Posati i vassoi su una grossa tavola al centro della sala, le donne si avviarono verso la porta.
“Ma siete solo donne qui?” Chiese con tono sarcastico Ardea.
Una delle tre lo fissò con enigmatico sorriso. E senza rispondere nulla, le tre donne uscirono.
Ardea si avvicinò alla tavola.
“Sembra che non manchi niente.” Disse ad alta voce.
Ad un tratto, di nuovo la porta della sala si aprì.
E di nuovo la regina entrò.
Meravigliosamente vestita, con un abito di raso vermiglio, rifinito da purissima seta orientale. Ricami d’oro e d’argento poi abbellivano quello sfarzoso vestito.
La bellezza della regina era poi incorniciata da alcuni splenditi gioielli che impreziosivano la sua luminosa figura.
“Sono felice di rivederti.” Disse Ardea. “Tutto questo lusso e queste leccornie sarebbero andate sprecate se fossi rimasto da solo.”
Alaida non disse nulla. Si avvicinò alla tavola e riempì due coppe con un profumatissimo liquore ambrato.
“Potrei farti strappare la lingua” cominciò a dire, mentre porgeva la coppa al suo ospite “per la tua insolenza.”
“E perché allora” rispose divertito Ardea “sono ancora vivo, di grazia?”
Alaida sorrise.
“Forse perché” continuò Ardea “vostra maestà ha bisogno di compagnia per stasera?”
Alaida sorrise con fare malizioso.
“Forse come la mantide” aggiunse mentre prese la coppa che lei gli porgeva “che divora il suo compagno dopo un momento d’amore?”
“Pressappoco.” Rispose lei divertita, mentre sorseggiava la sua coppa.
“Cosa c’è qui dentro?” Chiese Ardea.
“Temi di essere avvelenato? Eppure hai assaporato le mie labbra…e sei ancora vivo.”
Ardea si avvicinò di nuovo a lei.
Ancora i loro occhi si incontrarono e si persero gli uni negli altri.
Ardea baciò ancora quella bellissima donna.
La baciò con ancora più passione.
Poi la prese e la stese sul soffice letto.
E lì si abbandonarono, con vivo e reciproco piacere, alle gioie dell’amore.
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(Continua...)

Guisgard
13-01-2010, 00.01.31
ARDEA DE' TADDEI

LXXVI

“A lui il figlio di Venere <<O Febo- disse-
il tuo arco trafigga pure ogni cosa, ma il mio
colpisca te, e di quanto tutti gli esseri animati
sono inferiori a un dio, di tanto è inferiore la
tua gloria alla mia.>>”
(Metamorfosi, I)


La notte trascorse dolce.
I due si amarono con vigore e forte passione.
In quel profumato e soffice letto, i capelli di lei avvolgevano ed accarezzavano il corpo di lui.
Le loro mani più volte si strinsero le une alle altre, quando entrambi i due amanti assaporarono il momento più alto ed intenso della loro passione.
Allora i loro corpi vibrarono al dolce suono della lira di Amore.
E quando l’alba sorse, diffondendo e riversando su tutto il creato il suo roseo sospiro, li trovò abbracciati ed addormentati l’uno sull’altra.
Allora un leggero e luminoso raggio di quell’alba si posò sui loro visi, uniti dal medesimo sospiro.
Ardea in quel momento si svegliò e rimase ad ammirare il volto di Alaida per alcuni istanti.
La sua bellezza, non più ornata da gioielli e colori, dopo quella notte dedicata ai giochi d’amore, appariva fresca come una rosa.
Naturale e più viva.
In quel momento Alaida aprì gli occhi.
Non disse nulla e restò in silenzio, con il viso sul petto del suo amante.
“Icaro che vola troppo vicino al Sole e cade sulla terra.” Disse Ardea fissando un dipinto sul soffitto della stanza.
Ed una lacrima inumidì il vellutato volto di lei.
Allora si strinse ancora più forte ad Ardea.
“Sei sveglia…” Sussurrò il cavaliere.
“Non dire nulla ti prego…” Sospirò lei.
Ardea le baciò la testa e la strinse forte a se.
Restarono così, in silenzio, per diversi istanti.
E quel silenzio era rotto solo dal battito del cuore di Alaida.
“Vorrei che questo momento possa non finire mai.” Disse all’improvviso. “Anche se che questo è impossibile.”
Ardea la guardò senza dire nulla.
“L’amore non da felicità” continuò sedendosi al centro del letto “ma solo un effimera e breve gioia.”
Ardea si sedette accanto a lei e l’abbracciò.
“Chi è la donna che si cela dietro la regina Alaida?” Chiese il cavaliere.
“Una donna” rispose lei dopo un momento di silenzio “che non vuol cedere alle illusioni di Amore.”
“Amore non illude. Mai.”
Alaida, a quelle parole di Ardea, cominciò a piangere.
“Chi sei?” Chiese Ardea.
“Mio padre era un vassallo del duca” cominciò a raccontare lei “e resse Cardizia fino a due anni fa. Era un uomo giusto, ma amava le donne. Mia madre ha sofferto per anni. E quando lui morì, mia madre non visse a lungo, consumata com’era dalla sofferenza e dalle umiliazioni.”
Pianse di nuovo.
Ardea la baciò sul viso e la strinse forte.
“Io giurai che mai avrei ceduto alle calunnie dell’amore” riprese a raccontare “e che mai avrei permesso ad un uomo di rendermi fragile e debole. Così, quando rimasi padrona di Cardizia, al comando di tutte le altre donne, cacciai nella foresta ogni uomo. E da quel giorno nessun uomo è vissuto più di tre giorni in questa contrada.”
“Allora” disse Ardea “gli uomini che le tue soldatesse catturarono nella foresta erano fra quelli scacciati da Cardizia!”
“Si” rispose Alaida “e vivono come cacciatori e pastori attorno alle mura di Cardizia. Ed è vietato loro tentare di entrare.”
“Come è possibile” chiese Ardea “che degli uomini si facciano cacciare dalla loro casa da un gruppo di donne?”
“Sono poco più che contadini” rispose Alaida “mentre noi eravamo addestrate e ben armate. Sebbene Cardizia sia sempre stata una contrada pacifica, mio padre amava le armi e da piccola mi istruì su come maneggiarle. Ed io ho fatto lo stesso con le mie compagne. Ed una notte di Maggio, con le armi e con la forza prendemmo il potere a Cardizia.”
“E davvero” chiese Ardea “siete convinte di poter vivere in questa eterna illusione? Davvero credete che l’uomo e la donna, l’armonia del creato, concepite da Dio ed unite attraverso Amore per Sua volontà, possano vivere separati?”
“Si!” Esclamò Alaida. “Lo credo! E nulla mi farà cambiare idea!”
Ardea la fissò senza dire nulla.
“Cosa credi?” Chiese lei. “Che questa notte abbia forse cambiato il mio più profondo credo? Credi che questa notte ti abbia risparmiato la giusta punizione che spetta a voi uomini! Se l’hai creduto, allora sei uno sciocco!”
Ardea la prese per le braccia.
“Guardami negli occhi e dimmi che per te questa notte non ha significato nulla! Dimmelo!” Esclamò.
Alaida si staccò dalle sue mani ed afferrò una campanella d’oro che aveva su un mobiletto accanto al letto.
E la suonò con agitazione.
Un attimo dopo, nella stanza, giunsero dieci guardie armate.
Circondarono il letto, puntando contro Ardea le loro lance affilate e lucenti.
“Conducetelo via.” Ordinò Alaida. “Sapete dove.”
Ardea la fissò mentre le guardie lo portarono via.
Giunto sulla porta gridò:
“Guardami Alaida! Guardami!”
Ma ella non ascoltò le sue parole. Anzi, non ebbe la forza di guardarlo mentre lo portavano via.
E quando restò da sola in quella stanza, avvolta da quelle coperte che ancora avevano il profumo di lui, Alaida, la regina che non voleva amare, pianse amaramente.
http://www.mediacircus.net/gladiator_3.jpg

(Continua...)

Guisgard
15-01-2010, 00.44.02
ARDEA DE' TADDEI

LXXVII

“Io sono follia. Ma non sono solo.
Tutti coloro che amano sono come me.”
(Anonimo)


Intanto, nelle segrete del palazzo, tre uomini attendevano un processo che sembrava già aver sentenziato la loro condanna.
“Siamo caduti in trappola come degli allocchi.” Disse uno di loro.
“Sta zitto” lo riprese l’altro “e facciamo vedere a queste donne come muore un uomo!”
Ma mentre uno si lamentava e l’altro era già rassegnato, il terzo sembrava non prestare attenzione alle loro parole.
Era accasciato accanto alle sbarre e sembrava studiarle con attenzione.
“Cosa fai li vicino?” Gli gridò uno dei due. “Speri di farle aprire a furia di guardarle?”
“Queste sbarre” prese a dire il terzo di loro, che altri non era che Biago “avrebbero bisogno di una sistemata, ogni tanto. La ruggine le sta consumando.”
“Già” sembra che le nostre dame non si curino molto di questo genere di lavoretti!” Rispose l’altro.
“E questo è il loro guaio.” Disse Biago.
Poi, tirò fuori da uno stivale una sorta di chiodo sottilissimo e cominciò a farlo girare nella serratura.
Alcuni istanti dopo uno scattò precedette l’apertura di quelle sbarre di ferro.
“Sei un demonio, mio buon amico!” Esclamò uno dei due prigionieri.
“Zitti e seguitemi!” Ordinò. “Cerchiamo un modo per uscire da qui.”
Così i tre cercarono di evadere da quelle segrete.
Percorsero un lungo ed umido corridoio, fino a giungere ad una sorta di cella scavata nella roccia.
“Sembra un vicolo cieco.” Disse uno dei due prigionieri. “Forse siamo in trappola!”
“Sono sicuro che qui vicino c’è la galleria nella quale scorre il corso d’acqua” disse Biago “e se riuscirendo a raggiungerla saremo salvi.”
Ad un tratto si udirono dei passi di soldati.
“Sono quelle maledette!” Disse uno dei due prigionieri. “Siamo perduti!”
I tre si fecero sotto l’umida parete di roccia, sperando che le soldatesse non scrutassero, al loro passaggio, quella buia cella di pietra.
I passi erano sempre più vicini e sembravano echeggiare nelle orecchie dei tre fuggiaschi in maniera sempre più opprimente.
Sentivano la paura prendere sempre più possesso di loro. Le mani tremavano ed il sudore rigava i loro volti.
Mentre quei passi erano sempre più vicini.
Ma all’improvviso udirono una voce provenire da una piccola crepa nella roccia.
“Ehi voi…” disse quella voce “…per di qua.”
Biago abbassò lo sguardo e vide un sasso ritirarsi dentro la parete.
“Presto, passate qui sotto!” Aggiunse quella voce.
In un momento i tre attraversarono quel passaggio e subito dopo la pietra ritornò al suo posto, rendendo praticamente invisibile quella via di fuga.
I tre si ritrovarono così in una lunga ed irregolare galleria, dove scorreva, arrivando alle loro ginocchia, un corso d’acqua.
“Attraverso questa galleria vi ritroverete fuori da Cardizia.” Disse colui che li aveva tratti in salvo.
“Ma tu sei l’uomo che gridava nell’anticamera!” Esclamò Biago.
“Si, sono io.” Rispose quell’uomo.”
“Maledetto!” Esclamò agitato Biago. “Per colpa dei tuoi schiamazzi ci hanno scoperto e catturati!”
“Vi conviene sbrigarvi.” Disse quell’uomo, che sembrava aver smarrito la sua agitata follia.
“Ha ragione.” Disse uno dei due prigionieri. “Scappiamo o ci troveranno.”
“Sai dove si trova il mio amico?” Chiese Biago a quell’uomo.
“E’ imprigionato, ma per ora non credo corra rischi.” Rispose questi.
“Come fai a saperlo?” Chiese Biago.
“Lo so.” Rispose quell’uomo. “Ora affrettatevi.”
“Non posso lasciare qui il mio amico!” Disse Biago.
“Lui non corre pericoli, per ora.” Disse quell’uomo. “Voi invece si. Andate!”
“Ma tu chi diavolo sei?” Chiese Biago. “Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Sono solo un uomo, follemente innamorato di un’illusione.” Rispose enigmaticamente quel loro salvatore. “Ora andate. Aiuterò io il vostro compagno.”
Allora i tre fuggirono attraverso quella galleria, fino a giungere fuori le mura della contrada.
Biago però aveva la morte nel cuore, temendo per la vita di Ardea.
Ma, mentre si lasciavano dietro Cardizia e le sue alte torri rese ambrate dal tramonto, Biago giurò a se stesso che sarebbe tornato.
E in quel momento una morsa gli attanagliò il cuore, come a volerlo lacerare.
http://www.paesaggioitaliano.it/italia/toscana/siena/1big/siena03.jpg

(Continua...)

cavaliere25
15-01-2010, 22.57.51
complimenti cavaliere e amico mio devo dire che siete bravo a raccontare sono molto colpito e mi fa piacere leggervi ogni volta

Guisgard
16-01-2010, 14.55.26
Grazie, cavaliere.
Sono lieto che le avventure di Ardea incontrino il vostro favore :smile:

Guisgard
21-01-2010, 00.53.50
ARDEA DE' TADDEI

LXXVIII

"Così, la terra variando i semi
Vigor non perde, e in non arato campo
Con larga usura anch'ei l'ozio compensa."
(Georgiche, libro I, 120)


I tre fuggitivi ben presto sbucarono nella foresta che circondava Cardizia.
Attraverso sterpi e rovi giunsero in uno spiazzo. Biago seguiva i due compagni che sembravano conoscere molto bene quei luoghi.
E in quello spiazzo, uno dei due iniziò ad imitare il canto del merlo.
Un attimo dopo qualcuno, celato nella vegetazione circostante, fece altrettanto.
Poco dopo nello spiazzo comparirono cinque uomini.
“Siete vivi!” Disse uno di loro. “Grazie al Cielo!”
“Si.” Rispose uno dei due fuggitivi. “Però ce la siamo vista brutta. Disperavamo di potercela cavare.”
E tutti loro si abbracciarono.
Poi, uno dei cinque, vedendo Biago, chiese chi fosse.
“E’ un nostro compagno di cella” rispose uno dei due fuggitivi “e siamo fuggiti grazie a lui.”
“Benvenuto tra noi, amico.” Disse l’uomo che aveva chiesto di lui.
Poi aggiunse:
“Non restiamo qui. Gli altri devono sapere che siete sani e salvi.”
E così penetrarono nel cuore della foresta, fino a giungere ad un villaggio, piccolo e ben mimetizzato tra la folta vegetazione.
Qui i tre furono accolti con gioia e festa.
“Vieni” disse uno dei due fuggitivi a Biago “devi conoscere Lugos.”
“Chi sarebbe?” Chiese Biago.
“Lugos è il capo del villaggio.” Rispose l’altro. “Senza di lui saremmo persi.”
Andarono allora verso una capanna con il tetto quasi del tutto coperto da sterpi e fogliame.
Appena giunti fuori a quel rustico tugurio, la porta si aprì e apparve un uomo.
Era asciutto, di altezza media, con capelli ed occhi nerissimi e la pelle olivastra.
“Lugos…” cominciò a dire il fuggitivo “…questo è Biago. Era prigioniero con noi a Cardizia e senza di lui noi saremmo ancora lì a marcire.”
“Benvenuto nel nostro villaggio, Biago.” Disse Lugos tendendogli la mano.
Biago si guardava attorno e ammirava come quegli uomini fossero riusciti, in quella natura selvaggia ed inospitale, a costruire un villaggio tanto accogliente e sicuro.
“Ehi!” Gridò all’improvviso una voce alle sue spalle. “Io ti conosco!”
Biago si voltò per lo stupore.
“oI ti ho incontrato nella foresta qualche giorno fa” aggiunse quella voce “ed eri in compagnia di un cavaliere e volevate lasciarmi legato come pasto per le belve feroci!”
Biago allora riconobbe quella voce ed il suo proprietario.
Era quel ragazzo che lui ed Ardea incontrarono appena giunti nella terra di Cardizia.
“Sei sicuro, Tanco?” Chiese Lugos al ragazzo.
“Si, sicurissimo!” Rispose lesto questo. “Ti dico che è lui! Ne sono sicuro!”
“Che storia è questa?” Chiese Lugos a Biago.
“Posso fidarmi?” Chiese Biago.
“Ti abbiamo portato qui, nel nostro villaggio” rispose Lugos “e se sospettassimo di te ti avremmo già fatto la pelle.”
“E sia.” Disse Biago. “Io sono lo scudiero di un cavaliere giunto qui in nome di sua signoria il duca Taddeo.”
“Chi è il cavaliere che accompagni?” Chiese Lugos.
“Mi ha imposto di non rivelare a nessuno il suo nome” rispose Biago “ed io non lo disubbidirei mai.”
“Dove si trova ora?” Chiese Lugos.
“Non l’ho più visto.” Rispose Biago “Forse, quando fummo catturati, fu condotto in un altro luogo. Non so cosa pensare.”
“Un solo cavaliere contro quelle streghe?” Gridò uno dei presenti. “Il duca così pensa di riprendersi Cardizia?”
“Silenzio!” Gridò Lugos.
“Dovete aiutarmi.” Disse Biago. “Devo scoprire dove l’hanno condotto e, se ancora vivo, liberarlo.”
“Faremo il possibile.” Disse Lugos. “Purtroppo noi siamo fuorilegge nella nostra terra e nemici per coloro che dovrebbero essere le nostre compagne.”
“Ma come è accaduto tutto ciò?” Chiese Biago. “Come può essersi diffusa una tale innaturale follia?”
“Seguimi” disse Lugos “e davanti a del buon vino e ad un buon piatto caldo le nostre sventure ci sembreranno meno amare.”
“Ma come?” Intervenne il giovane Tanco. “Quest’uomo voleva fare di me il pasto di qualche fiera della foresta e tu lo inviti a mangiare e a bere!”
“Sta buono, mio giovane ed irruento compagno.” Disse sorridente Lugos.
Entrarono così in una capanna, dove furono serviti loro carne e vino.
“Tutto cominciò” iniziò a raccontare Lugos “due anni fa, con la morte del vassallo del duca. Egli era un uomo giusto ma covava una serpe in seno. Sua mogli infatti non gli perdonò mai il suo libertino amore per le altre e istruì in silenzio la loro unica figlia, forgiandola con un viscerale odio verso tutti gli uomini. Ella, divenuta adulta, sfruttò la sua maestria con le armi appresa dal padre e sparse il funesto seme del suo odio nelle altre donne. E così, alla morte di suo padre, il potere fu preso dalle nostre donne, che ci scacciarono da Cardizia intimandoci di non tornarvi più. Da allora noi le chiamiamo le Dame dall’Incertocuore.”
“Tutto ciò è assurdo!” Esclamò stupito Biago.
“Noi siamo gente pacifica” disse Lugos “ed aliena all’uso delle armi. Nulla abbiamo potuto contro la loro follia.”
“E come pensate di far finire tutto ciò?” Chiese Biago.
Proprio in quel momento un uomo entrò nella capanna.
“Lugos, i cavalieri che attendevamo sono giunti.”
Lugos allora si alzò e si diresse fuori.
Ma prima di uscire si voltò verso Biago e disse:
“Amico mio, qui fuori troverai la risposta alla tuta domanda.”
Biago allora lo seguì, incuriosito da quelle parole.
E uscito dalla capanna vide tre cavalieri, ricoperti da solide e spesse corazze ed armati di tutto punto.
http://www.localriding.com/image-files/sherwood-forest.jpg

(Continua...)

Guisgard
22-01-2010, 01.20.57
ARDEA DE' TADDEI

LXXIX

“Cavalieri forti e feroci incontrerai
sul tuo cammino. Ed al tuo fianco
troverai solo la tua Fede ed il tuo
coraggio.”
(Le Geometriche, libro V)


Il nostro scudiero non impiegò molto a riconoscere quei tre cavalieri.
Erano tre fratelli, appartenenti ad una nota famiglia che vantava una nomea alquanto ambigua.
I loro nomi erano Bartolo, Antonio e Bienzo, della famigerata stirpe dei Merchitti.
Erano mercenari senza scrupoli e nel vederli Biago capì che la situazione sarebbe potuta precipitare molto presto.
“Perché siete ricorsi ai servigi di questi cavalieri?” Chiese a Lugos chiamandolo in disparte.
“Perché noi Carditesi siamo da sempre gente pacifica, tranquilla” rispose Lugos “ed aliena alle armi ed all’arte di procurar danno al prossimo.”
“Questi cavalieri invece” ribatté Biago “sono proprio l’opposto della tua gente! Sono avidi e bellicosi!”
“Conosci forse un altro modo per riportare la pace a Cardizia?” Chiese Lugos. “O per poter liberare il tuo compagno?”
Biago non rispose nulla. Decise di aspettare l’evolversi degli eventi, sperando, in cuor suo, che tutto ciò non li avrebbe condotti alla rovina.
“Chi è tra voi” cominciò a chiedere ser Bartolo dei Merchitti “che è appena tornato dalle prigioni di quel luogo?”
I due compagni fuggitivi di Biago, intimoriti al solo pensiero di dover ritornare in quel posto, restarono in silenzio, palesando la natura remissiva del loro popolo.
Biago invece, ansioso di ritornare a cercare Ardea, rispose lesto a quell’appello.
“Sono io, cavaliere.” Rispose facendo un passo avanti.
“Bene” disse ser Bartolo “e allora ci farai da guida conducendoci nel palazzo di quelle maledette.”
In breve furono pronti per partire.
Assieme ai tre cavalieri e a Biago, si aggiunse un piccolo drappello formato da Lugos ed alcuni dei suoi.
Ripercorsero a ritroso il cammino che i fuggitivi avevano fatto e si ritrovarono al corso d’acqua.
Da qui scesero sotto le mura di Cardizia, arrivando alla galleria che li avrebbe condotti nelle segrete.
Lugos ed i suoi avrebbero atteso qui, senza procedere oltre, i quattro, attendendo un segnale per intervenire. Altri dei suoi stavano per giungere dalla foresta e, dietro le indicazioni dei tre cavalieri, si appostarono attorno alla grande porta che dava l’accesso a Cardizia.
In una cella delle segrete intanto, Ardea era stretto tra dubbi ed interrogativi.
Si chiedeva cosa sarebbe stato di lui e cosa stessero facendo, quelle donne, al suo scudiero. Inoltre non riusciva a togliersi dalla mente quella bellissima donna che gli aveva donato una passionale notte d’amore per poi farlo rinchiudere in quella cella.
Ad un tratto percepì dei rumori confusi. Ebbe subito il sentore che non fossero le guardie.
Un attimo dopo, alcune pietre della parete iniziarono a scuotersi. Poi, come spinte dall’esterno, vennero avanti e mostrarono un passaggio scavato nella parete.
“Salute, cavaliere!” Disse una voce stridula. “So che si ozia bene qui dentro, ma, credimi, fuori si sta meglio!”
“Per la barba del demonio!” Esclamò Ardea, che aveva riconosciuto quel mezzo matto incontrato nell’anticamera del palazzo.
“Calati qui dentro e seguimi!” Disse con tono spiccio quel pazzo.
Ardea, senza farselo ripetere, seguì le indicazioni di quel singolare individuo ed in breve i due si ritrovarono in una galleria semi illuminata dalle fessure che si aprivano sulla volta.
Intanto, negli appartamenti regali di quel palazzo, Alaida era tormentata da ciò che gli diceva il suo cuore.
Fissava il ritratto di Icaro sul soffitto e amare lacrime scendevano sulla sua rosea e vellutata pelle.
Malediva se stessa, il suo destino e la potenza di Amore.
Aveva fatto di tutto per sfuggirgli, per riparasi dai suoi dardi. Aveva tentato di rendere come la pietra il suo cuore, convinta che le sue frecce non avrebbero potuto scalfirlo.
Aveva vissuto con il ricordo del giuramento fatto a sua madre, che mai avrebbe ceduto alle illusioni di Amore.
Ma erano bastati gli occhi azzurri di un misterioso cavaliere per far diventare tutto ciò un’eterea convinzione.
Ma, all’improvviso, alcune grida la destarono dai suoi tormenti. Corse ad aprire la porta per capire cosa stesse succedendo.
Ma una sua guardia la precedette, entrando di corsa nella stanza.
“Mia regina” disse ansimando la donna “tre cavalieri pesantemente armati e ferocemente determinati sono penetrati dalle segrete. Hanno assalito a tradimento le altre guardie ed hanno appiccato il fuoco nei sotterranei. Hanno poi, con l’aiuto di alcuni complici, fatto aprire la porta grande e gli uomini della foresta, anch’essi armati, sono entrati a Cardizia!”
Un brivido di paura misto a collera percorse il volto di Alaida.
Ma l’amazzone guerriera non si perse d’animo.
“Raduna ciò che resta della guardia reale” ordinò alla sua soldatessa “e attaccate senza pietà quei marrani!”
Poi corse verso un baule d’ebano finemente intarsiato e lo aprì.
Estrasse una luminosa spada che emanava intensi ed aurei bagliori.
“Vediamo se la scritta che rechi incisa sulla tua lama” disse fissando quella superba spada “saprà ricacciare di nuovo negli inferi i demoni che ci assalgono!”
Impugnò allora la sacra Parusia, sottratta al cavaliere imprigionato e si diresse verso quelle grida che si diffondevano disperate per tutto il palazzo.
http://www.oasidelpensiero.it/immagini_blog/guerriera1.jpg

(Continua...)

Guisgard
24-01-2010, 23.56.37
ARDEA DE' TADDEI

LXXX

“Dalla grande porta al palazzo
centrale avanza un’Averno di
fiamme! Nola è perduta!”
(Le Geometriche, libro V)


Intanto, in una galleria sottostante al palazzo, l’eco di quelle grida erano giunte anche ad Ardea ed al suo liberatore.
“Cosa accade?” Chiese Ardea.
“La rovina dell’Incerto regno che domina Cardizia.” Rispose l’uomo.
“Dobbiamo salire su, allora!” Disse Ardea.
“Sei folle?” Esclamò l’uomo. “Vuoi tornare in quel luogo ora che si sta scatenando l’Inferno?”
“Il mio compagno è ancora lì!”
“Non più!” Rispose l’uomo. “E’ fuggito. Ora è con gli uomini della foresta.”
“Ne sei certo?”
“Si. Fui io ad aiutare lui ed altri due prigionieri. Proprio come sta tentando di fare con te ora.”
“Io però deve tornare a recuperare la mia spada.” Disse Ardea.
“Una spada non vale la tua vita!” Esclamò l’uomo.
“Quella è la spada di mio padre” disse Ardea “ed io non la lascerò qui!”
“Torni per la spada o per la regina?” Chiese l’uomo.
“Indicami da dove posso risalire per giungere nel palazzo.”
“Quella donna ha stregato anche te!” Disse l’uomo. “Seguimi!”
Avanzarono allora fino ad un piccolo cunicolo che li avrebbe condotti nei piani alti del palazzo.
Qui intanto stava scatenandosi l’Inferno.
I tre cavalieri mercenari facevano scempio delle soldatesse carditesi, mentre il fuoco iniziava ad avvolgere le fondamenta del palazzo.
Ad un tratto apparve un cavaliere.
Era ricoperto da una armatura cromata che emanava rosei bagliori ed impugnava una spada lucente come il Sole.
Appena l’ebbero visto, i tre Merchitti si apprestarono a sfidare quel cavaliere.
Iniziò così una feroce contesa. Ma nonostante l’impari sfida, quel cavaliere teneva con maestria testa a quei tre.
Intanto, Ardea ed il suo liberatore erano risaliti nel palazzo.
E una scena apocalittica si mostrò allora ai loro occhi.
Uomini e donne si battevano senza sosta e senza pietà, mossi da un odio primordiale, mentre il fuoco pian piano consumava le mura del palazzo.
“Ardea!” Gridò una voce familiare. “Sei vivo, grazie al Cielo!”
Era Biago.
“Sono felice di rivederti, amico mio…” disse Ardea “…ma dobbiamo salvare il palazzo!”
“Ormai è tardi!” Rispose Biago. “Quei dannati Merchitti hanno dato fuoco a tutto.”
“Di chi parli?” Chiese Ardea.
“Sono tre mercenari assoldati dagli uomini della foresta per riprendersi Cardizia!”
“Il fuoco” disse Ardea “parte dai sotterranei. Dobbiamo trovare il modo di spegnerlo. Servirebbe dell’acqua. Tanta acqua!”
“C’è un modo.” Intervenne l’uomo che l’aveva salvato. “La galleria in cui passa il corso d’acqua è costituita da mattoni crudi. Se l’abbattessimo il corso d’acqua invaderebbe i sotterranei, spegnendo il fuoco.”
“Sei un genio, vecchio pazzo!” Disse entusiasta Ardea.
“No!” Intervenne Lugos. “Questo posto e tutto quello che rappresenta deve essere distrutto! Non vi permetteremo di salvarlo!”
”Ascolta…” disse Ardea prendendolo per la giubba “…se questo palazzo brucerà, in breve brucerà tutta Cardizia!”
Poi ordinò a Biago e ad altri uomini di seguire il vecchio e fare come diceva loro.
Lui intanto, attirato dalle grida della battaglia, si lanciò nella mischia.
Vide allora lo scontro tra i tre Merchitti ed il cavaliere dalla corazza rosata.
E riconobbe in pugno a quest’ultimo la sua Parusia.
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(Continua...)

