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Visualizza versione completa : Itinerari Rocca d'Olgisio - Piacenza -


Hastatus77
21-07-2008, 14.09.36
Sabato scorso sono andato al matrimonio di un mio amico, e la cena si è poi svolta alla Rocca d'Olgisio, un posto veramente bello, che ora vi vado a presentare.

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Storia:
La Rocca d’Olgisio o d’Olzese (nei documenti anche Rocca Genesina o d’Algese) è uno dei complessi fortificati piu antichi e suggestivi del Piacentino, sia per la posizione dominante i torrenti Tidone e Chiarone, sia per la sua architettura.
Secondo alcune leggende, del castello, nel 550 sarebbe stato signore un certo Giovannato, padre delle Sante Liberata e Faustina; fuggite giovanissime da casa portando seco oro e gioielli, le due fanciulle si sarebbero stabilite a Como, dove avrebbero fondato il Monastero di S. Ambrogio.
La prima notizia certa sul castello risale al 1037, anno in cui il fortilizio venne ceduto da Giovanni, canonico della Cattedrale di Piacenza, ai monaci di S. Savino.
Questi lo possedettero fino al 1296, quando fu acquistato da Uberto Campremoldo e in seguito da Alberto Della Rocca che comprò il castello dal Campremoldo citato per tenerlo a nome della Chiesa.
Nel luglio de1 1325, Bartolomeo Fontana acquistò la rocca da Pietro Radati per 1100 fiorini. Un anno dopo i Piacentini fuoriusciti, capeggiati da Manfredo Landi, Francesco Volpe Landi e Corradino Malaspina, signore di Bobbio, tentarono di conquistarla grazie al tradimento di due soldati pontifici, addetti alla custodia della rocca stessa.
L'azione non fu possibile perchè il piano venne a conoscenza degli ufficiali dell’esercito papale di stanza a Piacenza, i quali si affrettarono ad inviare ad Olgisio un migliaio di soldati comandati da Azzotto Del Balzo.
Nell’attacco di sorpresa che seguì, i Ghibellini vennero battuti e costretti alla fuga.
Il 10 novembre 1352 il fortilizio fu alienato a Barnabò Visconti.
Cessata la signoria pontificia, nel 1378 Galeazzo Visconti cedette Rocca d’Olgisio “in feudo nobile e perpetuo” al celebre capitano Jacopo Dal Verme, discendente da una nobile famiglia veronese, divenuta poi piacentina e che esercitò il possesso sulla località sopraindicata sino a tutto il 1700, salvo brevi periodi di interruzione.
Nel 1408 Filippo Arcelli la sottrasse ai Dal Verme.
Qualche anno piu tardi tuttavia Filippo Maria Visconti rese il maniero ai figli del conte Jacopo Dal Verme, che ne erano i legittimi aspiranti.
Nella cronaca dell’Agazzari si narra che nel 1478 la rocca subì gravi danni a causa di un violento incendio. Il conte Pietro Dal Verme, sfuggito miracolosamente alle fiamme, morì sette anni dopo, avvelenato da Ludovico il Moro, il quale sapendolo senza figli, tendeva ad impossessarsi dei suoi beni. Venendo meno l’asse ereditario diretto, diversi castelli vermensi furono avocati alla Camera Ducale; in quello stesso 1485, malgrado le proteste avanzate dai fratelli del defunto conte Pietro, la Rocca d’Olgisio venne concessa a Galeazzo Sanseverino, genero di Ludovico il Moro e uno dei suoi più abili condottieri.
Agli inizi del 500 i Francesi occuparono tutte le città e le fortezze dello stato di Milano, solo i Dal Verme rifiutarono il riconoscimento della sovranità reale sulla rocca, essi si opposero fermamente; ma per il loro rifiuto dovettero sostenere un duro e violento assedio. Attaccato da duemila fanti ed un centinaio di cavalieri al comando di Galeazzo Sanseverino, il castello resse validamente l’urto dei nemici che tentarono più volte l’assalto, protetti dal tiro dei vari pezzi d’artiglieria faticosamente trainati sotto le mura, dopo che trecento scalpellini ebbero aperto la via con il piccone nella dura roccia. L’attacco più violento sembra venisse condotto sul lato Est, sul quale sono ancora visibili le tracce lasciate dal memorabile bombardamento.
Alcuni cronisti riferiscono che durante l’assedio, in otto giorni vennero diretti ben 1160 colpi di cannone contro il complesso fortificato, che tuttavia subì solo l’abbattimento di un torrione. Sia per la solidità della rocca, che per l’accanita resistenza dei difensori, sia per la presenza nei magazzini di un quantitativo di derrate sufficienti al presidio per dieci anni, il fortilizio era ritenuto imprendibile; tuttavia esso cadde nelle mani dei suoi nemici per il tradimento di alcuni ufficiali della guarnigione assediata.
Restaurata l’autorita imperiale, i Dal Verme conservarono il fortilizio fino all’estinzione della famiglia, avvenuta alla metà dell’800, quando Lucrezia Dal Verme, sposando Giulio Zileri, diede origine ai conti Zileri Dal Verme di Parma, i quali vendettero l’edificio monumentale circa trent’anni fa.
I. Stanga nel volume “Donne e uomini del Settecento Parmense” riferisce invece che, verso il 1800, il tenente Cassi delle guardie parmensi acquistò dal conte Luchino Dal Verme la Rocca d’Olgisio così com’era, ricchissima di mobilio. I suoi eredi, poi, vendettero tutti gli arredi.
Il conte Camillo Zileri, 80 anni più tardi, comprò all’asta il castello, ma quasi completamente vuoto.
Il versante sud meno aspro strutturalmente (e per questo più vulnerabile del colle) venne munito dall’architetto militare che la costruì di un triplice ordine di spesse mura, all’interno delle quali si addossano numerosi corpi di fabbricato ed un dispositivo di cortine che costituiscono gli ordinamenti difensivi avanzati della rocca stessa.
La porta di ingresso della 3a cinta che immette direttamente nel cortile, è sormontata da un arco bugnato, sulla sommità del quale appare un dipinto, ormai stinto, raffigurante un santo. Ai lati dei piedritti del portone si notano due troniere per la difesa radente dell’accesso stesso; sullo stipite interno è scolpito il motto “Arx impavida". Da alcune testimonianze si apprende che, sino all’inizio del secolo scorso, questo ingresso, già dotato di ponte levatoio, era munito di una robusta inferriata fatta in modo particolare, forse a saracinesca come rivelano gli incastri perpendicolari.
La parte interna dell’androne prospetta verso il vasto cortile dove è visibile il pozzo profondo una cinquantina di metri, sul quale sono imperniati molti episodi leggendari. La tradizione vuole che a metà canna esista un’apertura comunicante con una galleria, la cui uscita dovrebbe trovarsi fuori dal recinto fortificato al fine di permettere sortite in case di assedio. Oltre il cortile, sul fronte Ovest, si estendono altri fabbricati fra cui l’oratorio; il tutto è dominato da un imponente dongione a pianta rettangolare.
Attorno allo stesso torrione si snoda una loggia adibita forse a posto di scolta per le vedette. Sempre sul lato Ovest, si innalza, invece, la torre della campana che fu notevolmente abbassata ai primi del 1800 per evitare che si suonasse a stormo per radunare i montanari implicati nei moti antinapoleonici.
Dal 1979 la rocca è di proprieta della famiglia Bengalli di Pianello Val Tidone.
Questa con notevoli sforzi, sacrifici e volontà lavorativa è riuscita a salvare quello che è definito il più bello e il più leggendario fra i castelli della provincia.