Guisgard
26-01-2010, 00.21.19
ARDEA DE' TADDEI

LXXXI

“Non vi è gloria nella battaglia,
ma solo nemici. E non vi è fama
nella vittoria, ma solo liberazione
da quest’odio che ci spinge a combattere.”
(La faida tra l’impero e il regno, IX)


Quel cavaliere, sebbene veloce nelle movenze e preciso nel colpire, iniziava a soffrire l’attacco simultaneo dei tre Merchitti.
Benzo allora, accortosi della difficoltà del cavaliere, tentò di infilzarlo alle spalle.
Questi però, capite le sue intenzioni, lo aggirò e lo colpì con un fendente mortale.
Alla vista del fratello colpito a morte, Antonio si lanciò con rabbia verso il suo avversario e lo trafisse ad un fianco.
Questi si accasciò a terra.
Antonio allora tirò il suo fendente per finire l’avversario, ma una veloce e poderosa lama fermò il suo colpo.
“Chi siete?” Chiese il Merchitto.
“Il duello è finito, cavaliere!” Rispose Ardea, puntando la spada con la quale lo aveva fermato, alla gola di Antonio.
“E chi l’ha deciso?” Ringhiò Antonio.
“La vostra buona sorte!” Rspose Ardea. “Perché se non mettete via la spada oggi sarà il vostro ultimo giorno.”
“Chi siete per parlare così ad un cavaliere?” Chiese irritato Bartolo.
“Non vedo cavalieri qui.” Rispose Ardea. “Tre contro uno non è da cavalieri, ma da vigliacchi.”
Antonio, infangato da quelle parole, lo assalì con violenza. Ed altrettanto fece suo fratello Bartolo.
“Questa è vostra!” Gridò da terra il cavaliere rosato, lanciando ad Ardea la sua Parusia.
L’eroe la impugnò e raccolse la sfida dei due marrani.
Lo scontro fu subito duro. I due avversari erano animati da odio e rabbia per la morte del loro fratello e lanciavano poderosi colpi verso Ardea.
Questi riusciva a difendersi bene dai loro attacchi, ma era impossibilitato ad offendere, senza rischiare di indebolire la sua difesa.
Tutto questo mentre attorno continuavano gli scontri tra gli uomini e le donne di Cardizia ed il palazzo era sempre più avvolto dal fumo e dal fuoco.
Ad un tratto, vedendo Ardea in difficoltà contro i due Merchitti, il cavaliere rosato, strisciando, arrivò a raccogliere una lancia e affidandosi alle poche forze che gli restavano, trafisse ad una gamba Bartolo.
Venuto meno l’appoggio di suo fratello, Antonio si ritrovò a combattere da solo. E l’esitazione per questa nuova situazione gli fu fatale.
Con un abile e preciso colpo, Ardea lo trafisse mortalmente.
Bartlo intanto, estratta la lancia dalla sua gamba, cercò di colpire il cavaliere rosato, ma Ardea lo raggiunse e con un colpo gli mozzò il braccio destro, lasciandolo a terra tra le sue grida laceranti ed il suo sangue che lo avvolgeva.
Ardea allora si avvicinò al cavaliere rosato e controllò la sua ferita.
“E’ un brutto taglio…” disse “…ma non è mortale.”
Il cavaliere ferito fece cenno ad Ardea ti togliergli l’elmo.
Levato l’elmo, Ardea svelò con stupore l’identità di quel cavaliere.
“Alaida!” Gridò Ardea. “Sei tu!”
La regina sorrise.
Nemmeno il sangue ed il sudore che rigavano quel viso, riuscirono a rendere più sbiadita la sua bellezza.
Ardea allora l’alzò da terra e la condusse in una vicina stanza.
“Avevi ragione tu…” disse la donna piangendo “…non si può vivere senza l’amore.”
Ardea l’accarezzò con dolcezza.
“Ora pensa a riposarti.” Le sussurrò.
“Salva le mie compagne…ti prego…” Disse Alaida con un fil di voce.
Ardea le sorrise ed annuì.
“Mio bel cavaliere senza nome…” sospirò la regina “...ti amo…”
Detto questo, perse conoscenza.
Ardea accarezzò il suo bel viso e l’adagiò sul letto.
L’affidò a due ancelle e corse fuori.
Prese allora un grosso corno e lo suonò con forza.
In quel momento cessarono i furiosi scontri.
“Basta combattere tra voi!” gridò Ardea. “Figli e figlie di Cardizia, se amate questa terra e ne siete degni, allora aiutatemi a salvare questo palazzo!”
La sua voce echeggiò nelle loro menti e sembrò scuotere nel profondo quegli uomini e quelle donne.
Tutto questo mentre il fuoco si faceva sempre più minaccioso, deciso, come mosso da collera divina, a cancellare ogni cosa di quel luogo.
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(Continua...)

Guisgard
27-01-2010, 00.16.27
ARDEA DE' TADDEI

LXXXII

“Toccherò di nuovo il Sole!
Oh Cielo, accoglimi. E tu terra
sostienimi.”
(La vendetta di Icaro)


Tutti allora, come se le parole di Ardea avessero scosso le loro coscienze da un lungo torpore, cominciarono a darsi da fare per domare le fiamme.
Ardea intanto corse nei sotterranei, dove Biago e gli altri cercavano di far penetrare le acque del corso d’acqua che scorreva sotto Cardizia.
Questi erano intenti a distruggere parte di quel muro di mattoni crudi.
“A che punto siete?” Chiese Ardea, mentre le fiamme rendevano quasi impossibile respirare.
“Abbiamo trovato delle piccole crepe” rispose Biago tossendo “nel muro. Le fiamme le hanno rese visibili, ma occorre qualcosa per abbattere questo muro.”
“Prendete quei crossi tronchi” gridò Ardea “li useremo come arieti!”
E mentre gli altri fecero come aveva ordinato, Ardea con tutta la forza che aveva conficcò Parusia in una di quelle crepe e cominciò ad usarla come leva.
I suoi compagni lanciavano poderosi colpi contro quel muro, mentre Ardea tentava di allargare quella crepa.
Pian piano, dalle crepe cominciò a colare acqua.
E ad un tratto, finalmente, il murò cedette sotto la foga e la disperata determinazione di quegli uomini.
L’acqua così invase i sotterranei del palazzo, coprendo le fiamme che sembravano essere giunte dall’Averno.
Nei piani alti, intanto, uomini e donne lottavano strenuamente ed insieme contro ciò che restava dell’incendio.
Ed alla fine vinsero le ultime fiamme.
Vinto così quel nemico, tutti i carditesi e le carditesi compresero finalmente la follia del loro comportamento.
Una nuova epoca sarebbe giunta in quel luogo. L’era dell’incertezza era finalmente tramontata.
Seguirono feste, canti e musica per celebrare il ritorno alla vita di Cardizia.
E durante tali gioiose celebrazioni, Ardea prese la parola:
“Uomini e donne di Cardizia…” gridò, mentre tutti si zittirono per ascoltarlo “…la contrada è di nuovo vostra!”
Ci fu un boato di gioia.
“Il duca ha fiducia in voi” continuò a dire “e sa che saprete ricostruire lo splendore di questa contrada! In nome del duca, vostro e mio signore, nomino Alaida baronessa di Cardizia. Ella saprà guidarvi con grazia ed indulgenza!”
Tutti applaudirono ed apprezzarono le sue parole.
Alaida lo ascoltava dal balcone del palazzo. Lui la vide e la raggiunse.
La donna era nella sua stanza, invasa dalla luce del mattino che la rendeva fresca e luminosa.
“Come stai ora?” Chiese Ardea.
“Molto meglio” rispose lei “e ormai la ferita non fa più male e non ha avuto conseguenze.”
“Bene, ne sono lieto.” Rispose lui.
Lei sorrise malinconica.
“Sono qui per…”
“Per salutarmi, lo so.” Lo interruppe lei.
“Il mio viaggio è solo all’inizio” disse Ardea “e se mi fermassi ora sarebbe la fine di tutto.”
“E poi” disse Alaida “qui non c’è niente che ti spinge a restare…”
Ardea si avvicinò a lei.
“Mia signora…” cominciò a dire “…ho la morte alle calcagna, una colpa nell’animo…ed il volto di una dama nel cuore. Il mio destino è lontano da qui.”
Umide e azzurre lacrime cominciarono a bagnare gli occhi di lei.
“Ti chiedo solo una cosa…” disse lei “…il tuo nome…”
Ardea le si avvicinò e le sussurrò il suo nome ad un orecchio.
Le loro labbra si sfiorarono per un effimero istante, fino a baciarsi.
Ma quel bacio durò solo un attimo.
Uno ultimo intenso sguardo e poi quel cavaliere lasciò la sala e con essa Cardizia.
Rimasta sola, un’ancella le si avvicinò.
“Perché non gli avete detto del bambino, mia signora?” Chiese questa.
“Tenerlo qui senza amore” rispose Alaida “sarebbe solo un delitto ed un eterno tormento. Ma non mi ha lasciata sola.”
Mentre diceva questa cose si accarezzava dolcemente il ventre.
“Questo bambino” disse l’ancella “ sarà nobile e grande. E diventerà un re.”
“No…” rispose Alaida sorridendo “…sarà come suo padre…il più grande di tutti i cavalieri.”
“Come lo chiamerete, mia signora?”
“Un nome che mi rammenterà sempre il breve istante in cui suo padre mi amò” rispose lei “e quando giunsi a toccare quasi il Sole, prima di ricadere sulla Terra.”
E parlando fissava il ritratto di Icaro sul soffitto della camera.
Poi si affacciò dalla finestra ed in lontananza scrutò il suo cavaliere che riprendeva il cammino verso la foresta, accompagnato dal fedele scudiero e dai suoi eterni sospiri.
http://digilander.libero.it/mairam2000/Animazioni/Didone.jpg

(Continua...)

Guisgard
28-01-2010, 23.51.15
ARDEA DE' TADDEI

LXXXIII

TERZA QUESTIONE: FRATTAGRANDE, IL MOLOSSO DEI MUSSONI

"Nella nebbia si nasconde la tentazione."
(I Racconti della Luna Pallida di Settembre, III)


Il cammino che conduceva Ardea e Biago verso Frattagrande era lungo e stancante.
Avvolta in una verde ed umida brughiera, questa contrada era la più occidentale delle proprietà del duca e ne segnava i confini verso l’ovest.
Miglia e miglia di verdeggianti distese contornavano l’intero paesaggio, mentre un lungo e stretto sentiero si apriva quasi intimorito al suo interno.
E solo verso sera i due avvistarono le cupole ed i campanili delle chiese di Frattagrande.
Ardea, forse aiutato da quell’incorporeo scenario, che il crepuscolo avevo coperto con una tenue nebbia, era perso nei suoi pensieri.
Questo suo viaggio, suo padre, la ragazza vista nella taverna di Caivania, lo sguardo di Alaida, le sue colpe ed i suoi peccati; tutto, come un mare impetuoso, veemente e furioso, inondava la sua mente.
In certi momenti lo sconforto, la rassegnazione, lo smarrimento sembravano prendere il sopravvento.
In un attimo, dalla giorno alla notte, come un impalpabile fatalità, la sua vita fù totalmente cambiata.
La gioia, i sogni, la speranza, la fama, tutto sembrava essersi smarrito, facendolo sentire come un naufrago, approdato su una terra deserta, dopo aver perso ogni cosa.
Egli faceva ricorso a tutte le sue forze, a tutta la sua abilità per portare a termine questa ardua impresa.
Ad ogni contrada egli avrebbe messo in gioco la vita. Sapeva che la morte poteva attenderlo ovunque. Forse proprio a Frattagrande.
Eppure continuava.
Ma per cosa? Si chiedeva in certi momenti in cui lo smarrimento si faceva più forte.
Perché rischiare così la vita?
E se anche, miracolosamente, avesse portato a termine tutte e sette le Questioni avrebbe comunque trovato ad attenderlo quel misterioso cavaliere che sembrava invincibile.
E allora perché non fuggire via?
Perché non cercare una terra in cui ritrovare la serenità perduta e ricominciare di nuovo a vivere?
Forse era la sua debolezza, forse il suo tormento a suggerirgli queste cose.
Forse era il diavolo che già assaporava la sua anima.
Perché allora continuare? Per cosa? Per chi?
Ed era in questi momenti che, come una misteriosa forza, emergeva dal suo cuore un impeto.
Per suo padre. Per ciò che gli ha dato.
Per le sue terre e per chi vi abitava.
Ma anche per se stesso.
Sapeva infatti che in nessun luogo avrebbe mai potuto trovare pace.
Solo con immani fatiche e sacrifici egli avrebbe potuto tentare di lavare il suo cuore da quella colpa.
E se anche avesse dovuto pagare con la vita per quelle sue colpe, egli ben sapeva che all’Inferno non avrebbe trovato tormento peggiore di quello che stava vivendo ora.
Anzi, forse egli sperava, in cuor suo, proprio di morire in questa impresa e trovare finalmente sollievo dai sui supplizi.
Ma mentre tali pensieri laceravano il suo animo, ad un tratto dalla brughiera circostante emerse un delirante latrato.
“Cosa è stato?” Chiese intimorito Biago.
Ardea non rispose e fece cenno di tacere al suo scudiero.
Un attimo dopo uno spaventoso ringhio si diffuse tra le nebbia e la sbiadita luce lunare.
“Di nuovo!” Disse spaventato Biago. “E stavolta sembra più vicino!”
“Teniamoci sulla strada ed evitiamo la brughiera.” Disse Ardea guardandosi attorno. “Frattagrande non è lontana.”
Ripresero così il cammino con un andamento più svelto, mentre Ardea teneva ferma la mano sull’elsa di Parusia.
Di nuovo nell’aria echeggiò quell’inumano ringhio.
“Si è avvicinato ancora di più!” Disse Biago quasi balbettando.
Proseguirono ancora, guardinghi ed impressionati da quei versi bestiali, fino a quando, poco dopo, giunsero finalmente alle porte di Frattagrande, che come una spettrale visione emergeva inquietante tra il buio della sera ed i lamenti della brughiera.
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(Continua...)

Guisgard
01-02-2010, 00.41.02
ARDEA DE' TADDEI

LXXXIV

“L’Aldilà non è poi così, lontano.
Immaginate che il mondo e tutto
ciò che conoscete non siano altro
che l’appendice di un qualcosa di
molto più grande. Un qualcosa che
sfocia nell’infinito. Sempre che crediate
all’infinito, ovviamente.”
(La setta degli Illusi, XIV)


Arrivati a Frattagrande, Ardea e Biago trovarono la contrada deserta.
Il silenzio che percorreva le buie strade era rotto dal lento e lamentevole rintocco di una campana.
Decisero così di seguirlo, ritrovandosi poco dopo nel centro di Frattagrande.
Così assistettero ad una triste cerimonia.
Una bara veniva portata verso la chiesa, mentre dietro seguivano tutti i cittadini in religioso silenzio.
Alla testa del corteo vi era una donna che stringeva due bambini. I suoi lamenti, intervallati da uno straziante pianto, sembravano echeggiare nel buio della sera e nella tristezza di quel momento.
Ardea e Biago si segnarono tre volte alla vista di tutto ciò.
“Proprio nel bel mezzo di un funerale” prese a dire Biago “dovevamo capitare qui! Spero solo non sia un brutto presagio.”
I due poi si avvicinarono ad una locanda, dove sulla porta assisteva al funerale il proprietario.
Era un uomo anziano, con capelli ricci e bianchi e baffi arruffati.
“C’è un pasto caldo e un posto per la notte?” Gli chiese Ardea, mentre Biago teneva per le redini i loro cavalli.
“Si...” rispose senza fissarlo quel vecchio “…c’è posto qui. C’è un sacco di posto in questo luogo.”
“Chi era il defunto?” Chiese Ardea.
“Uno come tanti.”
“A giudicare da sua moglie e dai suoi figli” disse ancora Ardea “non doveva essere vecchio.”
“Non lo era.” Rispose con apatia il locandiere.
“Questi sono i nostri cavalli.” Prese a dire Biago.
Il locandiere prese le loro redini e li condusse nella stalla.
Ardea e Biago intanto presero posto ad uno dei tavoli.
“Molto socievole il nostro amico.” Disse con sarcasmo Biago.
Il locandiere ritornò con del vino e due ciotole di minestra.
“Dìte...” prese a chiedere Ardea “…era un uomo importante il defunto? Ho visto che tutta la popolazione seguiva il corteo funebre.”
“Era un povero disgraziato” rispose il vecchio “come tanti.”
“Allora” intervenne Biago, tra un cucchiaio di minestra e l’altro “aveva molti amici.”
Il locandiere lo guardò con un’espressione di fastidio misto ad apatia.
“Quando c’è qualcosa che accomuna gli uomini” rispose “allora questi si ricordano di essere tutti fratelli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Tutti a Frattagrande” rispose il locandiere “sanno che li accomuna la stessa cosa.”
“E cosa?” Chiese Biago mentre lucidava il fondo della sua ciotola.
“Che moriranno tutti della stessa morte!”
Biago per quella risposta quasi si strozzò, cominciando a tossire forte.
Ardea invece fissò per qualche istante il locandiere. Poi chiese:
“Che storia è questa, vecchio?”
“Una storia maledetta” rispose il locandiere “come la sorte che tocca a tutti noi.”
“Di che sorte parlate?” Chiese Ardea.
“E’ una lunga storia.” Rispose il vecchio.
“Abbiamo tutta la notte.”
Il locandiere fissò quel cavaliere.
“Chi siete?” Chiese.
“Un semplice cavaliere.” Rispose Ardea, riempiendo la sua coppa di vino ed offrendola al vecchio. “Ora bevete con noi e raccontateci cosa accade in questo posto.”
Il locandiere prese la coppa e la svuotò in un sorso solo. Poi prese a raccontare:
“Tutto cominciò quando la gran duchessa morì.”
“Parli di lady Grazia de’Mussoni?” Chiese Ardea “Non sapevo fosse morta!”
“Si...” rispose il vecchio “…la dama di ferro, come noi la chiamavamo, godeva della fiducia del duca e ha retto Frattagrande per quarant’anni.”
“Si, tutti nelle Cinque Vie conoscono lady Grazia.” Disse Ardea. “Ma ora chi governa Frattagrande?”
Il locandiere rise amaramente.
“Nessuno.” Rispose. “Solo la morte e la paura.”
In quell’istante si udì un ultimo rintocco di campana, seguito un momento dopo da un allucinante ululato.
“Per l’Inferno!” Saltò su Biago. “Di nuovo quel verso!”
“Si...” disse il vecchio “...si ode ogni notte.”
“Ma che cos’è?” Chiese visibilmente turbato Ardea.
“E’ il fantasma del molosso di lady Grazia!” Rispose il vecchio.
Ardea e Biago lo fissarono increduli.
“Arriva ogni notte dall’oltretomba, per portarci i tormenti della sua padrona!” Aggiunse il vecchio, mentre la pallida Luna della notte era emersa dalle sottili nuvole del cielo, illuminando una Frattagrande ormai sinistramente vuota e desolata.
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(Continua...)

Guisgard
01-02-2010, 23.34.45
ARDEA DE' TADDEI

LXXXV

“Urlar li fa la pioggia come cani;
de l'un de' lati fanno a l'altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.”
(La Divina Commedia, VI, 19)


Ardea e Biago, alle parole del locandiere, si scambiarono un’occhiata confusa ed incerta.
“Che storia è mai questa?” Chiese Ardea.
“E’ la verità” rispose stancamente il locandiere “e spesso appare più incredibile della fantasia.”
“Il fantasma di un cane!” Esclamò Biago. “Ho sentito sin da piccolo storie di spettri e fantasmi…di re, dame e cavalieri. Ma mai di un cane!”
Il locandiere accennò un ghigno che sapeva di beffa.
“Ma dove è sbucato fuori questo cane poi?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia” rispose il locandiere “aveva un molosso a cui era molto affezionata. Era una gran donna, forte, risoluta, con un carattere indomabile. Aveva però una carenza che rendeva il suo vigoroso animo non sempre luminoso…era avara!”
“Si...” intervenne Ardea “...il duca mi raccontava spesso dei suoi vassalli e di lady Grazia diceva proprio questo.”
“Chi siete dunque, cavaliere?” Chiese il locandiere interrompendo il suo racconto.
“Sono un uomo inviato dal duca in questa contrada per controllare se tutto sia in ordine.”
“Allora avrete molto da fare, mio signore...” disse il locandiere “...visto che qui domina il disordine nella sua essenza più reale!”
“Continuate a dirci di lady Grazia e del suo molosso.” Disse Ardea.
“Lady Grazia non amava che qualcuno si avvicinasse al suo palazzo ed alle sue proprietà.” Riprese a raccontare il locandiere. “Non aveva molta fiducia nel suo prossimo.”
“Era cittadina del mondo allora!” Esclamò Biago.
“Si” rispose il locandiere “ed è normale essere diffidenti verso gli estranei…un po’ meno invece è esserlo verso i propri figli.”
“Che volete dire?” Chiese Ardea.
“Lady Grazia conosceva gli animi dei suoi figli” rispose il vecchio “e conosceva la loro avidità e l’astio che c’era fra di loro. Una volta uno dei suoi servi mi raccontò che ella evitava di fare testamento, per paura di essere uccisa!”
“Per l’Inferno!” Esclamò Biago.
“E quel cane quindi le serviva per difendersi dai suoi stessi figli?” Chiese incredulo Ardea.
“Si” rispose il locandiere “e per strana ed innaturale che possa sembrare è questa la nuda e cruda verità.”
“Salute.” Disse ironico Biago e scolò la sua coppa di vino.
“E dopo la morte di Lady Grazia” chiese Ardea “che fine ha fatto il suo cane? Parlate di un fantasma,quindi presumo sia morto.”
“Si.” Rispose il vecchio locandiere. “Morì poco dopo la sua padrona. Forse per la nostalgia.”
“Questo non faccio fatica a crederlo.” Intervenne Biago. “Spesso gli animali si sono dimostrati più umani di molti individui che ho conosciuto.”
“E da quando questo cane è tornato dall’Aldilà?” Chiese Ardea con sarcasmo.
“Poco dopo essere morto.” Rispose il vecchio. “Appena gli scontri tra i figli di lady Grazia si fecero più violenti.”
“Si contendono le sue proprietà, immagino.” Disse Ardea.
“Ed il potere su Frattagrande.” Aggiunse il locandiere.
“Questo sarà il duca a deciderlo.” Sentenziò Ardea.
Il locandiere lo fissò senza dire nulla.
“Comunque” intervenne ancora Biago “questa storia è assurda! Non può esserci il fantasma di un cane. Tutti sanno che gli animali non hanno un’anima!”
“L’Inferno ha molti orrori inspiegabili per noi mortali.” Rispose il locandiere.
“L’Inferno ha molti orrori.” Disse Ardea. “Proprio come la follia umana.”
“Ma dove appare questo fantasma?” Chiese Biago.
“Ogni notte nella brughiera” rispose il vecchio “e si aggira attorno al palazzo di lady Grazia. E chiunque abbia la sventura di incontrarlo finisce sbranato. E oggi ne avete avuto testimonianza.”
“Un fantasma che sbrana…” Ripeté Biago.
“E’ come se la gran duchessa l’avesse inviato dall’Aldilà per evitare che i figli possano mettersi d’accordo sulla sua eredità!” Disse il vecchio con gli occhi spalancati dal terrore.
“Tutto ciò è assurdo...” Disse Ardea.
“Eppure lo abbiamo sentito nella brughiera, ricordi?” Intervenne Biago.
Ardea si avvicinò alla finestra e cominciò ad osservare l’oscurità della notte.
“Si, qualcosa deve esserci la fuori nel buio...” disse scrutando l’immensità della notte “...qualcosa che sembra voler tormentare i vivi attraverso i supplizi dei morti...”
Un rintocco di campana si diffuse in quel momento per le strade di Fattagrande, come se stesse indicando l’ora più oscura e misteriosa della notte.
L’ora in cui i morti ritornano per perseguitare i vivi.
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(Continua...)

Guisgard
03-02-2010, 00.46.37
ARDEA DE' TADDEI

LXXXVI

“Stirpe maledetta e caina che finge
di non udire il lamento del proprio
sangue reale!”
(La Guerra dell’Oro, VII)


Poco dopo, Ardea e Biago presero possesso della loro camera.
Biago, stanco per il viaggio, cadde subito nelle tenere braccia di Morfeo.
Ardea invece, in balia di pensieri e preoccupazioni, impiegò un po’ prima di addormentarsi.
La notte tuttavia, nonostante la tetra atmosfera di Frattagrande, trascorse tranquilla.
L’indomani, i due scesero per la colazione nella sala da pranzo.
E qui trovarono un’inaspettata sorpresa.
Un uomo, asciutto nel fisico e rugoso nel volto, li stava attendendo.
Era abbigliato al modo degli stallieri e diceva di aver avuto ordine di condurre i due nuovi arrivati al palazzo ducale.
“Costui ha nome Giovanni” disse il locandiere “ed è al servizio dei Mussoni da anni ormai. E’ una persona di piena fiducia. Potete seguirlo tranquillamente.”
“Veramente” intervenne Biago “non abbiamo ancora fatto colazione…”
“Al palazzo” rispose Giovanni accennando un inchino “è tutto pronto per accogliervi. I miei signori attendono voi per la colazione.”
“A cosa dobbiamo questo invito al palazzo?” Chiese Ardea.
“I miei padroni sono vassalli leali e fedeli” rispose Giovanni con un tono di rispetto e pudore “e desiderano che un cavaliere del duca ed il suo scudiero alloggino al palazzo.”
“Sanno già chi ci manda.” Disse Ardea sarcastico guardando il locandiere. “Sembra che in questa contrada le voci corrano anche di notte.”
Poi, prese le loro cose, seguirono quel uomo.
Poco dopo si ritrovarono davanti al palazzo ducale di Frattagrande.
L’edificio era grande e ornato di diversi fregi e stendardi, che raccontavano il lignaggio ed il prestigio della stirpe dei Mussoni.
Giunti nel grande cortile colonnato, trovarono ad attenderli un uomo di bassa statura ma di portamento fiero.
“I miei saluti, cavaliere!” Disse andando incontro ai due ospiti. “Sono Luigi de’Mussoni e vi porgo il benvenuto a Frattagrande.”
“I miei omaggi, milord.” Rispose Ardea.
“Con chi ho l’onore di parlare, messere?” Chiese Luigi.
“Sono, come già sapete, un cavaliere inviato dal duca per controllare come procedono la conduzione e l’amministrazione di Frattagrande.”
“Ed avete un nome, presumo?” Chiese ancora Luigi.
“Ho un nome, milord, come tutti i cristiani...” rispose Ardea “...ma feci voto solenne di non rivelarlo mai ad alcuno. Se vi aggrada potete rivolgervi a me con l’epiteto di cavaliere disonorato.”
“Singolare soprannome!” Esclamò stupito Luigi.
“La cavalleria insegna a noi suoi adepti che la vanagloria e le frivolezze della vita vanno annullate.” Rispose Ardea. “Io peccai proprio in simili carenze ed il mio nome, ancora oggi, ricorda la mia colpa.”
“Sebbene” rispose Luigi “il vostro portamento e le vostre parole neghino il sospetto in voi di tali colpe, rispetterò questo vostro voto e vi chiamerò come mi avete detto.”
Ma proprio mentre Luigi parlava, Ardea notò una figura che da una delle finestre che davano sul cortile li stava fissando.
Era una donna, dai chiari capelli e dall’aspetto avvenente.
“Vedo che non hai perso tempo ad accogliere i nostri ospiti.” Disse una voce appena giunta nel cortile.
“Sebbene dimori ancora instabilità in questa contrada” rispose Luigi “le regole del buon vivere civile non le abbiamo dimenticate.”
Poi, rivolto ad Ardea aggiunse:
“Cavaliere, questa è mia sorella Maria.”
La donna fece un inchino e si presentò ad Ardea.
Era questa una bellezza bruna, dai lineamenti gentili e ben fatti. Prosperosa nelle forme e fiera nel portamento.
“Sono sicura” disse la donna “che mio fratello avrà ben soddisfatto il ruolo di padrone di casa, sebbene non ne abbia nessun titolo, porgendovi il nostro benvenuto.”
“Qualcuno doveva pur accogliere l’inviato del duca!” Sbottò infastidito Luigi.
“Ed hai fatto benissimo, fratello mio.” Rispose Maria che poi, rivolta ad Ardea, chiese:
“Qual è il vostro nome, messere?”
“Come ho già spiegato a vostro fratello” rispose il cavaliere “un voto impostomi dal mio credo fa si che tutti mi chiamino cavaliere disonorato.”
“Un nome tanto meschino per un uomo così affascinante?” Rispose Maria. “Ed immagino che il vostro valore non sia da meno del vostro aspetto.”
“Milady...” disse Ardea chinando il capo “...vi benedica Iddio per le vostre parole.”
“Direi di raggiungere la sala grande” intervenne Luigi “dove ci verrà servita la colazione. Se volete farmi la compiacenza di seguirmi.”
Ma prima che lasciassero il cortile, ad Ardea non sfuggì un cenno tra Maria e Giovanni.
Un cenno quasi di intesa che però colpì il cavaliere per la forma confidenziale con cui fu posto dalla donna a quel servitore.
Giunti poi nella sala grande, altre due donne andarono incontro ai nuovi arrivati.
“Queste sono le mie due sorelle Ania e Rosetta.”
Le due donne si presentarono con rispettosi inchini e larghi sorrisi ai loro ospiti.
Costoro erano di qualche anno più giovani di Maria e a differenza della sorella maggiore erano molto più chiare di carnagione, sebbene meno affascinanti. Le accomunava il castano chiaro dei loro capelli ed un fare nei loro modi che tradiva una certa indole battagliera.
“Visto che ci siamo tutti” prese a dire Luigi “direi di metterci a tavola per la colazione. I nostri ospiti saranno affamati.”
“Manca ancora Parzia” rispose con tono fermo Maria “e sono sicura che i nostri ospiti vorranno conoscerla e godere, con noi, della sua compagnia..”
E proprio in quel momento giunse nella sala una ragazza.
Era più giovane delle altre e tradiva un portamento molto meno distinto.
Il suo fare disinvolto, che ben si legava alla sua avvenenza, ben dipinta dal biondo tenero dei capelli, dal viso gradevole e dalle forme aggraziate, colpì subito Ardea.
Un’ampia scollatura si apriva sul suo vestito turchese ed uno sguardo ammaliante era impresso sul suo volto.
“Questa è Parzia, nostra sorella minore.” Disse Maria.
Ardea nel vederla subito riconobbe in lei la ragazza che li stava osservando da una finestra del cortile poco prima.
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(Continua...)

Guisgard
08-02-2010, 01.08.48
ARDEA DE' TADDEI

LXXXVII

“Quella tavola era imbandita
da pietanze fumanti e colorati
nettari. Le candele profumavano
l’aria di aromatiche essenze e
scintillanti posate impreziosivano
i posti a sedere. A quella tavola però
mancavano armonia, lealtà e amore.”
(Il pasto dei Primi, VIII)


“Benvenuto nel palazzo dei Mussoni, cavaliere.” Disse Parzia inchinandosi.
Sul suo volto era dipinto un malizioso sorriso, mentre quel vestito che indossava faceva ampio sfoggio del suo avvenente corpo.
“Parzia è la più giovane fra noi” intervenne Maria “ed è quindi diletto di noi tutti coccolarla e viziarla.”
“Noi tutti?” Prese a dire Luigi. “Parla per te, sorella mia. Su queste cose l’ho sempre pensato come nostra madre, che Dio l’abbia in gloria.”
“Nostra madre, come ben sai, anche se ora sembri averlo dimenticato, adorava viziare ognuno dei propri figli. Compreso te, fratello caro.” Rispose Maria.
Luigi le lanciò un’occhiata di astio e disgusto.
“Gli affari di famiglia” intervenne Rosetta “riguardano noi soli. Direi perciò di annoiare oltre con simili questioni i nostri ospiti e di prendere invece posto a tavola.”
“Sono perfettamente d’accordo con te.” Rispose Maria sorridendo a denti stretti.
Così, una volta seduti a tavola, fu servita loro la colazione.
“E’ di vostro gradimento il tutto, messere?” Chiese Parzia con un sorriso ammaliante.
“E’ tutto squisito, damigella.” Rispose Ardea.
“La nostra Parzia” intervenne Maria “ha tra i suoi diletti e le sue virtù un vivace amore per l’arte culinaria. E questa colazione è stata appunto preparata da lei… per voi.”
“Per me?” Ripetè stupito Ardea.
“Certo” rispose Maria. “Sapevamo del vostro arrivo qui a Frattagrande.”
“ E come, milady?” Chiese Ardea. “Visto che sono giunto in incognito?”
“Lo eravate forse prima di giungere qui” rispose Maria sorseggiando dalla sua coppa “ma una volta attraversate le mura, noi sappiamo ogni cosa di ciò che accade a Frattagrande.”
“Fa parte dei nostri doveri di fedeli vassalli del duca, ovviamente.” Precisò Luigi.
“Ovviamente.” Rispose Ardea bevendo dalla sua coppa.
Poi, rivolto a Parzia, aggiunse:
“Raramente ho assaggiato, al di fuori del mio castello, una colazione tanto prelibata. Vi faccio i miei più sinceri complimenti, damigella.”
“E cosa, ditemi...” chiese Parzia con viva curiosità “...avete gradito di più?”
E badate, nel rispondere” intervenne Maria “di non essere formale o troppo educato. Non si adatterebbe al tipo di uomo che sembrate essere.”
Milady, sappiate che” rispose Ardea sorridendo “essere scontato o banale è ciò che più temo, oltre alla viltà ed alla scortesia.”
Poi a Parzia:
“Come vi dicevo, ho gradito moltissimo ogni pietanza. Ma, se devo essere sincero, più di tutto ho apprezzato questa focaccia di farina nera, aromatizzata con frutti di bosco. Una vera leccornia, damigella.”
“Allora, vorrà dire” rispose compiaciuta la ragazza “che, per tutto il tempo che trascorrerete qui, io la preparerò ogni mattina per voi.”
Ardea accennò un inchino.
Poi, rivolto agli atri, prese a dire:
“Signori, approfitto della deliziosa circostanza per parlarvi del mio incarico. Ben comprendo che a tavola non si parla di affari simili, ma approfitto del cordiale clima e della vostra nobile compagnia.”
“Vi ascoltiamo, messere.” Rispose Luigi.
“Il duca ha sempre ritenuto lady Grazia, che possa riposare in pace, donna di altissime qualità ed innegabile valore.” Continuò a dire Ardea. “Ma, dalla sua spiacevole morte, al duca non sono più giunti i tributi che il vostro casato si è impegnato a raccogliere per lui. E ciò ha reso dispiaciuto sua signoria il duca.”
“Purtroppo” rispose Maria “non è stato ancora deciso chi sia, fra noi, il suo degno successore. In questo modo il seggio è vacante.”
“Lo comprendo, milady” disse Ardea “e sono qui appunto per sollecitare che ciò accada presto. Ma il duca conosce bene la lealtà della vostra stirpe. Attenderò quindi la vostra decisione sulla successione a Lady Grazia, sebbene il diritto mi dia la facoltà di proclamare un erede da questo stesso momento.”
“Il diritto e la legge” rispose Maria “mal si legano ai valori familiare, cavaliere. Credo sia più opportuno che tali decisioni siano prese in seno alla nostra famiglia.”
“Milady, sono sicuro” disse Ardea “che troveremo prestissimo un accordo che salvaguardi i valori della vostra famiglia e gli interessi del duca.”
“Credete ai fantasmi, messere?” Chiese all’improvviso Parzia, con il suo solito sorrisetto.
“Parzia, ti prego!” La riprese Luigi.
“Damigella, io” rispose Ardea “ho imparato dalla vita che bisogna guardarsi dall’odio dei vivi, anziché temere la vendetta dei morti.”
A quelle parole, sulla tavola scese una strana atmosfera.
E proprio in quel momento entrò nella sala Giovanni.
Aveva una misteriosa espressione sul suo volto.
Come colui che reca dentro di sé un odio senza fine.
http://franznews.files.wordpress.com/2008/12/georg_flegel_tavola_imbandita.jpg

(Continua...)

elisabeth
10-02-2010, 00.29.40
Dovete sapere Sir Guisgard, che leggo con passione la storia di Ardea, il vostro modo di scrivere e' appassionante, tutto cio' che descrivete e' reale ed e' possibile immaginare il percorso di vita che sta affrontando Ardea.....Vi esorto dunque a scrivere questa bellissima storia, sappiate che continuero' a leggere con avidita' ogni capitolo che la vostra musa vi ispirera'

Guisgard
10-02-2010, 00.36.32
Grazie, milady.
Sono lieto che la storia di Ardea vi abbia appassionato tanto.
Invocherò la musa che non tardi a dettarmi il continuo delle gesta di questo nobile e tormentato cavaliere.

Guisgard
10-02-2010, 00.48.17
ARDEA DE' TADDEI

LXXXVIII

"La tentazione ha sempre l'immagine di una donna."
(Anoonimo)


Lo stalliere si avvicinò alla tavola ed attese in silenzio un gesto che non tardò ad arrivare.
Maria chiese di essere scusata e si allontanò con Giovanni.
“Sicuramente avrete udito di ciò che accade di notte qui a Frattagrande...” Disse Parzia.
“Ogni luogo ha i suoi miti e le sue leggende.” Rispose Ardea.
“Si...” ribatté Parzia “...ma qui ci sono stati anche i morti. E quelli non sono miti o leggende.”
“Parzia...” intervenne visibilmente infastidito Luigi “...smettila di rovinarci il pasto con questi tuoi discorsi.”
“Damigella...” disse Ardea “...le morti che sono avvenute qui a Frattagrande sono reali, purtroppo. E solo quelle a me interessano.”
“Ma Frattagrande” intervenne Maria che era appena ritornata nella sala “non è solo un luogo di leggende e paure, cavaliere. E spero che il vostro soggiorno qui a Frattagrande renda merito a questo.”
La colazione continuò allora con discorsi più futili e leggeri, senza però che quell’angoscia, mista ad un senso di apatia, abbandonasse i presenti.
Il giorno poi trascorse senza slanci o accadimenti particolari, con Ardea e Biago condotti a visitare il palazzo dei Mussoni da Luigi, in veste di un Cicerone d’eccezione.
“La nobile ed antica stirpe dei Mussoni” raccontava Luigi con il tono di chi mischia austerità, soddisfazione ed un velato filo di nostalgia “è antica quasi come l’intero regno. E questo palazzo ne é testimonianza con ogni suo muro ed ogni sua pietra.”
“Perdonate” prese a dire Ardea “se mi occupo di argomenti intimamente legati alla vostra nobile famiglia, ma è il mio ruolo ad imporlo, milord.”
“Comprendo, cavaliere.” Rispose Luigi intuendo dove il suo ospite voleva andare a parare.
“Come pensate di risolvere le contese tra voi eredi?” Chiese Ardea. “Frattagrande è nel caos da troppo tempo.”
“Putroppo” rispose Luigi “nostra madre, che riposi in pace, non ha lasciato alcuna volontà testamentaria. Non designò quindi eredi ed ora tutto è alla mercé dell’avidità umana.”
“Eppure stento a credere” disse Ardea “che una donna come la granduchessa possa essere stata così avventata. Era una donna capace ed accorta nella gestione del suo feudo. E’ davvero singolare che non ci siano state sue disposizioni in merito alla successione.”
“E’ quanto pensiamo noi tutti, cavaliere” rispose Luigi “e tutte le nostre sciagure sono cominciate allora.”
“Riguardo invece a quelle strane voci” chiese Ardea “cosa potete dirmi?”
“Di cosa parlate, messere?”
“Di ciò che si dice attorno a quelle morti avvenute qui.”
“Non ditemi che avete creduto a quelle assurdità!” Rispose Luigi. “Non ditemelo, perché non vi crederei!”
Ardea lo fisso senza rispondere nulla.
“E’ assurdo credere che un cane fantasma” continuò Luigi “si aggiri nella campagna di Frattagrande!”
“Milord, io non parlo di fantasmi, ma di morti!” Ribatté Ardea. “Come credete siano avvenute?”
“Opera di lupi o di qualche altra fiera selvatica.” Rispose Luigi.
“Questa non è proprio una zona da lupi.” Disse Ardea.
“Forse l’inverno avrà fatto giungere qui qualche lupo, spinto dalla fame.” Rispose Luigi. “Purtroppo il controllo di queste terre è ancora inadeguato. E lo sarà finché non si deciderà chi dovrà governare Frattagrande!”
“Un motivo in più per risolvere le vostre controversie, allora.” Disse Ardea.
In quel momento li raggiunse Parzia.
Aveva indosso un provocante abito da cavallerizza.
“Che deliziosa amazzone.” La salutò Ardea.
“Per una volta sarà la dama a salvare il cavaliere!” Disse divertita.
“E da cosa, di grazia?” Chiese sorridente Ardea.
“Da mio fratello e dal suo culto per il nostro passato!” Rispose Parzia.
“Non essere irriverente, Parzia.” Intervenne infastidito Luigi.
“Immagino già la scena.” Continuò a dire Parzia. “Lui che osanna il secolare lignaggio dei Mussoni e voi ad annoiarvi a morte!”
“Tutt’altro, damigella.” Rispose Ardea. “Visitare questo antico palazzo è un privilegio e noi siamo grati a vostro fratello.”
“Voi cavalieri siete troppo imbevuti di cortesia.” Replicò Parzia. “Ecco perché vi preferisco nudi, senza le vostre scintillanti corazze!”
“Le corazze, damigella ci occorrono per difenderci, damigella.”. Disse Ardea. “Senza saremmo troppo vulnerabili.”
“E da cosa volete essere difeso?” Chiese Parzia.
“Ci sono tanti malintenzionati in giro...” rispose Ardea “...meglio essere prudenti.”
“E la corazza vi difenderà anche dagli sguardi di qualche affascinante dama?” Chiese maliziosa la ragazza.
“Ne dubito, damigella.” Rispose sorridendo Ardea. “Non ho mai veduto una corazza capace di tanto.”
“Perché sei vestita così?” Chiese Luigi. “Vai da qualche parte?”
“Si, voglio cavalcare nel campagna.” Rispose Parzia. “Oggi l’aria è splendida.”
“Tra non molto farà buio” disse Luigi “e sarebbe meglio non uscire. Ci andrai domattina.”
“E di cosa hai paura?” Chiese la ragazza. “Dei fantasmi che tu per primo deridi? E comunque non temere, sicuramente il nostro cavaliere non lascerà che io vada da sola a cavalcare. E con lui non correrò alcun rischio.”
“Sarà un onore accompagnarvi, damigella.” Disse Ardea accennando un inchino col capo.
“Bene, allora vi attendo fuori le scuderie.” Rispose la ragazza. “E badate di non fare tardi.”
Poco dopo i due uscirono a cavallo per la campagna di Frattagrande.
Il Sole era ancora ben visibile, se bene si accingesse a lasciare il posto al crepuscolo.
Ed un leggero velo di oscurità, pian piano, cominciò a scendere su quel paesaggio, rendendo quello scenario indefinito ed irreale.
http://files.splinder.com/bae23e73779ceff339e6ba292308bba5.jpeg

(Continua...)

elisabeth
12-02-2010, 23.14.39
Apprezzo molto la storia di Ardea, per questo vi chiedo di esortare la vostra Musa ad ispirare il vostro cuore e il vostro animo in modo che la penna tra le vostre mani possa scorrere su pagine bianche imbrattate improvvisamente di sapiente inchiostro, in modo che io non debba aspettare oltre per continuare a leggere le avventure di questo Umile Cavaliere insieme al suo fidato scudiero.......

Guisgard
13-02-2010, 03.09.50
Allora, per queste vostre parole, esorterò la musa a visitarmi più spesso, milady.
Lei stessa promise che mai nulla mi avrebbe rifiutato.

Guisgard
15-02-2010, 01.55.09
ARDEA DE' TADDEI

LXXXIX

“L’incubo è reale se chi lo vede ha
gli occhi intrisi di peccato.”
(Antica incisione longobarda)


“Sarà meglio tornare al palazzo, damigella.” Disse Ardea scrutando il rapido incedere della sera.
“Di cosa avete paura, messere?” Chiese maliziosa la giovane.
“Siamo a due passi dalla brughiera” rispose Ardea “ed è ormai buio. Ed ultimamente da queste parti sono accadute cose non sempre piacevoli.”
“Anche a voi fanno quindi paura i fantasmi, cavaliere?”
“Damigella...” rispose Ardea “...non c’è bisogno di scomodare fantasmi o spettri per dare una spiegazione a quanto è accaduto qui a Frattagrande.”
Ma proprio in quel momento un terribile ululato lacerò il silenzio della sera.
“Per tutti i diavoli!” Esclamò Ardea che però non ebbe il tempo di aggiungere altro.
Infatti il cavallo di Parzia, a quel delirante ululato, si imbizzarrì e cominciò a correre senza meta verso la brughiera.
La giovane gridava in preda allo spavento, mentre il cavallo, reso folle dalla paura, si immergeva sempre più nella desolata oscurità che avvolgeva quel paesaggio.
Ardea si lanciò immediatamente all’inseguimento di quel cavallo, mentre la giovane disperata invocava il suo aiuto.
Per quanto Arante fosse agile e veloce, il cavallo di Parzia sembrava avere centuplicato le proprie forze e correva veloce come il vento.
Ardea, alle urla della giovane, le gridava di saltare giù dal suo cavallo.
Ma Parzia, dominata dalla paura, si stringeva forte alle redini ed al collo di quel cavallo furioso.
E l’oscurità li avvolgeva sempre di più, rendendo impossibile ad Ardea di scorgerli in quelle tenebre.
Ormai a guidarlo era solo il rumore della frenetica corsa di quel cavallo e le urla della giovane.
Allora il cavaliere affondava i suoi speroni nei fianchi del fiero Arante per indurlo a raggiungere quel cavallo che sembrava come indemoniato.
La brughiera tutt’intorno era un’enorme vuoto di oscurità e sembrava voler inghiottire tutto ciò che l’attraversasse.
E più quell’assurdo inseguimento proseguiva più il freddo della brughiera li avvolgeva.
E quel freddo non aveva niente di naturale.
Il gelo che si percepiva nell’aria sembrava voler trafiggere le carni e penetrare sin dentro l’anima.
Un gelo che pareva la naturale atmosfera pronta ad accogliere il ritorno dei morti sulla terra.
Ardea però non cedeva e spronava sempre più il suo formidabile sauro a proseguire quella corsa.
Quella corsa era ormai una prova di forza ed il cavallo di Parzia sembrava attingere quell’innaturale vigore solo dalla follia che l’aveva completamente dominato.
Ma, ad un tratto, giunsero in una piccola radura, più simile ad uno spiazzo.
E chissà per quale motivo, il cavallo di Parzia arrestò la sua corsa, cominciando a scalciare con un forza impensabile data la velocità con cui aveva galoppato fino a quel luogo.
E tanto scalciò che la ragazza fu lanciata a terra.
E libero dal peso della giovane riprese la sua assurda corsa, sparendo per sempre nell’oscurità della brughiera.
Ardea si lanciò subito vicino alla ragazza, che per il colpo aveva perso i sensi.
Tentò di farla riprendere.
E dopo qualche istante Parzia riprese conoscenza.
Era intontita e confusa.
“Come vi sentite, damigella?” Chiese Ardea.
“Io...” cominciò a rispondere la giovane “...ho...un forte mal di testa..e...anche i capogiri...”
“Coraggio...” disse Ardea “...vi riporto al palazzo.”
Ma proprio in quel momento la ragazza sgranò gli occhi come se stesse fissando qualcosa di assurdo ed impensabile.
Divenne ancor più pallida di quanto non l’avesse resa la paura per la corsa del suo cavallo.
Ed iniziò a farfugliare qualcosa di incomprensibile.
“Cosa avete?” Chiese Ardea.
La giovane allora indicò un punto alle spalle del cavaliere.
Proprio in quel momento la Luna emerse dalle nubi della notte ed illuminò quello spiazzo.
E fu allora che Ardea vide qualcosa di innaturale ed incredibile.
Un grosso molosso fermo a pochi passi da loro.
Aveva il pelo lucente come se fosse rivestito da un alone aureo e li fissava ringhiando.
Quella bestia sembrava essere appena giunta dagli inferi, per reclamare il suo sacrilego pasto.
http://alkalium.iespana.es/pobladores/yugo2.jpg

(Continua...)

Talia
18-06-2010, 01.05.10
Giunsi a questa storia in seguito ad una segnalazione, e devo ammettere che ne sono rimasta alquanto colpita… peccato che non sia mai stata portata a termine: mi sarebbe piaciuto conoscerne il seguito!

lady rainbow
18-06-2010, 19.42.09
Anche io caro Guisgard mi aggiungo ai complimenti della nostra Talia..potrei conoscere,se non sono troppo ardita nel chiederlo il perchè non è stata portata a conclusione?davvero molto bella...e sentita...

elisabeth
18-06-2010, 21.54.45
Il grande Guisgard, ho letto con passione questa storia sino a quando , un giorno.......tutto si fermo' e non ebbi piu' il piacere di leggere il continuo.......ma ho sempre pensato che un grande scrittore debba trovare .......il momento giusto per continuare una storia cosi' appassionante........Tre dame desiderano che voi proseguiate.......e non e' giusto farle attendere......:smile_clap:

Guisgard
19-06-2010, 00.46.12
Le grandi storie vivono da sempre sui sospiri e sui sogni che sanno suscitare.
Sono certo che la musa, mai insensibile alla bellezza ed alla grazia, saprà esaudire ciò che chiedete.
Da parte mia non posso che ringraziarvi delle belle parole spese su questa antica leggenda e sul suo nobile protagonista :smile:

Guisgard
28-06-2010, 02.55.46
ARDEA DE' TADDEI

“La bestia è l’illusione.
L’illusione è il peccato.
Il peccato è la morte.”
(Lattanzio)


Gli occhi come due luci fisse e scintillanti.
Il pelo lucidissimo e di uno spettrale chiarore.
Quella bestia li fissava come se li conoscesse da sempre.
Come se fosse li ad attenderli dalla notte dei tempi.
Ringhiava ed alitava con viva ferocia.
“Non... muovetevi.” Intimò con voce quasi impercettibile Ardea a Parzia.
Gli occhi del molosso erano fissi su di loro.
Pochi passi li dividevano da quella assurda visione.
Ardea lasciò scivolare lenta la mano lungo l’elsa di Parusia.
La sua paura, il suo timore, erano dettati dalla vicinanza della giovane.
Se avesse fatto una mossa falsa, incerta o titubante, quel robusto molosso sarebbe balzato su di loro in un attimo.
La giovane si teneva stretta al cavaliere tremando come se fosse in preda alla paura più pura ed assoluta.
Ad un tratto, vinta dalla tensione e dall’terrore, Parzia lanciò un grido di paura.
La belva allora si lanciò verso di loro ringhiando.
Ardea, lesto, allontanò con una mano la giovane da sé e con l’altra estrasse Parusia.
Un attimo dopo il terrificante molosso era su di lui.
Ma rapido quel cane scattò, come se rimbalzasse, dal corpo del cavaliere e si ritrovò alle spalle di questi.
Riprese a fissare la sua preda ed a ringhiare. Stavolta con ancora più vigore.
Era ormai pronto ad un nuovo balzo verso il cavaliere che, dal canto suo, l’attendeva con la fedele spada in pugno.
Ma proprio in quell’istante, un fischio lontano interruppe quella macabra attesa che separava la belva e l’eroe dal loro scontro.
Il molosso, richiamato da quel suono, obbediente si lanciò nell’oscurità della brughiera, sparendo all’istante, come se davvero l’Aldilà l’avesse inghiottito.
Ardea rimase stupito.
Ma quasi nello stesso istante si voltò verso Parzia, che era a terra, come sconvolta.
“Come state, damigella?” Chiese il cavaliere.
La ragazza fissava il vuoto senza rispondere nulla.
“Parzia, mi sentite?” Gridò Ardea. “Come state?”
La scuoteva e la chiamava con forza, senza però che la giovane mostrasse segni di coscienza.
“Parzia, in nome del Cielo, rispondetemi!”
A quell’ennesima invocazione, la giovane lanciò un grido e cominciò a piangere forte, come se fosse stata appena destata dal peggiore degli incubi.
Si strinse forte al cavaliere e continuò a piangere senza sosta.
“Avanti...” cominciò a dire Ardea per rassicurarla “... è tutto finito. Ora torneremo al palazzo.”
In quel momento si udirono cavalli e voci.
E dal buio della brughiera emersero alcune persone a cavallo.
“Parzia!” Gridò Maria. “Cosa ti è successo?”
Scese da cavallo e corse ad abbracciare la sorella tremante.
Il resto dei nuovi arrivati era composto da Luigi, Biago e tre servitori.
“Cosa è accaduto, cavaliere?” Chiese turbato Luigi ad Ardea.
“Siamo stati assaliti da una strana bestia, milord.” Rispose Ardea.
“Che bestia?” Chiese Luigi.
“Una belva che sembrava essere giunta dall’Oltretomba.”
Luigi sbiancò.
“Siete folle a condurre mia sorella a quest’ora nella brughiera!” Disse Maria ad Ardea, mentre stringeva tra le lacrime la giovane sorella.
“E’ stata Parzia a voler uscire a cavallo...” intervenne Luigi “... nonostante si approssimasse il tramonto!”
“Si!” Ribatté inviperita Maria. “Ma il buonsenso me l’aspetto da un cavaliere, non da una ragazzina!”
“Avete ragione, milady...” intervenne Ardea “... avrei dovuto far desistere vostra sorella da tale proposito. Perdonatemi.”
“Ora torniamo tutti al palazzo.” disse Luigi. “Restare nel cuore della brughiera in piena notte non è certo sicuro.”
Montarono allora tutti a cavallo, apprestandosi a far ritorno al palazzo.
“Come stai?” Chiese Biago ad Ardea.
“Quando ho visto quella bestia” rispose Ardea “ho temuto il peggio.”
I cavalli furono poi spronati e l’intera compagnia si diresse al palazzo, abbandonando, per quella notte, la brughiera ed i misteri che custodiva nel suo seno.
http://www.eyeofhorus.org.uk/images/photo/10tennant/series-02/02-tooth-claw/tooth-and-claw-werewolf-496.jpg

(Continua...)

polgara
28-06-2010, 10.02.29
Cavaliere, è una gioia poter rileggere di Ardea!...dopo tutto un simile eroe ci era mancato molto :smile:

lady rainbow
28-06-2010, 14.44.01
evviva, evviva...che bella notizia poter rileggere di Ardea...vi ringrazio di aver accolto il nostro appello, sir Guisgard...:smile:

cavaliere25
28-06-2010, 15.36.43
che bello rileggere il continuo di questa storia affascinate e bella :smile:

Talia
28-06-2010, 23.20.50
Non posso che unirmi all'entusiasmo collettivo, sir! :smile_clap: :smile_lol:
E, dato che la vostra ormai proverbiale musa è tornata a farvi visita, spero non ci lascerete troppo a lungo in attesa del prossimo capitolo!! ;)

Guisgard
29-06-2010, 01.32.58
La musa.
Ogni notte lascio la finestra semichiusa.
Ed attraverso di essa posso vedere uno scorcio di cielo, che appare in mille forme... chiaro di stelle, reso asciutto dall'aria fresca della notte o umido e capace di rendere tutto sfocato.
E quando la mente vola, a cavallo di mille pensieri, sogni e desideri, allora ella mi appare.
Non saprei descriverla.
Ogni notte ha un volto diverso, una voce indefinita, uno sguardo sfuggente.
E nei suoi occhi rivivo il passato e provo a sognare il futuro.
Un eco lontano, sensazioni mai dimenticate ed immagini che si rincorrono sfocate come il bianco e il nero di quei vecchi film che di tanto in tanto la TV trasmette nel cuore della notte.
Già, la notte.
Il regno dei sogni che non temono l'alba.
Il regno della musa.