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Leggenda:
Giovannato, sentendosi solo, decise di sposarsi con Margherita, una giovane fanciulla che proveniva da Pianello e da lei ebbe due figlie, Liberata e Faustina.
Satana però era in agguato. Arrabbiato perché tutti si erano convertiti, si trasformò in un corvo nero e si recò nella stanza di Margherita dove posò una mela avvelenata che lei mangiò e così morì.
Le due orfanelle furono affidate ad una affezionata donna di casa e crescevano sane e belle; durante l'estate si recavano in una grotta per pregare perché a loro interessava solo fare del bene. Lì arrivò un giorno il corvo e si presentò dicendo che era stato trasformato da una strega, ma che in realtà era un povero giovane. Così tutti i giorni le due ragazze lo andavano a trovare e, ammaliate dal corvo e da ciò che lui raccontava a loro sul mondo, chiesero al padre di essere maritate. Egli le accontentò e preparò tre diverse gare che si tennero alla Rocca, perché voleva che i promessi sposi dimostrassero di avere, superandole, grandi doti di virtù.
Alle gare si presentarono 12 cavalieri ai quali se ne aggiunse un tredicesimo, all'ultimo momento, il quale si faceva chiamare "il Principe di Montenero".
Tutte e tre le prove furono vinte da questo che teneva la visiera abbassata, indossava un mantello nero e cavalcava un focoso destriero. Egli ottenne così la mano di Liberata, ma mentre si preparava a portarla via sul suo cavallo, arrivò il sacerdote Marcello che, alzando la croce, cercò di benedire gli sposi..a questo punto ci fu un rombo spaventoso che fece tremare la Rocca ..cavallo e cavaliere sprofondarono in una grossa voragine che si era aperta nel terreno.
Ancora una volta Satana era stato vinto dalla croce!
Di quell' episodio è rimasto il pozzo profondo da cui sgorga un' acqua purissima e lì vicino, sul luogo dove sostò Satana, sorse poi un gigantesco fungo che rinsecchì e divenne pietra dura: ancora oggi è chiamato "fungo del diavolo".

Note:
Il motto del castello era Arx impavida, in quanto si dice che la rocca era praticamente inespugnabile e poteva resistere ad un assedio anche per 10 anni. Di certo si sa che la rocca non è mai stata espugnata per non per resa o tradimento.
La rocca è stata a lungo disabitata, e per questo motivo fu saccheggiata, quindi tutti i mobili e le suppellettili presenti ora nel castello sono stati acquistati dagli attuali proprietari.
Durante la seconda guerra mondiale, la rocca fu sede dei partigiani, e fu per questo bombardata dai tedeschi, che ne distrussero una parte.

Fonti:
http://www.roccadolgisio.it (http://www.roccadolgisio.it)
http://www.comunepianellovaltidone.it/storia.htm (http://www.comunepianellovaltidone.it/storia.htm)

llamrei
21-07-2008, 14.14.42
che storie che avvolgono i nostri castelli eh?
Chissà quale "strana" leggenda avvolge il castello di Camelot che noi ancora non siamo venuti a conoscenza...