Vi ringrazio per le belle parole spese per Ardea ed il suo racconto.
Si dice che se vi è una dama ad attenderlo, un cavaliere prima o poi farà sempre ritorno.
Qui invece abbiamo diverse nobili dame ed un aspirante cavaliere!
Ardea non poteve restare insensibile a questi richiami :smile:

cavaliere25
29-06-2010, 16.51.33
Sir Guisgard siamo noi a ringraziarvi siete voi che ci fate sognare ogni volta che ci raccontate una storia è sempre piacevole stare ad ascoltarvi e sognare a d'occhi aperti.

Guisgard
30-06-2010, 01.27.57
ARDEA DE' TADDEI

“Alonso: <<Questo è il più strano labirinto che
gli uomini abbiano mai percorso. E in quello che
è accaduto c è più di quanto non provenga dalla
natura. Solo un oracolo potrebbe illuminare la nostra
mente.>>”
(Shakespeare, La Tempesta, V, I)


Tornati a palazzo, tutti si ritrovarono senza appetito e si ritirarono nelle loro stanze.
Ardea però passeggiava nervosamente lungo la terrazza del palazzo.
Aveva affidato la sua corazza all’arte di Biago, per riparare i graffi causati da quella misteriosa belva.
E così, solo nella notte, il cavaliere fu rapito dalle sue ansie e preoccupazioni.
Ripensava a quell’assurda visione nella brughiera.
“Cos’era?” Si chiedeva.
Eppure, quella spettrale belva li aveva davvero assaliti.
Nei suoi occhi Ardea aveva potuto scorgere e riconoscere un odio vivo, forte, primordiale.
Davvero forse quel molosso giungeva dagli inferi?
Davvero l’odio di questa stirpe aveva risvegliato dall’Ade tale incubo?
Eppure, si ripeteva, non poteva essere stato un sogno.
No, quel molosso l’aveva aggredito davvero.
Ardea ne aveva sentito il peso e la ferocia su di se.
E la sua corazza era stata danneggiata.
Ma ad un tratto il cavaliere avvertì dei passi.
“Il senso di colpa vi toglie il sonno, cavaliere?” Esordì Maria appena uscita sulla terrazza.
“Madonna Colpa è mia compagna fedele, milady” rispose Ardea come destato dai suoi pensieri “ed il mio nome ne è testimonianza. Ma dubito che parliamo della stessa colpa.”
“Se ne avete altre io non posso saperlo” disse la donna “ma di sicuro oggi avete peccato in superficialità e negligenza!”
In quel momento Ardea scorse una figura passeggiare nel giardino sottostante.
Era buio ma riconobbe la sagoma.
“Sembra che questa notte tolga il sonno a molti.” Disse guardando giù.
Maria si avvicinò al bordo della terrazza.
“Lui dorme sempre pochissimo.” Disse la donna, fissando quella sagoma. “E’ un uomo inquieto.”
“E’ da molto al vostro servizio?” Chiese Ardea.
“Si...” rispose Maria “... lo fu già sotto nostra madre. Giovanni ormai è come se fosse della famiglia.”
“Voi sembrate conoscerlo bene…” Disse Ardea fissandola.
La donna guardò il cavaliere con un’enigmatica espressione, senza rispondere nulla.
Ardea accennò un lieve sorriso.
E senza dire altro cominciò a scrutare il cielo e la Luna nascente da est.
“Chi siete veramente, cavaliere?” Chiese Maria, come vinta da un curioso malessere.
“Sono uno dei tanti cavalieri al servizio del duca” rispose Ardea “e sono stato inviato in questa contrada per riferire ciò che sta accadendo.”
“Qui sembra dominare il caos...” accennò Maria.
“Milady... cosa sta accadendo davvero qui? Perché ho idea che mi stiate nascondendo qualcosa?”
“Come osate?” Sbottò Maria. “Sospettate di me?”
“Non è difficile capire che questo luogo nasconde qualcosa di poco chiaro!”
“Siete assurdo e scortese!” Replicò infastidita Maria.
Ardea la fissò senza dire nulla.
Gli occhi della donna erano rossi e spalancati per la collera e vampate di rossore infiammavano il suo bel volto.
“Va tutto bene, milady?” Chiese all’improvvisò una voce appena giunta sulla terrazza.
“Si, Giovanni...” rispose Maria senza distogliere lo sguardo d’ira da Ardea “... i fatti di oggi hanno scosso tutti. Compreso il nostro ospite.”
Poi, fingendo di calmarsi, aggiunse:
“Ora è tardi. Mi ritirerò nella mia stanza... e vi consiglio di fare altrettanto, messere.”
Ardea la salutò accennando un inchino.
Giovanni restò a fissarlo per alcuni istanti.
Il suo sguardo sembrava voler scrutare l’animo del cavaliere.
Poi, scuotendo il capo si ritirò anch’egli.
Ardea restò quindi da solo sulla terrazza ad interrogare se stesso e quella splendida Luna nascente, che sembrava voler squarciare l’oscurità di quella inquieta notte e farne svanire i misteri.
http://www.dilia.it/blog/luna.jpg

(Continua...)

elisabeth
30-06-2010, 06.51.32
Come "vecchia" lettrice di Ardea, sono felice di notare che la vostra Musa vi abbia continuato ad ispirare....... pennino, inchiostro e carta...... tutto a lume di candela....e quello che viene fuori e' come sempre da :smile_clap:......

Talia
30-06-2010, 11.40.54
:neutral_think: :neutral_think: ...vi è indubbiamente qualcosa di poco chiaro in questo luogo!
Chi mai può esser stato a richiamare con il suo fischio la mostruosa fiera? E da dove giungerà una così terribile creatura? E quella Maria mi convince poco... che cosa sa? Chi è Giovanni? :confused3:
Gli interrogativi si sommano...

(un altro bel capitolo, sir! :smile_clap: ;))

lady rainbow
30-06-2010, 15.12.32
si anche a me Maria convince poco...solo sir Guisgard e la sua Musa possono sapere come evolverà questo personaggio...io sono una fan di Ardea,il suo personaggio è incantevole...ansiosa di leggerne il seguito sir...complimenti ancora...:smile_clap:

cavaliere25
30-06-2010, 15.15.22
Mi sto sempre piu appassionando di questa storia meravigliosa :smile:

Talia
30-06-2010, 17.07.48
si anche a me Maria convince poco...

Ecco, vedi? Siamo d'accordo! :smile: ...ma certamente sir Guisgard avrà in mente una sorte più che meritevole per la bella Maria. E io e te, Rainbow, saremo tacciate come due malpensanti!! :laughing_lol1: ...mi sbaglio, milord? ;)

Guisgard
30-06-2010, 20.17.39
E io e te, Rainbow, saremo tacciate come due malpensanti!! :laughing_lol1: ...mi sbaglio, milord? ;)

Milady, ho troppa fiducia nell'intuito di voi dame di Camelot per definirvi "malpensanti" ;)

Guisgard
01-07-2010, 02.10.32
ARDEA DE' TADDEI

“Bernardo: <<Benvenuto Orazio; benvenuto, buon Marcello.>>
Orazio: <<Dunque, s’è rifatta vedere... quella cosa?>>
Bernardo: Io non ho visto nulla.>>”
(Shakespeare, Amleto, I, I)


Ardea restò per alcuni istanti in preda a dubbi e pensieri, quando udì dei passi.
“Nervoso?” Chiese una voce alle sue spalle.
“Biago!” Esclamò Ardea.
“Ho visto che non eri nella tua stanza.” Disse lo scudiero.
“Non riesco a prendere sonno stanotte.”
“Immagino” rispose Biago “e non me ne meraviglio. Quella cosa che vi ha assalito nella brughiera non può certolasciare indifferenti.”
“Già…”
“Ma tu in passato” continuò Biago “te la sei sempre cavata egregiamente con la caccia.”
“Si, ma la cosa che ci ha attaccato” rispose Ardea “non era certo selvaggina o una qualsiasi fiera selvatica.”
“In fondo” disse Biago “gli animali sono tutti uguali per chi è abituato a cacciarli.”
Ardea si voltò e lo fissò incuriosito.
Biago accennò un sorriso.
“Forse la differenza tra questa belva e le altre” disse Ardea “è il luogo in cui si trova la tana.”
Biago rise di gusto.
“Lo trovi divertente?” Chiese Ardea.
“No, immaginavo dove potesse trovarsi la tana del nostro molosso!” Esclamò Biago.
“A sentire tutti” rispose Ardea “sembrerebbe trovarsi... all’Inferno!”
“Mi domando perché” disse Biago “quando gli uomini non sanno darsi spiegazioni concrete, finiscono sempre per tirare in ballo l’Aldilà.”
“Insomma...” sbottò Ardea “... dove vuoi arrivare? Se cerchi di tirarmi su hai sbagliato momento! Ed il ruolo di buffone di corte non ti si addice!”
“Ardea...” disse Biago facendosi serio “... abbiamo già abbastanza preoccupazioni… il demonio ed i suoi malefici lasciamoli dove sono!”
Ardea lo guardò enigmatico.
“Il tuo molosso” continuò a dire Biago “è reale quanto lo siamo io e te!”
Il cavaliere si avvicinò al suo scudiero con un’espressione incuriosita.
Biago aveva con sé Parusia.
La soderò, mostrando la lama ad Ardea.
“Forse non te ne sei accorto” disse “ma la lama è intrisa di sangue... ed i fantasmi, come le anime dei dannati, non hanno sangue!”
Ardea sgranò gli occhi ed afferrò la spada.
La portò sotto la luce della Luna e la scrutò con attenzione.
“E’ vero!” Esclamò. “E’ sangue!”
“Quando ti ha assalito sei riuscito a ferire quel molosso.” Disse Biago.
“Si, ricordo!” Rispose Ardea. “Lo colpii, ma credevo di non avergli fatto nulla!”
“Ovvio.” Disse Bigo. “Siete tutti presi dalla storia del fantasma.”
“E invece l’ho colpito e ferito!” Esclamò Ardea.
“E credo si tratti anche di una bella ferita!” Aggiunse Biago. “Mi meraviglio come non te ne sia reso conto subito di averlo ferito.”
“E come avrei potuto?” Chiese Ardea. “Era notte!”
“Eppure l’hai messo in fuga.”
“Non io...” rispose Ardea “... ma qualcosa l’ha richiamato.”
“Qualcosa?” Ripeté Biago.
“Si, come un richiamo... un fischio credo.”
“Un Fischio?”
“Si...” rispose Ardea “... un fischio giunto dall’oscurità della brughiera.”
“Cosa facciamo ora?” Chiese Biago. “Mostriamo la spada insanguinata ai Mussoni?”
“Non ancora.” Rispose pensieroso Ardea. “Non ancora.”
“Cos’hai in mente?” Chiese Biago.
“Se quel molosso è reale quanto lo siamo noi...” rispose il cavaliere “... dubito allora che quel fischio possa essere giunto dall’Inferno!”
In quel momento la Luna era alta nel cielo notturno, inondando Frattagrande con la sua eterea e magica luminosità, che sembrava voler ora coprire, ora svelare, gli incubi di quella inquieta terra.
http://www.woolamaloo.org.uk/full%20moon%20and%20church%202%20small.jpg

(Continua...)

Talia
01-07-2010, 14.21.32
ahhh, il buon Biagio! :smile: Finirà per diventare il mio personaggio preferito!! ;)
:neutral_think: mi ricorda qualcuno (un personaggio di qualche libro, racconto, opera teatrale...) ma non riesco a connettere chi... :neutral_think: :neutral_think: :neutral_think: Uffa, se non mi viene in mente finirò per uscir di senno!! :sad_wall:
Suggerimenti per me? :( Please!

Guisgard
01-07-2010, 19.02.04
Quel che posso dire, milady, è che la mia nobile ed antica terra, dal cui folklore è tratto il racconto di Ardea, ha generato da sempre eroi inquieti, tormentati e romantici.
Spesso istintivi, talvolta avventati, ma sempre animati da indomite e travolgenti passioni.
Ed ecco che spesso il destino, sempre benevolo e lungimirante, offre loro come compagni personaggi pacati, pratici e razionali, dotati di buonsenso, ingegno e mitezza d'animo.
Ed il buon Biago appartiene senza dubbio a questa straordinaria varietà di individui :smile:

Guisgard
02-07-2010, 02.28.00
ARDEA DE' TADDEI

“Era sul punto di slanciarsi all’assalto:
la terra gli bloccò i piedi e rimase masso
immobile con l’apetto di un uomo armato.”
(Ovidio, Metamorfosi, V)


Biago lo fissò stupito e turbato.
“Credi dunque” chiese “che ci sia qualcuno dietro quella belva ed alle stragi che ha causato?”
“Mi sembra ovvio.” Rispose Ardea. “Un conto è se quella bestia fosse giunta davvero dall’Inferno... tutt’altra cosa invece è se, come sembra, essa appartenga al nostro mondo.”
Restò un attimo in silenzio e poi aggiunse:
“Recati nelle scuderie e senza farti scoprire da alcuno prepara i nostri cavalli.”
“Cosa vuoi fare a quest’ora della notte?” Chiese turbato Biago.
“Andare a caccia di quella belva!” Rispose Ardea.
E infatti, poco dopo, i due uscirono in gran segreto dal palazzo e si recarono nella brughiera.
L’assoluta ed angosciante oscurità della notte era squarciata dalla luminosità della Luna, quando l’argenteo astro notturno riusciva a liberarsi dal giogo che le sottili e spettrali nuvole gli avvolgevano intorno.
Sinistri versi di sconosciuti animali si udivano di tanto in tanto echeggiare in quel desolato ambiente, come se la brughiera volesse dar segni di se ai due cacciatori.
“Dobbiamo cercare le tracce di quel molosso.” Disse Ardea.
“Che tracce?” Chiese Biago.
“Il sangue causatogli dalla ferita.”
“Ma è notte!” Ribatté Biago. “Non riusciremo mai a vederle!”
“Dobbiamo riuscirci, invece!” Esclamò Ardea. “All’alba potremmo non trovarle più!”
Così i due, ripercorrendo la via a ritroso fatta nel pomeriggio, si misero in cerca delle possibili tracce lasciate dal misterioso molosso.
E proprio quando questo compito sembrava impossibile, riuscirono a riconoscere del sangue su un tronco di albero.
“Sono sicuro” disse Ardea “che questo sangue appartiene al molosso.”
“Come fai ad esserne certo?” Chiese Biago.
“Guarda qui…” rispose Ardea mostrandogli qualcosa.
Erano dei peli luminosissimi.
“Sono di quella belva, guarda.” Disse Ardea.
“E sembra siano stati tinti…” mormorò Biago.
“Tinti?” Ripeté Ardea.
“Si, tinti.” Rispose Biago. “E sembra una qualche tintura fosforescente.”
“Tutto ciò è sempre più misterioso.” Disse Ardea. “Seguiamo questa traccia di sangue…”
E, seguita la misteriosa traccia, i due giunsero, poco dopo, nei pressi di una grotta apparentemente abbandonata.
“C’è altro sangue qui!” Indicò Ardea. “Proprio su queste rocce!”
I due si fissarono per un attimo.
Biago aveva un’espressione di timore impressa sul suo volto.
“Sembra che le tracce” disse Ardea “conducano proprio nella caverna…”
L’ingresso di quel luogo, avvolto nell’oscurità della notte e dall’umida nebbia, sembrava assumere l’immagine e la forma della porta dell’Inferno.
Tutto attorno era immobile e silenzioso.
La brughiera pareva essersi zittita, forse per la paura che dominava tutt’intorno.
Ardea fissò Biago e con un cenno lo invitò a seguirlo.
I due così, illuminati solo dalla fioca luce della Luna semiavvolta da alte ed eteree nuvole, entrarono in quell’inquietante luogo.
Man mano che penetravano nella caverna l’oscurità avvolgeva ogni cosa, compresi loro stessi.
La strada, in seno a quel luogo, si faceva sempre più angusta e le pareti si restringevano come un imbuto.
I due non emisero fiato e continuarono a calarsi in quell’oscura discesa negli inferi.
Ad un tratto, quando erano ormai nel buio più totale, videro un leggero alone in lontananza.
Proseguirono allora, avendo come meta quel tenue chiarore.
E più si avvicinavano, più il chiarore aumentava, fino a quando riuscirono a riconoscere una piccola apertura nella parete della caverna.
E proprio da li proveniva quella luce.
Accostati allora ai bordi di quella apertura, gettarono lo sguardo al suo interno.
Vi era un’ampia rientranza nella roccia, tanto larga da assomigliare ad una grande sala.
Alle pareti erano accese alcune torce che ben illuminavano l’intero ambiente.
Ovunque erano appese o inchiodate armi di ogni specie; alcune tradizionali e conosciutissime dai due, altre esotiche e dalle forme pittoresche e grottesche.
Inoltre larghe e sfarzose pelli di sconosciuti animali, dai varipionti e rari colori, copriavano larghe fasce di quelle pareti.
In fondo, nell’estremità opposta all’entrata, vi era una grossa gabbia di ferro.
Ed al suo interno vi era un’enorme belva addormentata.
E gli unici suoni che dominavano in quel sinistro ambiente erano quelli provenienti dalle torce, che si consumavano al fuoco e quello provocato dal pesante respiro della belva addormentata, che sembrava l’unico e solo segno di vita in quel luogo che sapeva di morte.
http://patrick.delsaut.perso.neuf.fr/les_chupacabras_fichiers/la_bete_du_gevaudan.jpg

(Continua...)

Talia
02-07-2010, 12.39.13
:sad_afraid: un gesto molto ardito, quello di Ardea di andare a cercare la fiera... e fin dentro la sua tana, per giunta!!
E poi il mistero si infittisce... chi ce l'ha cacciato quel mostro terribile in una gabbia?? :confused3:

...suvvia, sir, non teneteci sulle spine!! ;)

(e io continuo a dire che Maria e Giovanni sono ben sospetti... :neutral_think:)


Ed il buon Biago appartiene senza dubbio a questa straordinaria varietà di individui :smile:

Sarà sicuramente come dite voi, sir... :neutral_think: eppure ho una sensazione precisa riguardo a Biagio, sebbene non mi venga in mente il collegamento!
E' molto simpatico nella sua pragmaticità, comunque... a tratti è un po' il contraltare di Ardea, direi! :smile:

Guisgard
03-07-2010, 03.35.40
ARDEA DE' TADDEI

“Genìe umane mandava in rovina
spadroneggiando a Treto, ad
Apesanto, e a Nemea, il mostruoso
leone: ma dall’erculea forza fu abbattuto.”
(Esiodo, Teogonia, 525)


Una luce irregolare e inquietante, frutto delle torce, danzava e si contorceva lungo le ruvide pareti della grotta annerite dal fumo.
I contorni e le forme di quel luogo assumevano così, a causa di questi ambigui giochi di luci e ombre, un aspetto grottesco e deforme.
“Che... che luogo è mai questo?” Chiese Biago profondamente turbato.
Ardea non rispose.
E dopo aver scrutato ogni angolo di quel luogo e accortosi che nessun altro, oltre loro e la belva addormentata, vi fosse decise di uscire allo scoperto.
“Dove vai?” Gli disse Biago. “Sei forse impazzito?”
Ardea però non si curò del richiamo del suo fedele scudiero e continuò ad avanzare.
Giunse così a pochi passi dalla gabbia della belva, mentre questa continuava ad essere immersa nel suo profondo sonno.
Così, a pochi passi da quell’animale, Ardea poté riconoscerne la forma e la stazza.
Si voltò verso Biago, che era rimasto dietro le rocce, fissandolo con uno strano sguardo.
Fece poi cenno al suo scudiero di avvicinarsi.
E nonostante la viva paura Biago obbedì.
“Questo è il molosso che ci ha aggrediti nella brughiera.” Disse Ardea.
“Ne sei sicuro?” Chiese Biago.
“Si, ne sono certo.”
“E’ un grosso cane...” disse Biago “... forse il più grosso che io abbia mai visto.”
“Si, potrebbe mettere in fuga anche un lupo.” Rispose Ardea.
“Ma è nero.” Disse Biago. “Nero come la pece dell’Inferno. Mentre noi invece cerchiamo una belva coperta da un pelo spettrale…”
Ardea guardò con attenzione la belva e rispose:
“Si, ma tu stesso mi avevi detto che il suo pelo era tinto…”
La fissò ancora ed aggiunse:
“Guarda il suo ventre... c’è una vistosa benda che lo avvolge.”
“Deve essere il punto in cui l’hai ferito!” Esclamò Biago.
“Già.”
Ad un tratto si udirono dei passi in lontananza.
In un attimo i due ritornarono nel loro nascondiglio e pochi istanti dopo qualcuno giunse in quel luogo.
Era un uomo con la testa coperta da un nero cappuccio.
Aveva la giubba di pelle ed i calzoni stretti che terminavano in consumati stivali di cuoio.
Uno stretto cinturone borchiato, che pendeva sul lato destro, recava diversi foderi con dei pugnali al loro interno.
Sembrava in tutto e per tutto abbigliato alla maniera dei bracconieri normanni.
Il misterioso figuro si avvicinò alla gabbia e cominciò ad accarezzare quella belva addormentata.
Questa si destò dal suo sonno e, riconosciuto il suo padrone, si abbandonò alle carezze di quella mano amica.
“Tranquillo, amico mio…” cominciò a dire l’uomo incappucciato “... presto la tua ferita guarirà e termineremo quello che abbiamo cominciato.”
Si allontanò allora dalla gabbia e prese una grossa ciotola con dentro della carne mista a legumi.
La introdusse nella gabbia e lasciò quella grottesca belva a divorare il suo pasto.
“Questa volta, amico mio... ” aggiunse l’uomo incappucciato “... ti ho offerto io il tuo pasto, ma la prossima volta sarai tu stesso a procurartelo... e banchetterai con le carni di quel maledetto cavaliere e di tutti i Mussoni che mi hanno fatto del male!”
A quelle parole, Ardea e Biago si scambiarono una rapida occhiata.
Dopo qualche istante passato ad osservare il molosso mentre consumava il suo passo, il misterioso uomo scomparve in un’apertura naturale della grotta.
“Ora cosa facciamo?” Chiese Biago totalmente turbato dalla scena appena vista.
“Chi sarà quell’uomo incappucciato?” Si domandò ad alta voce Ardea. “E perché odia tanto i Mussoni?”
“E da quel che ha detto” intervenne Biago “anche tu sei nella sua lista nera!”
Ad un tratto, per qualche motivo inspiegabile, il molosso emise un sordo ululato che sembrò scuotere l’intera caverna.
Biago ebbe un sussulto e arretrò di scatto, colpendo con una gamba un secchio che si rovesciò a terra.
Al suo interno vi era un liquido denso e vischioso, di un forte giallo fosforescente.
“Accidenti!” Disse Biago.
“Fai attenzione!” Gli intimò Ardea.
“Hai visto? Deve essere la tintura usata per coprire il molosso!” Esclamò Biago.
Ma un attimo dopo, senza che se ne fossero accorti, un’ombra si proiettò su di loro.
L’uomo incappucciato li fissò.
Portò uno strano oggetto alla bocca e cominciò a soffiarci dentro.
Il suono rese subito nervoso e inferocito il molosso.
A quel punto l’uomo incappucciato tirò via la spranga che teneva chiusa la gabbia e liberò la sua innaturale belva.
http://farm1.static.flickr.com/148/379231929_e1324e9384.jpg?v=0

(Continua...)

lady rainbow
03-07-2010, 15.03.36
Adoro la figura di Biago..è il giusto opposto di Ardea...il primo ardimentoso l'altro prudente...ma insieme formano una coppia straordinaria....più leggo la storia più i due si amalgamano sempre di più...aspetto con trepidazione il seguito...grazie ancora per averla continuata sir Guisgard...:smile:

cavaliere25
03-07-2010, 15.52.27
la figura di Biago mi assomiglia molto come l'umile scudiero di Guisgard :o

Talia
03-07-2010, 16.24.43
:surprised_div326: ecco, ci mancava l'incappucciato con il fischietto del terrore!! :( Ora sono proprio a posto!!

...ma voi volete turbare il mio sonno, sir! :rolleyes:

polgara
03-07-2010, 19.21.52
Vero la bravura di Guisgard nel descrivere ed animare i suoi personaggi può far nascere emozioni nei suoi lettori tanto da turbarne il sonno... ;):smile:
E' davvero un piacere poter seguire nuovamente l'ardito Ardea ed il suo fedele Biagio....continuate mi raccomando!
:smile_clap::smile_clap::smile_clap:

Guisgard
04-07-2010, 03.40.29
Mie leggiadre dame, sono io che ringrazio voi per per l'attenzione e l'entusiasmo che rivolgete alle gesta del nostro Ardea :smile:

la figura di Biago mi assomiglia molto come l'umile scudiero di Guisgard :o

E sono sicuro, amico mio, che in qualità di scudiero non fareste rimpiangere minimamente il buon Biago ed il suo proverbiale ingegno ;)

cavaliere25
04-07-2010, 11.22.47
Grazie mio fedele maestro per le belle parole :smile:

Guisgard
05-07-2010, 03.03.43
ARDEA DE' TADDEI

“Due sono i grandi sentimenti che scuotono Il
mondo. Sono mossi dalla medesima intensità e
danno uguale forza. Essi sono l’amore e l’odio.”
(Alexandre Dumas)


Ardea e Biago ebbero solo il tempo di capire ciò che stava per accadere, la porta sbarrata della gabbia si aprì cigolando e l’orrendo molosso fu libero dalla sua prigione.
Istintivamente Ardea portò la mano su Parusia, la estrasse e la impugnò a due mani.
Lo scintillio della lama, sotto le luci delle inquiete torce, si rifletteva sulla corazza di Ardea, emanando un alone di lucido vermiglio, che andava a diffondersi sulle annerite pareti della grotta.
Il molosso fissò per un attimo i due nemici che gli stavano davanti e cominciando a ringhiare ed a schiumare uscì dalla gabbia.
Iniziò ad avanzare lentamente ed in modo nervoso, mentre il suo misterioso padrone fissava quella scena in un religioso silenzio.
“Siamo perduti, Ardea!” Gridò Biago alle spalle del suo compagno.
“Sta zitto e non muoverti.” Gli intimò Ardea.
All’improvviso la terribile belva balzò sui due.
Ardea l’attese fino all’ultimo, poi un attimo prima del fatale impatto scattò via, trascinando con se anche il suo impaurito scudiero.
Il molosso però, con selvaggia ed indomita agilità, quasi rimbalzando sulla nuda pietra, si fiondò di nuovo verso quel cavaliere, come attirato da quei vivi bagliori che emanava la sua spada.
Anche stavolta Ardea riuscì ad evitare quello che si sarebbe dimostrato un mortale attacco, scansandosi all’ultimo istante.
Questa volta però riuscì a lanciare un rapido e secco fendente con Parusia, avvertendo tutto il peso e tutta la forza di quella belva sulla lama della sua superba spada.
“L’ho colpito!” Pensò in cuor suo.
Il molosso atterrò pesantemente al suolo, lasciandosi poi cadere, come corpo morto, sul terreno.
Era steso, con il respiro pesante ed affaticato, proprio sotto la luce di una torcia e si poteva vedere chiaramente un ampio taglio che lo lacerava dal collo fino al ventre.
Un momento dopo un lago di sangue avvolse il corpo senza vita di quel molosso.
L’uomo incappucciato lanciò un grido e si lanciò verso la carcassa del suo cane.
Ardea allora, lo afferrò per la giubba, trascinandolo a terra.
“Maledetto, lasciami!” Gridò l’uomo.
Si alzò lesto ed estrasse due lunghi ed affilati pugnali dal suo cinturone, lanciandosi con disperata rabbia verso il cavaliere.
Questi evitò il cieco e rabbioso attacco del suo avversario e lo colpì con un rapido fendente sul volto.
Il cappuccio si lacerò al contatto della lama di Parusia, mostrando il viso del misterioso uomo.
La lama del cavaliere aveva causato un lungo ma superficiale taglio su quel volto che però fu subito riconoscibile.
“Giovanni!” Esclamò Ardea. “Che storia è questa!”
Giovanni restò in silenzio, fissando la nuda terra della caverna.
“E’ così quindi che ti mostri fedele ai tuoi padroni!” Aggiunse turbato Ardea. “Hai ideato tutto questo, portando terrore e morte a Frattagrande!”
Lo stalliere dei Mussoni restò in silenzio.
“Sei un traditore ed un assassino” gridò Ardea “e morirai come tale!”
“Fermo, cavaliere!” Intimò una voce alle loro spalle.
Era Maria.
“Voi?” Chiese meravigliato Ardea. “Cosa fate qui?”
Maria non rispose e si avvicinò a Giovanni.
Gli accarezzò il capo e dopo qualche istante lo schiaffeggiò duramente.
“Sei un folle!” Gli disse piena di rabbia. “Perché hai fatto tutto questo?”
L’uomo la guardò quasi senza tradire emozioni.
“Se non lo comprendi da sola...” rispose “... io non posso spiegartelo.”
Maria lo schiaffeggiò di nuovo. Con ancora più forza.
Poi, vinta dalle lacrime, lo abbracciò forte.
“Cosa sta accadendo qui?” Chiese Biago totalmente confuso.
“Il troppo amore” disse Maria con la voce rotta dal pianto “causa spesso un odio senza fine.”
Quelle strane parole echeggiarono, non senza lasciare un senso di inquietudine in tutti loro, in quella grotta dispersa tra l’oscurità ed i misteri della brughiera illuminata dalla Luna.
http://www.virginmedia.com/images/beast-of-gevaudan.jpg

(Continua...)

cavaliere25
05-07-2010, 10.58.03
non avrei mai sospettato di Giovanni che fosse lui il propietario di quel malosso :neutral_doh:

Talia
05-07-2010, 12.28.56
oh sir... lo sapevo lo sapevo... :smile_lol: Quei due non mi avevano mai convinta, con quei mezzi sguardi...
Però, poverini, alla fine ho provato pietà per loro... fanno quasi tenerezza! :rolleyes:

Guisgard
05-07-2010, 18.53.56
oh sir... lo sapevo lo sapevo... :smile_lol: Quei due non mi avevano mai convinta, con quei mezzi sguardi...
Però, poverini, alla fine ho provato pietà per loro... fanno quasi tenerezza! :rolleyes:

Infatti, come già dissi, non bisogna mai sottovalutare l'intuito di una donna!
Siete un'ottima ed attenta osservatrice, milady ;)

Talia
05-07-2010, 21.44.46
@Guisgard
Oh, grazie milord! :smile_lol: Non posso certo dire che lo spirito di osservazione sia considerato una virtù proprio da tutti, ma insomma... ;)

Guisgard
06-07-2010, 02.08.48
ARDEA DE' TADDEI

“L’amore è dunque cosa si benedetta,
un si felice travaglio che nessuno, privo
del suo insegnamento, può perseguire
onore e perfezione.”
(Goffredo di Strasburgo, Tristano)


Ardea fissò i due ai suoi piedi.
“Cosa si nasconde dietro tutta questa storia, milady?” Chiese il cavaliere a Maria. “Rispondete, in nome del duca!”
Maria lo fissò, singhiozzando ed asciugandosi le lacrime.
Ardea la guardava con un sguardo austero, che esigeva risposte per svelare quell’oscura situazione, ma in cuor suo restava turbato e colpito dall’espressione di quella donna.
Sempre fiera, altera, sprezzante, ora invece appariva docile ed avvilita.
“Giovanni” cominciò a raccontare la donna “entrò giovanissimo al servizio di mia madre. Era forte e leale. Amava i cavalli e sembrava capace di comprendere il loro linguaggio. Mi sentii subito attratta da lui e trascorrevamo spesso interi pomeriggi a cavalcare nella brughiera.”
Si asciugò di nuovo quel fiume di lacrime che le scendeva sulle rosee gote ed aggiunse:
“La brughiera sa assumere colori e suoni straordinari, a seconda della stagione che l’attraversa. Anche il vento, mentre soffia tra le cime degli alberi, sembra inneggiare alla vita.”
Detto questo strinse ancor più forte a se Giovanni.
“Milady, la verità…” disse Ardea con un tono che non lasciava dubbi sul suo stato d’animo.
Maria lo fissò, poi con un impeto di orgoglio si alzò e sembrò quasi voler sfidare il suo sguardo.
“La verità” disse “è la cosa più naturale del mondo. In breve ci innamorammo.”
“E come può l’amore generare tutto l’orrore che è accaduto a Frattagrande negli ultimi tempi?” Chiese Ardea.
“Perché” rispose di getto Maria “quando Amore è ostacolato scatena su tutto e tutti la sua ira!”
“Cosa vi ha impedito di essere dunque felici?” Chiese ancora Ardea.
“Le miserie umane!” Rispose Maria.
“Spiegatevi meglio.”
La donna accarezzò il capo di Giovanni e poi lo baciò.
“Fu la mia famiglia.” Disse. “Furono tutti loro che si opposero alla nostra felicità.”
Ardea la fissò senza dire nulla.
“Morta mia madre... ” aggiunse Maria “... ben presto tutti si accorsero dell’amore tra me e Giovanni. Ed a quel punto mio fratello e le mie sorelle mi imposero di dimenticarlo. Dicevano che era indegno per una nobile accoppiarsi con un umile servo!”
“E voi?” Chiese Ardea.
Maria abbassò il capo senza rispondere nulla.
“Amore è un privilegio” disse Ardea “che richiede sacrifici per poterlo meritare.”
“Voi non capite…” rispose quasi sussurrando Maria “... se non avessi lasciato Giovanni la nostra famiglia si sarebbe lacerata. Ho dovuto farlo…”
“Milady, non giustificatevi con me.” Disse Ardea con un ghigno che lasciava trasparire un misto di rabbia e disillusione. “Del resto, se non si è davvero innamorati nessuno può farcene una colpa.”
“Cosa intendete dire?” Chiese turbata Maria.
“Quello che ho detto.” Rispose Ardea.
“Non credo di capirvi.”
“Avete compreso benissimo.”
“Cavaliere, badate a ciò che dite!”
“Milady, non siete nella posizione di intimare nulla.”
“Voi non sapete quanta sofferenza abbiamo dovuto sopportare io e Giovanni!”
“Ho troppo rispetto per l’amore” rispose Ardea “per lasciarmi impressionare dalle vostre lacrime.”
“Voi parlate di amore!” Esclamò stizzita la donna.
“Si, parlo di amore!” Replicò Ardea. “Parlo del vero amore. Quello che ti brucia dentro e ti stravolge la vita! Quello che irrompe nel tuo mondo e ti desta dal grigiore di un’esistenza senza slanci! Quello che rende superfluo ed inutile tutto il resto! Di quest’amore parlo. Un amore che smuove le montagne con la forza dei sospiri di chi ne è colpito!”
“Voi non sapete nulla di me!” Esclamò fiera Maria.
“Si” ribatté Ardea “e le vostre parole mi mostrano benissimo ciò che pensate.”
“Non devo rispondere a voi della mia vita!”
“La vostra vita è affare vostro.” Rispose Ardea. “Potete innamorarvi ogni giorno di un uomo diverso, per quanto mi riguarda. Ma i delitti ed il disordine esplosi a Frattagrande mi riguardano eccome! Ed in nome del duca i colpevoli pagheranno! Statene certa!”
“Come osate parlarmi così!” Esclamò Maria. “Non accetto un simile affronto da chi si fa chiamare Cavaliere Disonorato!”
“Siamo disonorati entrambi, mia signora!” Rispose lesto Ardea. “Perché entrambi abbiamo disonorato chi amavamo!”
Maria lo fissò turbata, senza rispondere nulla, come fulminata da quelle parole.
“Se amavate davvero quest’uomo” continuò il cavaliere “allora dovevate restare al suo fianco nonostante tutto e contro tutto! Come può sentirsi chi viene abbandonato dalla persona amata?”
“Io non l’ho abbandonato!” Replicò Maria.
“Non avete avuto il coraggio di seguirlo!” Disse Ardea. “Vi è mancata la forza di mettere il vostro amore al primo posto! Davanti a tutto il resto! E questo, per chi dice di amare, è imperdonabile!”
Maria lo guardò impietrita, con gli occhi pronti ad esplodere.
Giovanni invece restava a terra, con lo sguardo chino, senza dire nulla.
Per un momento nella grotta scese un irreale silenzio e l’unica cosa che si udiva era il fuoco delle torce che bruciavano.
http://preraphaelitesisterhood.com/wp-content/uploads/2008/04/sandys-medea.jpg

(Continua...)

Guisgard
07-07-2010, 00.57.07
ARDEA DE' TADDEI

“Neppure dovete scordare le vostre azioni passate,
ma confessare innanzi a Dio tutto con diligenza.
Questo vi raccomando, nobilissimi guerrieri.
Se Dio non l’impedisce dal cielo, questa sarà l’ultima
messa.”
(I Nibelunghi, XXXI, 1856)


La tiepida luce che dominava nella grotta, frutto di quelle torce, generava bagliori ed ombre che sembravano prendere forma e vita sulle annerite pareti di granito.
Quasi a voler raccontare storie antiche, epiche, forse dimenticate e custodite per sempre nel seno della brughiera.
Il rumore della legna che si consumava echeggiava nel sordo silenzio di quel luogo, dando l’idea che tutto fosse fermo ed immutabile, proprio come l’angoscia e le pene di tutti loro.
Il corpo del molosso era ormai in un lago di sangue, vischioso e scuro, come se da quella carcassa fosse fuoriuscito il sangue di tutte le vittime della belva.
Ardea fissava quel corpo senza vita, mentre pensieri di turbamento ed ansia si accavallavano nella sua mente.
E all’improvviso, in un impeto di rabbia, conficcò al suolo la sua spada.
Parusia, incastrata nel terreno della grotta, colpita dai riflessi delle torce, emanava bagliori purpurei che sembravano quasi illuminare a giorno quella prigione di pietra.
“Quanti morti.” Disse Ardea. “Quanti innocenti sono stati vittima di quest’orrore e di questo delirio.”
“Quella belva ormai è morta” intervenne Biago “e la pace tornerà a Frattagrande.”
“Credi davvero che il vero colpevole fosse quel cane?” Rispose con rabbia Ardea.
“Ecco io…” tentò di rispondere Biago.
“No, i veri colpevoli sono costoro!” Disse Ardea indicando i due amanti a terra. “Costoro con la loro vigliaccheria e le loro miserie!”
“Sinceramente” intervenne Maria con un filo di voce “potete pensare e dire ciò che credete, cavaliere... nessuna offesa e nessuna punizione potrebbero farmi più male di quanto non ne abbia già subito in vita.”
“Se amavate davvero quest’uomo” chiese Ardea “perché non avete lottato per lui?”
“L’avete detto voi stesso... ” rispose Maria con un sorriso di beffa e rassegnazione insieme “... le miserie umane…”
“E voi!” Urlò Ardea prendendo per il collo Giovanni. “Voi, perché avete fatto scempio di tanti innocenti, pur di sfogare il vostro odio? Perché, in nome del Cielo? Perché?”
Giovanni lo guardò con uno sguardo di apatia, senza rispondere nulla.
Ad un tratto si udirono dei passi.
Un attimo dopo nella grotta entrarono Luigi, le altre sue sorelle ed alcune guardie del palazzo.
I loro sguardi erano di vivo stupore misto a terrore.
“Come avete trovato questo luogo?” Chiese Ardea a Luigi.
“Abbiamo seguito le vostre tracce con i cani” rispose dopo un attimo di smarrimento Luigi “e una volta trovati i vostri cavalli abbiamo fatto presto a scoprire questo triste luogo.”
“Tutta questa storia è triste. Triste ed infamante.” Disse Ardea. “Da quanto siete qui?”
“Da abbastanza tempo per aver udito ogni cosa.” Rispose Luigi con lo sguardo basso.
“Allora non vi è più nulla da aggiungere.” Disse Ardea. “Ora imporrò su Frattagrande la legge del mio signore, il duca.”
“E noi, come sempre, vi obbediremo.” Rispose Luigi.
Così, il feroce molosso fu seppellito nella brughiera e quella grotta purificata da riti e preghiere.
Il giorno seguente, al palazzo dei Mussoni, Ardea presentò il conto a tutti loro.
“Entro sette giorni a partire da oggi vi occuperete di far giungere al duca tutti i tributi arretrati.” Sentenziò Ardea. “Fra tre mesi a partire da oggi, comunicherete al Castello delle Cinque Vie come amministrerete questa contrada. Se continueranno ad esistere dissapori fra di voi, la vostra stirpe perderà il diritto di amministrare queste terre.”
“Tutto ciò che avete disposto” rispose Luigi “sarà compiuto. Avete la mia parola d’onore.”
“L’infamia che ha colpito la vostra famiglia” aggiunse Ardea “si potrà estinguere, se Dio vorrà, solo con una giusta amministrazione di queste terre.”
“E così sarà, a Dio piacendo.” Rispose Luigi.
Fatto ciò, Ardea e Biago si apprestarono a partire.
Ma prima del loro congedo, Maria avvicinò il cavaliere.
“Credete che Giovanni pagherà con la vita?” Chiese la donna.
“Il suo destino” rispose Ardea “dipenderà dal giudizio dei Migliori che sarà sancito alla presenza del re. Quel che i nobili del regno decideranno sarà il suo destino.”
“Se egli tornerà un giorno da me” chiese ancora Maria “credete che ci sarà un’altra possibilità per noi due?”
“Amore non è un tiranno, milady.” Rispose Ardea. “Ma bisogna essere degni dei suoi doni.”
“Cosa devo fare, dunque?” Chiese Maria.
“Continuare ad amare il vostro uomo.” Rispose Ardea. “Qualsiasi sia il suo destino.”
“Non potrei fare altrimenti, cavaliere.” Disse la donna.
“Lo so, milady.”
Detto questo, seguito dal fedele Biago, il cavaliere Disonorato si congedò da Frattagrande e dai suoi abitanti.
Un cielo velato salutava quella partenza.
Ed anche nell’animo di Ardea, dopo quei fatti, si addensavano alte e grigi nuvole, come se preannunciassero un forte temporale all’orizzonte.
http://www.querinistampalia.it/museo/web-gallery/images/fiamminghi/c.tempesta109_245.JPG

(Continua...)

Talia
07-07-2010, 02.48.01
:smile_clap: complimenti ad Ardea per la felice risoluzione di un'altra questione!
Anche se queste nubi all'orizzonte non preannunciano niente di buono... ma non ha mai un momento di pace il nostro? :rolleyes:

Guisgard
07-07-2010, 19.54.15
Ardea porta nel cuore una grave pena.
E questo è il suo tormento.
Un tormento che nemmeno la sua formidabile Parusia può annientare.
Tutto sembra sfumare, anche l'amore.
Un amore che gli appare come un'illusione, un incanto, simile ai sogni più belli che però all'alba volano via.
Sue compagne di viaggio ormai sono solo due dame: madonna Amicizia e madonna Fede.
E solo loro possono, in questo viaggio, dargli conforto e mostrargli misericordia.

Guisgard
08-07-2010, 03.19.24
ARDEA DE' TADDEI

QUARTA QUESTIONE: CASORRE, LA GIOSTRA DI GOVAROLA

“Così dicendo gli mostrò tre scudi appoggiati
al muro, tutti dipinti d’argento, uno con una
banda vermiglia, l’altro a due bande, il terzo
a tre.”
(I romanzi della Tavola Rotonda, I tre scudi della pulzella Saraide)


Ben presto Frattagrande ed i suoi intrighi furono ormai alle spalle dei due compagni, che proseguivano verso la prossima contrada.
Il cielo era grigio e la pioggia a sprazzi compariva sulla campagna, rendendo lenta e malinconica quella giornata.
Ardea e Biago si erano ritrovati ad affrontare pericoli ed ostacoli diversissimi tra loro nelle tre contrade già visitate, sfiorando la rovina e rischiando le loro vite.
Erano però consapevoli di quella drammatica missione intrapresa.
Ardea, tormentato dalle sue colpe, sentiva tutto questo come una sorta di purificazione e metteva in conto che tutto ciò avrebbe potuto richiedergli il più estremo dei sacrifici.
E forse, nel profondo del suo cuore, la morte gli appariva come il sacrificio più adatto e giusto per i suoi peccati.
Quel cavaliere andava così incontro al suo destino, pronto anche a deporre, ai piedi del suo fato, la sua stessa vita, pur di liberarsi dal fardello dei suoi tormenti.
Così, con la sensazione perenne di sfida verso l’ignoto, accompagnato dal suo compagno e scudiero, Ardea si addentrava, attraverso una strada che quasi veniva inghiottita dalla foresta, nelle terre di Casorre.
Il grigiore e la malinconia di quella giornata sembravano fiaccare fin nello spirito i due ardimentosi.
La foresta aveva assunto un verde chiaro e brillante sotto l’umidità di quella pioggerellina che a brevi intervalli scendeva sul quello statico paesaggio.
Sulla strada un leggero manto di fango e pietrisco ricopriva il terreno e rendeva come sordi i lenti passi dei loro cavalli.
“Come è scuro questo luogo.” Disse Biago, rompendo il silenzio tra loro. “Questa foresta sembra volersi raccogliere su se stessa e impedire alla luce di toccare la terra.”
“Già” rispose Ardea guardandosi attorno “e sembra che questo giorno, con il suo grigiore, voglia scoraggiare il nostro viaggio.”
“Cosa mai troveremo qui?” Chiese Biago.
“Nelle altre contrade” rispose Ardea “abbiamo trovato la morte ad attenderci. Forse qui non sarà diverso.”
“Pensare al male non è un buon auspicio.” Disse Biago.
“Le contrade sembravo essersi smarrite.” Rispose con un sguardo grave Ardea. “E’ ovvio perciò ritenere che qualcosa in esse non vada per il verso giusto.”
Ad un tratto la strada si fece ancor meno luminosa.
Gli alti e robusti alberi, che fiancheggiavano folti le due sponde della strada, intrecciavano i loro grossi rami da un verso all’altro, ricoprendo il cammino come fosse una tettoia.
Così, la strada assumeva la forma di una lunga galleria, mentre le leggera pioggerella rumoreggiava su quella naturale e folta copertura.
E, ad un certo punto, sugli alberi iniziarono ad apparire degli scudi.
Erano inchiodati ai tronchi e messi bene in vista, tanto da essere subito notati da chi attraversava quella strada.
Erano tutti diversi fra loro e, ad occhio e croce, sembrava coprire la distanza di diverse miglia.
“Che novità è questa?” Chiese stupito Biago.
Ardea non rispose, intento com’era a cercare di comprendere quel singolare scenario.
“Che da queste parti” chiese ancora Biago “usino questo curioso modo per segnalare le distanze sulle strade?”
“Non credo sia così.” Rispose Ardea.
“Perché lo escludi?”
“Dubito” rispose Ardea “che i proprietari di questi scudi prestino i loro simboli per indicare il cammino ai viaggiatori!”
“Credi che appartengano a qualcuno questi scudi?”
“Su di essi” rispose Ardea “sono in bella mostra stemmi nobiliari. Hanno quindi aristocratici padroni. O avevano, per meglio dire.”
“Perché parli al passato?”
“Perché, chiunque siano stati i proprietari, non li hanno di certo ceduti di loro spontanea volontà.”
“Non ti seguo…” rispose confuso Biago.
“Osservali bene, mio buon amico.” Indicò Ardea. “Vedi che sono tutti scalfiti o lacerati?”
“Per Belzebù!” Esclamò Biago. “E’ vero!”
“Questi scudi sono trofei di guerra, amico mio.” Disse Ardea.
“E chi li ha vinti?” Chiese Biago, sempre più scosso da quella strana situazione.
“Credo lo scopriremo presto.“ Rispose Ardea. “Appena saremo giunti a Casorre.”
E proprio in quel momento la pioggia si fece più intensa, picchiando con forza sulle foglie dei rami che ricoprivano la strada verso Casorre.
http://www.svartberg.com/gallery/pic/shieldpack_00_a.jpg

(Continua...)

Talia
08-07-2010, 10.22.19
Pessimo, davvevo pessimo segno! :sad_afraid: Tutti quei cavalieri... che fine avranno fatto? :confused:

Guisgard
09-07-2010, 01.09.35
ARDEA DE' TADDEI

“Tu ti potrai provar, se ne hai pur voglia;
ma guarda ben che mal non te ne coglia.”
(Luigi Pulci, Morgante, X, 42)


I due penetravano sempre più, attraverso quell’alberata strada, nelle terre di Casorre.
Il cielo era perennemente grigio e la pioggia, come un umido mantellino, copriva ora una parte, ora un’altra di quella campagna.
E più i due viaggiatori penetravano tra i fitti alberi, che come miliari segnavano il tragitto, più quella folta gabbia sembrava volerli inghiottire per poi chiudersi alle loro spalle, come ad imprigionarli in quell’astratto scenario.
Ed ogni scudo, posto su ciascun singolo albero, rendeva ancor più inquieti gli animi dei due viandanti.
“Non so perché” prese a dire Biago “ma avverto qualcosa di sinistro in questo luogo.”
Ardea non rispose nulla, intento com’era a scrutare ogni angolo di quel posto.
Ad un tratto i due giunsero in un piccolo ed irregolare spiazzo, circondato da cespugli e alberi tranne che in un lato, dove si apriva una viuzza dissestata.
Ai bordi di questa vi erano due figuri, sgradevoli nell’aspetto quanto nei modi.
Erano seduti sul bordo della viuzza e consumavano avidamente un rinsecchito pasto.
“Che posto è questo?” Domandò ai due Ardea.
“Questa è Casorre, messere.” Rispose uno dei due.
“E questi scudi, posti per almeno quattro miglia di alberi, a chi appartengono?”
“A chi appartenevano, dovreste dire, milord!” Rispose il figuro.
“Tutti morti?” Chiese Ardea.
“Non direi, mio signore.” Rispose divertito il figuro. “Dite piuttosto sgozzati e ridotti a cibo per cani ed uccelli!”
“Chi ha fatto questo?” Chiese Ardea stizzito.
“Giungete da contrade assai lontane, milord, se ponete una simile domanda!” Rispose il bifolco.
Ardea lo fissò.
“Questi scudi” aggiunse il rustico individuo “appartennero a gran cavalieri, alcuni dei quali duchi e marchesi.”
“Ed anche conti!” Intervenne l’altro figuro.
“Hai ragione, vecchio mio... anche conti!” Disse l’altro ed entrambi scoppiarono a ridere.
“Badate, villani, che sto perdendo la pazienza!” Tuonò Ardea.
“Non vi alterate, mio signore!” Disse il primo villano. “Non è il caso, credetemi!”
“Quindi questi scudi” chiese Ardea “sono cimeli di duelli?”
“Si” rispose il primo bifolco “ed ora sono trofei per il nostro padrone!”
“Chi è il vostro padrone?” Chiese incuriosito Ardea.
“Egli è un gran cavaliere, mio signore.” Rispose il primo bifolco.
“Forse il più grande mai nato!” Rispose il secondo.
“Sicuramente il più feroce e violento!” Aggiunse il primo.
“Sembra abbia una gran passione per i duelli.” Intervenne Biago.
“Forse è attratto dalle ricchezze dei suoi avversari.” Disse Ardea.
“No, mio signore!” Esclamò il primo bifolco. “Egli è un uomo ricco, essendo il signore di tutta Casorre!”
“In realtà” aggiunse l’altro “egli è attratto dalle contese. Adora sopraffare gli altri, gettandoli nel disonore e nella vergogna... per poi trucidarli tra mille sofferenze.”
Ardea e Biago si scambiarono un veloce sguardo.
“E come può” prese a dire Ardea “un simile uomo definirsi cavaliere!”
“E’ il diritto che gli da la sua forza!” Rispose il bifolco.
“Il vostro padrone” disse Ardea “è solo un folle sadico e sanguinario. E un simile individuo disonora la cavalleria ed i suoi più alti valori!”
“Perché allora non lo sfidate voi, mio signore?” Chiese con un ghigno il villano.
“Ricorda che siamo diretti a Casorre” intervenne Biago “e non possiamo fermarci a sfidare ogni cavaliere che incontriamo.”
“Io non lo definirei un cavaliere colui che sfida i suoi avversari solo per amore della violenza!” Sentenziò Ardea.
“Non discutete su questo!” L’interruppe il bifolco. “Nessuno può entrare o uscire da Casorre senza aver sfidato e vinto il nostro signore!”
“E questo” intervenne l’altro bifolco “non è mai accaduto!”
Ed entrambi scoppiarono in una grassa e grottesca risata.
Ardea allora fissò Biago per alcuni istanti senza dire nulla, mentre tutto intorno a loro sembrava etereo ed incantato a causa di quel perenne manto d’umidità, che pareva eternamente adagiato sulla misteriosa ed inquieta contrada di Casorre.

http://www.surlalunefairytales.com/illustrations/sleepingbeauty/images/dore_sleep3.jpg

(Continua...)

Guisgard
10-07-2010, 03.35.54
ARDEA DE' TADDEI

“Amleto: <<Tutto ciò mi turba assai. Siete
di guardia stanotte?>>
Marcello e Bernardo: <<Si, mio signore.>>
Amleto: <<E’ armato, dite?>>
Marcello e Bernardo: <<Armato, signore.>>
Amleto: <<Dalla testa al calcagno?>>
Marcello e Bernardo: <<Da capo a piedi, signore.>>
Amleto: <<Sicché non lo avete visto in faccia?>>
Orazio: <<Oh, certo! Aveva la visiera alzata.>>”
(Shakespeare, Amleto, I, II)


La pioggia scendeva a tratti, lasciando ovunque, su quella sterminata campagna, un alone di umidità ed apatia.
Le foglie perennemente inumidite formavano un verdeggiante manto, compatto ed immobile, che ricopriva ogni cosa.
La strada era resa pesante da un vischioso strato, fatto di fango e terriccio, che la ricopriva.
L’eco delle irritanti e volgari risate dei due villani si diffondeva nell’aria, quasi a voler rompere l’irreale ed avvilente silenzio che dominava in quel luogo.
“E chi l’ha proclamato signore di Casorre?” Chiese Ardea ai due villani.
“La sua forza, mio signore!” Rispose di getto il primo dei due.
“Egli uccise gli antichi signori di Casorre” aggiunse l’altro “e ne prese il posto.”
“E nessuno è mai giunto a chiedere conto del suo atto di violazione?” Chiese Ardea.
“Certo, mio signore…” rispose il primo bifolco “... e giunse tempo fa un manipolo di soldati inviato dal duca in persona... ma egli li annientò in breve tempo!”
“E se voi, mio signore, aveste la pazienza di cercare i loro scudi su questi alberi” aggiunse l’altro “potrete aver testimonianza di quanto vi abbiamo raccontato!”
Ed entrambi diedero di nuovo forma e suono alle loro deformi risate.
“Quale nome ha questo spregevole ed indegno cavaliere?” Chiese visibilmente alterato Ardea.
“Il nostro signore è il possente ser Govarola!” Rispose con baldanza il primo bifolco.
“E questa dove molti sono stati abbattuti è la sua giostra!” Aggiunse l’altro.
“E sia!” Esclamò Ardea. “Ora vedremo se il vostro degno padrone è all’altezza dello scempio che mi avete raccontato!”
“Vuoi sfidarlo?” Chiese Biago. “Ne sei davvero sicuro?”
“Siamo diretti a Casorre” rispose Ardea “e per farlo sembra bisogna confrontarsi con quel feroce cavaliere.”
“Ed è proprio così, mio signore!” Esclamò il primo dei due villani.
“Come e dove posso incontrare il vostro malvagio padrone?” Chiese Ardea.
“Imboccate questa stradina” cominciò a dire il primo dei due villani “e percorretela tutta. Giungerete così nel cuore di questo bosco. Lì troverete una piccola cappella, nella quale si trova un dipinto della Vergine con il Bambino. Accanto al dipinto vi è una campanella appesa. Prendetela e fatela suonare.”
“E una volta fattala suonare cosa accadrà?” Chiese Ardea.
“Arriverà il nostro padrone a raccogliere la vostra sfida, messere!” Rispose il Bifolco.
“Bene, io vado.” Disse Ardea voltandosi verso Biago.
“Verrò con te.” Rispose questi.
“Impossibile, mio buon amico!” Intervenne a dire il bifolco. “Uno sfidante alla volta può recarsi verso la cappella.”
“Io non sono uno sfidante, ma uno scudiero” rispose nervosamente Biago “ed il mio compito e seguire il mio cavaliere!”
“Impossibile!” Sentenziò il bifolco.
“Chi ci dice che il vostro padrone sarà solo” chiese irrequieto Biago “e non avrà invece qualche sgherro a dargli man forte?”
“Egli ama troppo le sfide” rispose il bifolco “e non si è mai fatto spalleggiare da nessuno quando ne ha sostenuta una.”
“E dovremmo credere a due villani come voi?” Ringhiò irritato Biago.
I due villani risposero accennando una risata di scherno ai timori di quello scudiero.
“Tu resta qui, Biago.” Ordinò Ardea.
“Allora, con vostra licenza, mio signore, noi ci giocheremo le vostre armi.” Disse ridendo il primo bifolco.
“Aspettate il mio ritorno!” Disse Ardea.
Detto questo spronò il fedele Arante e infilò la via indicatagli dal bifolco.
Poco dopo scomparve nell’irreale foschia di quel luogo, lasciando Biago inquieto ed intimorito da quella nuova e singolare Questione.
http://3.bp.blogspot.com/_dLSVgS5AxBI/SwT6mkmW18I/AAAAAAAAmS8/v1vB-lRfz9U/s1600/SirGalahad_BurneJones.jpg

(Continua...)

Talia
10-07-2010, 12.18.56
:sad_evil: che orribile soggetto deve essere questo Govarola... orribile quanto quei due indegni figuri che ha lasciato a decantare le sue gesta!! :silenced:
;)

Guisgard
12-07-2010, 02.36.51
ARDEA DE' TADDEI

“Se avesse con se qualche compagno
del suo valore, il fellone che ci molesta
se ne andrebbe sconfitto e coperto d’onta.”
(Chretien de Troyes, Ivano)


Il bosco appariva come un irreale angolo al di fuori del mondo.
La vegetazione era folta e selvaggia, dominando ogni porzione di quel chimerico luogo.
Un velo di perenne umidità pareva ricoprire ogni cosa, fissando l’intero scenario come in un immutabile attimo di eternità.
Ma ciò che colpiva e turbava Ardea, nell’attraversare quel bosco, era la totale mancanza di suoni.
Un bosco, per sinistro o misterioso che sia, è sempre attraversato da rumori, versi, echi.
Questo invece sembrava incantato.
Neanche il fiero passo del suo Arante sembrava provocare alcun rumore.
E man mano che penetrava in quello strano scenario, una viva inquietudine sorgeva nel suo cuore.
Ad un tratto il cavaliere sembrò cogliere qualcosa.
Un eco, una risonanza, una sensazione.
Qualsiasi cosa fosse, egli l’aveva avvertita in pieno.
Come se qualcosa avesse attraversato, per un istante, quel luogo.
Si voltò di scatto e per alcuni istanti fissò le cime degli alberi che si incontravano verso l’alto, negando quasi al cielo la possibilità di illuminare quel bosco.
Eppure niente sembrava mutato.
La stessa staticità, la stessa immobilità dominava quel luogo.
Continuò allora a percorrere quella stradina.
Ma poco dopo, di nuovo, sentì qualcosa.
Un qualcosa che echeggiava fin dentro il suo animo.
“Eppure” pensò “c’è qualcosa qui…”
Si guardò intorno, ma neanche stavolta vide nulla.
Ora pero l’ansia e l’inquietudine erano forti.
A tratti insopportabili.
Sentì allora un forte bisogno di scendere dal suo destriero e toccare terra.
Prese un pugno di terra nel suo guanto e se la fece scivolare fra le dita.
Era alla ricerca di qualcosa di concreto, di reale, di vivo.
Di qualcosa insomma che rendesse vero e tangibile quel bosco.
Restò così qualche istante, per poi riprendere il cammino.
La stradina era in cattive condizioni e ed un denso strato di melma la ricopriva.
L’umidità si avvertiva sempre più, lasciando tante goccioline sulla sua argentea corazza.
Ad un tratto la via si allargò sensibilmente.
Dava allora ad un piccolo dosso, dove anche i fitti alberi sembravano cedere un po’ più di spazio.
E appena vi fu sopra vide al centro del dosso una piccola cappellina.
Vi si avvicinò e scese da cavallo.
All’interno vi era un dipinto della Vergine con il Bambino.
Il cavaliere allora si inginocchiò e recitò delle preghiere.
Invocò poi la Santa Benedizione Divina su di sé e si segnò tre volte.
Si accorse allora di un piccola campana appesa accanto al dipinto.
La prese e la suonò con vigore.
In quel momento un alito di vento attraversò quel luogo, scuotendolo dall’irreale torpore che sembrava averlo dominato fino a quel momento.
Un attimo dopo si udirono alcuni decisi passi di cavallo.
Comparve allora, dall’altra parte del dosso, un robusto e massiccio cavaliere.
Una spessa ed ottonata corazza lo copriva totalmente ed una tunica di un turchese spento era avvolta sul suo grosso busto.
Il misterioso cavaliere teneva una lunga ed appuntita lancia con la mano destra, mentre con la sinistra portava un largo e poderoso scudo.
Era immobile, senza dire e fare nulla, fissando Ardea come la belva feroce fa con la sua preda poco prima di attaccarla.
http://rlv.zcache.com/synd_knight_poster-p228129714995898572vsu7_500.jpg

(Continua...)

llamrei
12-07-2010, 14.07.04
(Un altro buon motivo per tornare felicemente a Camelot ;) )

cavaliere25
12-07-2010, 16.22.28
Questa storia sta diventando sempre piu bella e appassionate :o

Guisgard
13-07-2010, 02.57.44
ARDEA DE' TADDEI

“ <<Ti sei confessato, fratello?>> domandò il templare. <<Sei
andato a messa questa mattina prima di mettere così in pericolo
La tua vita?>>
<<Sono più pronto di voi ad affrontare la morte>> rispose il Cavaliere
Diseredato, perché era con questo nome che lo sconosciuto si era fatto
registrare sull’albo del torneo.”
(Walter Scott, Ivanhoe, VIII)


Quell’angolo di bosco, reso irreale nell’immutabilità che avvolgeva ogni cosa, appariva come un’arena da cui sembrava impossibile fuggire.
I due avversari erano immobili ed in silenzio, l’uno di fronte all’altro, mentre ogni cosa di quell’incantato scenario sembrava non attendere altro che l’inizio della terribile contesa.
“Chi siete, cavaliere?” Chiese Ardea, rompendo quell’insopportabile silenzio che aveva dominato la scena fino a quel momento.
Il cavaliere misterioso con la mano alzò la visiera dell’elmo, mostrando solo i suoi enigmatici occhi.
Erano circondati da rughe e cicatrici.
Due sottili fessure lasciavano trasparire occhi piccoli e neri, mentre ciocche di capelli grigi si affacciavano sulle folte e scurissime sopracciglia.
Quello sguardo emanava un'unica ed inequivocabile espressione.
Ed Ardea la percepì in pieno.
Gli occhi di Govarola, infatti, altro non lanciavano che bagliori di malvagità.
Chiunque fosse quel cavaliere, era chiara la sua indole.
Sotto quella spessa corazza, vi era un uomo assetato di odio e bramoso di violenza.
“Avete un nome, cavaliere?” Chiese ancora Ardea, davanti al silenzio del suo avversario. “O è troppo coperto di infamia per poterlo gridare ad alta voce?”
“Fossi in voi” rispose urlando Govarola, con una voce grossa e sgraziata “non mi curerei di queste cose!”
“E perché mai?” Chiese Ardea.
“Perché tutto ciò che riguarda i vivi” rispose il suo avversario “presto non sarà più affar vostro!”
“E voi, vista la vostra ottusa sicurezza, non bramate conoscere il nome di colui che vi accingete a sconfiggere?” Chiese Ardea con tono di beffa.
“I nomi dei miei avversari” rispose con un ringhio Govarola “sono effimeri quanto gli ultimi istanti di luce nel crepuscolo!”
“Non vi importa dunque conoscere” chiese ancora Ardea con tono di sfida “se coloro che avete sfidato e vinto siano realmente cavalieri, o solo briganti e villani?”
“Che importanza volete che abbia per me cosa siano stati in vita i miei avversari!” Rispose orgoglioso e sprezzante Govarola. “Quando si giunge all’Inferno, i demoni non fanno distinzione tra nobiltà e volgo!”
“Parlate dell’Inferno” esclamò Ardea “e presto ne conoscerete le pene, marrano!”
“Invero” gridò Govarola “io tratto tutti allo stesso modo, siano essi re o servitori! A tutti coloro che mi sfidano io regalo una morte lenta, dolorosa ed ignobile! E voi, come chi vi ha preceduto, non troverete altro che non sia disonore e sofferenza!”
“Parlate come un boia, non come un cavaliere!” Disse Ardea.
“Preparatevi...” minacciò Govarola “... il demonio sta venendo a reclamare la vostra miserabile vita!”
“Sapete, cavaliere...” disse Ardea “... da quando ho intrapreso il mio viaggio a nessun avversario ho rivelato il mio nome... ma a voi lo dirò.”
“Non mi interessa!” Gridò Govarola con sdegno.
“Ve lo dirò ugualmente, ma non ora.” Ribatté Ardea.
“Questi sono gli ultimi istanti di vita... non vi sarà un dopo per voi!” Minacciò Govarola.
“Vi rivelerò il mio nome al momento giusto.” Disse Ardea.
“Basterà il vostro scudo.” Urlò ancora Govarola. “Esso sarà un nuovo trofeo per me... e tutto ciò che resterà di voi!”
“Basta parlare ora!” Gridò Ardea. “Le parole non hanno prezzo da pretendere... l’acciaio invece si! Parleranno le nostre armi da questo momento!”
Govarola, per tutta risposta, si calò la visiera e prese la giusta rincorsa.
Lo stesso fece Ardea.
“Fino alla morte!” Urlò Govarola.
“Fino alla morte!” Rispose Ardea.
Un attimo dopo tutti e due i contendenti lanciarono i loro pesanti ma agili destrieri verso il proprio avversario, scuotendo la terra e destando finalmente quel luogo dall’irreale sonno in cui sembrava essere imprigionato da sempre.
http://www.historiabari.eu/Articoli/Image/Affresco%20Castelroncolo.jpg

(Continua...)

Talia
13-07-2010, 10.12.22
:confused1: ma questo Govarola è odioso... spero che Ardea lo faccia fuori alla svelta, non lo voglio più vedere! :naughty_snooty:

lady rainbow
13-07-2010, 15.36.12
concordo con Talia...so che questi sentimenti non dovrebbero appartenere ad una dama ma.....lo odiooooooooooooooo!!!!!!!!:laughing_lol1: è un rozzo e villano,ecco...opsss:silenced:

Guisgard
14-07-2010, 02.58.07
ARDEA DE' TADDEI

“Con destrieri già di per sé infrenabili nel
salto, quei due, spronando, dal galoppo si
lanciarono alla grande carriera. Mostrarono
chiaro il loro ardimento di cavalieri, né l’uno
frodò l’altro di un solo colpo.”
(Wolfram Von Eschenbach, Parzival, I)


La polvere si alzò veloce sotto i poderosi passi di quei fieri sauri.
Un manto, spesso e fitto, avvolse in breve le due sagome che, rapide, si avvicinavano sempre più l’una all’altra.
L’incedere era perentorio ed il folle galoppo dei cavalli sembrava essere scandito da un inesorabile conto alla rovescia, alla fine del quale i due cavalieri si sarebbero scontrati.
Ed un attimo dopo avvenne il terrificante impatto.
Il colpo fu forte ed echeggiò nell’aria, disperdendosi in quel bosco.
Un momento dopo gli scudi andarono in frantumi, a causa del possente impatto con le robuste lance.
Ma anche queste finirono in mille pezzi, travolte dall’impeto e dall’odio che i due contendenti provavano.
Ma quel devastante impatto ebbe conseguenze che andarono oltre la distruzione delle armi.
Entrambi i cavalieri, infatti, furono disarcionati dai loro destrieri, finendo a rotolare nella polvere.
Ma un attimo dopo furono già in piedi e con le spade in pugno continuarono quella terrificante tenzone.
Govarola colpiva con tutta la sua forza l’odiato avversario.
Il suo spadone, robusto ed affilato, sembrava fendere l’aria ogni qualvolta si muoveva.
La lama era divenuta opaca, resa così dal sangue delle tante, troppe, vittime che aveva ormai intriso il suo acciaio.
Ardea invece impugnava la fiera Parusia, vigorosa e luccicante e respingeva i folli colpi del suo rivale.
Lo scintillio di quelle spade e l’eco delle lame che si infrangevano fra loro dominava tutta la scena.
I due campioni lottavano come belve, decise a cibarsi della vita del proprio nemico.
Ma ben presto Govarola si accorse che il suo avversario era molto diverso da tutti coloro che aveva sfidato in passato.
Ardea teneva ben a bada i suoi attacchi ed anzi li restituiva colpo su colpo.
Ma più passava il tempo, più Ardea sentiva le forze abbandonarlo.
Ciò era dovuto al grande sforzo che richiedeva quella battaglia.
Govarola infatti aveva una forza ben al di sopra da quella posseduta da un uomo normale.
Respingere i suoi attacchi non era quindi cosa semplice ed Ardea ben presto comprese la situazione.
Continuando così, capì presto Ardea, quella contesa gli avrebbe in breve sottratto ogni forza.
Decise allora di cambiare tattica e smise di affrontare il suo avversario a viso aperto.
Iniziò così a schivare i violenti colpi del suo nemico.
Lo scopo di Ardea era quello di sfiancare Govarola, facendolo in pratica colpire a vuoto.
Ma anche questo modo di combattere aveva i suoi rischi.
Evitare e schivare i feroci colpi di Govarola era tutt’altro che semplice.
Un tentennamento, un infinitesimale attimo di indecisione e la sua carne sarebbe stata bersaglio dei colpi di Govarola.
Ardea allora cercava di mettere spazio fra sé ed il suo rivale, ma questi, nonostante la sagoma rozza e sgraziata, si muoveva abbastanza velocemente e riusciva sempre a marcare stretto il cavaliere delle Cinque Vie.
E quando i colpi di Govarola andavano a segno, trovavano sempre la cromata lama di Parusia a bloccarli.
Ma parare gli attacchi di Govarola a lungo andare avrebbe in breve prosciugato le forze di Ardea.
Infatti, il figlio del duca cominciava ad avvertire dolore alle braccia, intense fitte ai fianchi e pesantezza nelle gambe.
Ogni qualvolta bloccava un attacco di Govarola si sentiva scuotere fin dentro le ossa e la terra sotto i suoi piedi gli sembrava scivolosa e scomposta.
Cominciava ad ansimare e non rispondeva più agli attacchi del suo avversario, limitandosi solamente a bloccare i violenti fendenti che questi gli lanciava.
Ad un tratto Govarola arretrò di alcuni passi.
Ardea comprese che stava caricando per un nuovo attacco. Forse quello decisivo.
Infatti Govarola impugnò con forza l’elsa del suo spadone e dopo un momento di attesa si lanciò verso il suo rivale.
Ardea ebbe solo il tempo di stringere a due mani Parusia e lanciare un fendente verso quella brutale sagoma che gli balzava addosso.
Un momento dopo i due cavalieri si superarono rapidi, lanciando ognuno il proprio ultimo e fatale colpo.
Un alito di vento ed un irreale silenzio dominarono in quel momento quel luogo.
I due cavalieri erano immobili, con ancora le spade in pugno, uno alle spalle dell’altro.
E dopo un indefinito istante caddero entrambi al suolo come morti.
http://blufiles.storage.live.com/y1pU-24oOG7SoK_Co4xCd2tM1xG8x1B4vFcQojJBq2RDrar1zWjVIlW jNmOf4aDGj3VAW_zxc7g2Ks

(Continua...)

Talia
14-07-2010, 17.41.23
"...e caddi come corpo morto cade" (reminescenze... :D)

:sad_cry: nooo, e ora?

Guisgard
14-07-2010, 20.05.17
"...e caddi come corpo morto cade" (reminescenze... :D)

Devo dire che anche io ho ripensato alle celebri rime dantesche, appena la musa terminò di dettarmi l'esito del duello tra Ardea ed il feroce Govarola :smile:

Talia
14-07-2010, 23.46.31
@Guisgard
Allora... che la musa stessa si sia ispirata al Sommo Poeta? :D

Guisgard
15-07-2010, 01.24.05
@Guisgard
Allora... che la musa stessa si sia ispirata al Sommo Poeta? :D

O forse, molto più probabilmente, anche il Sommo Poeta veniva ispirato dalla medesima musa ;)

Guisgard
15-07-2010, 02.35.09
ARDEA DE' TADDEI

“Amleto: <<Il vostro affetto, dite; ed il mio a voi.
Lo spettro di mio padre in armi? Brutto affare!
Qui sotto c’è una trappola… Fosse già buio!
Oh, anima mia, cerca di restar calma.
Le azioni dei malvagi non possono sfuggire
agli occhi degli uomini. Con tutto il suo sforzo
la terra non riesce a nasconderle.>>”
(Shakespeare, Amleto, I, II)


Il terreno del bosco era fangoso e vischioso, reso così a causa dell’umidità.
Ardea sentiva l’intenso odore dell’erba bagnata attorno a se.
Sollevò la visiera del suo elmo ed alzò gli occhi azzurri, ora resi quasi vermigli per il sangue, verso il suo avversario.
Govarola era steso a terra, in una pozza di sangue.
Ardea tentò di sorridere ma una forte fitta glielo impedì.
Si portò allora una mano sul fianco e, toccandosi la tunica, vide il suo guanto di ferro sporco di sangue.
Cercò allora con gli occhi il suo fianco.
Ebbe solo la forza di chinare il collo e vedere un fiume di sangue sgorgare dalla sua tunica lacerata.
In quel momento sentì le sue ultime forze abbandonarlo.

Si levò improvvisamente un forte e fresco vento che cominciò a soffiare su tutta la campagna.
Attraversava rapido quella distesa verde, correndo fra le spighe di grano e le poderose querce, che al suo passaggio piegavano, come inchinandosi, le loro cime al cielo.
Ardea era in groppa al suo cavallo.
Riconobbe subito quell’aria e quella terra.
L’odore dei prati in fiore ed i colori che guarnivano quel pastorale scenario.
Era finalmente ritornato alle Cinque Vie.
Il cielo era di un intenso blu e le nuvole che lo attraversavano era candide e lucenti.
Rivide in un attimo le sue corse ed i suoi giochi da ragazzo.
I suoi allenamenti e le lunghe cavalcate con suo padre.
Accarezzò allora il suo Arante.
“Siamo tornati a casa, amico mio.” Disse sorridendo.
Avanzò allora lungo quella piccola stradina e cominciò a scorgere in lontananza la sagoma del castello ducale.
Un intenso brivido percorse tutto il suo corpo.
Una gioia viva e straripante si impossessò di lui.
Il cuore cominciò a battergli forte e gli occhi gli divennero lucidi.
“Dopo tante sofferenze” pensò “sono di nuovo a casa.”
Ad un tratto si sentì chiamare.
Si voltò e vide una figura in lontananza.
Era immobile e lo fissava senza dire nulla.
Ad un tratto gli fece un cenno.
Ardea allora cominciò ad avvicinarsi a quella misteriosa figura.
E più si avvicinava, più riconosceva in quella figura i tratti di una ragazza.
La ragazza allora, appena fu raggiunta dal cavaliere, si tolse il velo che copriva il suo volto.
Ardea restò turbato e sorpreso, riconoscendo quella figura.
Questa gli sorrise.
Era la ragazza che Ardea vide alla locanda di Caivania.
La stessa ragazza a cui aveva donato il suo cuore.
“Perché proseguite in quella direzione, cavaliere?” Chiese quella bellissima ragazza.
“Lì c’è il castello di mio padre.” Rispose Ardea.
“Lì non c’è nessuno.” Disse la ragazza, fissandolo con i suoi meravigliosi occhi chiari. “Di qua invece vi stanno aspettando.”
“Chi mi sta aspettando?” Chiese stupito Ardea.
La ragazza non rispose nulla.
Abbassò gli occhi inumiditi dal pianto e si coprì di nuovo il volto con il suo velo.
In quello stesso momento, in fondo alla strada, apparve qualcuno.
Era un grosso cavaliere su un cavallo nero.
“Quello è il cavaliere che mi sta aspettando alla cappella di San Michele!” Disse Ardea.
“E’ tornato il duca!” Gridò un contadino che attraversava la campagna. “Presto, andiamo a rendergli omaggio!”
Ardea si voltò di scatto e vide suo padre.
Era a pochi passi da lui e gli dava le spalle.
“Padre!” Gridò Ardea. “Padre, sono io!”
E in quel momento si alzò di scatto da letto, chiamando ancora suo padre.
Era sudato ed agitato.
Le mani gli tremavano e sentiva il cuore battergli forte.
Comprese allora che era stato tutto un sogno.
Solamente un sogno.
Si guardò intorno. Era in una capanna di legno.
A pochi passi da lui c’era un camino acceso ed accanto al fuoco stava un uomo di grossa stazza che gli dava le spalle.
http://www.agrisantamaria.it/immagini/camino-enoteca.jpg

(Continua...)

Talia
15-07-2010, 10.54.15
O forse, molto più probabilmente, anche il Sommo Poeta veniva ispirato dalla medesima musa ;)

:neutral_think: è un'ipotesi plausibile anche questa, sì... ;)


:rolleyes: oh, meno male... ero così preoccupata per Ardea!! :sad_afraid: :smile:

Guisgard
16-07-2010, 03.59.48
ARDEA DE' TADDEI

“Prospero: << Calmati e non temere più;
di al tuo cuore pietoso che non è accaduta
nessuna sventura.>>”
(Shakespeare, La tempesta, I, II)


“Avete ripreso conoscenza…” disse l’uomo accanto al fuoco “... bene.”
“Dove mi trovo?” Chiese Ardea, ancora intontito.
“Siete ospite nella mia umile capanna.” Rispose l’uomo.
“Chi siete voi?” Chiese ancora Ardea. “E come sono giunto qui?”
L’uomo sistemò un grosso pezzo di legna di traverso sul fuoco ed avvicinò un bacino di terracotta alla brace ardente.
“La minestra è quasi pronta.” Disse fissando il fuoco. “E voi avete bisogno di mangiare carne.”
Ardea lo guardava senza dir nulla, incuriosito come era da quel luogo e dal suo proprietario.
“Vi ho trovato senza conoscenza” aggiunse l’uomo “ed in una pozza di sangue nel bosco.”
“Già…” disse Ardea “… ora ricordo… il duello…”
“Si, la scena in cui giacevate come morto” rispose l’uomo “dava proprio l’idea di un duello appena concluso.”
“Il mio avversario…” cominciò a dire Ardea.
“Era poco distante da voi, senza vita.” Lo interruppe l’uomo.
“Dio sia lodato…” disse Ardea “… ho vinto quel marrano.”
L’uomo non disse nulla.
“Chi siete voi?” Chiese Ardea.
“Sono un vecchio abitante di questo bosco.” Rispose l’uomo senza mai voltarsi.
“E vivete qui tutto solo?”
“Si, lontano dai miei simili ho meno possibilità di peccare.”
“Siete dunque un eremita, allora.”
“No, non confondiamo la preziosa seta con la comune lana!” Rispose l’uomo. “Un uomo di Chiesa è ben altra cosa. Io sono solo un semplice peccatore.”
“Lo siamo tutti.” Disse Ardea.
“Si, ma non tutti abbiamo la capacità di comprenderlo” rispose l’uomo “e l’umiltà di riconoscerlo, purtroppo.”
“Ma il giusto castigo” sentenziò Ardea “alla fine colpisce sempre i rei.”
“Fortunatamente” aggiunse l’uomo “il Supremo Giudice non sbaglia mai.”
“Verissimo.” Rispose Ardea.
“L’antica saggezza popolare” continuò l’uomo “recitava spesso che Dio è tardivo nel far attendere i suoi propositi, ma non dimentica mai di realizzarli!”
“Parlate da saggio.”
“Quella che voi chiamate saggezza, ma che io invece definisco esperienza di vita, è uno dei pochi vantaggi che si raggiungono alla mia età.”
“Qual è il vostro nome, signore?” Chiese ancora Ardea.
L’uomo allora smise per un momento di mescolare la minestra e finalmente si voltò verso il suo ospite.
Mostrò così il suo volto.
Un volto maturo ma fiero, ben incorniciato da capelli lunghi e bianchissimi che unendosi con la folta barba, anch’essa bianca, racchiudevano quasi tutto il suo capo.
Lo sguardo, le gote ed il naso erano le sole cose che quel manto bianchissimo lasciava fuori dalla sua fluente massa.
Gli occhi erano di un azzurro intenso e caldo, circondati da poche ma decise rughe.
Il naso, aquilino e pronunciato, dava un’espressione a quell’uomo di austerità e nobiltà insieme.
La corporatura era robusta ed i suoi movimenti lasciavano trasparire orgoglio, dignità e lignaggio.
Ardea, fissandolo, sentì come un sussulto nel suo cuore.
Qualcosa di quel volto sembrava turbarlo.
Qualcosa però che egli non riusciva a comprendere.
Rimase così a fissare quel misterioso uomo, mentre nella capanna i bagliori del fuoco acceso generavano giochi di luce e ancestrali ombre che sembravano rendere quel luogo come una proiezione dell’Aldilà.
http://www.cinecon.com/bigstory/orlandobloomint_435.jpg

(Continua...)

lady rainbow
16-07-2010, 15.33.49
ecco ed ora che succede???chi è questo saggio misterioso?
ps:bene ora turberete i miei sonni con quest' immagine sir..non si può vedere un Bloom cosi e rimanere impassibili:naughty:...:p

Talia
16-07-2010, 18.38.44
ps:bene ora turberete i miei sonni con quest' immagine sir..non si può vedere un Bloom cosi e rimanere impassibili:naughty:...:p

ahhh, come sono d'accordo! :rolleyes: ;)

Guisgard
19-07-2010, 04.14.06
ARDEA DE' TADDEI

“E così splendido era l’eroe figlio di Zeus,
con le guance fiorite di leggera peluria e gli
occhi splendenti, ma la forza ed il vigore di una
belva. Muoveva le braccia, provando se erano ancora
agili come in passato e non le avevano appesantite né
la fatica, né il remo.”
(Apollonio Rodio, Le Argonautiche, II, 42)


“Ecco, la nostra sobria cena è quasi pronta.” Disse l’uomo. “Come va la vostra ferita?”
Ardea allora, quasi istintivamente , portò il suo sguardo sul fianco.
“Va meglio, credo...” rispose “... non mi causa alcun dolore.”
Poi, fissando l’uomo aggiunse:
“Suppongo siete stato voi a curare la mia ferita.”
L’uomo si avvicinò al letto e gettò uno sguardo sulla stretta fasciatura che teneva fermo il fianco del cavaliere.
“Si, non sanguina più.” Disse tastandola con le dita. “Del resto sono tre giorni che dormite. La ferita ha così avuto modo di riposarsi a dovere. Fortunatamente non era molto profonda. Siete stato fortunato, Govarola quando colpisce lo fa sempre a morte.”
Ardea, avvicinatosi quell’uomo, lo fissò con ancora più attenzione.
Il viso era praticamente sommerso dai lunghi capelli e dalla folta barba e la penombra della capanna non rendeva certa più chiara la sua immagine.
“Tre giorni?” Ripeté Ardea. “Mi state dicendo che sono qui già da tre giorni?”
“Si, tre giorni e tre notti.” Rispose l’uomo mentre riempiva due ciotole di minestra. “Ecco, ora mangiamo. Voi avete bisogno di forze, altrimenti non potrete lasciare questo luogo e riprendere il vostro viaggio.”
“Come sapete che sono in viaggio?” Chiese incuriosito Ardea.
“Nel sonno i primi due giorni avete delirato.” Rispose l’uomo senza scomporsi. “E parlavate del vostro viaggio e di qualcosa che vi attendeva.”
“Sono vostro debitore.” Disse Ardea. “Mi avete salvato la vita e concesso ospitalità. Qual è il nome a cui devo tutto ciò?”
“Fin quando vivevo in mezzo agli altri” rispose l’uomo senza alzare lo sguardo dalla sua ciotola “tutti mi chiamavano Memmone il Fragolo.”
“Siete dunque di Afragolignone anche voi!” Disse Ardea. “Conoscete quindi il duca Taddeo d’Altavilla!”
“Mi sono ritirato qui” rispose Memmone “da troppo tempo. Gli usi ed i nomi degli uomini mi sono ormai indifferenti.”
“Per non conoscere il duca” replicò Ardea “vuol dire che siete qui da molto tempo!”
“Mangiate o non vi rimetterete.” Disse l’uomo.
Ardea allora consumò la sua cena.
Dopo i due stettero un po’ accanto al fuoco, senza però scambiarsi molte parole.
In realtà Ardea avrebbe voluto, ma quell’uomo non sembrava molto socievole.
Forse quella vita da eremita lo aveva indotto in tale comportamento, pensava Ardea e non volle quindi forzare più di tanto.
Del resto il nostro cavaliere continuava a fissare il suo misterioso salvatore, cercando di capire perché quel volto lo turbasse tanto.
Dopo un po’ l’uomo si alzò e diede la buonanotte al cavaliere.
Anche Ardea si coricò, ma non riuscì a prendere sonno tanto presto.
Il giorno seguente il Sole era alto e penetrava con forza da due piccole finestre sulla parete.
L’uomo servì del latte fresco di pecora al suo ospite, accompagnato da del pane caldo.
“Come vi sentite oggi?” Chiese ad Ardea.
“Molto meglio!” Rispose Ardea. “La ferita non la sento neanche più!”
“Bene, così potremo capire quando sarete in grado di ripartire.” Rispose Memmone.
“Sembra abbia un gran fretta di liberarsi di me...” pensò Ardea “... del resto se ha scelto questa l’avrà fatto perché stanco del mondo, probabilmente.”
“Ve la sentite di provare?” Chiese Mammone.
“A far cosa, signore?”
“A provare la vostra forza.”
“La mia forza?” Ripeté incuriosito Ardea.
“Si. Quando vi sarà ritornata allora potrete ripartire.”
“E in che modo proveremo?” Chiese Ardea.
“Lottando.”
“Lottando?” Ripeté Ardea. “E con chi?”
“Con me.” Rispose Mammone. “Non vi sembro forte abbastanza da poter rappresentare un buon allenamento?”
“Certo, siete alto e robusto.”
“Allora approfittate!” Disse Mammone. “Provate a spostarmi.”
I due allora cominciarono quella prova.
Ardea si lanciò verso il suo avversario e lo afferrò per i fianchi. Cercò allora di spostarlo, ma Mammone gli portò un braccio attorno al collo e lo atterrò con facilità.
“Siete ancora debole, cavaliere.” Disse l’uomo aiutandolo ad alzarsi. “Non è ancora il momento per voi di ripartire.”
Aprì allora la porta della capanna, lasciando entrare la chiara luce del Sole, che invadendo tutta la stanza quasi abbagliò lo sguardo di Ardea, non più abituato al chiarore del giorno.
http://lh4.ggpht.com/_sO4CMauV5xg/RtaPEaR8AAI/AAAAAAAAASg/XZsoNX9BFfc/Raggio-di-sole.jpg

(Continua...)

Guisgard
20-07-2010, 04.34.23
ARDEA DE' TADDEI

“Polvere sono i cavalieri,
ruggine le loro spade,
con i santi sono le loro anime,
noi crediamo.”
(Samuel Taylor Coleridge)


Il giorno trascorse lento.
Memmone preparò una tisana per il suo ospite e sgozzò uno dei suoi capretti per sfamarlo.
Gli offrì poi del vino rosso.
“Questo è il sangue rosso della terra.” Disse ad Ardea. “Bevetene e rigenererà il vostro.”
Quando giunse la sera, i due trascorsero ore serene accanto al fuoco.
Ardea pian piano prese confidenza con quel suo misterioso salvatore e cominciò a raccontare un po’ di sé.
Memmone però non sembrava particolarmente impressionato da tutto ciò che era successo al suo ospite.
L’unica volta che rispose qualcosa fu quando Ardea gli parlò dei suoi sensi di colpa per aver abbandonato suo padre.
“La vita ha diverse stagioni” disse “e non tutte sono raggianti come un giorno di primavera. Quando si attraversa un periodo difficile, bisogna prenderne atto e cercare di non peccare ancora. La tentazione si annida nelle nebbie dei nostri stati d’animo.”
Poi concluse:
“Ora è tardi, sarà meglio andare a dormire.”
Il giorno dopo, Memmone chiese ancora ad Ardea di testare la sua forza.
I due lottarono di nuovo ed ancora una volta Ardea ebbe la peggio.
Ogni giorno, per dieci giorni, Memmone chiese ad Ardea di lottare per provare il suo stato di salute.
Il tredicesimo giorno, costretti nella capanna per il forte vento che scuoteva il bosco, Memmone mostrò alcune cose al suo ospite.
“Queste sono armi forgiate con quelle di Govarola.” Disse, mostrandogli alcune frecce. “Erano armi di strabiliante e superba fattura. Sarebbe un peccato lasciarle inutilizzate.”
“Perché ne avete fatto delle frecce?” Chiese Ardea. “La sua spada ed il suo scudo, come anche la sua mazza ferrata erano in buono stato.”
“Erano armi maledette” rispose Memmone “e andavano purificate. Troppo sangue aveva intriso la loro superficie.”
“Allora vi faranno comodo.” Disse Ardea.
“Sono per voi, non per me.” Rispose l’uomo. “A me non occorrono armi. Mi sono ritirato dal mondo proprio per non aver più a che fare con le sue miserie.”
“Per me?” Ripeté Ardea.
“Si, potrebbero servirvi.”
“Perché dite questo?” Chiese Ardea.
“Siete un cavaliere, giusto? Allora vi occorreranno di certo.”
“Ho già una magnifica arma.” Disse Ardea. “Una formidabile ed invincibile spada.”
“Non esistono armi invincibili.” Rispose l’uomo con tono disilluso. “Tutto dipende dalla maestria di chi le adopera.”
“Parlate così perché non conoscete Parusia.” Disse fiero Ardea. “Nemmeno la mitica Excalibur e la possente Durlindana potrebbero tenere testa a questa divina spada.”
L’uomo sorrise.
“Mio tenero amico” disse “conosco ogni arma di questo mondo, compresa la leggendaria spada di cui mi parlate. Ma i grandi di Afragolignone sanno bene che l’arma non può nulla se il cuore di chi la brandisce non è saldo. E voi ne avete avuto la prova con Govarola.”
“Cosa rende il cuore saldo?” Chiese Ardea.
“I valorosi e gli ideali che lo riempiono.” Sentenziò l’uomo.
Poi si alzò ed invitò Ardea a battersi di nuovo.
“Provatemi la vostra forza ed insieme ad essa quanto è saldo il vostro cuore.”
Ardea si alzò e si apprestò alla sfida.
Gli occhi dei due si incrociarono in un intenso sguardo che provocò ad Ardea un turbine di ricordi e sensazioni.
In quel momento rivide quasi tutta la sua giovinezza trascorsa alle Cinque Vie attraversargli il cuore.
Fissando quell’uomo ed il suo sguardo qualcosa si destò in Ardea, provocandogli uno stato d’animo enigmatico ed indefinito.
Come se quella scena egli l’avesse vissuta già in passato.
http://www.fatemagia.it/immagini/gandalf4.jpg

(Continua...)

Talia
21-07-2010, 17.49.53
un deja vu? :neutral_think: ma chi sarà mai questo misterioso uomo?

Guisgard
27-09-2010, 05.00.11
ARDEA DE' TADDEI

"Oreste <<Proprio a te parlo: soccorri, padre, i tuoi cari.>>
Elettra <<E io aggiungo la mia voce tra il pianto.>>"
(Eschilo, Orestea, Coefore)


I due si fissarono per alcuni lunghissimi istanti, perdendosi ciascuno nello sguardo dell’altro.
Memmone era robusto e forte e nonostante l’età non sarebbe stato facile per nessuno avere la meglio su di lui.
E mentre Ardea lo fissava, fu investito ad un tratto da un mare di ricordi.
Egli rivide suo padre mentre lo allenava.
Quei giorni luminosi alle Cinque Vie.
Giorni fatti di duro allenamento e snervanti sacrifici.
Suo padre era duro e non concedeva riposo.
“Cavaliere è un modo di essere, non di fare!” Soleva sempre dire.
Quanto aveva ragione, pensava oggi Ardea.
Solo quel ferreo addestramento avrebbe potuto renderlo il cavaliere che era oggi.
Se il suo spirito ed il suo fisico non fossero stati forgiati da quegli insegnamenti, egli non sarebbe sopravvissuto alle disumane Questioni che era stato costretto ad affrontare.
E come il Sole illuminava, in quei giorni ormai lontani, il castello delle Cinque Vie, così oggi l’astro infuocato rendeva chiara e lucente quella capanna.
Ma suo padre non c’era più.
C’era però quel misterioso uomo che lo incitava e lo spronava.
“Battiamoci, cavaliere!” Esclamò all’improvviso.
Un momento dopo si ritrovò Ardea addosso.
Il cavaliere, con un fulmineo balzo, lo aveva braccato.
“Notevole, ragazzo mio!” Disse Memmone. “Ma lo slancio del cerbiatto e la rapidità della lepre risulterebbero vani se non fatti seguire dalla forza del toro!”
Ardea aveva afferrato le sue muscolose braccia e cercava di immobilizzarlo.
Ma la stazza di Memmone era il doppio della sua e con un deciso quanto poderoso gesto, l’anziano uomo si divincolò dalla presa del giovane cavaliere.
“Quando deciderete di attaccare il vostro nemico” lo riprese Memmone “accertatevi di avere le possibilità per poterlo fare!”
Ardea rapido indietreggiò ed evito il tentativo di presa del suo avversario.
“Molto bene!” Esclamò Memmone. “Il giovane gufo ha ritrovato l’agilità e si libra sicuro con le sue veloci ali!”
Poi rise di gusto.
“Ma ora è il momento decisivo della battaglia...” aggiunse “... l’attimo nel quale si compie il destino dei due pretendenti alla vittoria! Occorre decisione e fermezza!”
Ardea lo fissò senza dir nulla.
“Altrimenti la sciagura è già sopra di voi!” Concluse Memmone.
In quel momento allora Ardea si lanciò sul suo avversario e strinse i suoi fianchi come in una morsa.
Per qualche istante i due contendenti furono scossi ciascuno dalla forza dell’altro.
“E’ dunque questa tutta la vostra forza, cavaliere?” Chiese severo Memmone. “Di questo passo non risolverete mai le altre Questioni che vi sono rimaste! Anzi, forse troverete la morte proprio nella prossima!”
“Maledizione!” Ringhiò Ardea.
“E il vostro fallimento sarà il fallimento di vostro padre!” Aggiunse Memmone.
In quel momento Ardea sentì un misto di delusione e pena nel suo cuore.
Ma più ancora avvertì una rabbia folle e smisurata.
Una rabbia contro se stesso.
Una rabbia che lo spinse a maledire la sua debolezza ed il suo egoismo.
Sentì allora una forza senza eguali sorgere in lui.
Una forza mai avvertita prima.
Strinse ancor più vigorosamente i fianchi del suo avversario e con un rapido e deciso movimento lo scaraventò verso terra.
Memmone cadde pesantemente, fracassando gran parte del letto, che fortunatamente attutì la sua rovinosa caduta.
“Avete recuperato in pieno la vostra salute, mio giovane cavaliere!” Esclamò dopo qualche istante Memmone.
Ardea lo fissava ansimando per la fatica.
Tutto questo mentre i vigorosi e caldi raggi del Sole invadevano e riscaldavano quella capanna attraverso un alone aureo e luminoso.
http://2.bp.blogspot.com/_ZwDsP8qyf6I/StV6kSHV6sI/AAAAAAAAAG4/AKFyWQ_2X-Y/s400/raggi+di+sole+nel+bosco.jpg

(Continua...)

Talia
27-09-2010, 13.07.26
Ardea! :smile_lol:
Oh, sir... cominciavo proprio a sentirne la mancanza!! ;)
Grazie, mio signore, per avermi ed averci donato un nuovo capitolo! ...mi auguro, anzi, che ora non ci lascerete in attesa del successivo troppo a lungo!! :rolleyes: :p

Guisgard
27-09-2010, 17.59.21
Milady, prima di partire, il nostro nobile Ardea promise (immagino certo a qualche dama) che sarebbe ritornato con le sue gesta.
Ed un degno cavaliere mantiene sempre la parola data ad una nobile dama :smile:

Guisgard
28-09-2010, 05.36.25
ARDEA DE' TADDEI

"Figlio di re, bisogna dunque che ci separiamo.
Ma prima voglio che sappiate, voi ch'io ho allevato,
che non sono vostra madre e che voi non siete mio figlio.
Il vostro lignaggio è tra i migliori del mondo e voi conoscerete
un giorno il nome dei vostri genitori."
(I Romanzi della Tavola Rotonda, Gli Amori di Lancillotto del Lago, Gli Adii)


Ardea restò qualche istante in silenzio.
Aveva il fiato rotto per la fatica e sentiva le braccia e la gambe doloranti.
Fissava la finestra dalla quale penetrava il vigore dei raggi solari.
Poi, dopo alcuni istanti, rivolse uno sguardo al suo avversario.
Questi lo fissava con una singolare espressione.
Un lieve e caldo sorriso era accennato sull’anziano volto di Memmone.
Le rughe che circondavano i suoi penetranti occhi chiari sembravano aver allentato quella morsa che rendeva l’espressione del vecchio uomo austera e severa.
Una luminosa serenità, mista a soddisfazione, illuminava il suo sguardo.
Il vigore di Ardea sembrava aver destato quell’uomo dal suo essere costantemente crucciato e schivo.
“Credo che per la fatica” cominciò a dire Ardea, mentre aiutava il suo avversario a rialzarsi “ci siamo guadagnati un’abbondante colazione. Non credete anche voi?”
“Il fragrante e caldo sapore di una dolce focaccia” rispose divertito Mammone “sarà la giusta ricompensa al nostro sudore!”
I due così mangiarono con gusto il meritato pasto, per poi uscire a camminare nel bosco.
Per un po’ si abbandonarono ai suoni, ai colori ed ai profumi del bosco senza scambiarsi alcuna parola.
Poi, come ridestatosi dai suoi pensieri, Ardea esordì:
“Prima parlavate delle mie Questioni come se le conosceste molto bene.”
Mammone non rispose nulla e continuò a d assaporare il caldo tepore del bosco.
“Chi siete in realtà?” Chiese ancora Ardea.
“La vita, ragazzo mio, altro non è che una serie di incontri.” Rispose Mammone palesando una profonda serenità. “Vi ho trovato in quel bosco come avrebbe potuto trovarvi chiunque altro fosse passato, quel giorno, da quelle parti.”
“Vivete qui da tempo” chiese Ardea “e non avete mai incontrato quel violento cavaliere?”
“Ho imparato a stare alla larga dalla cieca furia degli uomini.”
“Govarola quindi non vi ha mai incontrato?” Chiese Ardea.
“Il bosco è grande, molto più di quanto voi possiate immaginare.” Rispose Memmone. “In esso si cela il naturale ed il soprannaturale. Il finito e l’infinito. Proprio come nell’animo umano.”
“Io in verità non comprendo...” cominciò a dire Ardea.
“Voi avete ben altro da cercare e trovare, ragazzo mio.” Lo interruppe Memmone. “E stare qui a domandarvi di un povero vecchio non fa altro che ritardare il vostro viaggio.”
“Sembrate conoscere bene il mio viaggio.” Disse Ardea.
“In fondo...” rispose Memmone “... ogni uomo compie il medesimo viaggio. Un viaggio diretto verso un’unica meta...”
“Quale meta?” Chiese Ardea.
“La ricerca di noi stessi.” Rispose Memmone.
“Il mio viaggio invece è volto solo a cancellare le mie colpe.” Disse Ardea. “Ma dubito che questo sia possibile.”
“Ogni uomo pecca.” Rispose Memmone “Tanto il giusto, quanto lo stolto. E’ nella natura umana.”
“Credo che la felicità, per queste mie colpe, mi sarà sempre negata.” Disse amaramente Ardea.
“La felicità è lo scopo di ogni uomo.” Sentenziò Memmone. “Amare ed essere amati. Questa è la vera felicità.”
“Non ho più nessuno che possa amare e dal quale pretendere di essere amato.”
“Allora” rispose secco Memmone “siete già morto, amico mio.”
Ardea lo fissò.
“E voi quindi?” Rispose di getto. “Solo in questo bosco, siete anche voi come morto?”
“Ogni uomo ha la sua storia.” Rispose Memmone.
“E qual è la vostra?” Chiese Ardea.
“Ebbi un figlio, molto tempo fa.” Rispose Memmone. “Tanto di quel tempo che fa, che spesso mi domando se sia davvero mai esistito quel dolce figlio.”
“E dov’è ora?”
“Partì per un lungo viaggio.”
“Dove?” Chiese Ardea. “In Terrasanta?”
“Forse.” Rispose Memmone.
Poi aggiunse:
“In fondo ogni viaggio è simile a tutti gli altri viaggi. La destinazione è inutile.”
“Inutile?” Ripeté stupito Ardea.
“Si, amico mio.” Rispose Memmone. “Non conta cosa troveremo alla fine del viaggio. Ma ciò che saremo diventati noi nell’arrivarci.”
Giunsero allora presso un piccolo ruscello, che scorreva limpido dai colli vicini.
L’acqua era trasparente e limpida ed attraverso di essa si potevano scorgere i ciottoli consumati sul fondo del ruscello.
Ardea mise entrambe le mani in quelle chiare, fresche e rigeneranti acque.
Si lavò il viso e respirò forte.
“Torniamo alla capanna, amico mio.” Disse Memmone. “Dovete prepararvi per riprendere il viaggio.”
E per un’infinitesimale istante, Ardea avvertì una profonda inquietudine.
Quel bosco appariva come un luogo idilliaco, dove il giovane cavaliere aveva ritrovato una serenità smarrita da tempo.
Ma quelle parole di Memmone ridestarono Ardea, come a volerlo strappare da un sogno per mostrargli la cruda realtà.
E la realtà era scandita dalle altre Questioni che erano rimaste.
Ed attorno ad esse ruotavano il destino e la salvezza di Ardea.
http://www.artsfairies.com/Parsifal%20Mythology%20European%20Landscapes/Parzival.jpg

(Continua...)

Guisgard
29-09-2010, 03.50.55
ARDEA DE' TADDEI

"Amleto: Ahimé, povero spirito.
Spettro: Non compassionarmi, ma sta ben attento a ciò che ti svelerò.
Amleto: Parla. E' mio obbligo ascoltarti."
(William Shakespeare, Amleto, I, V)


I due percorsero la via a ritroso e si ritrovarono di nuovo fuori alla capanna di Memmone.
Quel cammino di ritorno, nonostante i due avessero affrontato la stessa via dell’andata, apparve diverso ad Ardea.
Il sentiero pareva aver un’inclinazione diversa e gli alberi gli erano apparsi difformi da quelli visti mentre andavano verso il ruscello.
Insomma Ardea avrebbe giurato che la via fatta del ritorno dal ruscello fosse diversa da quella sostenuta per arrivarci.
“Abbiamo preso un cammino diverso?” Chiese Ardea ad Memmone. “Nel giungere al ruscello abbiamo attraversato un’altra parte del bosco.”
Memmone lo fissò per qualche istante e poi rispose:
“La realtà spesso ci appare diversa da quella che è. Non fatevi ingannare, abbiamo percorso lo stesso cammino, sia all’andata che al ritorno.”
“Ma come è possibile?” Si domandò stupito Ardea voltandosi indietro sulla via appena percorsa.
“La realtà è sempre la stessa...” disse Memmone “...siamo noi che la osserviamo con occhi diversi.”
“Come è possibile?” Domandò ancora Ardea. “Eppure avrei giurato...”
“Non giurate, amico mio!” Lo interruppe Memmone. “Non fatelo mai! Ogni giuramento richiede un pegno. E qualcuno potrebbe un giorno domandarvi tale pegno.”
“Eppure sono sicuro che nel tornare qui abbiamo attraversato un punto diverso del bosco.”
“Vi confondete.” Rispose Memmone. “Al ritorno avevate uno stato d’animo diverso. Ecco perché la via vi è apparsa differente.”
Ardea lo fissò confuso.
“Ora entriamo, così che possiate prepararvi per ripartire.” Concluse Memmone.
Rientrati nella capanna, Memmone offrì al suo ospite un delizioso amaro fatto di particolarissime erbe.
Era di un colore molto strano, mai visto prima da Ardea.
Poi, finitolo di gustare, il cavaliere cominciò a preparare le sue cose.
Indossò la sua corazza e per ultima legò al cinturone la fedele Parusia.
Memmone, durante i preparativi del cavaliere, restò tutto il tempo accanto al camino acceso.
Poi, quando Ardea fu pronto, gli mostrò qualcosa di particolare.
“Guardate bene queste frecce.” Disse mostrandogli una faretra colma di lucidissimi ed aguzzi dardi cromati. “Sono in grado di colpire bersagli impensabili anche per il più abile arciere. Purché, ovviamente, chi le scagli sia all’altezza della loro efficacia.”
“Da dove provengono queste fecce?” Chiese Ardea.
“Le ho preparate io stesso per voi.” Rispose Memmone, mentre le mostrava al suo ospite. “Le ho forgiate fondendo le armi del cavaliere che voi stesso avete sconfitto in singolar tenzone.”
“Govarola?” Domando incredulo Ardea. “Queste frecce sono nate dunque dalle armi di quel violento cavaliere?”
Memmone annuì, mentre quei fieri dardi emanavano argentei riflessi al contatto con la luce del fuoco.
“Le armi di Govarola” aggiunse Ardea “sono maledette dal sangue di tutti coloro che egli uccise!”
“Sciocchezze!” Esclamò Memmone. “Le armi non hanno né volontà, né giustizia. E’ la mano di chi le impugna a sottostare al giudizio del Sommo Giudice.”
Ardea lo fissò turbato.
“Rifiutereste forse” continuò Memmone “la lancia di Lucifero che egli adoperò quando era ancora il duce delle Milizie Celesti? Sarebbe sciocco da parte vostra! Siete un cavaliere, non un filosofo.”
Ardea lo fissava senza rispondere nulla.
“Le armi non hanno colpa.” Continuò il vecchio uomo. “Esse servono solo a chi le utilizza. Prendete queste frecce e conservatele con cura.” Concluse Memmone, porgendo ad Ardea la faretra.
“Credete che potrebbero essermi utili queste frecce?” Chiese Ardea.
“Fu una freccia” rispose con un sorriso Memmone “ad abbattere Achille, il più forte guerriero mai nato.”
Ardea non chiese altro e prese con sé quelle armi.
“Come farò a tornare a Casorre?” Chiese a Memmone. “Probabilmente il mio scudiero è là a domandarsi se io sia vivo o morto.”
“Seguite il sentiero e non abbandonatelo mai.” Rispose Memmone. “Alla fine troverete la porta di Casorre.”
Poi accompagnò il suo ospite ad una piccola stalla che si trovava sul retro della capanna, dove si trovava il fiero Arante.
Ardea lo accarezzò per qualche istante.
Poi vi montò su e prese la direzione del sentiero.
Ma fatti pochi passi si voltò indietro verso il suo salvatore.
“Ci incontreremo ancora?” Chiese.
“E chi può dirlo!” Esclamò Memmone.
“Già...” disse Ardea “...siamo alla mercè del caso.”
“Io non credo al caso...” rispose Memmone “...ma alla volontà di Dio ed al Libero Arbitro che Egli dona agli uomini.”
“Addio e grazie di tutto.” Disse Ardea. “Non vi dimenticherò.”
“Né io” rispose Memmone “dimenticherò voi, cavaliere.”
In quel preciso istante, dopo aver detto quelle parole, Ardea ebbe la sensazione di cogliere una strana ed intensa luce negli occhi di quel misterioso uomo.
Ma fu solo per un breve ed infinitesimale istante.
Allora, Ardea si incamminò sul sentiero, per essere inghiottito poco dopo dal folto e verde bosco.
http://www.chivalrynow.net/images/pictures/galahad3.jpg

(Continua)

Guisgard
30-09-2010, 04.12.33
ARDEA DE' TADDEI

"Non lodarti del tuo valore, poichè troveresti
un giusto gioco per la tua superbia.
Non vantarti per le tue imprese, perchè le hai
conseguite solo per un antico diritto.
Sii dunque umile e sarai cavaliere."
(Antica canzone)


Il cavaliere seguì le indicazioni dategli da Memmone e non deviò mai il suo cammino.
Percorse il lungo sentiero, che sembrava scorrere in seno al bosco come fosse una arteria della sua linfa vitale, fino a quando avvistò da lontano le mura di Casorre.
Il bosco allora sembrò finalmente allentare il suo lussureggiante abbraccio e si aprì su una vasta e verdeggiante campagna.
Al centro di questa, come detto, sorgeva la vasta contrada di Casorre.
Ardea nel vederla si abbandonò ad un sospiro di liberazione, ma non poté evitare di voltarsi indietro verso il bosco, interrogandosi ancora sugli arcani fatti che aveva vissuto.
Poi, spronando l’agile Arante, galoppò rapido e deciso fino alla contrada.
Appena vi fu giunto, una folla di curiosi gli si fece innanzi.
Lo guardavano con stupore misto ad ammirazione.
Si chiedevano sull’identità di quel misterioso cavaliere e da dove fosse mai giunto.
Ad un tratto gli si avvicinò un anziano e cortese uomo.
Era vestito con gusto, anche se i suoi abiti non tradivano un eccessivo sfarzo.
Il portamento era aggraziato e gentile ed i suoi modi palesavano il rango senza dubbio di alto lignaggio.
“Vi porgiamo il nostro benvenuto a Casorre, cavaliere.” Esordì. “Questa contrada è sotto il dominio di Dio e della protezione di sua signoria il duca d’Altavilla. Ed io ne sono il potestà.”
Ardea rispose chinando cortesemente il capo.
“Gli stranieri sono sempre benvenuti in questa terra” continuò a dire l’anziano uomo “e quindi ciò che è nostro è anche vostro, milord. Ma permettetemi di domandarvi in che modo siete riuscito a giungere in questa nostra isolata contrada.”
“Attraverso il bosco.” Rispose Ardea.
“Impossibile!” Esclamò il potestà. “La via che conduce qui attraverso il folto bosco è sotto il dominio di un feroce quanto invincibile cavaliere! Egli tiene in scacco Casorre, impedendo a chiunque di entrare ed uscire senza aver prima combattuto contro di lui!”
“Parlate di certo del cavaliere conosciuto come Govarola.” Disse Ardea.
Tra tutti i presenti sorse un confuso ed intenso mormorio.
“Infatti!” Rispose il podestà. “Come fate a conoscerlo?”
“Lo conosco perché l’ho veduto, eccellenza.”
“Impossibile!” Esclamò il podestà. “Nessuno può incontrarlo senza doverlo poi affrontare!”
“Ed infatti” disse Ardea “io l’ho sfidato.”
Il mormorio allora diventò un insieme di voci irregolari e stupite per le parole di quel cavaliere.
“Govarola è un demonio!” Disse il podestà. “Nessuno è mai riuscito a batterlo in singolar tenzone!”
“Govarola non era un demonio” ribatté Ardea “più di quanto non sia stato un cavaliere. Egli era un brigante, un vile, tanto sgradevole nell’aspetto quanto poteva esserlo nell’animo. Ma in fondo era solo un uomo. E come tutti gli uomini era di mortale natura.”
“Dite quindi, milord, che l’avete sconfitto?” Chiese il podestà.
“Mandate alcuni uomini all’inizio del territorio di Casorre, dove il marrano amava sfidare i suoi avversari. Lì troverete la prova di ciò che dico.”
“Non c’è bisogno, milord.” Disse il podestà. “Trovammo già il corpo di quel furfante, anche se non sapevamo chi l’avesse sconfitto. Molti potevano vantarsi di tale impresa. Perdonate le mie domande, ma erano dettate dalla volontà di sapere se voi foste davvero colui che uccise il malvagio Govarola.”
“Dunque trovaste il suo corpo senza vita nel bosco?” Chiese Ardea.
“Si, milord.” Rispose il podestà. “E morto quel marrano, i suoi servi si diedero alla fuga.”
“E non giunse qui uno scudiero?” Chiese Ardea.
“Si” rispose una voce alle sue spalle “e ho atteso qui il tuo ritorno, senza perdere mai la speranza di rivederti vivo!”
Ardea si voltò di scatto e riconobbe il fedele Biago.
I due allora si abbracciarono e si salutarono.
“Passarono delle ore e tu non ritornasti dalla selva.” Cominciò a raccontare Biago. “Allora cercai di raggiungerti. Trovai il corpo di Govarola sena vita, ma di te nemmeno l’ombra. Giunsi allora qui a cercare aiuto. Raccontai tutto, di te e della missione in nome del duca. Sentivo che eri vivo e decisi di attendere qui il tuo ritorno.”
“Grazie, amico mio.” Disse Ardea.
Tutta Casorre allora fece festa.
Una festa attesa da anni e che ora poteva cominciare, poiché l’ospite d’onore, il cavaliere che l’aveva liberata da quel crudele giogo, era finalmente giunto.
La festa durò fino all’alba e dopo un breve riposo, Ardea e Biago, ripresero il loro cammino.
Non prima però di incaricare il podestà di suddividere le ricchezze di Govarola ed inviare alle Cinque Vie il tributo destinato al duca.
Tutti lodarono la nobiltà e la lealtà di quel cavaliere, ringraziando il Cielo per averlo inviato a liberarli.
Ed il suo ricordo fu sempre vivo in quella contrada.
http://www.bbc.co.uk/history/british/images/hg_edward_6.jpg

(Continua...)

lady rainbow
30-09-2010, 15.40.45
Più leggo più la mia stima per Ardea cresce..ah che uomo (sospiro)...sempre dedito ai più alti valori della cavalleria..non si riposa un attimo...ha tutta la mia ammirazione...per quello che può valere:smile_wub:

Talia
06-10-2010, 20.27.14
Eh... la quiete dopo la tempesta... e ora cosa accadrà? :confused2:
Attendo trepidante... ;)

Guisgard
11-10-2010, 03.03.18
ARDEA DE' TADDEI

"Accanto alla fonte si vedevano le rovine di
una cappelletta con il tetto in parte diroccato."
(Walter Scott, Ivanhoe, XVI)


QUINTA QUESTIONE: MADDOLA, L'ENIGMA DELLA VAMMANA



La contrada di Maddola sorgeva nella zona Settentrionale del feudo delle Cinque Vie.
Posta tra i grandi monti che racchiudevano il passaggio verso l’interno, questa contrada era adagiata in una grande e fertile vallata.
Ed i monti, che apparivano come giganti addormentati a guardia di quel mondo, erano legati fra loro dai resti di un grandioso e colossale acquedotto romano, che attraversava la vallata con un’impotenza tale da rendere nulli i secoli che erano passati dalla sua fondazione.
Come una fiera ed indomita immagine della forza dell’uomo ad ammansire la natura, questa ciclopica costruzione, con le sue ampie ed alte arcate, dominava quelle terre come se la grandezza di Roma fosse ancora là ad intimorire possibili conquistatori.
Durante le stagioni calde, Maddola appariva luminosa e splendente, come un inno alla natura con i suoi colori, i suoi profumi e tutti i suoi suoni.
Un tripudio delle tonalità più fresche che la natura sa assumere attraversavano quel ridente territorio ed il Sole lo baciava con tanta foga ed ardore da apparire come il più appassionato tra gli innamorati.
Ed infatti solo un amore così bello, tra tutti gli elementi che compongono il mondo, poteva spiegare la meravigliosa immagine che Maddola dava di se tra la fresca e sognante Primavera e la calda e luminosa Estate.
L’Inverno invece mutava di getto questa solare ed accogliente immagine, dando a Maddola un volto totalmente diverso durante il suo passaggio.
Anticipato dal piovoso e ventoso Autunno, il freddo Generale, al suo arrivo, portava con sé un manto di foschie ed umidità.
L’intera valle veniva circondata da una pesante e spessa foschia, capace quasi di estraniare Maddola dal resto del mondo.
E l’unica cosa capace di squartare quel velo era il rigido gelo, che durante i mesi più freddi dell’anno raggiungeva ed avvolgeva l’intera contrada.
E fu proprio nel pieno Inverno che Ardea e Biago giunsero alle soglie del territorio di Maddola.
E lo scenario che si mostrò ai loro occhi parve ai due viaggiatori come il preludio di ciò che avrebbero dovuto affrontare.
La grande via, che sorgeva quasi a fatica tra la selvaggia e folta vegetazione del bosco, era tanto angusta quanto sconosciuta ai due viandanti.
Il cielo era grigio e scuro, solo a tratti lacerato da macchie di luce, come se il Sole a stento tentasse di affacciarsi sull’umida terra.
L’aria era pesante ed un freddo vento soffiava in quell’inospitale scenario.
“Questa valle sembra volerci ricacciare indietro” disse Biago con il volto contratto dal tagliente vento “o è solo una mia impressione?”
“No, non ti inganni.” Rispose Ardea, scrutando con attenzione quel luogo. “La natura appare inospitale ed anche il vento sembra condurre con sé lamenti e minacce.”
“Qui l’Inverno” disse Biago “comincia a mostrare i muscoli. Rimpiango il caldo ed accogliente ozio della corte afragolignonese.”
“Anche io rimpiango il mio mondo e la mia vita...” rispose Ardea con tono sarcastico “...ma dimentichi che non siamo giunti fin qui per un viaggio di piacere!”
Biago sorrise ironicamente.
“Riprendiamo il cammino” aggiunse Ardea “prima che la notte ci colga ancora in questa bosco.”
“Dubito che la notte possa essere più buia di questo posto!” Rispose Biago con un tono tra la beffa ed il dramma.
Così, i due ripresero il loro cammino, fino a quando, ormai prossimi al crepuscolo, avvistarono da lontano la valle di Maddola.
Era circondata da un’alta ed inquietante nebbia, dalla quale emergevano, quasi a fatica, le arcate più alte dell’antico acquedotto romano.
“Se per tutto il giorno la nebbia ha dominato questo posto” cominciò a dire Biago “non oso immaginare come sarà la notte da questa parti!”
“La valle è ancora troppo lontana” disse Ardea “e continuare sarebbe da sciocchi. Ormai è quasi notte.”
“Cos’è quell’immensa costruzione che appare tra la nebbia in lontananza?” Chiese Biago indicando l’acquedotto.
“E’ un antico e maestoso acquedotto di età romana.” Rispose Ardea. “Era capace di rifornire d’acqua diverse città che sorgevano a nord di Afragolignone.”
“Accidenti!” Esclamò Biago. “Ed è ancora in piedi dopo tutto questo tempo?”
Ardea sorrise.
“Già e faremmo meglio a cercare un riparo per stanotte, visto che non possiamo vantare la stessa resistenza di quella poderosa struttura.” Disse il cavaliere.
Proseguirono ancora fino a quando avvistarono una piccola luce in lontananza.
La raggiunsero e scoprirono che proveniva da una vecchia chiesetta abbandonata.
La facciata era semplice e consumata ed una vecchia campana si affacciava ad accogliere qualche sperduto visitatore.
Una grande croce di ferro battuto dominava la sommità del sacro edificio ed una pesante porta di legno di quercia, rinforzata da spesse barre di ferro, sbarrava l’ingresso a chiunque volesse profanare quel luogo di preghiera.
E spinti dall’oscurità ormai dominante e dal freddo vento che aveva cominciato a soffiare con ancora più vigore, i due decisero di bussare a quella porta, sperando che oltre ai simboli della Fede anche le carità Cristiane abitassero quell’austero edificio.
http://farm4.static.flickr.com/3054/2744626188_7e250e82f5_z.jpg?zz=1

(Continua...)

lady rainbow
11-10-2010, 13.05.55
Appena ho letto mi è venuto da esclamare "non bussate a quella porta!":laughing_lol1:...sono curiosa chi troveranno i nostri due amici?

Talia
11-10-2010, 19.16.03
sublime la descrizione del paesaggio, sir... :smile_clap:

Guisgard
15-10-2010, 18.04.59
ARDEA DE' TADDEI

"In un luogo lontano, lontano dalla vista di tutti,
crebbe dalla giovinezza alla vecchiaia un venerabile
eremita. Il muschio era il suo letto, la caverna la sua
umile cella, i frutti erano il suo cibo, la fonte cristallina
la sua bevanda. Lontano dagli uomini, trascorreva con
Dio i suoi giorni: pregarlo era il suo dovere, lodarlo il suo
piacere."
(Parnell, L'eremita)


Ardea smontò allora dal suo Arante e si diresse verso quella massiccia ed austera porta.
“Fa attenzione!” Gli gridò Biago. “Questo luogo sembra lamentevole ed ostile!”
“Questa è una chiesa” rispose Ardea non curandosi più di tanto delle premure del suo scudiero “e non ci negherà un riparo!”
E quando fu davanti alla porta, si accorse di un curioso oggetto che pendeva inchiodato ad essa.
“Cosa guardi?” Chiese Biago, incuriosito dall’esitazione mostrata dal suo compagno.
“Questa strana cosa...” rispose Ardea toccando quell’insolito oggetto “... sembra un fascio di capelli... anzi, sembra crine di cavallo...”
“Già.. sembrerebbero...” disse Biago fissando l’oggetto con attenzione e curiosità.
Ardea bussò allora con vigore su quella porta, mentre il sibilo del vento si faceva sempre più sinistro ed inquietante.
Nessuno rispose da quella porta ed Ardea bussò di nuovo, con ancora più forza.
Ad un tratto si udì abbagliare con forza un cane.
“Sembra provenire da dietro la porta...” disse Biago.
Ardea bussò ancora, quasi a far scricchiolare quella porta.
L’abbagliare di quel cane si fece più disperato e rabbioso, come a voler scoraggiare ed intimorire i nuovi arrivati.
“Anche se buttassi giù quella porta” disse Biago impressionato dal vigore che mostrava quel cane nell’abbagliare “quella belva ci farebbe a brandelli prima di oltrepassarne la soglia.”
Ma Ardea incurante del prudente parere di Biago bussò di nuovo, con ancora più decisione.
Ad un tratto, sovrapponendosi ai versi ed ai ringhi di quel cane, una voce si udì da dietro la porta.
“Chi bussa a quest’ora?” Disse. “Questo è un luogo sacro e disturbate le mie orazioni!”
“Degno padre...” rispose Ardea “...siamo viandanti colti dal sopraggiungere della notte. Abbiamo fame e freddo. In nome di San Raffaele protettore dei viaggiatori vi chiediamo un riparo per la notte.”
“Non sapete che è peccato” disse infastidita quella voce “interrompere le orazioni di un monaco? Il giorno volge alla fine ed io non sono dispensato dai miei obblighi. Ripartite e non indugiate oltre ad infastidirmi. Io pregherò per voi.”
“Non vi recheremo noie e fastidi, statene certo.” Si giustificò Ardea. “Né abbiamo intenzione di interrompere le vostre sante mansioni. Ma non possiamo proseguire oltre poiché la notte è ormai calata e la strada ci è sconosciuta. Siate un buon samaritano ed accoglieteci nel vostro eremo per stanotte!”
“Buon fratello...” disse la voce dalla porta “...tornate da dove siete venuto e vedrete che non vi accadrà nulla. Ora lasciatemi perdere che ormai solo a stento riesco a frenare il mio cane. Esso non è un buon cristiano e non conosce la pietà per i suoi simili. Figuriamoci per gli sconosciuti! Ora, ascoltatemi, allontanatevi e le mie orazioni saranno per voi in questa notte.”
“Forse è meglio proseguire oltre...” consigliò timidamente Biago, intimorito com’era dalle parole udite da quella porta.
“Un cane è degno se tale è il suo padrone!” Eslamò irritato Ardea. “Esso non ha la coscienza cristiana e la vostra vi si ritorcerà contro se ora ci lasciate al freddo ed all’oscurità della notte!”
“Ingenuo figlio...” rispose fingendosi calma quella voce “...non fui io a chiamarvi qui. Queste vie non si attraversano nelle notti invernali! Il detto recita aiutati che Dio ti aiuta! Non fu perciò per suo volere, né per il consiglio di San Raffaele, che giungeste in queste lande! Non coinvolgetemi quindi nella vostra avventatezza e partite da casa mia!”
“Se vi è una croce” tuonò Ardea “allora questa è la casa del Signore! Egli aprì le porte a tutti e voi farete altrettanto o, su quanto ho di più sacro, spezzerò questo legno con il vigore della mia spada!”
“Briganti, non temete neppure la casa del Signore?” Gridò quella voce, liberando finalmente la sua insofferenza. “Se volete aprirò questa porta, ma solo per aizzarvi contro il mio cane!”
“Come me ed il mio scudiero anche la mia spada è a digiuno... il vostro cane capita a proposito!” Rispose Ardea ormai travolto dalla rabbia.
“Andate via, figlioli, vi supplico...” quasi supplicò quella voce “... le provviste che possiedo potrei dividerle solo con il mio cane, tanto sono indegne e sgradevoli, quanto al giaciglio è costruito per fare penitenza, non per riposare uno stanco corpo. Datemi ascolto e ritornate da dove siete giunti.”
“Cosa temete?” Chiese Ardea. “Che siamo furfanti e ladri? Credete che si possa solo pensare di attentare ad un santo luogo senza subire il giusto castigo dal Cielo?”
“Vedo che siete buoni cristiani... vi supplico quindi di proseguire oltre...”
“Ed il vostro saio non fa anche di voi un degno cristiano?” Chiese Ardea. “Aprite questa porta ed accoglieteci come insegna il Santo Vangelo.”
“Andate via!” Intimò allora quasi disperata quella voce. “Non capite... non sapete… ed io non voglio il vostro sangue sulla coscienza!”
Ardea e Biago, a quelle misteriose ed inquietanti parole, si scambiarono un rapido sguardo.
“La morte ci è da sempre alle calcagna, in questo nostro viaggio.” Rispose Ardea. “Qualsiasi cosa potrebbe accaderci non sarà mai riversata su di voi… dateci un giaciglio per questa notte ed all’alba, vi giuro sul mio onore, ripartiremo per sempre dal vostro eremo.”
Per alcuni istanti non si udì più nulla provenire da quella porta.
Neanche la rabbia del cane.
Poi, ad un tratto, si sentì scorrere una pesante catena e l’aprirsi di diversi lucchetti.
Un attimo dopo quella porta finalmente si aprì, mostrando il suo interno ai due viaggiatori.
http://www.viaggi-qui.com/adpics/porta_antica_prima33.jpg

(Continua...)

Guisgard
18-10-2010, 03.14.44
ARDEA DE' TADDEI

"Orazio: <<E' l'immaginazione che lo rende disperato.>>
Macercello: << Su, svelti, non è bene assecondarlo.>>
Orazio: <<Andiamo. - Come finirà la storia?>>
Marcello: <<C'è qualcosa di marcio in Danimarca.>>
Orazio: <<L'assista il Cielo.>>"
(William Shakespeare, Amleto, I, IV, V)


Sulla soglia di quella porta, davanti a loro, apparve un uomo.
Era di robusta corporatura, alto e ben fatto.
Un lungo ed umile saio ricopriva la sua bella presenza, mentre aveva con se una verga di legno nella mano destra ed un rosario in quella sinistra.
Il volto, incorniciato dai bianchi capelli, nonostante le rughe dell’età, manteneva vivi i bei lineamenti e gli intensi e profondi occhi chiari davano vigore ed intensità a quei tratti.
Ma il gradevole aspetto mal si legava con l’espressione crucciata ed incupita.
Il frate osservava i due nuovi arrivati con lo sguardo cupo e sospettoso, mentre il suo cane ringhiava con nervosismo pochi passi dietro di lui.
Iniziò allora ad impugnare nervosamente la sua verga, come monito ai suoi visitatori e cominciò a dire:
“Siete insistenti e scortesi. I buoni Cristiani non impongono la loro presenza quando non sono graditi.”
“Rasserenate la voce” rispose lesto Ardea, poco impressionato dalla verga e dai modi del frate “e mettete via quella verga. Il rosario che avete nell’altra mano è arma ben più degna per il vostro abito.”
“Se deciderete di rispettare questo santo luogo” disse il frate “andando via all’istante, questa verga tornerà ad essiccarsi accanto al mio braciere e questo santo rosario vi dedicherà ogni grano della sua catena. In caso contrario, io ed il mio fedele amico sapremo impartirvi le regole da seguire per un buon Cristiano.”
A queste parole del suo padrone, come se avesse ben inteso di essere stato chiamato in causa da questi, il cane iniziò ad abbaiare con foga verso Ardea e Biago.
Ardea sorrise a quelle parole.
“Frate, fareste bene a smettere di vestire i panni del soldato, che mal vi si addicono” rispose “e ad indossare invece quelli del penitente, che sono ben più adeguati al vostro ruolo.”
“Tranquilli che dopo avervi cacciato, con le buone se posso, con le cattive se devo, saprò recitare ben tante di quelle orazioni da liberare decine di anime dalle indicibili pene del Purgatorio!”
“Oggi il Signore vi ricorda il Suo Vangelo, Frate...” rispose Ardea “... e fareste bene a non ignorarne i precetti.”
“Andate via, vi dico, furfanti!” Intimò il frate, agitando minaccioso la sua verga. “Questa mia arma sarà degna del bastone di San Giacomo, che ben purificò le sante terre di Spagna dagli infedeli!”
“Non agitate quest’arma, frate!” Gridò Ardea. “Non fatelo che non è degna della Lancia di San Longino!”
Il frate allora, gridando per la rabbia cercò di colpire Ardea con la sua verga, ma questi, urlando a sua volta con tutta la forza che aveva in corpo, bloccò con la mano quel rabbioso colpo, mentre tutt’intorno, la buia selva sembrò essersi destata per quell’indomito scontro.

Il vento, forte ed impetuoso, percorreva con rapide e tonanti raffiche la buia selva che circondava la vallata.
Alte e spesse nuvole nere ricoprivano ogni cosa, rendendo quella terra orfana persino della pallida luce lunare.
Un gelido freddo aveva avvolto ogni cosa, bussando alla porta di quella chiesetta con insistente ardore.
Il sinistro sibilo del vento e gli ululati lontani di qualche oscura fiera erano gli unici suoni che quella notte lasciava trasparire.
Il caldo fuoco donava tepore e luminosità, rendendo la chiesetta un docile e tranquillo riparo.
La legna bruciava con vigore, tra schiocchi e vampate, mentre in una ruvida teglia si cuoceva lenta l’ambita cena.
“Ecco, le verdure sono ormai ben lesse” disse il frate mescolando il contenuto della teglia “ed il lardo è sciolto a dovere. Non abbiamo carne, ma il suo odore ingannerà i nostri sensi. La fame farà il resto.”
Guardò poi il cavaliere accovacciato accanto al fuoco e chiese:
“Come va la vostra mano? Premeteci su ancora quell’intruglio che vi ho dato... vedrete che domani non sentirete più nulla.”
“La mia mano è tutta addormentata” disse Ardea cercando di scoglierla con rapidi movimenti “ed a volte mi sembra paralizzata.”
“E’ l’effetto del colpo subito.” Rispose il frate. “Inoltre, il freddo non aiuta di certo.”
“Li sapete tirare bene i colpi voi, pur essendo un chierico!”
A quelle parole di Ardea il vecchio frate rise di gusto.
“E voi, pur essendo un cavaliere, siete un gran testardo!” Replicò.
Poi aggiunse:
“Ecco, la cena è pronta... vedrete che questo pasto, per semplice che sia, vi donerà tempra e salute!”
Così i tre sedettero attorno ad una vecchia e robusta tavola e consumarono quel genuino ed austero banchetto.
“Questo liquore d’erbe” disse il frate dopo che ebbero terminato di mangiare “è fatto con le erbe di questa valle. Saprà scaldarci e concilierà il nostro sonno.”
Si sedettero poi accanto al fuoco a consumare quel rigenerante elisir.
“Perché non volevate darci ospitalità per stanotte?” Chiese improvvisamente Ardea.
Il frate a quella domanda si alzò e si avvicinò al fuoco.
Non disse nulla per alcuni istanti, fino a quando gettò nel fuoco il contenuto del suo boccale.
Una vampata si animò dal braciere ed per alcuni istanti illuminò quasi a giorno l’intera stanzetta.
Gli occhi del frate erano rossi, come se contenessero una pesante carica di rabbia pronta ad esplodere.
Fissava con intensità le fiamme del braciere come se davanti a lui si fosse spalancata la porta dell’Inferno.
Ardea e Biago lo fissavano in silenzio, ma percependo in pieno la sua inquietudine.
Poi il frate si voltò verso Ardea e lo guardò come se avesse visto il demonio in persona.
In quel momento una raffica di vento aprì rumorosamente una delle finestre, facendola sbattere con forza contro la parete di pietra.
Il vento da fuori soffiava forte, come se portasse con se i peggiori auspici del mondo.
http://commenti.kataweb.it/commenti/multimedia//788200/2010/05/21/image/327594.jpg

(Continua...)

Guisgard
21-10-2010, 03.29.07
ARDEA DE' TADDEI

"Ora l'eroe dal grande coraggio si pentì quanto mai
d0essere stato così pigro a domandare quanto stava
presso l'infelice suo ospite."
(Wolfram Von Eschenbach, Parzival, libro V, 256)


“Cos’avete, frate?” Chiese Ardea con un tono austero, di chi si attendeva di udire i peggiori auspici del mondo.
Il frate restò in silenzio per alcuni interminabili istanti.
Fissava il braciere con uno sguardo tanto intenso che pareva voler gareggiare per ardore col fuoco stesso.
Nella stanza intanto, attraverso la finestra aperta violentemente dal vento, era giunta una morsa di gelo che attanagliava ogni cosa.
Da fuori, come se percorresse l’intera vallata, un infausto lamento si diffondeva folle nell’aria, generando negli animi nei tre un sordo ed innaturale tormento.
Biago allora chiuse con forza quella finestra, come a voler zittire quel lamento di morte che sembrava giungere da un indicibile incubo.
E quando il freddo e quel visionario eco svanirono, il frate, come destatosi da un irrazionale sonno, riprese la parola.
“Vi avevo avvertiti...” disse quasi confusamente, senza smettere di fissare il fuoco con quel suo grottesco sguardo “... vi avevo avvertiti...”
“Cosa accade in questo luogo, frate?” Chiese ancora Ardea, percependo totalmente il malessere del chierico.
“Il vostro sangue...” disse il frate “... il vostro sangue cadrà su di me…”
“Il nostro sangue ed i nostri peccati cadranno solo su noi stessi.” Rispose Ardea. “Ma le vostre parole dipendono invece da voi solo. Diteci cosa vi turba, frate?”
Il chierico allora si sedette, come vinto da quel suo misterioso tormento, su un piccolo sgabello posto accanto al braciere.
Si portò le mani fra i capelli e si strofinò forte gli occhi.
Poi fissò il vuoto della stanza con lo sguardo umido e pietoso.
A quel punto Ardea gli prese con forza un braccio e lo scosse con vigore.
“Frate!” Urlò quasi a destare lo smarrimento che dominava il chierico. “Frate, parlate in nome del Cielo!”
“Andate via!” Gridò alzandosi in piedi il frate. “Andatevene o finirete come tutti coloro che hanno cercato di giungere o di fuggire da questo luogo di morte!”
Biago sbiancò a quelle parole.
“Cosa ha portato la morte in questa vallata?” Chiese Ardea. “Dovete dircelo, frate!”
“Lasciatemi perdere, dannati!” Urlò il frate liberandosi dalla presa di Ardea. “Non voglio le vostre anime a tormentare la mia coscienza!”
“Se non ci direte tutto” gridò Ardea “allora non solo le nostre anime saranno una colpa della vostra coscienza, ma anche quelle di tutti coloro che continueranno a perire nel male che alberga quaggiù!”
Il frate, come scosso da quelle parole del cavaliere, fissò per qualche istante i suoi occhi.
Il suo volto era come vinto dal più assurdo degli orrori.
Un orrore tuttavia reale, che sembrava, a sprazzi, rendere folle quel frate.
“Siamo giunti qui per aiutarvi!” Gridò ancora Ardea. “Il duca in persona ci ha inviato a Maddola!”
“Aiutarci?” Ripeté con una grottesca espressione il frate. “Nessuno può aiutarci! Nessuno! Possiamo solo confidare nella Misericordia di Dio che possa chiamarci presto a Lui e liberarci da questo giogo di morte!”
Rise follemente e corse verso la porta, come se volesse fuggire dai suoi demoni.
Demoni che sembravano avergli sottratto il senno.
Ma Ardea lo raggiunse e lo braccò.
Lo tenne stretto, mentre il frate si dimenava con tutte le sue forze.
Forze che sembravano essersi quadruplicate per la follia.
“Aiutami a tenerlo, Biago!” Gridò Ardea. “Ha una stazza poderosa e sembra impazzito!”
Biago allora lo prese per le gambe ed insieme al suo amico lo sollevarono, portandolo poi di peso sul modesto giaciglio che il chierico usava come letto.
Lo tennero fermo a fatica per lunghi momenti.
Fino a quando, finalmente vinto dalla sua stessa foga, cadde addormentato.
“Credevo che avesse forze infinite...” disse ansimando Biago “...ma, in nome del Cielo... cosa può averlo ridotto in questo stato? E’ un uomo di Chiesa... dovrebbe trovare sostegno nella sua Fede... invece qualcosa sembra averlo reso folle. Ma cosa?”
“Il male. Il male nella sua forma più reale.” Rispose Ardea, mentre fissava i bagliori del fuoco che si consumavano sul braciere.
Un fuoco che sembrava disegnare orrende e grottesche figure sulle austere pareti della stanza.
http://imagecache5.art.com/p/LRG/15/1502/E2DBD00Z/gustave-dor%C3%A9-the-enchanter-merlin-from-orlando-furioso-by-ludovico-ariosto-published-by-hachette-in-1888.jpg

(Continua...)

Guisgard
24-11-2011, 02.54.57
Talvolta capita che questo mondo e quello che ciascuno di noi porta dentro di sé arrivino ad unirsi ed a confondersi.
Allora i personaggi di cui narriamo giungono a vivere i nostri stessi sogni e a combattere contro quegli stessi fantasmi, quegli stessi demoni che ci tormentano.
Il loro cammino diviene il nostro cammino e arriviamo a condividerne anche la stessa missione.
Ed anche la loro redenzione diventa la nostra.
Ed è forse giunto il momento che Ardea riprenda il suo viaggio.
Un viaggio che rappresenta l’unico modo per riscattare la sua anima, e quella dei suoi discendenti, agli occhi di Dio…



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Chantal
24-11-2011, 03.12.14
Tu sei un talento per me.E io ti accolgo come dono.
Tu sei il mio talento,e l'unico mio scopo è aiutarti a fiorire.
Me lo ha insegnato padre Ermes Ronchi.

Buon viaggio,Ardea.

elisabeth
24-11-2011, 08.56.20
Una gioia immensa nel rincontrare Ardea......ho atteso tanto il suo ritorno.....e come ogni buon amico egli ritorna sul mio cammino....sia gioia e luce Ardea.....

Talia
24-11-2011, 13.56.23
oh, milord...
sai quanto l'ho atteso e dunque puoi ben immaginare la gioia nel reincontrarlo...
Bentornato Ardea.
Grazie, sir!

Guisgard
24-11-2011, 13.56.51
Qualcuno una volta mi disse che il vero ed unico tesoro di un uomo è l’attesa che hanno per lui le persone care.
Ed ogni attesa è il preludio alla Gioia di ritrovarsi.
Lady Chantal, lady Elisabeth, lady Talia: vi ringrazio :smile:

cavaliere25
24-11-2011, 14.33.55
che bello è ritornato Ardea evvivaaaaaaaaaaa:smile:

Guisgard
25-11-2011, 19.25.57
Grazie anche a voi, amico mio :smile:

Emrys
26-11-2011, 07.51.07
Ardea de' Taddei è una lacuna che dovrò colmare... E, a giudicare dall'entusiasmo con cui viene accolta la notizia del suo ritorno, sarà un vero piacere.